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Mr Munshiram Jayram Singh, o Singhji come veniva chiamato dagli amici, era seduto nella lobby dell’Hotel a tre stelle Golden Palace di Rampur, nel Rajasthan, vestito con l’ampia casacca e i pantaloni tradizionali e con un gilè di lana abbottonato dal collo all’inguine per il freddo. Singhji era candidato alla carica di Membro del Parlamento, ovviamente, e contava sulla sua comunità Rajput1 del distretto di Rampur per un appoggio senza riserve. Era in attesa dell’arrivo di un altro Mr Singh, letteralmente “il signor Leone”, come venivano chiamati molti Rajput. Questo leone era chiamato dagli amici Singh sahib, e rappresentava la forza riconosciuta dietro la popolazione Rajput della zona. Singh sahib era un ex-reale e proprietario dell’hotel, un tempo palazzo di famiglia ora aperto al pubblico.
Scese le scale a grandi passi, con a fianco una donna indiana e una bionda firangi2. Dietro tutti quanti veniva Nirmala, la segretaria di Singh sahib, magra come un baccello, agguerrita come un battaglione armato. Singhji sospirò lievemente esasperato. Voleva parlare con Singh sahib di importanti questioni politiche e in quel momento sahib faceva sfoggio delle sue ultime donne. Singhji, Singh sahib e altri membri maschili dell’ordine Rajput non si facevano mai vedere in pubblico con le loro mogli. Se si voleva vedere la moglie, bisognava essere invitati a casa. E se per caso la moglie era in purdah3, c’erano buone probabilità che chi non fosse un parente non l’avrebbe mai vista. Ma a differenza di Singhji, Singh sahib aveva sempre compagnie femminili in pubblico. Alcuni ex-reali pensavano di appartenere ancora ai tempi titolati della pre-indipendenza, quando i maragià Rajput governavano il mondo. Ma Singhji sapeva bene, come solo potevano i Rajput di grado più basso, che le famiglie dominanti del Rajasthan dipendevano totalmente dai nuovi parvenues come Singji, che si era adattato all’Unione Indiana e alla politica nazionale di base a Delhi e allo stesso tempo teneva d’occhio i reali Rajput squattrinati.
Singhji si ricordò del giorno in cui l’insegna del Golden Palace Hotel venne issata sui cancelli di ferro all’entrata del castello di Rampur. Per cominciare l’insegna era piccola, appena visibile e dopo due stagioni di sole e pioggia si era erosa a tal punto da diventare indecifrabile. Ciononostante, le firangi arrivarono, a frotte, pagando qualsiasi cosa per provare lo splendore di un palazzo indiano. Di lì a poco il cancello di ferro, distante quasi trecento metri dal palazzo fu distrutto e un’insegna più grande venne posta sul palazzo stesso. Poco a poco la famiglia imparò a eliminare termini come Raja Sahib, Rajaji, Eccellenza, Vostra Altezza, Sovrano di Rampur.
Forse la donna firangi era francese. Venivano a frotte i francesi, volando diretti nel Rajasthan, vagando per lo stato in treno, auto, jeep, perfino risciò se vi erano costretti, e poi se ne volavano via di nuovo. Erano interessati solo al deserto. Quasi tutti i commercianti nel Rajasthan ora parlavano francese. Ma questa qui, aveva gli occhi troppo grandi per essere francese. La pelle era chiara, i capelli biondi, ma gli occhi…erano quasi indiani, così scuri e grandi.
“È indiana?” chiese sorpreso Singhji ancor prima di essere stati presentati.
“Sì!” rise. “Ero indiana in una vita precedente. E Lei, Lei è indiano?” lo punzecchiò. Singhji sentì le orecchie in fiamme.
