Nota biografica | Versione lettura |
“Nemmeno il mercurio del barometro è variabile come queste categorie di passeggeri che, quando la nave solca superbamente le acque, impallidiscono d’ammirazione e giurano che il comandante è il più grande di tutti i comandanti mai esistiti, e perfino propongono una sottoscrizione per offrirgli una targa ricordo; ma se la mattina dopo la brezza è calata e le vele penzolano inutili tornano a scuoter la testa e a labbra strette sibilano di sperar bene che il comandante sia un marinaio, e aggiungono di dubitarne profondamente.” Charles Dickens “America”
Mi piacerebbe sapere…
“p.s. : mi piacerebbe tanto sapere cosa pensi tu di tutto ciò che succede in nord africa, nel tuo paese!” mi chiedevi, cara Stefanie.
grazie per l’interessamento… del resto il tuo silenzio, riguardo a tutto ciò che succede in Nord-Africa, mi avrebbe stupito… ma purtroppo non so se sono in grado di rispondere alla tua aspettativa…
Sappi solo che io, quei paesi, non li conosco. Sono stato quattro o cinque volte per due o tre giorni, quattro al massimo e di passaggio, a Tunisi.
Della Libia sapevo solo che era un paese arabo con al suo vertice Gheddafi come capo supremo e leader della rivoluzione del 1969.
In Egitto, non ci sono mai stato. Invece avevo letto parecchio della sua letteratura perché la letteratura araba è (quasi) letteratura egiziana e vice versa.
Del Marocco, ho visto le sue due capitali in due, tre giorni… pensa un po’ che idea posso aver avuto di questo paesi e dei suoi abitanti in meno di 24 ore, se escludiamo il sonno!
Dell’Algeria invece so ciò che il cittadino politicizzato può sapere del proprio paese, cioè poche ed imprecise cose; la realtà rimane molto più opaca e complessa anche se l’arroganza della mente umana tenta di farci credere di poter definirne la natura, svelarne i misteri e semplificarne il brulicare delle complessità e le varie imprevedibilità…
Oltre a questa difficoltà metodologica, ne esiste un’altra, fisica questa: io vivo in Italia ormai da 20 anni. Sono 20 anni che mi sono allontanato dal mio paese e i pochi giorni (20 al massimo) che vi spendo una volta l’anno non mi permettono di seguire in modo preciso e pertinente i cambiamenti dei costumi e l’evoluzione della coscienza politica dei miei concittadini.
Perciò non vorrei giocare all’esperto, come si vede in questi giorni in tv: gente che non sa nulla di quei paesi ma che con sfrontatezza fa delle (pseudo) analisi, avanza delle pseudo ipotesi e conclude sentenziando con delle profezie così inesorabili come la corsa del tempo, il risorgere del sole e della luna o l’attrazione gravitazionale!!!
Per quanto mi riguarda, cercherò d’esprimere le mie impressioni personali con le riserve che ho posto qui sopra come premesse.
Adesso ti faccio io una domanda, per completare e spiegare meglio la mia risposta: Quanti secoli, la Germania ha messo per conquistare in un modo “definitivo e irreversibile” il suo progresso sociale, economico e politico?
Dagli albori dell’unità della Germania fino ai nostri giorni sono già passati due secoli circa. E già prima di quel periodo la Germania (la grande Germania) aveva un Fichte, un Goethe, un Hegel e ben altri grandi spiriti della scienza, dell’arte, della politica, dell’economia, della storia…
Ora t’invito ad andare a cercare nei paesi del Nord-Africa i grandi uomini e a citarmene uno. Son sicuro che non troverai nessuno tranne qualche spiritello… e dei martiri, ovviamente.
E poi non è detto che l’evoluzione vada sempre liscia, senza arresti o regressioni a volte drammatici, nonostante la presenza storica o effettiva di questa stirpe di grandi uomini, di questi spiriti universali. “Ricordiamoci, scrive l’algerino Rachid Minmouni, che è stata la democrazia della repubblica di Weimar a permettere l’accessione di Hitler al potere. »
Questa premessa, cara Stefanie, è per dirti che io non ci credo molto in queste cosiddette rivoluzioni.
