Nota biografica | Versione lettura |
E vivo così, assetata.
I miei figli lontani mi mancano come l’acqua. Scrivere mi manca come l’acqua.
I miei tre figli sono via: una nel deserto australiano, uno nell’Arabia assolata e l’altro nella brulla fredda Mongolia. Perché andare dove non c’è acqua, vi chiederete voi che non siete più sulla Terra.
Sono andati a cercare fortuna laggiù, alla fortuna piacendo.
Perché tutto è cambiato. Dove c’era foresta ora è deserto, dove il caldo ora il freddo, dove arido ora è bagnato da fiumiciattoli che serpeggiano strani come serpenti azzurri.
Qui non c’era più niente nemmeno quando avevamo ancora tutto. Solo anime vecchie e secche. Alcuni di noi hanno salvato i giovani dal disastro, in altri casi i giovani si sono salvati da soli. Quelli che se ne sono andati altrove forse ce la faranno – lo spero per la mia stirpe in volontario esilio – mentre coloro che sono rimasti vivono da parassiti sulle nostre spoglie.
Il Mediterraneo è asciutto. Asciutto per mancanza di civiltà, lui che ne fu la culla.
L’abbiamo ridotto così non so come, ma è così che succedono le cose quando si perde il controllo: senza sapere come. Millenni di danni da noi compiuti e millenni di domande sul come. Domande che cadevano sui danni senza intaccarli nemmeno. Così ci siamo lasciati andare e poi l’acqua ha lasciato andare noi e si è ritirata offesa dove non potevamo trovarla.
Venere non nasce più dalle schiume di questo mare nostro e mai davvero mio, di me che sono nata in una regione dove il mare non c’è mai stato. Come credi sia andata? Finisci l’acqua e le mucche finiscono il latte e i fiori finiscono di fiorire e finiscono anche le lacrime. Funziona così, quando la geografia cambia senza lasciare diritto di replica.
Mentre le spiagge si allungavano ho detto ai miei figli di andarsene.
“Vai in un altro posto.”
“Cambia paese, città.”
“Qui non c’è più niente per te.”
Tre addii, intervallati da qualche sporadica visita. Non voglio che vedano troppo spesso la landa asciutta che si stende davanti alle spiagge della loro infanzia. Viaggiare io non troppo, da quando Michele non c’è più. Si è addormentato per sempre una notte in cui eravamo nella nostra casa di vacanza in Costa Azzurra, che non era più costa e nemmeno più azzurra. Abbiamo passato due mesi lì a vedere le acque che si ritiravano. Mai visto nulla prosciugarsi più rapidamente, a parte le pozzanghere dopo un temporale estivo. A parte le pozzanghere, prima di scoprire che anche questo mare era una pozzanghera di luglio. Michele non ha sopportato la vista del deserto, credo. Il mare non mare è niente confronto ai miei giorni senza di lui. Non so come faccio, da allora, separata da tutto, da ogni linfa vitale che dovrebbe scorrere dentro e fuori. Non sono più tornata dall’entrotrerra, perché ho capito che ero già nell’entroterra. L’entroterra non esiste.
Ho preso a passeggiare sul lungomare diventato il lungosabbia. Un tempo lo percorrevo costeggiando la riva, invece adesso cammino sulle acque come se mi fossi trasformata in un’anziana dea della sete.
E chi ti incontro un giorno? Una sedia da pesca d’altura piazzata in mezzo al nulla e una poderosa canna da pesca. Una bottiglia d’acqua, questa invece piena a metà o per meta vuota. Poi lui è arrivato e io mi sono allontanata. Solo dopo molti giorni ho preso coraggio e ho parlato a questo vecchio ostile e cupo. Mi ha risposto a monosillabi, ma non so come ci siamo capiti. Non parliamo la stessa lingua. Cosa penso di lui? Non lo so.
Ho visitato un uomo talmente strano che non l’ho capito. Avrebbe voluto essere un lupo di mare, ma ha finito per essere un lupo in una gabbia che non esiste, che non si muove dalla sua sedia di alto mare ora posizionata sul nulla un po’ perché il mondo non gli interessa, un po’ perché il mondo lo ha tradito, un po’ perché il mondo gli fa paura.
Non so se è perché è nato nel paese dei Malavoglia, ma una malavoglia si è impadronita di lui. Una malavoglia non cattiva, anzi dolce, avvolgente e mesta.
Ho cercato di capirlo, non lo capirò mai. Non posso capire perché è venuto qui, ma soprattutto perché non se n’è andato. Cosa guarda ogni giorno? L’orizzonte di sabbia che ha sostituito l’orizzonte liquido del passato. Torno ogni giorno o quasi.
Quando Massimo non c’è mi siedo al suo posto a fare la guardia al nulla, quando Massimo è sul trono mi accomodo sul secchio rovesciato – tanto pesci non ce ne sono – e parliamo con poche parole del poco che resta.
Ieri per la prima volta mi ha lasciato il suo posto. Quando ho chiesto il motivo mi ha detto che oggi sarebbe partito per tornare a casa, nella sua Sicilia deserta. Cosa cambierà tra qui e là non lo so, forse solo l’avere l’Etna alle spalle. Non serve a nulla, solo a farmi sentire più derelitta ora che anche lui se n’è andato. Eccomi qui, lupo di terra mio malgrado, guardiano di un’estensione abbacinante, erede di un’anima persa che ha scelto un altro deserto invece di questo. E adesso? Mi siedo e da dietro gli occhiali da sole guardo o faccio finta di guardare. Mi tengo il deserto, mi tengo la sete. Guardo la luna riflessa nell’immensa crosta di sale orribilmente distesa davanti ai miei occhi. Auguro ai figli lontani – miei e non miei – di poterla vedere specchiarsi nel mare.