“Sono Rajput!”sbuffò con un moto d’orgoglio, mostrando un sorriso a Singh sahib mentre si piegava in un namaste4. Per qualche motivo tutte queste donne firangi conoscevano la reputazione dei Rajput. Singhji si voltò per accennare un namaste alla donna indiana con indosso un salwar khameez5 ma si rese conto in tempo che lei gli stava offrendo una stretta di mano. Lui odiava le strette di mano. Le sfiorò appena il palmo con le dita flosce, poi si strinse le mani dietro la schiena. Nirmala lo ignorò come al solito e rimase qualche passo indietro. Singh sahib lanciò le estremità dello scialle di Pashmina sulle grandi spalle e fece cenno a tutti di sedersi.
“L’hotel è molto tranquillo oggi?” chiese gioviale Singhji e vide oscurarsi il volto di Singh sahib. Il turismo era stato un disastro quell’anno a causa degli attacchi terroristici a Delhi.
“Immagino che Sushmaji stia bene,” proseguì Singhji, osservando il colore che affiorava sulle guance di Singh sahib. Sushma era la moglie di Singh sahib, chiusa a chiave negli alloggi privati all’ultimo piano dell’hotel.
“Oh!” la firangi si sporse in avanti. “Abbiamo incontrato Sushma proprio l’altro giorno. Una bellezza! E che talento. Non mi meraviglia che voi Rajput nascondiate le vostre donne. Anche sua moglie è in purdah?”
“Grazie,” sorrise Singhji, riconoscente per l’interesse della firangi. Si voltò verso Singh sahib e snocciolò un promemoria in lingua Rajasthani sulle elezioni che si avvicinavano e che Singh sahib si era impegnato a sostenere i suoi fratelli di casta, ed era ovvio che fosse impegnato ma se si fosse potuto prendere solo uno o due giorni dai suoi affari per partecipare alla campagna elettorale con lui nelle zone limitrofe, questo sarebbe stato determinante per riportare i Rajput al potere. Aggiunse, distrattamente, in tono confidenziale: “ Chi sono queste due sgualdrine?”
Subito la donna indiana rispose in hindi. “ Si rifiuta di stringermi la mano e poi mi chiama sgualdrina? E si aspetta che le donne votino per lei?”
Singhji sentì fermarsi il cuore. Errore. Questa capiva il Rajastani. La guardò attentamente. Sembrava molto giovane ma forse si sbagliava. Capelli corti, vestiti costosi, senza trucco, senza gioielli…forse una di quelle ragazzacce di Bombay o di Delhi.
Singhji tirò un respiro profondo poi imitò un balbettio in hindi. “Mi…mi…mi dispiace signora. Ho un lieve difetto nel parlare…mi perdoni. Volevo dire rani, capisce, non randi. Scudi. Volevo dire…scusi! Vede?” sorrise affettato. “Com’è che capisce il Rajastani…,” finì con un sospiro agonizzante.
“Ho vissuto qui da bambina,” sghignazzò la donna indiana. Questo fece esplodere la segretaria di Singh sahib in un’allegra risata.
“Oh!” si intromise la firangi, guardando Singhji con occhi lucenti. “Lei è proprio adorabile. Cosa diceva di preciso?”
“Grazie,” Singhji rise di cuore e piegò la testa con finta umiltà. Si voltò di nuovo verso Singh sahib, questa volta un po’ più disperato. “La nostra comunità è addormentata! Si sono scordati che i Rajaput non formano la maggioranza in questo stato. Qualcuno che abbia potere ha il dovere di risvegliarli. Qualcuno come lei, con un nome rispettato da generazioni.”
Le sopracciglia di Singh sahib si contrassero, e il suo sguardo si spostò lungo le gambe della firangi, nude sotto il vestito corto, coperte solo dalle calze nere. I suoi occhi scuri avvertirono Singhji che la politica sociale non era il tema del giorno.
“Mar-ga-ret le invia i suoi saluti!” intervenne l’esile segretaria. “Ricorda la sua bellissima casa molto bene. Questa è una sua amica,” aggiunse di proposito la segretaria facendo un cenno verso la firangi.
