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poesie

mario mélendez

LA LINGUA PARLA ATTRAVERSO I SUOI RICORDI

Mario Meléndez è nato a Linares, in Cile, nel 1971. Da diversi anni vive e lavora nel campo del giornalismo e dell’editoria a Città del Messico, dove ha trovato una nuova “patria”, più grande della precedente, allargata alle diverse componenti culturali che fondano e formano l’anima latino-americana. Sarebbe riduttivo, nel rintracciare le radici della poesia di Meléndez, limitarsi a ricordare la grande poesia cilena del Novecento, a cominciare da Gabriela Mistral e Pablo Neruda. Sia questi autori, sia altri – forse meno noti da noi, ma ugualmente importanti come Vicente Huidobro, Nicanor Parra, Gonzalo Rojas o Roberto Bolaño (quest’ultimo approdato in Europa soprattutto per i suoi romanzi), nati in Cile, e vissuti fra America ed Europa – sembrano difatti rappresentare, di là dalle rispettive differenze di poetica e di stile (si pensi all’“antipoesia” di Parra o all’infrarealismo di Bolaño), un esempio di Tradizione che cerca nel confronto fra paradigmi politici nazionali diversi, persino opposti, nuove istanze referenziali per raccontare la realtà, e renderne conto in un mondo nel quale si accorciano le distanze spazio-temporali, ma si accentuano quelle sociali ed economiche. In tal senso il mondo dell’America latina costituisce un mondo a metà strada, fra il Primo e il Terzo, che raccoglie un’identità antica e difficile. Paesi diversi per struttura politica e territoriale (dall’Argentina al Nicaragua, dal Cile a Cuba…), ma accomunati da una lingua e, quindi, da una storia culturale che puntano direttamente all’ibridazione, al melting pot, non già in senso post-moderno, ma per una sorta di istinto culturale, così come è avvenuto nell’incontro difficile e doloroso fra gli europei colonizzatori e i nativi amerindi.
La poesia di Meléndez si situa, pertanto, alla confluenza di molteplici spinte ideali e spirituali. Si avverte, dietro la sua lingua, l’ombra non di una nazione, ma di un continente, che ha bisogno di parlare di sé. Diversamente da quanto accade nella lettura di un poeta europeo, in cui la determinazione del luogo appare spesso irrinunciabile per comprendere la sua opera, nei versi di Meléndez quello che conta è la certezza che quel luogo sia un “altrove” – sia esso esistente ma a un passo dal fantastico, sia fantastico ma da qualche parte esistente – così come accade nei romanzi di Amado e di García Márquez. E conta, inoltre, l’“autenticità” delle rivelazioni che giungono al lettore, coinvolgendolo nel testo, la passione con cui la parola poetica viene spesa e pronunciata (anche fisicamente: Meléndez è uno straordinario interprete dei suoi testi). La poesia, insomma, non è valutata sulla base di invisibili coefficienti tecnici di innovazione formale, ma affronta immediatamente le attese del lettore, convogliando il groviglio di certezze e dubbi in una lingua “inaudita” per la sua chiarezza cristallina, sospinta talora da un realismo magico (che ci riporta a maestri intramontabili come Jacques Prévert e Paul Eluard), talora da una ironia lirica e surreale (per cui non è facile rintracciare una tradizione fuori dal grande alveo della poesia ispano-americana, da Antonio Machado a Ernesto Cardenal). La limpidezza è la dote che un critico di Meléndez, Xavier Oquendo Troncoso, ha messo bene in evidenza, definendola come «espresión directa», «direccionalidad del discurso», e si risolve in un «rasgo [tratto] dúctil y diáfano que ayuda a que su discurso sea directo, casi a lo antipoético, es decir, desusar aquellas imágenes crípticas para asumir, inclusive, el lugar común, como un recurso nuevo y establecido que asombre». Ed essa è tanto forte da connotare il ritmo con una purezza assoluta del senso, dettandone i battiti, il respiro, le cesure, le pause, e accogliendo in una luce nuova l’ampio orizzonte tematico: dalla vita privata alla riflessione sulla poesia, dalle questioni sociali alla riscrittura della parola evangelica, dalla contemplazione dei ricordi al duro confronto con la morte, che il poeta ritrova, durante il soggiorno messicano, come il pensiero abissale, nascosto ma mai definitivamente rimosso, dell’antica cultura amerindia. Entro tali coordinate mi pare che vada collocata la poesia di Mario Meléndez, autore già di diverse raccolte, quali, per ricordare, Vuelo subteráneo, Talca, 2002; Poesia desdoblada, Mosquito, Santiago, 1995 (da cui abbiamo selezionato Porque en mi casa ocurre de todo), El circo de papel, Linajes Editores, Ciudad de México, 2008 (da cui abbiamo selezionato El barco del adiós), El circo de papel, Linajes Editores, Ciudad de México, 2008 (qui presente con Apuntes para una leyenda), Apuntes para una legenda, El Golem, Ciudad del México, 2009 (donde Fragmentos de un sueño e Paráfrasis sopra un poema envenenado), e infine La muerte tiene los días contados, Laberinto, Ciudad de México, 2010 (in questa scelta presente con La muerte brilla por su ausencia e La lingua habla a traves de sus recuerdos); senza dimenticare la sua ricerca nella poesia contemporanea (ricordiamo l’antologia Tábanos. 13 poetas chilenos, Ed. de Medianoche, Zacatecas, 2010, che potrebbe servire a chiunque voglia avvicinarsi alla giovane poesia cilena).

