Nota biografica | Versione lettura |
Si stava crogiolando nel letto da ormai mezz’ora quando la sveglia aveva dato i primi segni di vita. Si era stiracchiata un’ultima volta prima di scendere e trascinarsi pesantemente fino al box doccia. La mattina era sempre un incubo. Quella mattina, poi, doveva essere particolarmente attiva…
Dopo mesi e mesi di duro lavoro, il capo-redattore si era accorto di lei. Avevano pranzato assieme il giorno precedente e Valeria gli aveva timidamente esposto la sua idea. Lui l’aveva ascoltata con interesse, promettendole di pensarci su. La sera stessa, prima di andarsene, l’aveva convocata nel suo ufficio.
- Ce la fai a preparare una scheda tecnica e qualche passaggio saliente da presentare domattina all’amministratore delegato? Ti ho fissato un appuntamento per le undici e sarebbe opportuno arrivare con qualcosa di concreto tra le mani – esordì non appena la vide varcare la porta della stanza.
- Ho già tutto pronto - rispose Valeria visibilmente emozionata. – Da mesi ormai…
- Allora vai a casa e riposati che è tardi. Arrigoni è un osso duro ed è resistente alle novità, ma sono sicuro che saprai far valere le tue ragioni – le disse con tono paterno. – Ci vediamo domani... Mi raccomando, ti voglio in forma – aveva concluso sorridendo.
Valeria era rientrata in quello che soleva definire il suo monoloculo e aveva preparato un bagno caldo e rilassante. Si era lasciata coccolare dai sali del Mar Morto per quasi un’ora, con la voce di Mercedes Sosa in sottofondo e l’aroma dell’incenso che si propagava nell’aria solleticandole le narici. Poi aveva ordinato una pizza e l’aveva divorata sul divano, davanti alla televisione. Trasmettevano Frankenstein junior, il suo film preferito. L’aveva visto almeno venti volte ma era sempre un toccasana per i suoi nervi. Non aveva voglia di pensare all’appuntamento del giorno dopo. Erano mesi che si preparava per quel colloquio e non aveva nulla da temere. “Andrà alla grande” disse ammiccando alla sua immagine riflessa nello specchio un istante prima di spegnere la luce. Il sonno era sopraggiunto improvviso.
Il mattino seguente, quando aprì gli occhi, la sveglia non era ancora suonata. Senza alzare la testa dal cuscino, allungò lo sguardo verso la borsa aperta ai piedi del tavolo da cui si affacciava titubante un angolo della copertina verde contenente il suo progetto. “Presto sarò una traduttrice letteraria… presto sarò una traduttrice letteraria…” iniziò a canticchiare allegramente. Da lì ad assumere il controllo della linea editoriale sulla narrativa straniera sarebbe stata una passeggiata. Finalmente, tutta quella letteratura minore che non rispondeva alle esigenze del marketing avrebbe avuto a disposizione uno spazio in cui esprimere la sua voce. E nel giro di poco…
Uscì dalla doccia e si diresse verso l’armadio, scegliendo con cura un abitino sobrio che mettesse in risalto le forme graziose del suo corpo minuto. Un trucco leggero e una spruzzata di Allure prima di rimirarsi compiaciuta nello specchio.
Scese le scale fischiettando. Giunta nell’atrio del palazzo udì la voce del portinaio e si fermò di colpo. Guardò l’ora sgomenta. Lui era già lì, come tutte le mattine e tutte le sere di tutti i giorni degli ultimi quattro anni! Era sicuramente lì. E l’aspettava. Se lo lasciava alle spalle ogni mattina, in piedi, accanto al palo, e se lo ritrovava ogni sera, accanto allo stesso palo, ormai curvo. Immobile. Prosegui con passo felpato fino al portone d’ingresso e si affacciò prudente, con lo sguardo rivolto a sinistra. Eccolo… No! Non era quella la giornata in cui lasciarsi prendere da una delle sue crisi esistenziali, pensò partendo spedita e passandogli davanti senza nemmeno degnarlo di uno sguardo.
Si rifugiò nel solito bar e si sedette al bancone.
- Angela, fammi un cappuccio per favore – disse alla barista mentre allungava la mano verso la vetrinetta dei croissants.
- Giornata no? – le chiese la donna senza voltarsi. Era una cliente abituale.
- Stamattina presenterò la mia proposta all’amministratore delegato e la giornata sarebbe splendida, se non fosse per lui – rispose Valeria seccata.
- Lui chi scusa?
- Il marocchino qua fuori…
- Aly? E che fastidio ti dà?