“Margaret? Ohhhh…Margaret!” Alla fine Singhji cominciò a capire. Singh sahib non aveva acconsentito a quest’incontro per discutere di politica. Si trattava di Margaret, la donna bianca che era diventata amica di Singh sahib, che aveva chiesto al principe di iniziarla ai segreti della relazione uomo-donna. Non che fosse ingenua o inesperta, Margaret, coi capelli lunghi e biondi e i vestiti attillati, ma era, qual’era la parola che avevano usato? Fredda. Gelida. Violentata da bambina. Singh sahib era stato il primo che l’avesse riscaldata da decenni. Doveva averlo. Gli aveva offerto migliaia di sterline. Lui aveva accettato. Ma il problema era dove.
Singh sahib viveva e lavorava nell’appartamento privato all’ultimo piano dell’hotel. Sushma, sua moglie e Neelam e Maneka, le sue figlie, entravano e uscivano tutto il giorno. Singh sahib non aveva altro posto dove andare. Aveva bisogno di privacy. Chiese a Singhji di usare casa sua. Singhji non osò dire di no.
La moglie di Singhji viveva in un rigido purdah. Le donne della famiglia di Singhjji usavano entrate separate e vivevano in un’ala distaccata dal resto della casa. Sua moglie non era mai entrata nelle stanze comuni sul davanti della casa e non aveva neppure mai messo piede in camera o nello studio di suo marito. Era impensabile. Quando Singhji voleva sua moglie andava a cercarla. Se lui non la cercava, potevano passare settimane, mesi o anni senza contatti tra di loro. Lei ignorava chi venisse in visita e non le poteva importare di meno anche se lo scopriva. Gli alloggi di Singhji erano perfetti per Singh sahib, che vi si era trasferito per sei settimane, impegnato a riportare il calore nel corpo di Margaret. Ora pareva che Margaret avesse inviato una sua amica. E Singh sahib sembrava andasse nuovamente in cerca della casa.
Singhji borbottò che ci sarebbero voluti almeno 12,000 voti per volgere le elezioni in suo favore e Singh sahib fece cenno di sì con la testa.
“Sarà fatto,” affermò brusco, annoiato. Non c’era altro da dire.
Singhji guardò la firangi e si piegò cordialmente. “Sarà la benvenuta a casa mia in qualsiasi momento”, sorrise. “Sarà un onore averla in visita.”
“Ohhhh!” gli occhi della firangi si illuminarono. “Dice davvero? E sua moglie, sarà un problema per lei? Forse prima glielo dovrebbe chiedere.”
Singhji sentì che il fastidio gli risaliva la spina fino alla gola. “No, no” disse più brusco di quanto avesse intenzione. “Non si preoccupi per mia moglie.”
“Anche lei è in purdah?” chiese la ragazza indiana.
“Ma naturalmente!” rispose incredulo Singhji.
“Ah…” fece un cenno compiaciuto col capo. “Quindi deve essere molto bella. E molto dotata. Quasi quasi sono gelosa. È come Sushma?”
Singhji accennò di sì col capo. “Sì, anche mia moglie è Rajput.”
“No, no,” disse l’indiana in hindi. “Eva chiede se sua moglie è simile a Sushma.”
“Sì,” Singhji accennò di sì col capo energicamente. “Viene da una buona famiglia. Suo nonno era un ex ministro di Rampur, suo padre era molto in alto all’interno del Servizio Civile Indiano.”
La firangi e l’indiana si avvicinarono e discussero brevemente. La firangi piegò la testa, poi disincrociò le gambe intenzionalmente sferzando l’aria e poi le incrociò di nuovo.
“Mr Singh,” disse con dolcezza la firangi, “lei sembra non capire. Noi facciamo film. Ci interessano le donne indiane. Vorremmo conoscere l’aspetto di sua moglie.”
