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misteri d’albergo

giovanni saverio santangelo

* In memoria di Vincenzo Consolo

Cosa poteva mai pensare la cameriera addetta alle pulizie dell’ultimo piano dell’albergo quando, iniziando a rigovernare la camera che una giovane e maliosa signora aveva liberato al mattino del giorno della sua partenza, si era trovata innanzi ad un letto, dalle lenzuola intrise di sangue, sul quale sembrava essersi abbattuto un tornado ?

Nel corso del soggiorno d’un nutrito gruppo di convegnisti riunitosi in quella immota, silenziosa e crepuscolare città asburgica, l’attenzione della donna era stata già ripetutamente attratta da una coppia seriosa, piena di ritegno, i cui volti apparivano velati a tratti da fulminee nubi gravide di febbrili inquietudini: una giovane donna dallo sguardo inquieto e vellutato e un uomo maturo, decisamente di lei più anziano, il cui sguardo inebetito vagava dietro gli occhi di lei. Il giorno del loro arrivo la cameriera era stata testimone, in modo del tutto casuale, di una scenetta non poco, per così dire, ‘comica’, dalla quale aveva preso vita nei giorni successivi una sorta di passatempo collettivo al quale si era lasciato andare, in un intrecciarsi frenetico di scommesse, l’intero personale di quel grande albergo, dalle cui camere era possibile ammirare una delle più immote e fascinose piazze del Paese, evocatrice d’una fiabesca atmosfera: uno spazio silente e sconfinato, placidamente adagiato, nelle complici ombre della sera, sui bacini del porto. E uno spazio che provoca, nelle fibre più intime di chi si trovi ad attraversarlo, un irrefrenabile anelito di libertà.

Pur di alto livello professionale, tale quale lo richiedeva il rango di quell’albergo, fra i più rinomati dell’intero Paese, le donne e gli uomini del personale amavano spesso abbandonarsi a bizzarre scommesse: un po’ per combattere il tedio, un po’ perché il susseguirsi di coppie, le più variegate, finiva per acuire un’innata curiosità, spesso non disgiunta da quella sorta di irrefrenabile morbosità ch’è del tutto naturale in chi debba, per mestiere, rovistare fra le lenzuola di gente che abbia trascorso le proprie notti in un albergo, noiossissimo luogo di lavoro, in fondo, per coloro che vi assolvano ai propri compiti. Nessuno veniva risparmiato dagli annoiati impiegati: le coppie giovani, come quelle anziane; le coppie che si fermavano soltanto una notte, così come quelle che effettuavano un soggiorno più lungo. Nel caso di coppie, poi, che attraessero l’attenzione per caratteristiche che le collocassero fuori della più trita ‘normalità’, il gioco finiva per diventare in breve tempo, e in modo inesorabile, il passatempo collettivo dell’intero personale. Nessuno, davvero nessuno, in quel caso vi si sottraeva: le cameriere dei piani, naturalmente, ma anche - in una vorticosa girandola che veniva aumentando di ora in ora il numero dei giocatori -, i facchini, il burbero chef e l’indaffarato personale delle cucine, il maître dell’annesso ristorante, il personale di sala, i portieri di notte, e financo i compunti addetti al ricevimento.