Prima di proseguire, t’invito a riflettere su queste citazioni che ho pescato ne:
1) Le monde del 15-03-11’’ di Jean-Noël Ferrié che dice “Hosni Moubarak non è stato cacciato dal potere sotto la pressione di un’opposizione politica credibile, ma da un’aggregazione di malcontenti che ha preso corpo dopo la caduta di Ben Ali in Tunisia. Senza nessun altro contenuto ideologico.”
…
“La trasformazione in portavoce dei manifestanti di piazza Tahrir del vecchio direttore generale dell'AIEA, Mohamed ElBaradei, che, fino all’anno scorso, non si era preoccupato della politica egiziana, dimostra a che punto il paese non disponesse di una figura di oppositore credibile.”
2) Le monde diplomatique, marzo 2011; Alain Gresh dice :
“Era diventato banale, nei corridoi dell’Eliseo come in quelli delle cancellerie occidentali, sghignazzare della “Strada araba.” Bisognava veramente tenere conto di ciò che pensavano queste centinaia di milioni di individui da cui non ci si poteva aspettare, tutt’al più, che degli slogan.”
Già!
No, gli eventi in corso nel Nord-Africa non sono rivoluzioni, per la semplice ragione che la gente che ha innescato il movimento di ribellione e lo ha condotto non si era preparata e non era nemmeno convinta del risultato. Sono movimenti sì, ma movimenti browniani.
All’inizio i rivoltosi pensavano…
All’inizio i rivoltosi pensavano tutt’al più di conquistare se non dei diritti modesti, almeno delle promesse come al solito e delle menzogne ingannatrici.
I rivoltosi non erano pronti né materialmente né strategicamente a misurare la portata delle loro azioni né a sapere che da lì a poco avrebbero spaventato i loro dittatori al punto da farli scappare via dal paese. Non ci vedevano, poverini, lo zampone degli States e dell’agnellino Obama.
Non sono rivoluzioni anche perché quella gente non aveva un progetto di governo, né gente già pronta a prendere la relève, a sostituire nel caso il governo decaduto.
Non bisogna essere un Bismarck o un Leo Strauss per capire che le persone che noi troviamo oggi al vertice dello Stato tunisino o di quello egiziano, dopo le rivolte dei due ultimi mesi, non fanno parte dei rivoltosi ma bensì sono uomini che facevano parte della ex nomenclatura che girava attorno agli ex dittatori e che servivano con raro zelo i loro regimi.
È ovvio che da opportunisti camaleonti come sono, queste persone servitrici dei dittatori erano svelte a voltare gabbana e a far vedere che non avevano niente a che vedere con l’ex regime.
La rivoluzione, fondamentalmente e prima di ogni considerazione, è una presa di coscienza storica; è la volontà e la capacità lucida di tutti gli strati precari di una classe maggioritaria e oppressa di combattere una manciata di uomini di potere che costituiscono una classe sfruttatrice ed oppressiva; è ordine nelle idee e nelle azioni;
è un’impresa seria portatrice di speranze e prosperità non di caos;
è un cemento di militanza politica che lega assieme gli oppressi e da’ loro unità e forza;
è un progetto di lotta e di società concepito e svolto dai figli della nazione stessa in rivolta;
è la preparazione degli uomini della relève;
ed è uno sradicamento di tutti gli uomini del vecchio regime e di tutte le loro pratiche di sfruttamento e d’oppressione;
è una lotta contro le esclusioni sociali ed ogni forma di segregazione di colore, di sesso, di classe, di età, di lingua e di confessione;
è una lotta per il rispetto dei diritti della maggioranza (e di ogni altra minoranza) non per sostituire una minoranza sfruttatrice con un’altra e dare così un nuovo fiato al sistema dell’ingiustizia e dell’oppressione…
Personalmente non credo che le rivolte dei tunisini, degli egiziani o attualmente dei libici, abbiano questi criteri, pur essendo criteri scarni.