“L’aspetto?” fece eco Singhji.
“Sì! È scura? Chiara? Alta? Bassa? Come è fatta?”
Singhji era assolutamente perplesso. Si voltò verso l’ex-sovrano di Rampur con occhi imploranti. “Può avere casa mia tutte le volte che vuole. Organizzerò tutto io. Ha bisogno di macchina e autista? Ci penso io.”
Singh sahib gli sorrideva pigramente, rigirandosi le punte dei folti baffi.
“Come si chiama?” chiese la firangi.
“Mrs. Singh,” replicò prontamente la segretaria mettendosi a ridacchiare.
La film maker indiana si voltò verso la segretaria. “Allora, qual è l’aspetto di Mrs Singh?”
“Lo sa il cielo!” rispose la segretaria. “Non l’ho mai vista. Forse non esiste nemmeno!”
Singhji le lanciò uno sguardo di monito e Nirmala si sistemò indietro al suo posto.
“Mia moglie!” esplose Singhji. “È come qualsiasi altra donna. Proprio uguale.”
“Quindi somiglia a me?” lo provocò la segretaria. Le labbra di Singhji si arricciarono per disprezzo.
“No!” gridò con impeto.
“E a me?” chiese la donna indiana.
Singhji la fissò e poi abbassò gli occhi. “No,” ripeté, più piano questa volta.
“Non mi dica che somiglia a me!” si meravigliò la firangi.
“No.” Singhji chiuse gli occhi esasperato. Gli sembrava di affogare in un gorgo. Alzò lo sguardo per farsi aiutare da Singh sahib, ma Rajaji se n’era andato, a rispondere ad alcune domande alla reception.
“Qual’è il suo aspetto, Mr Singh? Non ha una sua foto nel portafogli? E’ così brutta che non può descriverla?”
Silenzio da parte di Singhji.
“Ha gli occhi grandi? Ha il naso dritto? Capelli lunghi? Denti regolari? Ha una bella figura? Sembra un’attrice di cinema?”
Singhji sentì un sottile velo di sudore all’attaccatura diradata dei capelli e lo tamponò con la manica.
“ L’ha vista, vero? Ha dei figli con lei, vero?”
Singhji accennò di sì col capo, lentamente, in silenzio, poi si raddrizzò. “Vi prego, sono un politico. Lavoro per la mia gente. Chiedetemi qualsiasi cosa sul mio distretto e vi risponderò.”
“Sta dicendo che non sa com’è sua moglie?”
“In India non ci aspettiamo simili domande. Non siamo preparati,” rispose Singhji.
“Ma di che colore sono i suoi occhi, per amor di dio!” la firangi fece quasi un balzo sul divano. “I suoi capelli sono chiari o scuri? È più alta di lei? È fatta così,” le sue mani curvarono sinuose, “ o è fatta come un mattone?” le mani caddero giù dritte.
Singhji si asciugò la faccia furibondo, poi strofinò i palmi sudati sui pantaloni. “Vi prego, è mia moglie. È una donna semplice che vive in purdah. Ha scelto lei di vivere così. Quante volte le ho detto, ‘le altre donne stanno cambiando, non vuoi farlo anche tu? Vai al bazaar col capo scoperto…vieni alle feste con me?’ ma lei dice, ‘no, no, no’, ha vissuto tutta la sua esistenza in purdah, come può buttarsi tra la gente? Mi ha dato tre figli sani. Cosa può chiedere un uomo di più?”
“Se le diamo un foglio e una penna può disegnarla? Ha la faccia allungata o rotonda, ha le labbra carnose?”
Singhji unì i palmi delle mani, supplichevole. Si voltò verso la donna indiana e le parlo in hindi.