Tutto aveva avuto inizio all’arrivo di quella coppia, e proprio nello stesso istante della registrazione dei due viaggiatori presso il bancone della reception. L’addetto al ricevimento ch’era di turno quel giorno, infatti, non aveva saputo resistere alla tentazione di mettere al corrente (fin nei minimi dettagli) alcuni fidati colleghi di ciò che, con suo grande stupore, aveva dovuto affrontare all’arrivo dei due, per i quali era stata riservata, per un evidente errore di chi aveva preso incarico di registrare le prenotazioni, una stanza matrimoniale. Al momento della consegna della chiave della stanza che era stata loro riservata sul registro degli arrivi, l’addetto al ricevimento era stato testimone d’un fulmineo, furtivo quanto imbarazzato, sguardo intercorso fra i due clienti appena arrivati. Ma - pur testimone impassibile di un baluginìo sfuggito dagli occhi dell’uomo (dal quale trapelava l’istintiva e speranzosa gioia provata per l’increscioso, quanto insperato, equivoco intercorso) - l’impiegato era stato costretto a far fronte, poi, alla decisa richiesta della donna che, dichiarandosi non poco dispiaciuta dell’accaduto, reclamava con molto garbo ed altrettale fermezza una stanza tutta per sé. L’imbarazzo era aumentato nell’impiegato quando non aveva potuto fare a meno di controbattere con evidente disagio (accompagnato tuttavia dall’ammirevole mantenimento di un fermo aplomb professionale) che, a causa delle molte camere già prenotate dagli ospiti convenuti in città in occasione di un importante Convegno di studi, non ne rimaneva disponibile davvero più nemmeno una sola. Mentre il facchino ch’era stato incaricato di prender cura dei bagagli della coppia (testimone involontario e tuttavia attentissimo di quella gustosa scenetta) cercava di celare maldestramente il proprio riso, affettando di allontanarsi di qualche passo e restando nell’attesa divertita di disposizioni che non potevano più, a quel che sembrava, venirgli impartite, la donna aveva continuato a protestare, pur con un’innata aria regale, dichiarando che non avrebbe potuto accettare, a quelle condizioni, di consentire che fosse apposto il proprio nome nel registro degli arrivi. L’uomo che la accompagnava, dopo aver sussurrato con voce flebile qualcosa chinandosi con aria afflitta verso la compagna di viaggio, aveva implorato allora il receptionist di cercar di trovare in ogni modo una soluzione. Alla fine - con sollievo di quanti, nel frattempo, avevano formato una lunga coda in attesa di poter registrare, a loro volta, il proprio arrivo -, il solerte impiegato (che non aveva nel frattempo smesso un solo istante di comunicare per via telefonica interna, e in modo sempre più concitato, con la direzione dell’albergo) aveva aperto l’espressione del viso in un radioso ed elegante sorriso, comunicando ai due la ‘lieta’ novella: l’imminente partenza anticipata d’una coppia di clienti rendeva ‘felicemente’ disponibile una suite sita all’ultimo piano. Si trattava, naturalmente, di concedere al personale il tempo necessario per le pulizie, e di aver la pazienza di attendere la disponibilità, ormai imminente, di quella ulteriore stanza, non prevista nel piano d’impiego giornaliero dell’albergo. Mentre comunicava tutto ciò alla coppia con aria sempre più impeccabilmente professionale e con un tono di voce mirabilmente anodino, l’impiegato scrutava con attenzione, naturalmente, la reazione dei due innanzi alla soluzione salvifica ch’era stata appena trovata: la donna, che non aveva dismesso per un solo istante il proprio aplomb regale, del tutto incurante del divertito capannello che s’era venuto intanto a creare nella hall, aveva finalmente consegnato, con aria soddisfatta, i propri documenti; l’uomo, il cui sguardo trasognato era venuto velandosi d’una crescente mestizia che tradiva il rammarico per l’agognata occasione perduta, continuava a guardare di sottecchi, con un’espressione da ‘pesce lesso’, l’adorabile e decisa creatura alla quale si accompagnava, sempre più irrefrenabilmente attratto da lei e del tutto incapace di nasconderlo, pur nella consapevolezza dell’attenzione che l’imbarazzante e concitato colloquio aveva finito, anche per la sua durata, per attrarre su di loro. Quando l’impiegato, con aria trionfante, aveva scandito ad alta voce e teatralmente i numeri delle stanze assegnate a quell’inedita e del tutto originale coppia di clienti («La stanza 298, al secondo piano, è per Lei, Signore; la sua stanza, Signora, è la 404, una suite all’ultimo piano. Buon soggiorno»), tutti gli astanti, sempre più coinvolti nella vicenda, avevano tirato un sospiro di sollievo. Il facchino aveva finalmente potuto prender cura dei bagagli dei due nuovi arrivati e la cameriera dell’ultimo piano si era involata a riordinare la camera appena lasciata libera, per evitare che quella bella signora dagli occhi vellutati e dal portamento d’una regina corucciata dovesse attendere troppo tempo prima di poter disporre dello spazio sì tenacemente rivendicato per sé. Il sipario era dunque finalmente, almeno in apparenza, calato su quella gustosa scenetta da pochade.