Il caso della Libia poi ha tolto il telo che copriva il proprietario dello zampone di cui parlavo sopra: è lo stesso Obama che si è rivelato un pagliaccio, un orco, terribile… è lui il vero fautore delle cosiddette rivoluzioni arabe per servire il Capitale.
Non c’è quindi rivoluzione per il fatto che nell’anima e nella prassi di queste popolazioni in rivolta manca un background culturale, manca ancora qualche secolo di tempo, manca ancora una visione storica e geo-strategica, mancano ancora gli strumenti epistemologici e la serenità metodologica per orientarsi nella storia, mancano ancora una visione unita, un’autonomia, un progetto sociale originale e chiaro e dei mezzi logistici per poter realizzare tali programmi e miracoli.
Infine ci sono state nel passato recente o lontano di questi paesi tante di queste insurrezioni ma come vediamo non hanno portato nulla di concreto; o almeno i progressi sperati o sognati sono stati scarsi o di poco rilievo.
Ma ci sono stati comunque dei cambiamenti astronomici(!); cambiamenti invisibili però visto l’immensità delle realizzazioni che rimangono ancora da fare: come il fatto di camminare per un neonato, come il fatto di parlare, come il fatto di crescere…
Sì, come le tappe di crescita del bambino che, nonostante tutte le sue metamorfosi epocali e straordinarie, il bimbo pur crescendo rimane ancora bimbo.
E sbaglia di grosso quello che si mette a paragonare le performance di questo bambino in crescita (il suo camminare, l’acquisizione della lingua, il suo crescere) a quelle di un adulto, si mette a giudicarlo e a trarre conclusioni con la semplicità di pensiero di un bimbo…
Questi eventi non andranno mai persi dalla memoria di questi popoli.
Questi eventi saranno capitalizzati e aggiunti alle altre esperienze già acquisite e alle altre crisi di crescita già vissute.
Questi eventi nella vita di una nazione devono essere considerati come esperimenti di vita con giorni belli e altri pessimi.
Quante volte il bimbo cade prima di imparare a camminare! Quanta strada deve fare lo straniero in Italia per imparare decentemente la lingua italiana!...
Durante i loro cammini alcuni di questi paesi ci lasciano la ghirba, altri resistono, ma di certo non a tutti riescono i colpi.
Nella vita di un popolo ci vogliono tante scosse o rivolte storiche perché riesca a capitalizzare l’esperienza di decenni e le tribolazioni di secoli che dovrebbero proiettare quel popolo direttamente nell’età matura…
La cultura politica e gli algerini in particolar modo
Qualche giorno prima che la rivolta tunisina prendesse le proporzioni che ormai sappiamo, l’Algeria era insorta e la gente di tutte le regioni era uscita nelle strade e nelle piazze in modo spettacolare per contestare l’aumento del prezzo di alcuni prodotti base (olio e zucchero).
Quella insurrezione, che era durata due tre giorni, aveva scosso i nostri governanti che subito avevano risposto con misure molto sagge e concrete come l’abrogazione della legge dello stato d’emergenza (in vigore da 19 anni!) e l’aumento di stipendio per alcune fasce di lavoratori lese, avevano preso provvedimenti seri e concreti per combattere la pesantezza delle burocrazie sclerotizzate, si era avuta un’apertura concreta sui problemi di casa e di lavoro, c’era stato un ascolto operativo e serio dei giovani…
Queste misure sono state non solo concrete ma anche, cosa quasi inaudita , concretizzate! ed ipso facto!! Chissà quanto peseranno queste misure, a lungo termine, sul tesoro dello Stato, perché sono sicuramente spese insopportabili per le capacità reali del tesoro pubblico?!
Ma purtroppo gli algerini, come il resto degli abitanti del terzomondo, non sono che un’aggregazione di tubi digestivi e non si curano per niente che il tesoro pubblico sia svuotato dopo essersene serviti per riempire le voragini delle loro pance o le loro tasche bucate.
Quella insurrezione ha avuto un effetto diretto all’interno del nostro paese e un effetto indiretto, incoraggiante, all’estero vicino (Tunisia, Egitto, Marocco e Libia).