Salvatore Ritrovato
Università di Urbino Carlo Bo

POEMI DI MARIO MELÉNDEZ

LA BARCA DEGLI ADDII

Io sono il bambino che gioca con la schiuma
dei mari ormai incurabili
Lungo questa spiaggia imbandierata di gabbiani
stiro le mie braccia come reti lasche
mentre le onde pizzicano i miei sogni
e sola una lacrima si frange sulle rocce
Alle rive si affacciano gli scogli
vengono a ballare a piedi nudi sulla mia anima
e sulle loro labbra portano alghe e coralli
il lievito del mare che diventa bacio
Muovo i miei piedi allora
come due vecchi remi
il mio cuore è un oceano di volti e mani
e vi entro senza rendermi conto
con il mio bagaglio di sabbia
aggrappato al timone del vento
alla prua degli anni
dove una voce che non è la mia voce
solleva l’ancora di questa piccola barca
che si allontana con la mia infanzia a bordo

(da El circo de papel, Linajes Editores, Ciudad de México, 2008, p. 21)

DI TUTTO ACCADE A CASA MIA

Qui si balla al ritmo delle stufe
si canta come i grilli più disperati
si impara a spogliare il vento
che non mostra mai il suo deretano
e in notti di luna piena giochiamo ad essere felici
misurandoci le zanne
Perché di tutto accade a casa mia
e i pochi ratti che esistono
sono destinati a seguire la corrente
alcuni vestiti da supereroi
altri facendo gargarismi
con i mustacchi di un gatto morto
E come le lampadine fanno la loro parte
anche le lenzuola osservano
oltre il loro naso
e vedono migliaia di pidocchi seduti nel patio
e pulci prendere il sole
tra le zampe di una gallina
e lumache raccolte in una goccia di champagne
quando la sera allunga le gambe
al di sopra dei vivi
Ma ci mancano ancora le cerniere
e alcuni fiori che non sono stati intervistati
e ci sono le scale e il baule dei ricordi
e quella formica pacifista
con le sue grandi doti oratorie
E non allarmatevi se a volte restiamo al buio
sono gli uccelli trampolieri che spengono la luce
e volano altrove con la loro coreografia
Perché di tutto accade a casa mia
e ognuno ha diritto di voce e di voto
dal bagno alla cucina
dal mio letto al vuoto lasciato dai ragni
prima di fare i bagagli
Tutti sorridono in qualche modo
e si accontentano del poco o niente che possiedono
Perché alla fine qui possono stare tranquilli
e sanno che è pericoloso cambiare domicilio
quando hanno ottenuto il rispetto di questo povero poeta
che ben li tiene nel suo Regno Santo

