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zal, il bambino della spiaggia

paola corgatelli

Come l'embrione nel ventre della madre, Zal dormiva tutto arrotolato sul fondo della vecchia barca di suo padre, una lunga piroga dai colori stinti dal sale e dal vento. Se ne stava là, a secco da molti mesi, la vecchia barca, in pensione da quando una nuovissima piroga, intagliata in un unico tronco di kapokier, altrimenti detto fromager, e decorata con vernici fiammeggianti, partiva ogni settimana verso Sud, per raggiungere la Gambia e, a volte, la Guinea Bissau.
Ma, malgrado gli anni e l'uso l'avessero devastata, ancora si potevano leggere su un fianco delle lettere sbiadite: Abdulaye Mustafa Ndoye. Era il nome del bisnonno di Zal, il capostipite della famiglia di pescatori lebù di Kelle, il villaggio arroccato sulle rocce vulcaniche rosse e nere, appartenente alla comunità rurale di Yene, dipartimento di Rufisque, Senegal.
Il vecchio patriarca passava ormai le sue lunghe giornate seduto su una panca appoggiata al muro di casa, tranne nel primo pomeriggio, quando, per sfuggire la calura, si sdraiava sulla sua stuoia nell'angolo più ombroso della sua modesta dimora.
Scrutava l'oceano attraverso i suoi occhiali da sole corrosi dal sale e graffiati dalla sabbia sollevata dall’harmattan, il vento del deserto. Dalla sua postazione privilegiata, controllava l'andirivieni delle barche da pesca e, malgrado la sua vista si fosse con gli anni appannata, riconosceva da lontano le piroghe, da una prua intagliata con una certa curvatura, da una decorazione particolare, dalla sagoma delle persone visibili a bordo.
Di tanto in tanto, il vecchio pescatore biascicava degli ordini alle donne di casa che gli arrivavano a tiro, mentre oltrepassavano la soglia di casa. Facevano la spola tra il pozzo e il focolare, le donne, sempre affaccendate: chi a pulire il pesce, chi a seccarlo al sole, chi a cucinarlo, chi a tagliar verdure, chi a mondare e sciacquare il riso, chi a lavar stoviglie, panni o bambini, il tutto sempre negli stessi enormi catini di plastica colorata, che, riempiti fino all'orlo d'acqua, le donne riuscivano a portare con noncuranza sulla testa.
Erano molte le donne di casa Ndoye: morte le sue tre mogli, restavano quattro figlie maritate, otto nipotine sposate o in età da marito, più innumerevoli pronipoti.
Quanti anni avesse il vecchio patriarca, nessuno poteva saperlo, tranne lui: “Sono nato quando mio padre partì per la prima grande guerra dei francesi, arruolato nei tiratori scelti senegalesi. Non è più tornato e non si sa dove è sepolto, là in Europa, di là dal mare, che la terra straniera gli sia leggera!” Forse aveva veramente quasi un secolo, il vecchio nonno, se era nato allo scoppio della prima guerra mondiale! Ma nel villaggio di Kelle l'età anagrafica non importava a nessuno e anche Zal, il bambino che dormiva nella barca di suo padre, non era iscritto all'anagrafe. Però sua madre sapeva con esattezza quando era stato concepito: “Fu la notte in cui il grande lottatore Bombardier sconfisse per la prima volta Gris Bordeaux e tuo padre era così entusiasta che il suo seme germogliò!” Dopo questa rivelazione, il piccolo Zal che aveva dunque, secondo i calcoli di sua madre, circa 8 anni, fu un grande fanatico di Bombardier, come suo padre!
Nonostante le strida dei gabbiani che lottavano per i resti di pesce sparsi nella sabbia e gli strilli dei bambini che giocavano sulla spiaggia e si tuffavano in mare, Zal continuava a dormire profondamente nella barca di suo padre.
L’hivernage, intanto, recava dense nubi dall'oceano alla terra, grevi nuvole bigie che stentavano da giorni a sciogliersi in pioggia.
Ma, verso sera, piovve! Grosse gocce pesanti schizzarono la sabbia e le conchiglie e ticchettarono sui legni delle barche. I bambini già correvano verso il villaggio, saltellando sotto la pioggia e lanciando urla di gioia. Zal si svegliò e saltò in piedi, confuso e disorientato!
