El Ghibli - rivista online di letteratura della migrazione

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porte segrete

jaclyne augeryolle

La porta che qualcuno ha aperto
la porta che qualcuno ha richiuso…

Jacques Prévert
La casa della poesia non avrà mai porte
Alda Merini

Vi capita mai di camminare in qualche città, ovunque, senza scopo preciso, per il semplice piacere di passeggiare, osservare e immaginare cose del tutto insolite? A me, capita spesso. Portata dal caso, in grandi città o in piccoli borghi sconosciuti, là dove mi ha guidato il desiderio di assentarmi dal mio solito mondo, cammino lungo le strade, senza obbiettivo preciso, guardando le facciate delle case. Osservo soprattutto quelle segnate da un certo carattere o un’architettura ben definita. Moderne o antiche, le case attirano i miei sguardi avidi. La mia attenzione si ferma inconsapevolmente sui piccoli segni tracciati dall’uomo, sulla sua abitazione, piccola o grande, modesta o lussuosa, anche anonima come potrebbe sembrare ad un occhio disattento. C’è chi passa senza guardare perché assorto nei suoi pensieri e nelle sue preoccupazioni. La maggior parte di noi oltrepassa i cancelli, le porte, le finestre dietro ai quali altri esseri umani vivono nell’intimità delle loro case con le loro famiglie se esistono, o il più delle volte nella loro solitudine. Amo il mistero delle porte chiuse.

Allora, ecco che scatta in me una strana curiosità, forse malsana, un desiderio di sapere. Chi c’è dietro a quelle porte anonime? Come vivono? Sono felici di entrare quando è sera, oppure, l’angoscia di doversi rinchiudere per la notte li assale ferocemente quando sbattono la porta dietro di sé? Vorrei poterlo immaginare, forse più che sapere veramente. Come ha trascorso la sua giornata quell’uomo? O quella donna ? Sono soddisfatti della propria vita o sentono dentro un grande vuoto, per non avere saputo o voluto realizzare i propri sogni? Ma se lo chiedono veramente? Osservo le porte chiuse: alcune blindate e cieche, altre più sfiziose che lasciano intravedere, indisturbate, un filo di luce attraverso il vetro opaco dell’ingresso. Un silenzio assoluto oppure qualche debole voce o una diffusa musica di fondo. Stanno dormendo, discutendo, facendo l’amore o forse ballando? Certamente, in ogni casa abitano esseri diversi. Sentono e vivono la vita in mille modi, agli antipodi l’uno dall’altro. Nelle case blindate, immagino una incontrollabile paura e la voglia di sicurezza ma anche il desiderio inconscio di segretezza. Forse, lì, abitano persone anziane , fragili e vulnerabili. La porta blindata, una volta chiusa assicura loro un rifugio, una protezione invalicabile. Nelle seconde case, con quella debole luce che mi attira, mio malgrado, c’è meno timore, penso io, anche se nasconde lo stesso i segreti e comunque l’intimità degli individui. Mi verrebbe voglia di bussare, con qualche scusa, per vedere chi si affaccia. Un bambino curioso e ingenuo? Un uomo giovane e allegro che non diffida di chi ha osato suonare. Apre senza paura. O ecco un uomo anziano, il cui passo trascinante testimonia gli anni vissuti. O ancora un’arcigna zitella di altri tempi, indignata e scortese.
Guardare dal buco della serratura… Non vi è mai venuto in mente? Oppure, l’avete già fatto?

