El Ghibli - rivista online di letteratura della migrazione

intervista
di irene claudia riccardi

Ha scritto tanto di Africa, ha tracciato personaggi femminili forti e indimenticabili, ha dato voce ai sogni e ai pensieri liberi e trasparenti dei bambini e dei giovanissimi che popolano i suoi romanzi, ha pubblicato anche storie per i più piccoli. Non solo perché li ama, i bambini. Ma anche perché, nella sua formazione poetica, fondamentali sono stati gli anni dell'infanzia, dell'adolescenza e della giovinezza, propio quelli trascorsi in Eritrea. L'incanto che rende "lievi" i suoi romanzi risiede proprio in questa segreta leggerezza che Erminia Dell'Oro ha saputo conservare intatta e trasmettere al lettore. Conosciuta in Italia, tradotta in Francia e in Germania (e ben presto anche negli Stati Uniti), Erminia Dell'Oro è l'unica scrittrice italiana che ha raccontato, con poesia e grande rispetto, il colonialismo italiano in terra d'Africa. Un pezzo della nostra storia negata, misconosciuta, rimossa dalla stragrande maggioranza della gente.

D. Quasi tutti i suoi romanzi sono ambientati nello stesso luogo (l'Eritrea)... e anche quando la vicenda comincia in Italia, finisce per approdare lì. Perché? Che ruolo ha avuto questo Paese nella sua formazione umana e poetica?

R. Sono nata in Eritrea e lì ho vissuto fino a vent'anni. Mio nonno ci è andato nel 1886 e mio padre è nato e morto lì (veniva in Italia come turista e ripeteva sempre che voleva morire nel suo paese, l'Eritrea. E così è stato). Era un colonialista paternalista, certo, ma è sempre stato rispettoso coi suoi lavoratori eritrei: non l'ho mai sentito dire una parola contro di loro. Amava profondamente quel paese e mi diceva che quella era la mia terra. E per me era naturale che fosse così: era il mio mondo, l'unico che ho conosciuto fino a quando non l'ho lasciato. Le mie radici affondano in Eritrea, il luogo dove ho passato gli anni fondamentali della vita: l'infanzia e l'adolescenza sono i periodi in cui si imprimono le immagini, le sensazioni più vivide, quelle che anche in seguito non ti lasciano mai. Anche se frequentavo le scuole italiane dove ci facevano studiare la storia e la geografia dell'Italia (mi ricordo che gli affluenti del Po erano un incubo perché nulla era meno interessante per noi che vivevamo lì), la mia vita era impregnata della terra magica d'Africa, magica sotto tanti aspetti: per la luce, per i colori, per la gente, per le sensazioni che offre. Oltre a questo avevo l'opportunità e la fortuna di frequentare un ambiente cosmopolita. Mio padre aveva conoscenti arabi (andavo a cena a casa loro e mangiavamo sui tappeti, sui cuscini), io avevo amici greci, inglesi... eritrei pochi perché non vivevano nei quartieri dei bianchi. Certamente se fossi stata qui in quegli stessi anni non avrei avuto quest'apertura, che è stata importante. Si andava in chiesa, in sinagoga (mia madre era ebrea)... senza problemi. E invece in Italia, ancora oggi, vedo gente che non si rende conto di quanto una società in cui tante culture si incontrano può arricchire. In quegli anni ho avuto l'opportunità di osservare e di incamerare colori, emozioni, suoni di quel mondo speciale in cui vivevo.

D. Quando ha deciso di fare la scrittrice?

R. Era il mio sogno sin da bambina. Mia madre era una grandissima lettrice, aveva una biblioteca molto fornita di volumi che faceva arrivare dall'Italia e mi riempiva di libri che io leggevo (in particolare letteratura francese, russa, inglese, pochi italiani per la verità). Io scrivevo storielline, pièces che poi mettevamo in scena in casa travestendoci con teli e copriletti. Spesso a scuola mi perdevo nei miei pensieri e mentre gli insegnanti spiegavano io scrivevo. Poi c'è stata un'interruzione, durata parecchi anni, perché sono tornata in Italia, ho studiato, ho fatto un po' la giornalista, poi ho iniziato a lavorare all'Einaudi (era direttrice della libreria in via Manzoni, n.d.r.), mi sono sposata, ho avuto i figli... e la scrittura è stata accantonata.