“Signora, per favore mi chieda tutto ma non questo. Qualsiasi altra domanda, giuro che le posso rispondere…”
Gli occhi della donna indiana brillarono, duri come diamanti. Fiammeggiavano, concentrati a malapena su di lui. Le linee della bocca erano tese, inflessibili. Singhji riconobbe il disprezzo da parte di lei e si coprì il capo con le mani. La vista del suo disgusto era troppo. Cercò di tenerla alla larga, di tenere a distanza i lampadari sul soffitto e la tappezzeria di velluto rosso. Anche tutta la storia con Margaret era cominciata in quel modo…
Non importa quanto ci avesse provato, Singhji non era riuscito a spiegare a Margaret che non era sua abitudine dormire tutta la notte con sua moglie. Semplicemente gli uomini Rajput non dormono negli alloggi femminili. Ma quella stupida di Margaret. “Sua moglie fa il suo dovere?” chiese. “Se sua moglie fa il suo dovere, dovrebbe esserle riconoscente! Dovrebbe essere suo compagno! Come osa lasciarla sola!”
Era tutta colpa di quella Margaret. Per sei settimane Singhji aveva rinunciato alle sue stanze così che Margaret potesse scongelarsi. Per sei settimane, sotto l’occhio vigile di Margaret, aveva dormito in camera di sua moglie. La prima settimana non era stata un problema dato che sua moglie era nella “stanza del sanguinamento”, ma poi era tornata. Lei non aveva idea delle sue abitudini notturne. Un’ora dopo che si spegnevano le luci, senza mai mancare, sia che lui dormisse oppure no, la sentiva, allungare prima una mano tra le gambe, col sari di seta che frusciava a ogni movimento, poi l’altra mano, e chissà come i raggi della luna le attraversavano sempre il volto, illuminando ogni linea, ogni spasmo. Quei lunghi momenti in cui la guardava erano un’agonia, il suo volto stravolto a ogni carezza, il corpo che cavalcava le agili dita, le lenzuola attorcigliate, il cuscino stropicciato, la testa scossa selvaggiamente, le spalle sollevate ad arco e il ringhio finale sul volto di tigre accompagnato da grugniti più feroci di qualsiasi altro avesse mai sentito nella giungla. Il suo indescrivibile volto deformato e rilucente nell’incandescenza lunare si aggirava nei suoi incubi e Singhji perse la capacità di guardare il volto di sua moglie incorniciato dal purdah.
Allora alzò lo sguardo, prendendosi a calci per aver perso il controllo nei confronti di due bellissime donne, una bianca, l’altra scura che lo fissavano con una faccia tanto sfrontata. I suoi amici sarebbero stati assolutamente invidiosi!
“Scusatemi!” disse giovialmente. “Oggi non sono in me. Ma ditemi di Margaret. Come sta? Si ricorda di casa mia? Sapete, nessuna donna aveva mai usato il mio letto prima di lei. Pensate un po’. E che macchie hanno lasciato! Tsk, tsk, tsk. Ho dovuto buttare via le lenzuola…”
Le donne si sporsero in avanti eccitate, interrompendosi l’un l’altra con le domande. La segretaria sbadigliò e si guardò intorno in cerca del suo capo che era impegnato a chiacchierare coi clienti del suo hotel. Singhji si appoggiò indietro e sospirò ringraziando mentalmente suo padre per gli studi d’inglese. Poteva anche presentare queste due a suo figlio maggiore. Il ragazzo andava per i diciassette ora, e aveva bisogno di fare esperienza con donne senza purdah.
1 Uno dei maggiori gruppi della casta induista Kshatriya
2 Straniera in hindi
3 Pratica che vieta agli uomini di vedere le donne. Essa si attua in due modi: segregazione fisica dei sessi o imposizione alle donne di coprirsi, in genere con il burqa che può o meno includere un yashmak, un velo che copre anche gli occhi.
4 Inchino in hindi
5 Capo d’abbigliamento tradizionale composto da camicia larga e lunga sotto la quale si indossano pantaloni dello stesso tessuto