Altre porte sembrano appartenere ad abitazioni abbandonate, chi sa perché. Erbacce sparse sui marciapiedi, polvere invecchiata negli ingressi. Forse, i proprietari saranno deceduti e partiti lontano. Forse, non avranno avuto figli che potessero fare rivivere quei luoghi, una volta vivi e accoglienti. La tristezza apparente di quelle case tralasciate e svuotate, testimoni di vite anteriori, mi penetra. Le case hanno un’anima e una storia, tante storie ,quella degli uomini che le hanno abitate. Mi viene in mente la casa dove abito io, passata in molte mani diverse, nello spazio di circa cento anni. Attraversata da famiglie di vari tipi, si è trasformata nel tempo a seconda delle varie esigenze famigliari… E chi può dire com’erano i primi abitanti della casa che rappresenta in modo del tutto irrazionale la mia vita? Ci sono cresciuti i nostri figli. È frequentata ora perfino dai nipoti. Sembra impossibile pensare che un giorno tutto questo andare finirà, con noi o senza di noi. E non resterà traccia, se non, quella materiale, esterna o interna che non assomiglia per niente a quelle lasciate dai primi abitanti. Chi verrà dopo di noi, nei prossimi cento anni, riuscirà a capire il perché dell’attuale sistemazione, dentro e fuori? Potrà capire com’eravamo fatti e come abbiamo vissuto tra questi muri?
E così continuo il mio viaggio nell’immaginario, nella vita delle persone che non conosco. Mi verrebbe la tentazione di aspettare, nascosta dietro ad un angolo, per spiare, non con spirito maligno, al contrario, per trovare conferma alle mie supposizioni. Ma vale la pena di restare nel dubbio, con la voglia di fantasticare sulle porte segrete. Che cosa potrei scoprire veramente? Qualcosa di tangibile sugli esseri umani che vivono, soffrono e gioiscono dietro alle barriere materiali?

Alcune abitazioni respirano tempi antichi con le loro facciate lavorate e affrescate. Sensazione di un ritorno nel passato. Chi le avrà ideate e chi le avrà costruite? Grandi architetti e sapienti costruttori? Capomastri esperti che non avevano bisogno di ingegneri o geometri? Ne ho conosciuto uno, capace di costruire palazzi e strutture pubbliche che ancora oggi, reggono anche alle catastrofe naturali. Non aveva studiato ma aveva imparato sul campo. Oggi, capita spesso, che chi deve garantire la nostra incolumità nel costruire la casa dei nostri sogni, non sia abbastanza attento e ci consegni abitazioni che col tempo, si dimostrano deboli e poco affidabili mettendo a repentaglio la nostra stessa vita. Ignoranza? Superficialità? Pigrizia o cupidigia? Non si tratta più soltanto di sapere chi ha vissuto dentro queste meraviglie architettoniche ma anche chi ha voluto lasciare traccia di sé, anche per le generazioni future. Ci sono città in cui, ogni strada, ogni angolo, ogni palazzo ,ogni porta delle case raccontano qualche cosa della vita passata. Altre città ancora giovani e senza storia, se non quella recente, offrono invece spunti di riflessioni sull’evoluzione della società moderna. Non di meno, si possono trovare anche lì, motivi per porsi domande sulla vita di chi abita o ha abitato quei luoghi. Se lo chiedono anche, in questi tristi giorni dopo i terribili terremoti, le persone, le famiglie che avevano pensato di godere dei loro beni, spesso guadagnati con fatica, che avevano curato l’ingresso alle loro case, con amore e speranza. S’interrogano sul loro futuro ma anche sui loro segreti, ormai sconfitti, segreti che credevano tali perché costituivano l’essenza dei loro esseri. Ed ora, sono lì, profanati o seppelliti sotto le macerie e non rappresentano più niente. Solo un ricordo amaro e nostalgico. Così, gli uomini avvertono con certezza, la precarietà delle cose materiali ma anche quella dei loro stessi destini.