Facile immaginare come, fin dalla stessa sera, avessero iniziato ad intrecciarsi fra il personale dell’albergo le scommesse, costantemente fomentate dalle informazioni che con dovizia di particolari circolavano in un turbinìo sempre più incontrollabile. Il portiere di notte relazionava ogni mattina ai colleghi, con aria progressivamente infastidita, sul rientro tardivo in albergo della coppia («Ho dovuto aprire il portone al 298 e alla 404: ma perché non se ne vanno a fare i loro affari in un comodo letto, benedetto Iddio, invece di rompermi le scatole in piena notte, e rientrando per di più teneramente allacciati, la mano nella mano ? Perché perdono tempo gironzolando fino alle prime luci dell’alba per la città ? Non capirò mai certi individui. Ma che gli passa per la testa ? Maledetto mestiere, il mio…»); il maître testimoniava, dal canto suo, che gli occhi inebetiti di lui, al momento del petit déjeuner, erano di giorno in giorno sempre più quelli di un perfetto imbecille perdutosi dietro una gonnella; il cameriere di sala implorava di voler concedere fede alla sua testimonianza («Ma sì, vi assicuro, erano proprio loro. Volete che non li abbia riconosciuti con certezza ? Quei due piccioncini si riconoscerebbero lontani un miglio, con quella loro aria sognante da innamorati ! Ve lo ripeto: quando ho servito il dessert a loro e agli amici che erano al loro tavolo, le loro mani erano intrecciate sotto il tavolo…»); il facchino implorava, a sua volta, di volerlo credere («Ma perché, perché mai dovrei inventarmelo ? Vi dico che erano il 298 e la 404 ! Ve lo ripeto per l’ultima volta: ieri sera, quando passeggiavo sul lungomare con mia moglie per consumare un gelato, erano lì da soli, lontani dal gruppetto degli altri convegnisti che avevamo incontrato poco prima intenti a passeggiare nei pressi dei ruderi del teatro romano: stavano beatamente seduti al piano-bar della Piazza grande, ascoltando con aria trasognata, mano nella mano, la cantante che si esibiva nel repertorio musicale degli anni Sessanta. E li abbiamo visti mentre si scambiavano un lungo e tenero bacio…»); la femme de chambre del secondo piano giurava e spergiurava, da parte sua, di esser assolutamente certa del fatto che il Signore avesse dormito ogni notte nel suo letto, nella camera 298. E mentre il maître, che aveva coordinato il servizio della sontuosa cena di gala offerta ai convegnisti, insisteva nel raccontare che, dopo le abbondanti libagioni di frizzante vino del Nord-Est, un noto scrittore aveva chiesto affettuosamente al 298 il permesso di rendere omaggio agli occhi maliosi della 404 e che, avendo ricevuto un cortese e compiaciuto cenno di assenso, si era esibito in un impeccabile baciamani; la cameriera dell’ultimo piano preferiva mantenere, invece, un più professionale riserbo, acuito in lei dal fatto di avere casualmente assistito, una mattina di buon’ora, ad una furtiva fuoriuscita maschile dalla camera 404. A dispetto della crescente mole di testimonianze, la maggior parte delle donne e degli uomini del personale dell’albergo restava però, agli inizi, scettica innanzi alla possibilità che fra i due ci fosse una storia d’amore: quel rifiuto della donna di occupare una sola stanza, del resto, ne restava la prova inequivoca. Mai, nell’esperienza comune, era stato dato di poter registrare un simile comportamento. E tale scetticismo, avendo preso posto nell’animo di alcuni, aveva alimentato il clima agonistico della competizione. Col passar dei giorni, tuttavia, l’orientamento era venuto rimodulandosi in favore di quella minoranza che, fin dal primo istante, aveva viceversa scommesso sull’esistenza di un rapporto sentimentale fra il 298 e la 404. Fra gli appartenenti alla iniziale minoranza, la femme de chambre dell’ultimo piano, ch’era stata colpita, fin dal giorno dell’arrivo della coppia (e prima ancora di avere assistito non vista alla ‘fuga’ dell’uomo alle prime luci dell’alba dalla stanza della donna) dal modo in cui i due si guardavano fisso negli occhi: era stato proprio quello a spingerla a scommettere una cifra enorme, per le sue possibilità. Ma si era poi ben guardata, naturalmente, dal diffondere l’ulteriore motivo (la furtiva fuoriuscita dell’uomo dalla stanza 404) che la aveva rafforzata nel suo convincimento. Quando tutti, proprio tutti, finirono per scommettere sul «Sì, la storia esiste», il bookmaker ufficiale, che era stato unanimemente identificato nell’addetto alla reception, dichiarò, con tetragona professionalità protocollare, che non v’era più motivo alcuno di scommettere, dal momento che nessuna cifra avrebbe potuto esser pagata, una volta venuta a mancare la contrapposizione delle scommesse.

