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madrelingua - antonello piana

È arduo accostarsi a questo testo con le categorie narratologiche tradizionali. In altri tempi madrelingua sarebbe stato probabilmente definito un antiromanzo, ricco di digressioni come quelli settecenteschi alla Tristam Shandy. O si tratta piuttosto di uno scheletro di romanzo - composto non per caso da un insegnante di scrittura -, un’impalcatura di romanzo come la Tour Eiffel è l’impalcatura di una torre, una struttura autoreferenziale, un metaromanzo? Si può affermare con buona coscienza che il tema di questo romanzo è il romanzo stesso, che ci troviamo di fronte all’attacco premeditato a una tradizione sopravvissuta a sé stessa. O meglio, qui non si mette in dubbio la tradizione romanzesca in sé, quanto l’adeguatezza del genere romanzo a trattenere le strutture liquide del mondo di oggi. "Non è più possibile scrivere un romanzo, e non è più possibile non scriverlo", si dice nell'introduzione. In questo senso madrelingua è una sorta di requiem per una certa società letteraria, per una cultura borghese europea in fase avanzata, e ai più inconsapevole, di disfacimento.
Questo aspetto viene sottolineato soprattutto nella crisi del patto di lettura, nel logoramento della figura del narratore romanzesco, puntualmente ripreso da una sorta di autore implicito (tra parentesi tonde), il quale a sua volta viene interrotto in continuazione da un’ennesima voce [tra parentesi quadre], che veniamo indotti a identificare nell’autore in carta e ossa, nell’uomo/scrittore Monteiro Martins. Nel corso di questo sovrapporsi di voci (non) narranti assistiamo anche a un ludico sovvertimento di tutti gli altri parametri della narrazione, del tempo, del tono, del ritmo, del personaggio, della coerenza come della coesione dell’intreccio. A un certo punto infatti il narratore getta le sue molteplici maschere, dice basta!, decide improvvisamente di cambiare discorso e direzione. I personaggi vengono abbandonati al loro destino appena tratteggiato. Il romanzo si interrompe, abbandona il sentiero dato per infilare una stradina laterale che non conduce in nessun luogo, lasciandosi trasportare da una voglia di narrare fine a sé stessa.
madrelingua non intende però indicare un modello alternativo di letteratura (che la nostra società non sarebbe neppure in grado di recepire), ma si limita, con un lessico tematico arbitrario e giocoso, a puntare il dito sulle deficienze del modello di letteratura realmente esistente. Non ci troviamo quindi di fronte a un romanzo sperimentale o fallito come quelli a cui l'autore rimanda nell'introduzione, bensì a un documento premeditato, quasi disfattistico, del fallimento del romanzo nell’epoca in cui ci è dato vivere.
In tal senso la forma combacia fedelmente con il contenuto, la forma è il contenuto, perché i narratori come i personaggi avvertono l'incongruenza delle storie narrate o vissute nel rutilante caos che sballotta l'individuo. Si ha come l'impressione che sulla soglia di casa i protagonisti provino febbrilmente le chiavi con cui sono soliti aprire la porta. Ma la serratura è stata cambiata: questa è l'esperienza fondamentale di madrelingua, uno smarrimento che accomuna in fondo narratori e personaggi.
Per un lungo tratto il testo gira su sé stesso con gratuito compiacimento, ma alla fine non può fare a meno di smentirsi un'ultima volta: assistiamo a uno scioglimento quasi tradizionale del labile intreccio, i quattro protagonisti vengono inquadrati per un attimo, un ultimo sguardo, un rifiuto del rifiuto di continuare siglato da un’ironica sfera di cristallo. madrelingua è a un tempo atto d’accusa e atto d’amore verso una tradizione in grado di risvegliare nostalgie inassopibili. È evidente che una simile testimonianza sarebbe potuta sorgere solo da un antico e genuino amore per il romanzo.

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Supplemento

(ISSN 1824-6648)

incontro con
Julio Monteiro Martins

di raffaele taddeo

 

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Anno 1, Numero 7
March 2005

 

 

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