(da Apuntes para una leyenda, El Golem, Ciudad de México, 2009, p. 75)

APPUNTI PER UNA LEGGENDA

Una donna è ferma su un ponte
che non è mai esistito

La sua pelle che non fu mai baciata
galleggia sulle acque del tempo
come un ricordo senza volto

Una lettera che mai fu letta
lotta per raggiungere la riva
perché qualcuno la scopra

Un uomo che mai ha letto
che non sa leggere
che non ha mai imparato
trova la lettera e il corpo
sotto quel ponte

L’uomo piange di impotenza
mentre la lettera si disfa
tra le sue dita

Il fiume che è pieno di lacrime
ha pietà di quell’uomo
e gli rivela il segreto di quella lettera

E l’uomo pazzo d’amore
unisce le sue notti e i suoi deliri
per lanciarsi da quel ponte
che non è mai esistito

(da El circo de papel, Linajes Editores, Ciudad de México, 2008, p. 46)

FRAMMENTI DI UN SOGNO

Quando entrerai nel paesaggio
i tuoi seni cadranno
e gireranno tutta la sera
fino ad uscire dal pesaggio

Un bambino li lascerà
sulla pagina bianca
e aspetterà che salgano per il tuo corpo
prima che i suoi giocattoli spengano la luce

(da Apuntes para una leyenda, El Golem, Ciudad de México, 2009, p. 99)

PARAFRASI DI UNA POESIA AVVELENATA

Ho digerito tra inganni
la zuppa di spine che mi hai preparato
dice il bambino al nonno
prima di andare a scuola

Perfetto, mormora quest’ultimo
guardando il piatto vuoto sul tavolo
Ora prendi tranquillo la tua strada
perché di peggio niente può accaderti

(da Apuntes para una leyenda, El Golem, Ciudad de México, 2009, p. 100)

LA MORTE BRILLA PER LA SUA ASSENZA

Ti abbiamo aspettato tutta la notte
ma te ne andavi con quello che chiamano Dio
e hai dimenticato i tuoi amici per sempre
Non sai come triste si sente il cimitero
I vermi hanno perso l’appetito
le formiche non vogliono più lavorare
la gente non esce dalle tombe
perché le torna il pianto e la nostalgia
E non so come dir loro la verità
che hai lasciato la tua nicchia vuota
e sei fuggita con un estraneo
un tipo appena conosciuto
un povero diavolo che ti incanta con bugie
con storie assurde
Che il mondo fu creato in sette giorni
che suo figlio è morto sulla croce
e balordaggini simili
per cui tu cadi arresa ai suoi piedi
Se non hai più voglia di tornare, d’accordo
almeno cercati qualcuno di più adatto
in sintonia con la realtà
Altrimenti
lo rimpiangerai per tutta la tua morte

(da La muerte tiene los días contados, Laberinto, Ciudad de México, 2010, p. 28)

LA LINGUA PARLA ATTRAVERSO I SUOI RICORDI

Non ha peli sulla lingua perché non ha una lingua
gliela strapparono
come a quei buoi che riforniscono i mattatoi
e hanno la polvere sotto le ascelle

Ma la lingua parla attraverso i suoi ricordi
comunica nell’idioma dei morti
cui dobbiamo tanto
si fa capire a piccoli bocconi
come quegli alberi che muovono i rami
per dire ci siamo

La lingua parla anche se si riempie di formiche
anche se imputridisce e non è già la stessa
continua a cantare o a latrare o a farsi da parte
perché si odano più forti le grida del silenzio

(da La muerte tiene los días contados, Laberinto ediciones, Ciudad de México, 2010, p. 82)

Traduzione di Salvatore Ritrovato

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Anno 9, Numero 38
December 2012

 

 

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