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Nell'ambito del “IV festival internazionale di teatro” di Bejaia, Algeria (http://www.masrahdz.com/fr/) è stato presentato il seguente intervento. Il festival era intitolato “Teatro, rivoluzione e impegno politico” seguendo l'eco dei festeggiamenti per i cinquant'anni dall'indipendenza. Alla manifestazione culturale hanno partecipato più di 260 artisti provenienti da 17 Paesi; dal 29 ottobre al 5 novembre 2012 vi sono state 24 rappresentazioni giornaliere di teatro convenzionale, di strada, di narrazione, letture di poesie, concerti, spettacoli di danza e un seminario scientifico di tre giorni. Il seminario è stato un luogo di incontri dove intellettuali di diversi Paesi, dal Libano al Burkina Faso, dallo Yemen alla Romania, dalla Costa d'Avorio alla Siria, si sono posti diversi interrogativi legati al tema del festival come, ad esempio, il rapporto tra teatro algerino e rivoluzione. Le riflessioni qui riportate sono state proposte all'interno del panel dal titolo “Teatro, rivoluzione e impegno politico: i concetti e le relazioni”.
Cosa significa fare qualcosa di politico? Il teatro ha il potere di creare nuove realtà e visioni alternative del mondo? Qual è il ruolo dell’emozione? Queste domande vengono affrontate attraverso il confronto di varie esperienze teatrali, partendo da Heiner Mueller, Anatolij Vasiliev, Augusto Boal e il teatro dell’Oppresso, Peter Schumann e il “Bread and Puppet”, fino ad arrivare a Mimmo Sorrentino e il teatro partecipato.
Cosa significa fare qualcosa di politico nel teatro di oggi? Ovvero, che relazione esiste tra il teatro e l’attualità?
Il teatro è capace di rendere leggibili tutti quei conflitti presenti all'interno di ogni società, portandoli al centro della scena. Come dice Peter Schumann, la scelta del conflitto che si mette in scena è un atto inevitabilmente politico, poiché alla società il teatro presenta un certo argomento, con una certa visione del mondo, e in un posto pubblico. Si ritaglia una storia per presentarla al pubblico, quindi si decide cosa condividere e cosa no, una scelta ne esclude mille altre. Il teatro, per sua natura, mette in scena un conflitto, obbligando in questo modo al confronto con esso.
Questo confronto, per inciso, non coinvolge solo gli spettatori, ma anche gli addetti ai lavori: tutti fanno parte, in varie misure, dello stesso processo di trasformazione e riflessione sulla realtà; tutti, gli attori, i tecnici, i registi, gli organizzatori hanno spazio e possono esprimersi e confrontarsi tra di loro. Prendiamo per esempio il principio russo dell’ansambl utilizzato da Anatolij Vasil'ev. “Un principio di armonia, di proporzione, di totale consonanza tra tutti coloro che partecipano allo spettacolo, dal macchinista all’attore, dallo scenografo all’elettricista. Quando l’ansambl raggiunge questo obiettivo di fusione e sforzo collettivo, lo spettacolo diventa un’unità artistica indissolubile, ogni sua componente va ad arricchire, completare, potenziare tutte le altre, nulla emerge in modo autonomo, nulla sovrasta, eccelle. E allora lo spettacolo non trasmette più solo un testo, trasmette una visione della vita. «È una maniera incredibile di irradiare cultura spirituale, forse unica al mondo»”
Se da una parte la scelta del conflitto è inevitabilmente politica, dall'altra non sempre c'è la consapevolezza della natura politica di questa scelta, sia da parte dei teatranti che da parte del pubblico. Essere coscienti di produrre o di assistere ad un atto politico vuol dire essere consapevoli della relazione che intercorre tra coloro che mettono in scena, la società che assiste allo spettacolo e il soggetto che viene rappresentato; anche se il pubblico va a vedere uno spettacolo non dichiaratamente politico, ma ha in mente l'importanza di questo triplice rapporto, sta già facendo un atto politico cosciente.
Fare un atto politico concreto e cosciente vuol dire, ad esempio, mettere in scena un testo scritto da una donna, su qualsiasi argomento, in un contesto sociale in cui le donne abitualmente non hanno lo spazio per potersi rappresentare.
Come dice Boal in “Il poliziotto e la maschera”: “E’ importante che i temi scelti siano temi reali, veri, urgenti. […] l’urgenza del tema fa si che gli spettatori siano molto più creatori, perché sanno che il problema esiste e che bisogna risolverlo subito. […] Il teatro dell’oppresso non mostra solo immagini del passato, ma prepara anche e principalmente dei modelli d’azione per il futuro.”