- Con la sua presenza inquina la città, non ti pare? – vomitò lei sarcastica.
- Non ti facevo così…
- Così come? Così… rigida? E pensa che sono la pecora nera della famiglia. La rinnegata! L’unica a non avere la foto del Duce in camera da letto. Anche perché non ce l’ho una camera da letto…
- Ma ti sei fatta un cicchetto di prima mattina? Stai delirando…
- Scusa Angela, hai ragione. È complicato da capire se non hai alle spalle una famiglia come la mia... La verità è che ogni volta che lo vedo mi sento tremendamente in colpa!
- Per… – la incalzò la donna.
- Per quel poco che ho, e che lui non ha … Ma a te non fa nessun effetto?
- Dopo tanti anni, credo di averci fatto il callo. E per te dovrebbe essere lo stesso… Eccoti servita – le rispose con la speranza vana di chiudere quella conversazione imbarazzante.
- Invece per me non è così – proseguì Valeria. – Mi seppellirei viva ogni volta che lo vedo. Avrà l’età di mio padre e dimostra quella di mio nonno. Sole, pioggia, neve, grandine… e lui è sempre lì! Poveraccio. Vorrei poter fare qualcosa per aiutarlo...
- E chi te lo impedisce?
- Non lo so… non saprei nemmeno che fare! Mi sento paralizzata. Pensa, ci sono mattine in cui faccio il giro lungo per non incontrarlo. E sere in cui gli passo davanti senza alzare lo sguardo da terra, o fingendo di parlare al cellulare, per non doverlo salutare – concluse lasciando due euro sul bancone e dirigendosi verso l’uscita.
- Forse un sorriso sarebbe un buon punto di partenza – le urlò la barista quando ormai aveva socchiuso la porta.
Valeria s’incamminò a testa bassa verso la metropolitana. Non poteva permettergli di rovinarle la giornata. Non quella giornata. “Sai cosa se ne fa di un sorriso?” pensò prendendo al volo una copia di City dal peruviano che li distribuiva all’angolo della strada. “Ma se tutto va come spero, stasera quando torno gli regalo cento euro così per un po’ non se ne parla più”.
Arrivò in ufficio puntuale e si sedette alla scrivania. Non riusciva a staccare gli occhi dall’orologio. Le nove. Le nove e trenta. Le dieci. Scese alla macchinetta a prendere un caffè e lo bevve sulla porta. Era settembre inoltrato ma si stava divinamente all’aperto. Si guardò le mani, piene di puntini rossi. Era il modo in cui il suo corpo reagiva alle pressioni emotive. Accese una sigaretta e inspirò profondamente la prima boccata. “Coraggio, andrà benone” disse a voce alta. “Sì, andrà benone” ripeté a se stessa. Prima di tornare alla sua postazione si fermò in bagno a lavarsi le mani. Poi mise in bocca una Vigorsol.
L’ultima mezz’ora le sembrò eterna. Quando il capo-redattore le passò davanti alla scrivania con le mani in tasca, fischiettando e fingendo di non vederla, si sentì gelare. Si era davvero sognata tutto? Poi lui si girò verso di lei e con un cenno della testa la invitò a seguirlo. Prese la cartellina verde e lo raggiunse in ascensore.
L’amministratore delegato li attendeva. Valeria si accorse subito che non era particolarmente interessato alla faccenda ma non si perse d’animo. Resettò il cervello dal discorso accademico che preparava da mesi e lasciò alle sue emozioni il compito di perorare la causa della Sagástizabal. Lei l’adorava. Uscì da quell’ufficio radiosa.
- Brava Valeria – le disse il capo-redattore posandole una mano sulla spalla – ma non dimenticare che questo non è ancora un lavoro. È la tua chance. Per ora qui sei sempre una segretaria. Alla traduzione dovrai dedicarti nel tempo libero…
- La traduzione è già pronta. Non ruberò tempo prezioso al mio lavoro di segretaria, stia tranquillo – lo apostrofò lei indispettita.
- Quindi restano solo i dettagli tecnici da definire. Potresti occupartene tu. In fin dei conti rientra ancora nei tuoi compiti – concluse con tono canzonatorio.
- Già… potrei…
- Perché non ti prendi il pomeriggio libero e vai a festeggiare col tuo ragazzo? - la stuzzicò l’uomo, curioso di sapere se fuori da quell’ufficio avesse una vita privata.
- Lo farò – ribatté lei stizzita prima di allontanarsi.
