El Ghibli - rivista online di letteratura della migrazione

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autopsia di un'era

mary jo bang

Allora era così, un coltello
nella cartilagine, un corpo rotto. Animale
e animale, cenere minerale. Una finestra spaccata.
L’ululato collettivo, allarme generale
poi la quiete.
Il nero-stivale della notte,
il ronzio della lampada. Il nastro serpeggia
nella macchina segreta. Poi vetri in frantumi
e un checkpoint in forma di ciondolo – chiude
un bracciale, trappola per turisti. Un braccio. Un ninnolo.
Con uno scatto si chiude il fermaglio. Nel film
della scatola cranica resta inciso il soffocamento
dell’acqua, la prospettiva del guinzaglio,
il collare attaccato. Una lunga carrellata.
Quell’oscurità delle città piccole che cala.

(traduzione di Mariagiorgia Ulbar)

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la spettatrice del circo

mary jo bang

Indosso il rosso e mi abbino all’aria
che viene dal recinto
e riempie il barattolo in cui trascorro il giorno.
Dico che nessun cane somiglia a un altro
ma non è vero. Non del tutto.
La differenza sfugge. Dico,

guardatemi la testa, come si inclina a guardare in alto
verso queste foglie esageratamente grandi. Sono grandi
e blu, più belle da vedere
col mio occhio puntaspilli, così luminose nella luce.
Sono triste. Sono felice. Mi tengo occupata.
Conto le otto zampe della zecca

sopra il tavolo. Aracnidi, cose del genere.
Lascio aperto un libro, il vento lo richiude.
A fine aprile faccio un programma: giugno
fino a luglio, luglio fino ad agosto. Comincio a realizzare
che il circo sarà luoghi, menti, persone,
piacere. Il rullio di tutto questo insieme.

Mi esercito, quando mi sento insicura,
e ripeto: sapere, sapere, sapere, so.
Penso che quel caos mi affascini. Dico,
ne faccio parte anch'io,
sono un personaggio in una gabbia.

(traduzione di Mariagiorgia Ulbar)

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masquerade: alla beckmann

mary jo bang

Seduti qui zitti.
Tu ti tocchi il braccio, io la faccia.
Dobbiamo stare zitti
e vivere una vita d’attesa.

Ci dissero di fare da oggetto a un ritrattista
e impersonare una triste sorte.
In tutto facciamo due teschi.
Dobbiamo stare zitti.

Herr Momento guarda
un orologio che dice adesso.
Il quadrante rosso mi ricorda l’occhio di un orco.
La ghiera che luccica mi ricorda

le manette di Herr Momento.
Non voglio parlare
di ciò che non si riesce a capire–
il lutto e lo sparire, gli anelli tagliati via dai cadaveri,

il rifiuto di Herr Momento di mostrare la sua vera faccia.

Max Beckmann, Masquerade, olio su tela, 1948

(traduzione di Mariagiorgia Ulbar)

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Anno 10, Numero 41
September 2013

 

 

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