L’impegno politico nasce dalla consapevolezza della scelta. Se questa consapevolezza si trasforma in imposizioni di punti vista, si rischia di fare teatro di propaganda. Esiste una netta differenza tra consapevolezza e trattamento della scelta. Il teatro diventa arte di propaganda quando al posto di porre delle domande si mette a dare delle risposte; diventa teatro didattico, in cui la narrazione diventa il pretesto per spiegare gli aspetti positivi e quelli negativi su un determinato argomento; è un teatro che impone una morale, una condotta, una serie di giudizi: un teatro retorico. Se il teatro si propone come portatore di nuovi valori, non sarà rivoluzionario, ma rimarrà sempre propagandistico, cioè intrappolato in una ideologia (che sia di destra o sinistra poco importa, perchè esso cambierà comunque in base ai valori proposti di volta in volta). A quel punto smetterà di fare domande e si metterà al servizio del potere. Per scongiurare il rischio di diventare una forma di propaganda il teatro deve problematizzare la realtà, metterla in discussione, deve mostrarne le regole invece che affermarne altre, deve smascherare i meccanismi del conflitto invece che darli per scontati; si tratta di porre delle domande alla realtà, non di pensarla solo come la base contestuale sulla quale erigere una serie di affermazioni. La domanda, più che la risposta, rende libero il teatro; permette a tutti, pubblico e teatranti, di essere coinvolti attivamente nel conflitto, invece di negarlo o subirlo.
Il teatro diventa rivoluzionario quando è ricerca della possibilità, ovvero quando investiga il reale fin nelle sue pieghe più profonde, e ne dà nuove rappresentazioni. Interessante è a proposito la posizione di Heiner Mueller:
"Mi trovo sempre leggermente in imbarazzo quando devo parlare della mia posizione ideologica. Conosco solo un modo per rapportarmi alla realtà: da artista. Per il resto vivo una condizione piuttosto infelice. Per me la funzione dell’arte è di rendere impossibile la realtà: la realtà in cui vivo, quella che conosco. (...) La prima esigenza è il bisogno molto elementare di distruggere illusioni; sì, ci provo gusto a distruggere illusioni: forse perché le mie sono andate in frantumi molto presto e ora voglio provare l’effetto che fa sugli altri. Mi stupisco sempre quando sento il pubblico, la gente che ha letto o visto qualcosa di mio, dire che li deprimo. Rimango sempre a bocca aperta. Mi capita spessissimo di sentir dire: ‘A scrivere cose del genere, dovresti impiccarti’... Non li capirò mai. Come fa a deprimermi l’oggetto di una mia descrizione? Niente che io sia riuscito a descrivere è in grado di deprimermi. Mi sembra che a conversazioni del genere manchi sempre il riconoscimento di quanto sia politico il lavoro dell’artista, anche a prescindere dalle prese di posizione ideologiche. Descrivendo qualcosa produco o distruggo ideologia, e così facendo produco forse consapevolezza. La descrizione di un avvenimento è attività politica di per sé".
possibilità del reale. Questa esperienza porta al confronto la nuova realtà, nata durante l’azione scenica, con la vita. È questo scarto che porta alla presa di coscienza del proprio ruolo all’interno del conflitto.
Augusto Boal, regista brasiliano, e il suo Teatro dell’Oppresso portano all’estremo questo processo: il suo obiettivo infatti è quello di dare una soluzione concreta al conflitto coinvolgendo il pubblico nel dare anzitutto una soluzione, come attori, al conflitto messo in scena. Il teatro diventa un determinante strumento di analisi e trasformazione della realtà attraverso la sperimentazione su di sé. In una delle metodologie del TDO, il teatro forum, l’obbiettivo è di costruire una realtà trasformabile; si tratta di costruire un modello di azione futura, all’interno della società, passando dall’atto teatrale: ad esempio, riguardo il tema dell'amianto, molto importante in Italia, il sindacato CGIL ha organizzato vari incontri tra le parti sociali coinvolte per indagare il conflitto attraverso il teatro forum.
La metodologia proposta da Boal è fortemente relazionata alla lotta politica e alla pratica della non violenza. Anche se proveniente da una matrice marxista, Boal non punta a indottrinare la collettività bensì a suscitare in ciascuno la reazione contro ogni forma di oppressione. Secondo Boal il teatro è ciò che prepara, studia e analizza la rivoluzione, piuttosto che essere al suo servizio, come afferma Brecht.
Il TDO risponde all’esigenza della società di appropriarsi degli strumenti teatrali per affrontare la vita. Infatti negli ultimi decenni c’è stato il boom dei corsi di teatro, derivato per alcuni dall’'incapacità del teatro istituzionale di porre domande, portando così l'individuo a far teatro da sé. Il progressivo affievolirsi del ruolo istituzionale nelle società attuali invece che allontanare gli individui dalla società ha creato una nuova dinamica e nuove possibilità di relazione con essa.
