El Ghibli - rivista online di letteratura della migrazione

Nota biografica | Versione lettura |

l’acqua è mia

christiana de caldas brito

Da piccolo, non tolleravo che altri bambini toccassero i miei giocatoli. Quel che era mio era totalmente mio. Una volta, avevo pianto solo perché Lorenzo si era seduto sul mio cavallo a dondolo.
Lorenzo, più grande, più forte e più alto di me, era il mio unico amico. I giardini delle nostre case confinavano e dal muretto comune ci chiamavamo con un fischio che ricordava il canto della cinciarella.
Quando giocavo con i miei soldatini, Lorenzo mi sfidava: “Dai Sergio, facciamo due plotoni, io mi ne occupo di uno, tu dell’altro, vedrai che ti vinco.” Mi rifiutavo. Nessuno all’infuori di me toccava i miei soldatini.
Accettai la sfida solo quando Lorenzo, con i soldi della sua paghetta, si era comprato i suoi soldati.
Noi, ragazzi, in un memorabile pomeriggio di aprile, ci radunammo tutti. C’erano Pino e Aroldo, Tonino e Carletto nel Club delle Palme per assistere alla battaglia del mio esercito contro quello di Lorenzo. A poco a poco, buttai giù dal primo all’ultimo soldato del mio avversario. Tornai a casa con la vittoria. Avevo lasciato chiaro che nelle battaglie strategiche ero Napoleone.

Nell’armadio in camera mia, oltre ai giocattoli, conservati nel cassetto di sinistra, avevo un altro cassetto dove nascondevo le mie idee, ma di questo non parlavo con nessuno. Non volevo che fossero toccate, così come non volevo che toccassero i miei giocattoli. Ogni giorno pulivo e sistemavo i miei due cassetti dell’armadio.

Mi ero messo a ridere quando la conobbi. Possibile che una donna si chiamasse Acqua? Pioveva moltissimo e io la proteggevo con l’ombrello: “Se piove sull’Acqua, piove sul bagnato” cercavo di farla ridere. La immaginai da piccola a scuola, la maestra a fare l’elenco delle presenze: “Manca l’Acqua!“, oppure quando lei giocava a cercare un oggetto nascosto, i suoi compagni per aiutarla, dicevano: “Acqua, Acqua!”
Mi innamorai di Acqua. La vedevo dappertutto: nel rubinetto, nella doccia, nei bicchieri. Acqua si affacciava dall’oblò della lavatrice, mi accarezzava le mani quando innaffiavo le piante, era nella piscina in cui nuotavo.
Spargevo i miei graffiti sulle mura del quartiere:

Acqua, ti amo. Non posso vivere senza Acqua.

Giocavamo a battaglia navale. Dopo aver sparato i miei colpi, lei sparava i suoi, e quando non prendeva niente, con doppio piacere dicevo: “Acqua, acqua, acqua, Acqua.”
Quando Acqua e io ci fidanzammo, la cosa più drammatica era che facevo Azzone di cognome. Se Acqua mi dovesse sposare, sarebbe diventata Acqua Azzone. Sapevo di persone che avevano cambiato il primo nome ma il cognome si poteva cambiare? Sì, le autorità lo ammettevano, ma per avere un cognome comune, dovevo andare al Comune. Ci andai. Divenni Sergio Rossi.
Santo cielo, il Rossi da me scelto si rivelò assolutamente inadatto: la nonna di Acqua aveva lavorato con Mussolini. La prima foto che vidi all’ingresso della casa di Acqua fu quella del Duce accanto a sua nonna.
Non mi sembrava, alla Gaber, che l’Acqua potesse essere di destra o di sinistra, ma nel vedere quella foto, capii da che lato fosse la sua famiglia.
Dopo tante fatiche burocratiche e molti mal di testa, avevo pagato per diventare uno dei Rossi. Le mie convinzioni politiche erano adesso manifeste anche quando mettevo la firma su qualche documento.
Evitai gli scontri politici e continuai a corteggiare Acqua.
Acqua per me era rugiada e cascata, fiume e lago, era pioggia, era mare. Ed era mia. Mia come i giocattoli dell’infanzia conservati nel cassetto di sinistra dell’armadio. Mia come le idee che tenevo nel cassetto di destra.
Al lavoro, facevo dello straordinario per pagare l’appartamento dove Acqua e io saremmo andati a vivere da sposati.

