Io dico che spuntano
Dal ventre sordo della terra
Irti e avidi i denti della notte
Offerti ai clamori delle lucciole d'inverno!
In lontananza proprio nel fondo delle età
Al di là del soffio primaverile delle anime
Risuona scintillante il balletto
multicolore dei folletti!
L'eco dei loro sorrisi giunge
Limpida
Dove sosta la mia anima spenta!
Le mie fibre tutte le venuzze del mio
sangue scuro
Battono e cantano l'accordo dei Giusti
(...) Rifaremo tenaci
E temerari la cerchia chiusa dei girotondi
Concentrici
dei mondi a spirale e condensati
Affinché palpitino le nostre anime
Più delle spighe di mais sul filo dei temporali.
(Hamadoum Ibrahima Issébéré, Parole II)
Come primo anniversario dalla prima uscita della rivista forse molti
si sarebbero aspettati da noi l'organizzazione dell'ennesimo convegno
sulle letterature della migrazione.
Abbiamo pensato invece di ideare
una manifestazione in cui la narrazione e la spettacolarizzazione della
letteratura fossero in primo piano.
Per eludere le estenuanti teorizzazioni attorno al tema della
"letteratura migrante", nello specifico italofona, abbiamo scelto di
dare spazio alle parole.
Parole:
libere da definizioni, perché il cammino di queste nuove letterature è
in corso, in inesorabile avanzata, e non dobbiamo averne paura,
arginandolo con etichette che ce ne permettano il controllo, che ci
facciano sentire necessariamente intelligenti;
parole che proprio
con l'intelligenza si confrontano, alla ricerca dell'origine, della
consapevolezza più elementare: sole, emotivamente sole, perché la loro
solitudine, e la loro carica emotiva, arrivino con la forza propria del
vissuto, a discapito di tutte le forme di discorsività logica più
raffinate;
parole antiche, e nuove, dell'oralità narrante di tutti i tempi, l'unica
che sappia accumunare nell'eterno viaggio attraverso il mondo il
racconto, il raccontato e la loro ricezione - tu che dici, quel che
dici, e io che ascolto - là e qua, nel tempo e nello spazio, eppure una
cosa sola, da sempre;
parole di tutti, lingue e culture, e
parole-non parole - puro suono, ritmo, gestualità - perché finalmente ci
si possa capire, e sentire realmente, senza categorie e distinzioni,
unici e universali nella trama di un narrato esistenziale, forte ed
insieme impalpabile, che ci vuole insieme.