In questo senso è rivoluzionario l’espandersi della pratica teatrale in vari strati della società, dal teatro ragazzi ai corsi per adulti, al teatro nel lavoro sociale, cioè rivolto agli anziani, ai carcerati o ai portatori di handicap. L’obiettivo di questo tipo di teatro “è riattivare una serie di meccanismi fondamentali per l’individuo e per la società in situazioni dove questi ingranaggi comunicativi e affettivi sono usurati, o si sono distorti, o semplicemente non si sono ancora del tutto formati”. E' un'attività dal forte impatto sociale: è attraverso la recitazione che le persone si scoprono e affrontano il conflitto sociale e la vita con maggior consapevolezza di se stessi. Così Oliviero Ponte di Pino, critico teatrale italiano, definisce il lavoro di Mimmo Sorrentino, regista e drammaturgo operante in tutta Italia:
“Quelle del teatro incontro sono piccole azioni e pratiche che cambiano le persone, fanno affiorare piccole isole di utopia dove fioriscono identità e relazioni- e che per contrasto rendono opaca e dolorosa la realtà che le circonda, e dunque possono mettere in moto meccanismi di emancipazione. Queste sono le motivazioni e insieme gli effetti percepibili, oggettivi, spettacolari, di un progetto che dura ormai da vent’anni. In questo sta il valore politico in un’attività che naturalmente inquieta subito i custodi dello status quo. Che infatti può suscitare – analogamente a quanto accade con i fenomeni fisici- “una reazione uguale e contraria”.
Questo tipo di lavoro riesce a rivolgersi agli utenti ma non a trasformare gli enti che commissionano il lavoro, per esempio la scuola, che commissiona lavori per gli studenti ma non modifica le persone che abitualmente lavorano con loro.
Il teatro, parlando della vita, è necessariamente in movimento, quindi è in continua evoluzione. È da considerarsi un processo e non un risultato; appena assume una forma determinata, il rischio che lo spettacolo perda la sua vita è molto elevato.
Investigando la vita e le sue possibilità a teatro si compie un atto liberatorio, sia per i teatranti che per il pubblico: vivendo le possibilità che dà la vita a livello emozionale, psichico e fisico, ognuno impara a conoscere le proprie potenzialità e a capire quali sono i propri limiti Come dice Boal, il teatro aiuta a riconoscere e a affrontare il poliziotto che vive nella nostra testa e che ci opprime a 360 gradi (problema molto presente in Europa).
Esplorare la vita è un processo faticoso, perché vengono esperite sia emozioni positive che negative; di conseguenza è un impegno politico, perchè questo processo ha conseguenze sia in una dimensione privata che pubblica.
Un conflitto difficilmente può avere origine senza la collisione di almeno due desideri differenti. Il desiderio diventa così motore dell'azione. Se si impara non solo a riconoscere ma anche a esperire i propri desideri e le proprie emozioni, si riconosce il proprio motore, cioè la propria componente attiva, e così anche i propri desideri all'interno della società, diventando strumenti forti per la trasformazione della stessa società.
L'emozione è un ingrediente indispensabile per esplorare il conflitto, e quindi per il teatro. Questo è il cuore della questione. Oggi si è soggetti ad una sovraesposizione dell'emozione: i mezzi d'informazione ne fanno un uso shockante, sensazionalista. Il bombardamento quotidiano alle emozioni forti ha avuto come conseguenza l'assuefazione all'emotività, l'indifferenza nei confronti di qualsiasi portato emotivo. Il teatro, grazie anche alla sua scarsità di mezzi, permette di riscoprire l'emozione attraverso la sorpresa, interrompendo l'oblio emotivo che viene alimentato ogni giorno. L'atto teatrale infatti coinvolge la propria capacità di sorprendersi, e la sorpresa crea una domanda, dal momento in cui rompe la catena dell'assuefazione, buttandoci nell'inaspettato. Rompere la norma vuol dire interrogare la norma stessa.
Qui sta il carattere rivoluzionario del teatro oggi: essere quel lento motore che trasforma la morale della collettività per mezzo di ogni individuo, senza essere a sua volta portatore di alcuna morale.
È un lento processo di sedimentazione, relazionato anche all’esperienza della memoria fisica, che porta a una graduale presa di coscienza della complessità della società e delle proprie possibilità e capacità individuali. Il teatro in questo senso non porta a un rovesciamento di un sistema politico, ma attua una trasformazione della società.
Mimmo Sorrentino, “Teatro partecipato”, ed. Titivillus, 2009, Corazzano (Pisa)
Augusto Boal, “Il poliziotto e la maschera”, ed. la meridiana, 1993, Molfetta (Bari)
Julia Frey, “L’uso politico delle marionette”, in “Quaderni di teatro”, anno II numero 8, 1980, ed. Vallecchi. Firenze.
Heiner Mueller, "Oltre il fascismo: riscoprire la biografia", 1977, in “Tutti gli errori”.
Falco Malcovati, “la pedagogia è la scienza della malinconia” in Http://isoladellapedagogia.wordpress.com/