El Ghibli - rivista online di letteratura della migrazione

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esodo

paolo tommasi

Moderatamente calmo,
in forma di fuga
di quasi creativi, banali
e scomodi dirimpettai dei continenti
di non adiacenti contigui caseggiati.

Intervallo e separazione
di ambigui traslochi,
misoginia,
barconi della speranza
pura sopravvivenza
solidarietà
concetti e opinabili interculture
prevalentemente la guerra:
era il discorso poco argomentato sulla lontananza.

Cosa aggiungere
pensando a tutti quei suoni, colori
ai miliardi di parole per dire le stesse cose?
Che la terra gira più rapida all’equatore
dove al contrario lì tutto sembra più lento.

Dimenticate orme senza eco di cuoio
erosi teatri di minuscoli e incerti andare
si alternano ai passi
su sfiniti selciati
ora levigando rughe della strada:
una strada di fango,
ora là, scalzi
tra le cadute costole delle palme assire
e frammentate sete e spezie
divagando
nella polvere della sabbia
i segni del cammino
dal tempo di Palestina.

Per valichi di pietre bianche ed erte radure
sepolti nella memoria di carovane
briganti e braccia di mare
di speronate carrette d'inermi
scorrono torme
assetate,
dilatate esse di serpenti
lunghi come l’Anatolia
tra lontananze inutili
di terre celate dall'orizzonte
di attese senza clessidra
di quel soffiare sui granelli tutti uguali
che si alzano e si posano invisibili
nello stesso modo eterni
su intraducibili onde di mare e di vento
a scombinare divinazioni
spazi infinitesimali
tra materie infime di pagine precedenti
e corpi sfracellati sugli scogli.

Magari paludi
e ossessione di corpi dai ventri obesi
per la fame
occhi sgranati iniettati di sangue
di buoi assetati
ipertiroidei
tra virus deformi nati dall'infermità
dalle oblique cascate
d' inverecondi destini
di sudore senza lavoro
di sete senza l'acqua.

Ma nessun racconto contiene

le esse
gli alfabeti dei tormenti
dall'afasia alle zanzare,
il nudo sgomento del fuoco
che brucia tra gli occhi,
seicentomila,
forse.

Tende che non separano nulla

l'aria è la stessa
le grida le voci, l'odore
dentro fuori le tende di noi
non so se sono un altro.
Dove siete, oltre dove vi nascondete ?
Cosa posso toccare cosa è vicino ?
Nulla verrà in soccorso.

Non filtra il buio
il tenero e dolcissimo bacio dell’alba
di quel gallo che la suscita
non ombra di canto fugge
e vagano
tra le dita riottosi e liberi
gli imprendibili atomi
del vento della sabbia
della luce
dell’altro.

Nulla è cambiato:
ti ritrovo dove ti avevo lasciato
seduto sulla porta imbiancata dalla sabbia
il bambino dimenticato dal tempo
che vuole assaggiare le nuvole
che guarda con gli occhi piccoli
tra lo scirocco e i canti per altri dèi
senza un paese su un' altura
da cui vedere le luci di altre città
e scendere la pioggia.

Il deserto stesso è lontananza
assenza di molte forme
di ombre e fuochi sulle alture divaganti
manca dei tuoi occhi, sai
la tenera luce di attesa e stupore
di un tempo che non scorre
perché senza domani,
tutto è più lento.

Eppure ieri era domani
e senza di te tutto è deserto e silente
eppure domani
quando ti chiederò il silenzio
non obbedirmi
continua a raccontare,
tutto
lascia ogni cosa distrattamente dal resto
e fermati
a sognare per ogni angolo della terra
draghi
e delle stelle i sortilegi
arnesi infernali degl'infiniti nulla
del tuo tempo
seduto sulla porta dei cavalieri.

Lascia il tuo cuore aprirsi
all'amore dolce delle parole
a questo vento di suoni
forse domani inutili,
spezza i serpenti
che avvelenano i sogni di ieri
culla soave i respiri della notte
dei grilli
le lunghe primavere delle acacie
e come l'ape deve il miele al suo fiore
stringi la mia mano ancora una volta
con la tua ormai forte per salpare l'ancora
che sui lidi fioriscano le tamerici
leggere e amate
e sempre più lontani
i tuoi piedi possano marcarli
come i leoni cretesi dell'ultima estate.

Ho accartocciato il mondo
ne ho fatto una palla.
Dentro la bandiera insanguinata
non sembra così grande.
Adesso con una scheggia di legno
traverso l’atlantico
l’artico, ti chiamo per nome
cerchiamo l'acqua per dissetarci
nel sorriso aspro del melograno.

Guardo la casa e la casa mi guarda
la luce sui libri aperti alle stelle
sembra un miraggio
un altro mondo senza fine
delle parole
delle memorie che non sappiamo scartare
e sino in fondo connettere
ai corpi stanchi da ieri.

Le cose giacciono senza suono
vestono nomi dimenticati
nella storia di giorni senza inchiostro.
Il palcoscenico bianco
guarda di nuovo,
il teatro di parole senza attori.

Specchio di giorni, notti
elenchi a non finire non senza cadute di sguardi,
a rincorrere segni a ricomporre pensieri,
sempre in fuga
verso il grandioso stretto finale
un imbuto senza pregiudizio
poi
salpare.

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Anno 8, Numero 35
March 2012

 

 

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