Osservando il filare delle case di alcuni quartieri, ci si accorge che esse sono tutte strette, fitte, in una continuazione senza spazio, muro contro muro, una finestra dopo l’altra. Le porte d’ingresso si susseguono in modo monotono all’infinito. Probabilmente ogni abitante riesce a carpire i movimenti dei suoi vicini anche se la case sono indipendenti. Sembrano fatte d’un unico blocco. Invece, in altre zone della città, lo spazio tra una casa e l’altra dà ampio respiro agli spazi verdi. C’è odore di benessere e quasi di ricchezza. La parte abitata e viva si trova più all’interno. È difficile intravedere la vita che ci si svolge, misteriosa ed intima. Nelle città recenti, le case hanno l’aspetto della modernità, più essenziale, più pratico ma anch’esse sono segrete perfino esternamente. Chi ha il giardinetto sul davanti offre tuttavia più possibilità e lascia intravedere già un po’ dell’anima, attraverso qualche finestra leggermente velata da tende ricamate... Queste case attirano di meno perché inconsciamente si aprono, fiduciose, lasciando già intravedere la propria indole. Le case basse, senza cortile o giardini, affacciati sul filo della strada sono invece impenetrabili. Le finestre, quasi sempre chiuse da spesse tende hanno anche inferiate pesanti e poco attraenti anche se si è voluto renderle più artistiche e meno austere. Le porte, raramente aperte formano un ostacolo dietro al quale è difficile immaginare la vita. Eppure, risalendo a qualche decine di anni indietro, le porte stavano giorni e notti aperte, con la chiave nella serratura: bambini e anziani sedevano sul davanti, nelle sere d’estate, a chiacchierare , scherzare e giocare senza timore. Gli orchi non giravano ancora impuniti per le strade. Ora, chi esce di casa, non dimentica di chiudere a doppia mandata la propria porta. Ed ecco che riprendo ad immaginare quali uomini e quali donne abitano dietro alle porte chiuse, che cosa la casa può rappresentare oggi, nel nostro secolo, per noi, individui. Vita di famiglia o vite solitarie, tristi o serene, coppie innamorate o litigiose, drammi intimi e violenze famigliari, mai intuite prima dei soliti, reiterati, purtroppo, drammi assassini.

Le porte delle case non sono quasi mai uguali sia per materiale che per colore o per lo stato in cui si offrono agli sguardi. Lucidate e spolverate ogni giorno, il che ci dà il sospetto che forse chi ci abita tiene molto all’esteriorità e all’apparenza. Altre decisamente trascurate mostrano il segno del tempo e dell’usura. Molto probabilmente, una cura amorevole viene riportata di più verso il centro della casa stessa. Altre ancora, si distinguono per la loro sfiziosità.Vengono ornate da vari gadget che possono andare dalla targa originale e ricercata ad una semplice lastra sulla quale viene indicato il nome della persona o della famiglia che ci abitano. In qua e là, anche qualche ornamento per addolcire l’ingresso. Lo stesso succede per i campanelli, di tutti i tipi. Ma che dire delle porte completamente anonime che volutamente nascondono perfino l’identità degli abitanti? Questa volontà di nascondersi ha sempre provocato in me il sospetto che ci sia, davvero, qualcosa da nascondere oppure che non si voglia assolutamente essere disturbati, evitando così, qualsiasi contatto con l’Altro, sconosciuto, colui che disturba, s’impiccia, s’intenerisce e non è mai gradito.

Segni dell’uomo, porte che parlano, sentono, hanno orecchie e anima, porte di legno,che odorano di tempo fuggito, e piangono; porte di ferro, stridenti, inospitali, senza pietà; di vetro trasparente o opaco, fredde fuori e dentro, che tremano; porte larghe, troppo larghe, alte o piccole e troppo strette, quasi da gnomi, porte di passaggio, accoglienti o arcigne, nei paesi o megalopoli; una, dieci, cento o mille porte, mai uguali, tutte con un carattere come gli uomini, tutti diversi; porte di negozi, di centri commerciali, girevoli ed ingannevoli, pericolose; di chiese antiche o moderne, che richiamano i credenti creduli, porte di monasteri irraggiungibili, o conventi di clausura, vietati ai poveri umani; porte di celle di prigione, con o senza sbarre. Che cosa importa? Dice la scritta sulla porta dell’inferno: Per me si va nella città dolente, per me si va nell’eterno dolore,per me si va tra la perduta gente.