C’è chi vi ha visto i segni di continuazione della cosiddetta guerra civile che non si sarebbe ancora spenta, che non arriverebbe o non dovrebbe mai spegnersi!
C’è chi vi ha visto una contestazione contro i governanti; secondo la tesimanichea, tipica degli esperti algerologi, che vuole e insiste che in Algeria esista da una parte un regime corrotto, oppressore e brigante e dall’altra parte un gregge di primati, innocenti perché scemi, alienati, oppressi, derubati e senza capacità di coscienza, di indignazione e di resistenza o di lotta.
Che sia ben inteso che una reale rottura tra i cittadini e chi li governa esiste in Algeria, come esiste qui in Italia, come esiste dappertutto nel nostro mondo, come è sempre esistito nella storia.
Da una parte c’è l’individuo con il suo egoismo, i suoi interessi e le sue aspirazioni alla libertà, e dall’altra parte esiste la collettività che, nel nome dell’interesse della maggioranza, non solo chiede ma impone coercitivamente certi limiti alle libertà dell’individuo e certi ridimensionamenti ai suoi interessi e al suo egoismo.
Ma questa rottura è più scandalosa in Algeria per la particolarità storica di questo paese che dal 1500 circa (con l’occupazione turca ottomana prima e quella francese a partire dal 1830) fino al 1962 (data dell’indipendenza dell’Algeria), gli autoctoni furono rigorosamente, sistematicamente e scientemente esclusi ed impediti di fare politica.
I francesi deliberavano nel parlamento l’esclusione degli indigeni addirittura dalla sfera dell’umanità!
Essendo state così le cose, è ovvio che gli algerini dimenticano (e hanno dimenticato) del tutto ciò che la parola politica possa significare. Anzi ci fu un tempo in cui non sapevano più se essa esistesse!
Di fronte alle politiche razziste e ai genocidi di quei regimi di occupazione e d’esclusione turco-francesi per cinque secoli circa, l’algerino ha sviluppato un atteggiamento, per non dire una psicologia, ostile ad ogni forma di potere. Dall’algerino i governanti delle due potenze occupanti erano visti come meri predatori, oppressori e sfruttatori.
Quando, più tardi, l’Algeria strappò la sua indipendenza ai colonizzatori francesi, si è trovata impreparata a governarsi.
Da un lato gli unici uomini o donne che avevano un’idea della governance moderna erano pochi ed insufficienti mentre ci sarebbe voluta una vera classe dirigente formata in politica grazie alla costituzione di partiti politici o nelle grandi scuole di scienze politiche, economiche e sociali.
Dall’altro lato, il popolo che aveva cominciato a svegliarsi grazie alle attività di sensibilizzazione alla politica che il movimento nazionale per l’indipendenza svolgeva, si era solo risvegliato…
Per re-introdurre un popolo nella storia dopo cinque secoli di morte storica e civile, ci vuole infatti un miracolo, un vero e proprio “Alzati e cammina!”.
Ed è ciò che la scuola dell’Algeria, con grande volontà ma scarsa arte, sta cercando di fare. Ma ci vorranno ancora lustri e decadi…
I governanti autoctoni hanno quindi ereditato una situazione veramente molto complessa, difficile e quasi impossibile da gestire (lo stesso si può dire dei paesi ex colonizzati). C’è la loro inesperienza nell’arte di governare, l’ambigua concezione che hanno della loro stessa funzione di goverrno (imitano il comportamento del colonizzatore; forse nel loro inconscio vi prendono piacere perché da’ loro l’impressione di avere finalmente l’occasione di vendicarsi dai colonizzatori!), ed ancora il ricorso fin dai primi anni dell’indipendenza ad uno stile di sviluppo fondamentalmente omologante ed autoritario come il socialismo forzato ed imposto con indottrinamenti e manganelli, e poi ci sono la povertà del popolo, l’analfabetismo atroce, la scarsità del senso di cittadinanza che provoca solo dis-unità e caos nel concepire ed assumere l’interesse comune…
Da parte sua, educato per secoli a sottomettersi, a subire le esazioni e le ingiustizie, a servire da bestia da soma o da carne da cannone, a vedere nella gestione del potere una specie di brigantaggio e di guerra a lui dichiarata, il popolo ha perso la fiducia in chi lo governa e nella politica in generale.
