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ossimori

alfredo tamisari

L’ossimoro – vale a dire la compresenza di due termini in antitesi tra loro – è una figura retorica molto frequente in letteratura. A volte è presente nell’opera fin dal titolo: mi viene in mente Allegria di naufraghi di Ungaretti.
Giuseppe Pontiggia, un maestro nel rappresentare il sovrapporsi del comico e del tragico, inventò mirabili ossimori in tutti i suoi romanzi, soprattutto in quel capolavoro che è Vite di uomini non illustri: «loquacità concisa», «modestia arrogante», «mobilità inerte», «allegria tetra».
In effetti, l’ossimoro richiama una delle caratteristiche della condizione umana: noi siamo una cosa e l’altra, una cosa e il suo contrario. Siamo Uno nessuno e centomila (Pirandello).

La cultura popolare, molto più ricca di quanto si creda, ci ha regalato esempi indimenticabili di ossimori scherzosi. Uno di essi è questa storiella che arriva dalla mia lontana infanzia:
Era un giorno di notte
la luna cadeva a larghe falde
e la neve coi suoi raggi cocenti
riscaldava la Terra allorquando
al chiaror d’un lumicino spento
scorsi un cadavere
che nel parlar sembrava quasi morto...
Lo portai sulle più alte profondità
delle più basse montagne
e gli dissi: vivi cadavere
che non sei mai nato
perchè hai mangiato
lo zucchero salato.

Ossimori più seri, o, meglio, tragici, sono stati registrati nel lessico delle recenti guerre: guerra umanitaria, guerra pulita, armi intelligenti, soldati di pace, ecc. Neppure tanto originali, se pensiamo alla neolingua inventata da Orwell in 1984: «La guerra è pace», «La libertà è schiavitù», «L’ignoranza è forza».

Nel linguaggio politico, uno degli ossimori più famosi (almeno in Italia) è convergenze parallele (A. Moro). Un amico mi segnala che Mino Martinazzoli, leader democristiano in tempi successivi, era noto per la sua lieta tristezza.
Per ciò che riguarda l’attualità dell’Italietta contemporanea, meglio non infierire: essa è tutta un ossimoro.

Nel linguaggio di tutti i giorni, gli ossimori sono tanto frequenti che a volte neppure li riconosciamo: vacanza di lavoro, brutta calligrafia, buon diavolo, eloquente silenzio...
Io stesso, pensando alla vicenda di una persona di mia conoscenza, ho recentemente coniato, quasi senza accorgermene, l’ossimoro socio reietto. Si badi bene: non socio radiato (che non sarebbe un ossimoro), ma proprio socio reietto. Socio significa compagno, alleato, membro di un’associazione; reietto significa escluso, messo ai margini. Per la cronaca, la persona in questione è tutt’altro che un individuo indegno o immorale ed è fra l’altro in possesso di altri due attributi: è socio fondatore e socio onorario, il che rende ancora più sconcertante e paradossale la sua situazione di ossimoro vivente.
Torniamo così alle considerazioni iniziali.
L’ossimoro, illogico e irrazionale, non è che lo specchio di una realtà senza contorni oggettivi affidabili e certi, di una vita sociale minata da rapporti umani fasulli. Oggi, forse, più che in altre epoche. Personalmente, data la mia non più verde età, ne ho preso atto da tempo con rassegnata e serena disperazione (Saba).

12 maggio 2009

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Anno 9, Numero 36
June 2012

 

 

 

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