Ci sono anche porte eternamente aperte come l’ingresso delle grotte, quelle preistoriche, con dipinti rupestri, sapientemente nascosti per secoli, o i dolmen megalitici, archi primitivi, aperti verso le stelle, la luna e il sole, segni pagani delle credenze ataviche degli uomini, archi romani, rivolti al popolo in segno di gloria, archi di trionfo, girati verso i campi Elisi, l’“Arche de la Défense” in linea quasi perfetta con l’Arco di Trionfo e l’Obelisco, sradicato dal suo suolo di nascita, portici liberi verso un altro mondo, porte non porte ma apertura verso altri luoghi come la porta dell’Inferno lasciate ogni speranza,voi ch’intrate o quella del Paradiso di Dante, ideale, aperta ai poeti o quella del Gioberti, al duomo di Firenze, che fa sognare, lucidata dalle dita di milioni di curiosi.

Porte immaginarie come le porte della notte degli innamorati di Prévert, contro le quali “les enfants qui s’aiment” si appoggiano felici… ma anche le porte della sofferenza e del dolore , fracassate e bruciate, testimoni delle violenze delle guerre, porte dei manicomi, terribili e dolorose, mai più aperte all’umanità, rinchiuse aspramente sugli esseri più martoriati , in ogni epoca, fuori dal tempo e dallo spazio, poveri esseri in balia della loro mente trafugata, porte di chiesa, aperte o chiuse alla speranza, asili dei diseredati, porticine dei confessionali, confessioni peccaminose, porte di sagrestia, sempre chiuse, misteriose, porte di cattedrali, aperte per il popolo incolto e fedele, infine, portone di cimiteri, l’ultima porta da passare. Il becchino fa opera di carità e la spalanca per pura pietà. La pietra tombale si richiude definitivamente, ultima porta, pesante come un macigno, sulla bara.

Dove trovare più misteri, più segreti, dopo la vita?

Quando chiudiamo le nostre porte, ci ritroviamo tra i muri della nostra casa, divisa da altre porte, aperte o chiuse. Che cosa pensiamo, se siamo capaci di farlo ancora? Ci sentiamo al sicuro, chiusi nelle nostre scatole di pietra, lontani dai traffici della città, dai pericoli della vita contemporanea, dai problemi altrui? Purtroppo, fatti di cronaca sempre più pressanti dimostrano ogni giorno che la nostra casa non rappresenta più un rifugio sicuro. Il segreto delle nostre case, ormai un’illusione. Quando usciamo, che cosa lasciamo dietro di noi? I nostri beni materiali ma anche i nostri più intimi pensieri, i nostri segreti insomma, quelli che non vorremmo fossero sporcati o offesi… Eppure, succede sempre più di frequente che là dove, pensavamo di essere al sicuro, lontani dal pericolo di profanazione dei nostri ricordi più cari, in un attimo, una mano criminale riesce a sopprimere i nostri credo.

Allora, dove trovare quei luoghi in cui non nascondersi, né temere di essere scoperti, dove la nostra vita più intima viene sacrificata alla più scandalosa delinquenza? Le porte si sono fatto beffa di noi. La casa che io sognavo come rifugio o come nascondiglio nel bene e nel male non regge più? Non è più una garanzia ai nostri sogni? Non è più un luogo per i nostri più profondi dolori? Riappropriarsi del luogo della nostra infanzia, delle nostre gioie o delle nostre sofferenze diventa un’utopia. Quelle porte segrete che credevo di attraversare con la mente per scoprire o inventare vite tutte diverse e appassionanti non si aprono, mi rifiutano, riportandomi brutalmente alla realtà del mondo. Le porte immaginarie, ideali , le porte dell’anima e dell’io svaniscono di fronte al più banale sopruso di cui l’uomo si fa protagonista. Perciò, varco con disincanto, l’immateriale soglia dei miei desideri.