Si udì un grido: “Le piroghe!” Ed altre voci: “Le piroghe ritornano! Le piroghe sono qua!” I bambini si bloccarono e scrutarono l'oceano, avvistando la cordata delle barche che facevano ritorno, puntini neri che si ingrandivano man mano all'orizzonte. I bambini della spiaggia cominciarono a cantare sotto la pioggia, canti cadenzati che avevano appreso dai loro padri e che in mare servivano a ritmare la vogata. Ai maschietti rispondevano le bambine con le loro voci stridule e poi le femminucce cominciarono a danzare, sempre cantando in coro! Intanto, dalle rocce del villaggio scendevano le donne, coi grandi catini sulla testa, pronte ad accogliere i pescatori, mariti, figli e fratelli. Anche Zal, dopo essersi stropicciato gli occhi, si era unito al gruppo dei bambini festanti e, ballando e cantando, individuò, tra le molte, la piroga di suo padre e la accompagnò con lo sguardo fino al suo approdo.
L'assalto delle donne alle piroghe fu subitaneo: i pescatori non fecero in tempo a saltare dalle barche e a trascinarle a riva, che già erano circondati dalla piccola folla delle rispettive mogli e madri, nonché da zie, sorelle e cugine! La distribuzione del pescato nei vari catini fu velocissima, ubbidendo a leggi non scritte di precedenza e suddivisione.
Zal era contento di rivedere suo padre che mancava da tanti giorni da casa ed invidiava il fratello maggiore che lo aveva accompagnato nella battuta di pesca. Da lui voleva sapere tutto: come era stato il tempo e quant'era grosso il mare e quanto pesce avevano venduto nei porti del Sud... Ouzin, il fratello, maggiore di pochi anni, rispondeva a monosillabi, ma Zal non lo mollò, infastidendolo per tutto il tragitto dalla spiaggia fino a casa con le sue domande insistenti. Non ascoltava neppure i compagni che lo invitavano ad unirsi a loro, ora che la pioggia era cessata, per cucinare i pesci piccoli scartati dalle donne, infilzandoli con bastoncini sopra fuochi improvvisati sulla spiaggia. Deluso dalle risposte laconiche del fratello, che si credeva ormai un uomo, Zal volle vendicarsi e, quand'erano ormai giunti a casa, sibilò: ”Ma anche io ho una novità da raccontarti!” “E che sarà mai?” chiese distrattamente Ouzin, senza guardarlo, mentre salutava il nonno che li aspettava sulla sua panchina. “Oggi sono venuti alla spiaggia gli educatori del centro e ci hanno detto di andare a scuola da loro!” esclamò Zal e aggiunse, con aria di sfida: ”Posso andarci anche domani, se voglio!” Il nonno intervenne: “Tu a scuola ci vai se te lo dico io, non sei tu che decidi! Che vengano qui a chiederlo a me, di mandarti a scuola!”. Il tono era imperativo e al nonno non si poteva rispondere. Zal preferì correre in casa, fiutando il profumo di djebujen, il riso che le donne stavano preparando per cena con il pesce pescato di fresco.
L'indomani si presentarono gli educatori del centro e chiesero udienza al nonno. Si chiamavano Babacar, che era di Dakar, e Pierre, che disse di essere di Fadiouth, dunque era un serere cristiano del Sud. Parlarono a lungo col nonno e bevvero ataya con lui, il tè verde alla menta, mentre Zal li spiava dall'interno della casa, cercando di carpire qualche frase.
La mamma andò a chiamare il papà che lavorava alle reti giù in spiaggia, ma quello si rifiutò di venire: ”Ma non lo vedi, moglie, che sto lavorando? E poi il bambino è già grande e tra un po' me lo porto con me sul mare. Che bisogno c'è che vada a scuola? Per pescare non serve leggere e scrivere!”
Quando la madre tornò dalla spiaggia, arrancando nel suo largo bubu colorato su per le rocce che portavano al villaggio, e ansimando riferì la risposta negativa del padre, il nonno decretò: “Zal potete iscriverlo come figlio mio all'anagrafe del Comune e potrà venire da voi al centro per un anno, poi partirà con suo padre sul mare!”
Così fu e Zal nei giorni seguenti cominciò a frequentare l'alfabetizzazione al centro degli italiani di Kelle. Ci andava a piedi tutte le mattine, dopo aver aiutato la madre a vestire le sorelline, prendeva il quaderno e la penna che gli avevano regalato al centro e ritornava per l'ora di pranzo, camminando lungo la spiaggia.

