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l’ossimoro e l’androginia

adrian n. bravi

L’ossimoro è una sorta di antitesi in cui vengono messi insieme due concetti che hanno un senso opposto e che sembrano escludersi l’uno con l’altro. Questi due concetti, che si uniscono in una sola espressione, generano un terzo concetto in apparenza illogico o inammissibile (in greco, oxýmoros significa “acuto sotto un’apparenza di stupidità”). Borges lo definisce in questo modo: “nella figura retorica chiamata ossimoro, si applica a una parola un aggettivo che sembra contraddirla; così gli gnostici parlavano di una luce oscura; gli alchimisti di un sole nero”. L’ossimoro, in quanto figura retorica, è fondamentale per capire i testi che Borges ha dedicato al concetto di tempo. Riporto due esempi emblematici. Uno si trova in un testo che Borges pubblica nel 1936 e che s’intitola Storia dell’eternità. È possibile, possiamo chiederci, fare una storia di ciò che per definizione si sottrae, non solo al tempo, ma pure a una qualsivoglia cronologia? Di tutto possiamo concepire una storia tranne che dell’eternità. Un altro esempio è un saggio del 1946, fa parte della raccolta Altre inquisizioni, e s’intitola Nuova confutazione del tempo. Anche qua, come nel titolo precedente, possiamo vedere due termini incongruenti che vengono accostati. In questo caso, nella Nota preliminare, Borges ci dice qualcosa sul titolo: “non mi si occulta che questo sia un esempio del mostro che i logici hanno denominato contradictio in adjecto, perché dire che è nuova (o antica) una confutazione del tempo è attribuirgli un predicato d’indole temporale, che istaura la nozione che il soggetto vuole distruggere”.

Quando però il nostro linguaggio s’indebolisce e viene sopraffatto dalla pubblicistica del potere, a quel punto si crea un cortocircuito o una degenerazione vera e propria della lingua. Così diventano naturali espressioni come “bombe intelligenti”, “guerra per la pace”, “guerra santa”, “sicurezza nucleare”, “scudi umani”, “mercati autoregolatori” e altre figure al limite dell’incomprensibile (persino un’aberrazione, che per alcuni è entrata a far parte della propria vita, come “birra analcolica”). I significati si dissolvono e l’uso originale cambia radicalmente. Il principio di non contraddizione, per cui una cosa non può sorreggere il suo contrario, non vale più quando, come è successo con i tanti “bombardamenti umanitari”, a esprimerlo è la politica. Questa prevaricazione del potere sull’uso delle parole o questa perdita di significato ha portato il discorso verso le zone più impraticabili della lingua. In un elzeviro di febbraio scorso Pietro Citati, parlando dello stato della lingua italiana e del cattivo uso che ne fanno i politici, scrive: “la nostra lingua si imbruttisce non per via della sua progressiva povertà, ma del tentativo di ostentare una ricchezza metaforica inesistente”. Dunque si parla di “fare un passo indietro”, di “staccare la spina”, nel senso di togliere la fiducia a qualcuno in Parlamento (alludendo al dibattito creatosi intorno all’alimentazione artificiale dei malati terminali) e altre scorciatoie retoriche che, da un lato colmano un vuoto semantico a livello lessicale, dall’altro però rilevano un linguaggio sempre più schizofrenico.

Torniamo all’ossimoro. Davanti al negozio di una parrucchiera ho trovato un cartello dove c’era scritto: “cercasi apprendista con esperienza”. Ecco, quest’annuncio è significativo per capire che la nostra lingua si appella sempre di più ai sottointesi, piuttosto che ai contenuti. Basta poco per comprendere l’accostamento inopportuno dei due termini, “apprendista” e “esperienza”, ma l’idea che si vuole far passare non sta nel significato bensì nell’immagine che evoca, quella terza idea che nasconde: qualcuno con “esperienza” ma che accetti di essere preso e pagato come “apprendista”. Perciò, si potrebbe accostare l’ossimoro a una figura androgina: due essere opposti nel loro genere che si uniscono per crearne un altro. Da questa “compresenza di contrari” (come la chiama Umberto Eco), nasce, appunto, una terza figura inammissibile (o perfetta, come nel romanzo d’amore Séraphîta di Balzac, un essere androgino, ossimorico, che contiene in sé la polarità che si manifesta attraverso la dualità sessuale: un uomo e una donna che vivono nello stesso essere, il quale, essendo entrambi, non si identifica con nessuno).

Andrea Battistini, in un articolo intitolato Paradiso Infernal, celeste inferno. Ossimori d’amore nell’Adone di Giovan Battista Marino, dice che l’ossimoro è: “una figura che, quasi più ancora che alla retorica, sembra appartenere alla logica, per il freddo calcolo delle simmetrie e delle opposizioni semantiche da cui è generato, fino a creare un lucido mondo alla rovescia che scambia l’apparenza con la realtà, il bene col male, la luce con la tenebra, la felicità col dolore, il medicamento con il veleno, l’Amore stesso con la Morte”. Ma l’ossimoro, come abbiamo visto, da un lato unisce due concetti opposti, dall’altro, però, genera un terzo concetto illogico, che fa appello alla nostra irrazionalità, e che cerca un significato in una zona allusiva comune ai due concetti avvicinati. Per cui una “guerra umanitaria” diventerà un massacro giustificato in nome dei diritti umani; dunque una specie di “essere androgino”, armato e pronto a scontrarsi, ma con un volto benevolo (da soldato paffuto e sorridente) sul quale siamo pronti a deporre tutta la nostra fiducia, perché si sa che combatte una “guerra per la pace” del mondo o di una causa ancora più nobile, della quale sul momento ci sfugge il significato. Ed è a questa nuova figura che l’ossimoro si appella, un ibrido a volte pericoloso che ci sfugge di mano. Un essere dalle figure rotonde che non è, come ci dice Platone nel Simposio, né figlio del sole, come gli uomini, né figlio della terra, come le donne, ma figlio della luna, “la quale partecipa della natura del sole e della terra”, come gli androgeni e gli ossimori, che possono essere bellici e umanitari allo stesso tempo.

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Anno 9, Numero 36
June 2012

 

 

 

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