Inoltre i paesi predatori (ex e neo colonialisti) non smettono di alimentare questa rottura spargendo voci sui i nostri governanti che sarebbero dei corrotti, dei briganti, dei sanguinari predatori di fortune colossali rubate al popolo facendo man bassa di tutte le risorse naturali del paese!
Il nostro popolo, nella sua grande maggioranza, ignora i giochi politici e strategici tra le nazioni e i gruppi di potere, non riesce ancora a capire che si tratta di intox e di mistificazioni distillate ininterrottamente da potenze e/o classi predatrici in gioco per dividerlo, seminando il caos e paralizzando le menti e le forze attive… Crede in questa mistificazione, in questa favola nera. Vede nei suoi governanti una banda di briganti sanguinari, li accusa d’essere responsabili dei propri fallimenti e si sente vittima nonostnte non paghi le tasse, pur godendo gratuitamente di scuole, ospedali, giustizia e varie protezioni.
Alla prima occasione che si presenta, s’infiamma istericamente e comincia ad urlare e sbavare, a minacciare con bastoni come l’uomo delle caverne, a distruggere per prima cosa i beni pubblici, quindi a derubare il vicino di casa, ad aggredire il prossimo suo (ovviamente i governanti non li raggiunge). Poi chiede la testa di chi governa, senza sapere a chi né per quale motivo, senza riflettere, senza preparare o prepararsi alla relève, senza pensare nemmeno alle conseguenze dei propri atti, senza interrogarsi sulla causa dei fallimenti ed il conseguente ritorno dei rivoltosi sotto lo stesso sistema “contestato”.
I benefici immensi della caotizzazione totale dei paesi del terzo mondo voluta dalle potenze predatrici
Insomma è una specie di autoflagellazione: una follia aggressiva di tutti contro tutti; un saccheggio dei beni privati e pubblici; un regolamento dei conti non nei confronti di un regime oppressore (la gente comune non arriva mai a vendicarsi o, se vogliamo, a farsi giustizia presso i loro oppressori), ma una lotta gli uni contro gli altri, tutti della stessa condizione sociale precaria: una guerra tra i poveri. Una caotizzazione totale del paese che prepara così il terreno ai veri oppressori, alle spietate e voraci multinazionali, ai missionari in male di caritas urget, ai vari mercenari ed altre “legioni straniere”; in parole povere è un preparare il terreno all’invasione ed occupazione del paese da parte delle potenze colonialiste…
Ho in mente l’indicibile e recente caos in cui vivono Stati che erano passati per questa strada; stati come la Somalia, l’Iraq, l’Afghanistan, il Pakistan, il Sudan mutilato e in questi giorni si sta tentando con la Libia e i paesi del Nord Africa…
E ce ne sono altri paesi caotizzati, e ce ne saranno altri ancora se i popoli di questi paesi continuano, nel nome di una chimerica rivolta contro un’irreale oppressione, a distruggere i loro paesi e ad offrirli su un piatto d’oro alla voracità delle potenze neo colonialiste come Usa, Inghilterra, Francia, Italia e, in una misura ancora minore ma non innocua, ad alcune potenze dette emergenti come la Cina e l’India.
A proposito, Gheddafi ha invitato l’altro ieri Cina, India e Russia ad investire nei campi petroliferi della Libia… come misure di ritorsione contro gli Stati che gli sono stati ostili in questi ultimi tempi difficili per la sopravvivenza del suo regno.
Ma poiché la maggioranza (la forza micidiale della cosiddetta comunità internazionale) lo vuole, le cose, in un modo o in un altro, finiranno sicuramente per riassestarsi e sicuramente finiranno per avere ragione delle mie paure da reazionario fifone.
