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le scritture della migrazione: una nuova letteratura

duccio demetrio

Grazie per questo invito ma devo leggermente correggere il titolo non per responsabilità di Raffaele e dei suoi amici ma perché pensando a questa relazione mi sono accorto che potevo tentare di esprimere meglio il mio pensiero e la mia posizione sulle scritture della migrazione aggiungendo un non al sottotitolo in questo modo “una nuova non letteratura”. Non è vi sto provocando. Sappiamo che la letteratura della migrazione è vastissima, ricchissima importante e cruciale, però vorrei con questi pochi minuti che mi sono messi a disposizione anche rammentare a tutti due aspetti, che poi coinvolgono la mia attività di ricerca sull’immigrazione da moltissimi anni: il primo aspetto riguarda appunto questo“non” la non letteratura, vale a dire le scritture di sé, le scritture personali che sono migliaia e migliaia ,che in questi anni sono state redatte all’interno delle scuole di italiano per stranieri. Sono scritture dimenticate, scritture disperse, scritture di cui non resterà quasi traccia. Con don Ciotti stiamo studiando la possibilità di costituire un archivio delle scritture senza lettori, sono scritture che sono state lette dagli insegnanti, dai volontari che hanno lavorato in questi anni, scritture che hanno avuto un valore più che didattico, spesso un valore personale, di incoraggiamento, di protesta e questa è una documentazione vastissima, e tra questa documentazione sono nati certamente scrittoi e scrittrici che hanno però iniziato in questi luoghi dimenticati, obliati dal pensiero e anche spesso dalla ricerca; il secondo motivo che giustifica questo “non” è che il bisogno, che ci attende dal punto di vista non tanto degli studi , ma dell’ aiuto forse, consiste nel comprendere perché ci si avvicina alla scrittura. Quando leggiamo letteratura straniera, questa letteratura di cui parlavo prima, che è stata definita letteratura ancheletteratura grigia, io preferisco chiamarla la letteratura silenziosa, la letteratura tacita, la letteratura dispersa, solitamente ci concentriamo, come sappiamo, sull’analisi dei contenuti, sul testo, su ciò che il narratore o la narratrice vogliono comunicarci, oppure ci concentriamo sul come, sullo stile, sui registri narrativima ci confrontiamo poco attorno al perché. Il perché è invece fondamentale. Nella letteratura che ha assunto dignità tale dignità, ma non in questa letteratura dispersa. C’è in gioco cioè una dimensione umana che si affida, si è affidata non solo in questa letteratura dell’immigrazione straniera, ma non dobbiamo anche dimenticare la migrazione interna, quanto la scrittura ha svolto per un numero innumerevole di persone un ruolo di incoraggiamento, di sostegno, nella sofferenza e nel disagio della migrazione. E invito a consultare alcuni scritti, alcuni diari, alcune autobiografie dell’emigrazione italiana all’estero che sono conservate nell’archivio diaristico nazionale di Pieve Santo Stefano, al quale oggi dobbiamo dire anche grazie perché sono sempre più numerose le scritture dell’immigrazione che l’archivio accoglie, raccoglie e sistematizza. Allora concentriamoci su questo perché, il perché della scrittura, è un perché che nelle ricerche ma anche nel mio lavoro a contatto d’accompagnamento con chi desiderascrivere ci riconduce al motivo indispensabile alla scrittura. Indispensabile allo scrittore principiante, allo scrittore che ormai si riconosce un ruolo, una figura e indispensabile a ciascuno di noi quando la scrittura oltre a proporsi di raggiungere espressivamente qualche bersaglio, si prefigge soprattutto il compito di aiutare coloro i quali scrivono. Allora provo a leggere qualche riga di un preziosissimo libro diHanif Kureishi Da dove vengono le storie; sono righe che esprimono molto bene a mio parere questa domanda di scrittura diffusa, non solo domanda di scrittura finalizzata alla produzione letteraria. Io sono convinto che Pap quando scrisse il suo famosissimo Io venditore di elefanti, scrisse questo libro anche per farsi coraggio e per trovare nella sua letteratura una modalità di sopravvivenza come individuo, come persona. Ecco la scrittura ci offre questo potentissimo strumento. Scrive Kureishi: “La scrittura è un modo attivo di prendere possesso del mondo, potevo diventare onnipotente piuttosto che essere una vittima, scrivere diventò un modo di elaborare, di ordinare, quello che sembrava un caos”. E’ il caos delle emozioni, il caos degli affetti, il caos dell’emarginazione, è il caos della solitudine. E la scrittura agisce quindi come antidoto, ma agisce per tutti, per tutti, per lo scrittore famoso che poi sarebbe diventato Kureishi e poi leggerò anche poche righe di un altro scrittore famosissimo che sostiene la stesa cosa, mi riferisco a Grossman, e ci riporta a questo nucleo che costituisce la parte invisibile, spesso non descritta, non narrata che ci consente allora di capire maggiormente perché tanto anche si scrive nell’immigrazione. Scrivere diventò anche un modo di ordinare, elaborare quello che sembrava un caos. “Scrivevo perché facevo lo faceva mio padre, ma imparai presto che la scrittura era il solo posto dove avevo dominio”, quando tu non hai nulla almeno la scrittura ti consente di ritrovare un tuo centro fragile, ormai spappolato, perché la scrittura svolge, già