Nota biografica | Versione lettura |
Gli ossi del moro si abbarbicavano sulle divise non proprio polverose né irredente ma ben pagate al consumo del supermarket mondiale dove poveri cristi si trasformano in killer micidiali. Del resto non bisogna andare in guerra per vedere cocci di vetro e ossi di seppia: basta una banca, un’azienda “sana” e la pausa caffè per concepire la marmellata d’uomo vieppiù con conservanti e date di scadenza rivisitate. Ora, se vogliamo dire –dài, davvero lo vogliamo? – cosa si inciucia nel parallelismo dell’enteuco, e si anfratta tedioso nelle pieghe dell’aspide ancorché letterario, dovremmo questo porci a domanda: se nell’interinale del gaudio gaudente o nella sua negazione la commissione spaziotemporale quasiumana non assurga a totem di altra era che non sarà. Ovvero, prescindendo, se l’altro lato del moro che si affaccia dalle sponde in paradigma non sia l’ebbra litania che della carta fa bende e ne scalca ossi.