Ripercorro le mie strade, insolite ora. Osservo con spirito più critico l’ambiente circostante. Che io passeggi nella mia città o in qualche altra di tipo diverso, osservo ora la gente che cammina, distratta o indaffarata, trascurando i luoghi chiusi abitati dall’uomo. La mia scelta è ora orientata verso il genero umano, sradicato, vagante, lontano dalla propria casa . Anche in questo percorso, quanta tragedia umana incontro e quanta fantasia potrei ancora sviluppare! Cerco, in un disperato tentativo, di capire i pensieri che distraggono i passanti, nel loro fare quotidiano, nel loro modo di incontrarsi e scontrarsi senza mai conoscersi! Ci incrociamo senza vedere né sentire né amare… Forse ci odiamo inconsciamente o ci ignoriamo come esseri umani. Una panca… una povera ragazza buttata lì, lo sguardo ebete, la testa penzoloni, le mani abbandonate sul grembo come a proteggere il suo utero, una manciata di donna, un relitto umano. Passano indisturbati gli altri, presi da loro stessi, continuando il loro soliloquio inutile. Sembrano matti, usciti da qualche manicomio. I folli sono nella strada ora, tutti liberi di comportarsi da folli. Giustificati. Inaccessibili. Indifferenti. Egoisti mostri. Sembrano normali. Ma di quale normalità?

L’uomo conosce se stesso? L’essere umano scruta il suo “io” per capire le sue potenzialità ma anche i suoi limiti, come ci insegna Socrate? Questo continuo agitarsi della vita contemporanea in cui non c’è tempo per porsi troppe domande favorisce questo cammino? Il prendere tempo per vivere, con lentezza e consapevolezza la propria vita sembra un’utopia, la stessa che mi aveva fermata nel voler capire attraverso una porta chiusa chi potesse vivere dietro, quale realtà affettiva o materiale ci si nascondesse… Pena sprecata, non riusciremo mai a captare la vera essenza dell’uomo e a capire se i luoghi in cui abita riflettono la sua indole, i suoi desideri e le sue aspirazioni. L’uomo è, e resta un mistero a sé stesso e agli altri. La vera essenza non si trova fuori ma dentro, nel più profondo di noi stessi.

Quadro contemporaneo:
occhi spenti, glauchi, labbra tirate e sprezzanti, corpi lontani ed estranei, pugni stretti nelle tasche o mani serrate sulle borsette, dialogo di sordomuti, parlano da soli… Spettacolo deprimente della città! Se per caso incontrate qualche sbadato che osa alzare il naso all’insù, accennando stupore o felicità negli occhi, un sorriso abbozzato, in cerca di qualche inatteso piacere estetico o vitale, allora vi sembra di incontrare qualche essere vero, un alieno che vive e gode della propria esistenza, senza curarsi della sua incolumità, sprezzante della insicurezza che invade la nostra civiltà, giorno dopo giorno.
“Ma guarda un po’ dove metti i piedi, cretino!” sembrano dire coloro che sfrecciano in cerca di, non sanno nemmeno, che cosa. “Va bene” sembra rispondere il cretino, ma “lo sai quanto dura una vita umana? Rilassati! Prendi il tuo tempo e ti sentirai meglio. Vivi la tua vita da uomo non da automa!”
Riscoprire i veri valori del nostro breve passaggio su questa terra, capire che le porte delle nostre case servono solo per penetrare provvisoriamente i luoghi del nostro quotidiano materiale. Possiamo, se vogliamo, anche trasformarli in templi del ricordo e dell’amore, seppur con qualche dolore o sofferenza. L’essenziale non sarà, per caso, sempre e comunque, il sapere scegliere con chi vogliamo condividere questi momenti come e quando, senza remore, senza paure inconsce, per vivere degnamente e consapevolmente, le nostre vite da uomini e da donne? Da soli mai, ma in condivisione con l’Altro e gli altri, anche dietro ad una porta chiusa.

Una porta chiusa; dietro, qualcosa ci aspetta al varco. Non si aprirà se io non mi muovo. Non muoversi; mai più. Fermare il tempo e la vita.
Ma so che mi muoverò. La porta si aprirà lentamente e vedrò che cosa c’è dietro. C’è l’avvenire. La porta dell’avvenire sta per aprirsi. Lentamente. Implacabilmente.

Simone de Beauvoir

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Anno 9, Numero 38
December 2012

 

 

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