Freud aveva messo in luce questo aspetto, ti consente di riparare quello che si è rotto , quello che si è infranto. Metti in campo non la tua identità, ma qualcosa che aiuta la tua identità a reggere e a esprimersi e a ritrovarela via della narrazione, nella possibilità di contatto, di comunicazione. “Alla scrivania nel mio studio, chiuso al caldo concentrato, sufficiente con tutto quello di cui avevo bisogno e a portata di mano riuscivo a costruire un mondo in cui le disarmonie potevano essere contenute e forse private del loro veleno. Scrivevo per sentirmi meglio perché spesso non mi sentivo troppo bene . Ecco cercare storie era un modo per provare a vedere cosa succedeva dentro e fuori di me“. Ma prima della scrittura c’è dell’altro, e per comprendere questo altro, questo precedere il gesto e il lavoro della scrittura, dobbiamo leggere la prima pagina di questo straordinario libro di David Grossman Con gli occhi del nemico dedicato certo alla morte del figlio nella guerra del Libano ma dedicato soprattutto al ruolo autocurativo e terapeutico della scrittura. Ma cosa procede la scrittura? “Se mi chiedete di descrivere i caratteri che trasformano una persona in scrittore parlerei per prima cosa del potente impulso a creare delle storie”. Questo è l’impulso che accomuna chiunque scrittore, laureato, patentato, giovane, ragazzo, adulto, anziano che desidera scrivere per lasciare storie, “ a organizzarein quel contesto di una trama mediante quest’impulso quella realtà che non di rado risulta caotica e incomprensibile” Lo stesso motivo che abbiamo visto prima in Kureishi, “a trovare in tutto ciò che accade i nessi evidenti o quelli occulti capaci di dare un significato particolare, a evidenziare in ogni evento tratti avvincenti. Dal mio punto di vista l’impulso a raccontare una storia inventare o attingere dalla realtà è quasi un istinto, istinto narrativo”. Ecco prima di tutto, prima di prendere la penna in mano c’è questo istinto narrativo che alcuni hanno, altro no, ed è questo istinto narrativo quindi che va aiutato, va assecondato va raccolto nelle attività pubbliche e private che consentono agli stranieri, così è stato, di raccontarsi e di trovare la possibilità di parola. E aggiunge ancora:” Tra le cose che trasformano una persona in uno scrittore menzionerei anche il desiderio di comprendere attraverso la narrazione il mondo e l’uomo in tutti i suoi aspetti, contraddizioni e illusioni. E si può aggiungere anche l’aspirazione che lo scrittore nutre di conoscere se stesso di dare voce a tutte le correnti che passano attraverso di lui”. Quindi prima la narrazione e poi ecco, altre pagine importantissime dedicate allascrittura, troviamo in questo libro. E’ un timbro assertivo quello che ci offre Grossman, quasi ad autoconvincersi del ruolo che la scrittura ha avuto per lui per l’autodifesa dal dolore, dallo strazio, dalla separazione. “Il mondo, io scrivo, non mi si chiude addosso, non diventa più angusto, mi si apre davanti verso un futuro, verso altre possibilità,io immagino, non sono pietrificato, paralizzato dinanzi alla follia, creo personaggi “. E allora consentitemi chiudendo di sfogliare con voi questo libro densissimo che forse qui non ho visto Dall’Etiopia Roma- lettera alla madre di una migrante in fuga , edito da Terre di Mezzo. Una storia drammatica, di una madre di una figlia che fuggono verso la Libia dall’Eritrea; la madre muore nel deserto lungo il cammino, la figlia viene violentata nel gennaio del 2006 nelle carceri di Gheddafi , sopravvive miracolosamente, perché come sappiamo era già un miracolo,questo viene anche detto, da una guardia, e che cosa fa per sopravvivere, si mette a scrivere lettere immaginarie alla madre sepolta nel deserto, lettere che l’aiuteranno a sopravvivere e poi a raggiungere anche l’Italia. Aggancio queste pagine alle ultime parole di Grossman , perché Grossman ci dice la scrittura ci aiuta a costruire immaginario, proiezioni, personaggi e lei, che si chiamaSimret, costruisce e ricostruisce il personaggio perduto della madre. Questa non è sicuramente letteratura ma è una testimonianza esistenziale che come tantissime contiene questi tratti profondi della nostra psiche quando la psiche si rivolge alla scrittura per uscire dalla drammaticità, o dall’orrore che si va vivendo, dalla separazione continua, non dimenticando mai che noi dovremmo anche guardare la scrittura e soprattutto le scritture della migrazione come scritture dell’addio. Le scritture dell’addio nella migrazione, ma non solo anche nelle nostre vite personali quando scriviamo diari, quando scriviamo lettere, che tra l’altro lettere dell’emigrazione tra un po’ non ne avremo più perché venendo meno le lettere cartacee, un patrimonio narrativo straordinario scomparirà, appartengono già al passato, all’antologia, ecco scrivendo quindi con queste modalità che badano poco alla forma perché cercano soprattutto di ridare alla persona che scrive una propria forma che cercano di fare in modo che le pagine possano essere simbolicamente un nuovo contenitore autoprotettivo ecco allora leggendo le pagine dell’importantissima letteratura della migrazione ma non dimenticando la non letteratura forse capiremo molte cose di più. Grazie

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Anno 10, Numero 41
September 2013

 

 

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