Non sapevo che si potesse passare dall’amore all’odio senza intermediari, che questi due sentimenti fossero legati .
Amore e odio … opposti separati da impulsi che durano minuti, anzi, secondi.

Pioveva quando avevo conosciuto Acqua. E pioveva quella sera in cui tornavo tardi dal lavoro. Scesi dall’autobus e per evitare la pioggia, decisi di rifugiarmi al club.
La villetta che ospitava il Club delle Palme rimaneva tra due bellissime palme, una a destra, una a sinistra. Avevo sempre associato quelle palme ai miei due cassetti dove nascondevo, sotto chiave, i miei giocattoli in uno, le mie idee nell’altro.
Sotto la pensilina del muro di destra, nascosta dal buio e dal tronco della palma, una coppia di innamorati si baciava.
L’uomo molto alto, non poteva essere che Lorenzo. Ero contento di sapere che anche il mio amico aveva la sua morosa. Fischiai il canto della cinciarella per mostrargli che l’avevo visto. Lui si scostò al suono del mio fischio e fu allora che vidi allontanarsi di corsa il mio più prezioso giocattolo, la mia idea per eccellenza, la mia pura e trasparente Acqua.
Lorenzo rimase in piedi a guardarmi.
Un gran caldo fornicava nelle mie mani:
“L’Acqua è mia”, dissi.
Un tuono graffiò il cielo.
“Scappa, Lorenzo, altrimenti ti uccido.”
Lui iniziò a correre e mi buttò addosso delle parole come sassi:
“Dovrai uccidere pure Pino e Carletto, Aroldo e Tonino.” E da ancora più lontano, gridò:
“L’Acqua è di tutti!”

Disperato, girai per le vie fino ad arrivare al fiume.
Fui ripreso dai poveracci che abitavano sotto al ponte. Mi rigirarono con la testa all’ingiù. Acqua scorreva dalla mia bocca, dal naso, dalle orecchie. Ero pieno di Acqua.
In ospedale, dormii un lungo sonno secco. Tutto era diventato arido, ostile, come se Acqua avesse sbiadito i colori del mondo.
Uscito dall’ospedale, dovetti sistemare una faccenda che costò parecchio impegno al mio strategico genio napoleonico.
Giorni dopo, fu mia madre a dirmi che Acqua era sparita dal villaggio, senza lasciar tracce. Era partita per un viaggio, dicevano alcuni, non sarebbe più tornata, dicevano altri. Ma io sapevo dov’era Acqua.
Andai a vivere da solo nell’appartamento che avevo comprato per Acqua e per me.

Come le palme del club, i cassetti sono due. I soldatini stanno benissimo nel cassetto di sinistra. Li lucido ogni primo del mese. Brillano. Nel cassetto di destra, ho le idee.
Siccome non ho un terzo cassetto, ho messo Acqua insieme alle idee che, naturalmente, sono tutte bagnate. Galleggiano. Se me ne serve una, la prendo, la tolgo dal cassetto, la strizzo, l’asciugo e la uso. Acqua si agita. Reclama. Vuole uscire. Ma io la mantengo chiusa nel cassetto di destra.
L’Acqua è mia. Solo mia.

Inizio pagina

Home | Archivio | Cerca

Archivio

Anno 9, Numero 37
September 2012

 

 

 

©2003-2014 El-Ghibli.org
Chi siamo | Contatti | Archivio | Notizie | Links