Tuttavia non mi illudo: i cambiamenti non saranno mai in grado di bruciare le tappe della storia; la prosperità e la democrazia (pane e dignità) rivendicati dai rivoltosi di questi giorni sono ora surreali nel senso che non avverranno se non dopo un lungo e continuo processo di crescita e di lente trasformazioni: è una questione di secoli… Sono surreali, perché tutto è relativo.
« Essendo il successo come la ricchezza, sempre relativo, – scrive Sciences humaines N° 224, marzo 2011 - ogni accesso ad un gradino superiore non può produrre che soddisfazioni provvisorie e frustrazioni relative; ciò vale anche per ciò che concerne il successo sociale, sportivo, scientifico o artistico.”
Le rivendic
azioni di questi rivoltosi sono surreali e chimeriche, non si basano su vere necessità dettate da bisogni reali ed autentici ma sono fomentate dall’illusione che sia sufficiente il martirio o il cambiamento degli emblemi di un regime per avere pane e rispetto ed accedere quindi alla democrazia. Si illudono che basti dire di loro che sono democratici per raggiungere il livello di prosperità, di democrazia e di coscienza dei paesi ricchi e endogenicamente democratici!
Sono endogenicamente democratici perché fuori dei loro paesi - e purtroppo hanno sempre uno zampone fuori cioè: nei paesi vinti ed alienati del terzo mondo - questi Stati detti civili si comportano da tiranni, da oppressori, da sanguinari, da sanguisughe…!
Gli autori di queste rivendicazioni non hanno un progetto adatto alla loro condizione ma sono soggiogati dalle immagini di questi paesaggi alpini puri, di queste strade pulite e belle, di questi visi rosa sorridenti e ben portanti, con cui la pubblicità martella loro la coscienza perennemente, giorno e notte ed in ogni modo e attraverso vari strumenti ed agenti (tv, internet, i turisti, i missionari, le varie O.N.G…)
Gli autori di queste rivendicazioni pensano che una volta cacciati via Ben Ali, Mubarak o Gheddafi, i loro popoli diventino di colpo, per miracolo, ricchi, sapienti, sani, rispettati e rosa con capelli biondi ed occhi azzurri o verdi!!
Ecco cosa hanno in mente quando parlano di cambiamento: una distorsione completa della realtà! Ed ecco perché le loro imprese e agitazioni non sono e non possono essere una rivoluzione.
Oddio, ci vuole anche l’illusione e l’utopia per fare il mondo…
I cambiamenti ci saranno quindi – speriamo che siano nel senso giusto – ma non di sicuro saranno tali da catapultare quei popoli da oggi a domani nell’olimpo dei paesi della ricchezza, della democrazia, della potenza e degli occhi azzurri e verdi… per questo, bisogna correre ancora.
No! Non ancora: a jack is a jack, a king is a king.
“Ma - dice il giornalista Kharroubi Habib del Quotidien d’Oran 02 marzo 2011- ci sono anche l’America e l’Occidente i quali per l’avvento della democrazia nel mondo arabo non si entusiasmano particolarmente, malgrado le loro dichiarazioni di principio che li farebbero credere soddisfatti di vedere questa regione sconvolta dalle rivendicazioni che vanno in questa direzione.”
Il consigliere di Obama per le questioni del MOEAN, Ross, in un’intervista, qualche settimana fa, riconosce in qualche modo lo zampone dell’America nell’agitare e favorire questi eventi: “Seguivamo con molta attenzione, da tempo, le sfide nei nostri confronti nella zone. E operativamente nell’agosto 2010 Obama ha firmato una direttiva che ci ordina di fare studi governativi circa le riforme politiche nel Medio Oriente e nel Nord-Africa . E allora per mesi e mesi facevamo riunioni settimanali per dibattere le questioni delle riforme politiche in quei paesi…” Il quotidiano arabo El-Hayat 03-03-11.
Lo stesso articolo spiega il ruolo degli USA: mettere freni alla macchina repressiva su cui si appoggiavano i governi, teatro delle recenti rivolte arabe. Perciò i dittatori di quei paesi si sono trovati abbandonati dai loro potenti e quasi naturali sostenitori e fornitori di armi (USA e Europa occidentale) e sono diventati di fatto vulnerabili ed esposti all’ira dei loro popoli spesso oppressi e frustrati.