Il mattino della partenza della coppia, nello stesso istante in cui il receptionist, all’atto della riconsegna delle chiavi, non aveva saputo rinunciare a rivolgere ai due clienti un malizioso «Speriamo che abbiate trascorso un bel soggiorno, Signori, e ci auguriamo di potervi nuovamente ospitare», all’ultimo piano si consumava il tragico dilemma della femme de chambre.

Tutto le apparve chiaro, in un attimo. Quei due, con tutta evidenza, non avevano avuto un rapporto sessuale nelle notti precedenti. E la donna, anzi, non lo aveva mai avuto, prima di quell’ultima notte. Ecco la chiave di quel loro non poco strano comportamento ! Ma anche quell’ultima notte passata in albergo, e per di più con quella insperata ‘prova’ che proprio lei avrebbe potuto fornire a sostegno della propria tesi, sarebbe stata sufficiente per vincere la scommessa, se quegli stupidi di quei due clienti fossero stati capaci di nascondere un po’ di più i loro sentimenti. Maledetti loro ! Con la cifra che avrebbe ricavato da quella scommessa, la povera donna aveva già pensato di potersi regalare quindici giorni di vacanze al mare, dopo tanta fatica accumulata nel corso dell’anno. Continuò a maledirli, fra sé e sé, e mandò al diavolo in cuor suo, in special modo, quello stupido della 298, vero responsabile, con quell’eterna aria da pesce lesso perduto dietro due occhi maliosi, di non aver saputo trattenere a freno il proprio fanciullesco temperamento e di non aver saputo interpretare, con la dignità mostrata viceversa dalla bella signora della 404, il proprio ruolo…

Ma la povera femme de chambre non poteva sapere che nulla, proprio nulla era andato come, pure, le apparenze sembravano attestare. Non avrebbe mai potuto credere che quel sangue, tutto quel sangue del quale aveva trovato intrise le lenzuola al momento di ripulire la camera, era più semplicemente sgorgato nella stretta disperata dei corpi, a causa dell’attrito su ruvide lenzuola non degne della categoria dell’albergo, dai delicati gomiti del signore della 298. Né avrebbe mai potuto immaginare che quella coppia, quella strana coppia di viaggiatori, vivendo un legame forte quanto disperato, era legata da una forma di amore del tutto inedita. Lasciando l’albergo e la città, quei due avevano finito per portar via, insieme all’impenetrabilità della reale natura della loro relazione, tutto l’indefinibile e tutto il mistero di quel loro amore.

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Anno 10, Numero 40
June 2013

 

 

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