“Al centro non ci sono solo Baba e Pierre che ci insegnano a leggere, a scrivere e anche a contare, a noi che ci chiamano 'i bambini di spiaggia', ma c'è anche la direttrice e c'è il presidente, baba Seve, un vecchio italiano con la barba bianca, ma in testa non ha i capelli e sulla testa non è bianco bianco, ma marrone, vuol dire che anche i bianchi, se stanno tanto tempo in Africa, diventano neri come noi. Poi c'è Ibra, il custode, che gioca a pallone con noi e Amy e Sophie, le cuoche, che ogni tanto ci fanno i dolcetti e poi... ogni tanto arrivano delle ragazze italiane e anche qualche ragazzo, ma di più femmine, e alcuni maschi hanno i capelli rasta come i Bay Fall, , ma anche qualche ragazza, ma non sono Bay Fall o Jay Fall, sono italiani e basta. Le italiane ci danno le caramelle e anche qualche banana, ma di nascosto e noi non dobbiamo dirlo a nessuno, se no baba Seve le sgrida e poi tutti i bambini le vogliono.
Loro non parlano wolof, solo un po' di francese, però io le capisco lo stesso, coi gesti, coi sorrisi e coi disegni. Le italiane ci fanno disegnare e colorare e noi disegniamo sempre le piroghe dei nostri papà e poi loro vogliono i nostri disegni per portarseli a casa, via, lontano con l'aereo, gli piacciono tanto le nostre piroghe tutte colorate!
Una volta sono arrivate due signore, una un po' vecchia, bionda e con gli occhi come il cielo e l'altra più giovane, ma bassina e con i capelli e gli occhi scuri scuri, come una gnarr, però erano italiane tutte e due. Nella loro valigia avevano portato tante bottiglie di plastica piene di colori e hanno dato un po' di colore a tutti nei piatti di plastica: rosso, blu e giallo .E anche un pennello per uno e anche vasetti con l’acqua. Ci hanno raccontato la storia del fuoco che era geloso del sole e il sole che era innamorato del mare e quando il mare e il sole si sono abbracciati, c'è stato un lampo verde ed è così che nascono i colori, dall'abbraccio di altri due colori. Come quando si abbracciano la mamma ed il papà e nascono i bambini. Allora abbiamo dipinto il sole che tramonta sull'oceano e fa la luce verde e dovevamo pulire bene i pennelli nell'acqua e poi asciugarli bene prima di usare un altro colore, se no facevamo un pasticcio. Poi, qualche giorno dopo, sono tornate le due signore italiane e ci hanno fatto mischiare i colori, ma solo a due a due - “Attenzione, non tre per volta!” - giallo e rosso, che fa arancione, blu e giallo, che fa verde, blu e rosso, che fa viola, ma loro lo chiamavano 'indaco'. Ci hanno detto che con tre colori potevamo fare tutti i colori del mondo e che tutti i colori del mondo stavano nell'arcobaleno, che è quello che sorge dal mare dopo la pioggia. Loro volevano sapere come si dice 'arc-en-ciel' in wolof e noi abbiamo risposto in coro 'arc-en-ciel', ma una bambina peul ha detto: 'Tintimol!' e a loro gli piaceva tanto e si sono messe a cantare:'Tintimol, Tintimol!'. Perché agli italiani piace cantare, come a noi, però a ballare non sono tanto bravi! Poi, in gruppi di quattro o cinque abbiamo colorato una bandiera coi colori dell'arcobaleno che avevamo mischiato bene a due a due e loro, le italiane, dicevano che quella era la bandiera della pace e ci hanno scritto sopra proprio 'Jamm' , che vuol dire ‘pace’ nella nostra lingua, scritto proprio bello grande, alla fine, quando era asciutta e l'hanno attaccata al muro della classe. Ma io non ho mai visto un paese che ha la bandiera della pace o forse quella è la bandiera italiana, quella dell'arcobaleno, visto che alle italiane piaceva tanto!
Quando è arrivato un altro hivernage, alla fine del mese che i francesi chiamano 'juillet', ci hanno dato i diplomi, su una carta gialla, con scritto in nero il mio nome e anche il cognome: Saliou Ndoye, perché Zal vuol dire Saliou. E gli educatori ci hanno detto: arrivederci a ottobre a scuola, perché quella che avevamo fatto non era la vera scuola senegalese, ma come una pre-scuola, per prepararci alla scuola vera.
Al centro ci hanno dato anche un regalo ciascuno: un pacchetto di carta rossa col fiocco blu e dentro c'era un astuccio con penne e matite e colori e poi biscotti e caramelle. Ho nascosto il pacchetto sotto la mia stuoia, a casa, per paura che le mie sorelle o le mie cugine mi rubano qualcosa.”

Quell'estate Zal partì per la prima volta con la piroga di suo padre e visitò la petite côte con Mbour, Saly Portudal e poi Banjul e Zighinchor... e partì per altre due volte. Gli piaceva stare sulla barca e il suo compito era importante: doveva svuotare col secchio l'acqua del mare che entrava nella piroga col mare grosso.
La terza volta, una tempesta li sorprese al largo della Gambia e Zal e suo padre e suo fratello non tornarono più a casa. Fu un grande lutto per tutto il villaggio, ma soprattutto per il vecchio Abdulaye Mustafa Ndoye, sopravvissuto agli uomini più giovani della sua famiglia. Non volle più sedere sulla panca fuori di casa ad avvistare le barche, si sdraiò sulla sua stuoia e rifiutò cibo ed acqua, finché morì.
Nella scuola elementare di Kelle c'è un banco vuoto, quello del piccolo Zal Ndoye.

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Anno 9, Numero 39
March 2013

 

 

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