Valeria tornò alla sua scrivania, prese la borsa e si avviò verso l’uscita. Decise di tornare a casa a piedi. Le piaceva camminare. Amava perdersi per le vie di quella città di cui si sentiva ancora una straniera. Giunta all’angolo di casa sua, intravide la sagoma accanto al palo. In piedi. Immobile. Come sempre. “Ogni promessa è un debito” si disse tirando fuori il bancomat dalla borsa. Era a trenta metri dal portone di casa.
Si risvegliò poco dopo stesa a terra, con le gambe sollevate e circondata di gente. Doveva aver perso i sensi.
- Stai bene? – le chiese un uomo accovacciato ai suoi piedi.
- Mah – mugolò Valeria leggermente intontita.
- L’ambulanza sta arrivando – la tranquillizzò lui.
- Che mi è successo?
- Stavi prelevando e ti hanno aggredita. Ti hanno strappato i soldi di mano e sei svenuta. Come ti senti?
- Strana…
- Hai preso una bella botta.
Valeria volse lo sguardo al palo.
- Lui dov’è?
- Chi?
- Aly, il marocchino. Quello sempre in piedi, immobile.
- Non lo so. L’ho visto partire di corsa dietro ai tuoi aggressori e non è più tornato. Insolito da parte sua – constatò l’uomo enfatizzando le ultime parole.
- I soldi li stavo prelevando per lui – confessò Valeria con la voce strozzata. – Sembrava così onesto che io mi sentivo in colpa. Che stupida…
- Credo abbia fatto lo stesso effetto su molti di noi – concluse l’uomo. – Non pensarci più. È arrivata l’ambulanza…
Valeria uscì dall’ospedale due ore dopo con una prognosi di cinque giorni salvo complicazioni. Rientrò a casa in taxi e si fece lasciare all’angolo. Davanti al palo c’era ancora il suo sacco. O meglio, c’era solo il suo sacco. Salì le scale di corsa e non appena si chiuse la porta alle spalle scoppiò in un pianto rabbioso. Gioia, paura, delusione. Il tutto condensato in poche ore.
Chiudeva gli occhi e lo vedeva lì, in piedi, immobile. Con quello sguardo triste e solitario e quell’aria orgogliosa. Lui non chiedeva l’elemosina. Lui stava lì, tutto il giorno e tutti i giorni, con la mercanzia ai suoi piedi. In attesa. Di tanto in tanto qualcuno gli lasciava la colazione pagata al bar, o si fermava a fare due chiacchiere fingendosi interessato alle sue cianfrusaglie. Non passava giorno senza che qualche anziana signora si fermasse all’ora del pranzo con un vassoio in mano, o che qualche giovane coppia tornasse dal supermercato con un sacchetto della spesa di cui alleggerirsi. Come aveva potuto agire così? – pensò tristemente. Poco dopo crollò esausta nel letto.
Il mattino seguente chiamò in ufficio per comunicare l’assenza e scese al bar. Non aveva voglia di star sola.
- Ciao Vale come butta oggi? – le chiese Angela quando la vide entrare.
- Sono a casa per qualche giorno. Ne approfitterò per riposare – rispose sedendosi al bancone.
- Brutta storia quella di ieri. Fortuna che almeno tu stai bene. La zona sta diventando un vero schifo. Quel povero Aly invece…
- Quel povero Aly cosa? – la aggredì Valeria sgranando gli occhi. – E io che mi facevo venire i sensi di colpa per quel ladro…
- Ma che dici? Non hai saputo niente allora?.
- No perché? Che è successo? – la incalzò la donna.
- Mentre rincorreva i tuoi aggressori, Aly è andato a sbattere contro un poliziotto. Uno nuovo nel quartiere. Non lo conosceva. Aly è un clandestino e l’hanno portato in Questura. Lo espelleranno! Dovrà tornare in Marocco e non potrà più aiutare la sua famiglia… era qui per questo.
- Oddio, non ci credo… cosa posso fare per aiutarlo? – esclamò passandosi le mani tra i capelli.
- Tanto per cominciare, smettila di sentirti in colpa. Non ha senso… Piuttosto, non mi hai raccontato com’è andata col tuo capo – disse la donna voltandole le spalle.
Valeria non rispose. Cercava di ricostruire la scena. Quell’uomo era uscito dalla sua immobilità per rincorrere i suoi aggressori. Un gesto che gli era costato caro. Ora lei doveva tirarlo fuori dai guai. A qualunque prezzo.
Afferrò la borsa e si diresse a passo sostenuto verso l’uscita.
- Dove vai? – le urlò la barista da dietro il bancone. – Il tuo cappuccio è pronto…
- Te lo pago dopo. Ora devo assolutamente trovare un buon avvocato – ribatté Valeria agguerrita.