D. Com'è stato l'impatto con l'Italia?

R. Terribile. Non tanto per il freddo ma per la mancanza di luce, di colori. E poi per l'indifferenza della gente. La cosa che mi mancava di più, in assoluto, erano la luce, il blu, la solidarietà dell'Africa. A un certo punto sono anche tornata ad Asmara, per capire, decidere, ma non avevo grandi possibilità: o mi sposavo con qualcuno e andavo a lavorare in ambasciata - come aveva fatto mia madre - o me ne andavo per costruirmi un futuro diverso. E così sono approdata a Milano, nonostante all'inizio mi sembrasse un posto malinconico. E poi vivevo una situazione strana: in Eritrea ero bianca ma mi sentivo a casa, in Italia tutti mi consideravano italiana perché ero come loro e parlavamo la stessa lingua ma io mi sentivo straniera! Poi, piano piano, col tempo, mi sono abituata e ho imparato ad apprezzare le stagioni, i colori dell'autunno.

D. Qual è stata la spinta che le ha fatto riprendere in mano la penna?

R. Anche quando ero giovane desideravo scrivere qualcosa di utile, qualcosa che avesse un senso. Arrivata in Italia mi ero accorta che quasi nessuno conosceva la storia delle colonie italiane in Africa. Era una fetta del nostro passato di cui nessuno sapeva o voleva sapere nulla. Le nostre colonie erano piccole, perse in fretta, popolate soprattutto da fascisti... non c'era letteratura su questo argomento, come negli altri paesi europei. Così, quando sono tornata a scrivere, mi sono messa dalla parte degli eritrei. Il più bel complimento me l'ha fatto l'ambasciatore dell'Eritrea, che mi ha detto che avevo scritto come avrebbe potuto fare uno di loro. Nei miei libri ho dato forma e rielaborato le mie fantasie di bambina e di adolescente e ho ridato vita a persone che ho conosciuto davvero: Aptè, per esempio, il ragazzino nero storpio de "La gola del diavolo" c'era davvero. Non ci ha portato effettivamente alla gola del diavolo ma io ho voluto dargli un ruolo di protagonista per risarcirlo di una vita vissuta nell'ombra; Sellar la coraggiosa protagonista di "L'abbandono": la sua storia è un omaggio alle donne eritree, eccezionali, grandissime lavoratrici, capaci di sacrifici enormi. Anche quelle che vivono e lavorano in Italia e che rinunciano a tutto per mandare i soldi a casa. Ho sempre creduto fosse un dovere morale per chi ha la possibilità di scrivere non dimenticare queste donne, questi bambini e bambine "perdenti", sconfitti dal destino ma tenaci, coraggiosi, eccezionali. Quando sono usciti i miei libri, dall'estero mi chiamavano spesso perché se cercavano un autore italiano che parlasse di colonialismo si imbattevano necessariamente in me. Qui mi invitano a parlare di Eritrea ma non hanno mai fatto niente di serio su questo tema.

D. Spesso i protagonisti delle sue storie sono adolescenti o giovanissimi. Come mai? Cosa esprimono?

R. Come ho già detto è nell'infanzia e nell'adolescenza che ho vissuto esperienze decisive. E comunque popolare i romanzi di giovani e adolescenti è un modo per coinvolgere i loro coetanei, per trasmettere loro un messaggio, per raccontare loro una storia che non conoscono. In questo senso "La gola del diavolo" è perfetto, per questo ho accettato di farlo ristampare alla Bruno Mondadori che curerà la versione per le scuole. Vado molto spesso nelle classi a incontrare i bambini e i ragazzini. Mi piace moltissimo andare alle elementari, perché i piccoli sono ancora spontanei, senza filtri, mi ascoltano, mi fanno tantissime domande. Alcuni hanno fatto lavori bellissimi, hanno studiato la storia dell'Eritrea, hanno preparato mostre, con foto, cartelloni... Per lo stesso motivo ho scritto numerosi libri per bambini e in tutti c'è un messaggio forte e chiaro: contro la guerra, contro il razzismo.

D. Ci sono africani che le hanno dimostrato ostilità quando la sentono dire che è "africana", anche se bianca?

R. No, ho sempre trovato molta solidarietà, solo qualche volta c'è stato qualcuno diffidente, ma d'altra parte è logico, sono comunque un "ibrido"!

Intervista a cura di Irene Claudia Riccardi

Home | Archivio | Cerca

Archivio

Supplemento

(ISSN 1824-6648)

incontro con
erminia dell'oro

di raffaele taddeo

 

Archivio

Anno 0, Numero 2
December 2003

 

 

©2003-2014 El-Ghibli.org
Chi siamo | Contatti | Archivio | Notizie | Links