Quanto ai generali dell’esercito, il loro “ruolo” è quello di “convincere” i dittatori della necessità di partire. Questi sono stati gli scenari svolti in Tunisia e in Egitto e questo sta accadendo nello Yemen e nella Libia.
Ma perché gli States creano questi caos nei paesi già martoriati dalle vicissitudini della storia e dalle potenze predatrici?
Vari sono per me i motivi, e sono alla fin fine esigenze o necessità, vitali per la sopravvivenza degli Stati Uniti stessi:
la coesione interna fra le centinaia di etnie che compongono i loro abitanti,
la crisi economica,
l’apertura dei mercati internazionali,
l’accesso facilitato ai mercati,
l’assicurarsi una mano d’opera docile e a buon mercato,
l’assicurarsi di luoghi dove sbarazzarsi a costi minori dei rifiuti nucleari e chimici,
la tratta dei bambini e delle donne,
il traffico di organi umani,
il traffico di armi,
le sperimentazioni delle armi nuove e delle nuove strategie e tecniche di combattimento,
l’egemonia culturale,
l’affermare insomma la supremazia di quella “stirpe” di potenze egoiste, predatrici, neo-colonialiste che sono al servizio del Capitale e delle multinazionali.
Questi vantaggi non lasciano indifferenti i cittadini di quei paesi: li vedono di buon occhio, con orgoglio, perché anche loro in qualche modo possono approfittane. Sentirsi fare parte di quelle nazioni forti è gradevole: dà la possibilità per un pezzente con mezzo stipendio di fare vacanze da re, senza parlare del turismo sessuale grazie al quale persone anziane e flosce possono permettersi di nicare con giovani ventenni; permette di fare safari di caccia e recitare Indiana Jones; procura per le loro collezioni private pezzi interi (!) di musei e d’archeologia, permette di rubare varie opere d’arte…
E’ quindi comprensibile il discorso di chi afferma che gli States e l’Europa dell’ovest non vogliono la democrazia nei paesi del terzo mondo.
Non vogliono stabilità, non vogliono sviluppo, non vogliono pace, non vogliono lucidità né coscienza storica in quei paesi…
Detto questo, non intendo giustificare la mediocrità politica né discolpare i mediocri politici di quegli sciagurati paesi; al contrario io aborrisco la dittatura e i dittatori di destra o di sinistra, dei paesi del terzo mondo o di quelli del primo mondo indipendentemente dal colore della pelle, dalla cultura, dalla forma e dal vestito.
Quanto alla dittatura dei paesi detti democratici, essa non si vede perché è applicata prevalentemente alle nazioni deboli.
Sembra che essere dittatore sia (ed è, secondo me) la regola fondatrice della natura umana: chi non è dittatore a casa propria, è dittatore a casa dei vicini. Altrimenti come potremmo chiamare le crudeltà e l’ingerenza nei paesi altrui?
Segnati dal sistema coloniale e dai suoi nostalgici, segnati dal proprio fallimento di sviluppo, segnati dall’inaudibile umiliazione del marzo 2003 ad opera del regime di Bush, gli arabi non tarderanno a comprendere che i loro governanti sono anch’essi vittime delle macchinazioni del Capitale internazionale e dei suoi diversi servi - le grandi potenze - e allora là ci sarà una vera presa di coscienza, ci sarà una vera rivoluzione, ci sarà un vero cambiamento…
E allora là l’intox dei mistificatori che ingannano gli alienati si spegnerà da sé.
E allora là gli arabi respireranno aria buona e profumata di libertà e di dignità.
POST SCRIPTUM :
In victoria vel ignavis gloriari licet;…
E la vittoria, cara Stefanie, sarà americana o non sarà. Quanto al popolo libico, esso ritornerà a leccare beatamente gli stivali dei nuovi padroni…
Il grande giornalista egiziano Hassanein Haikel, che conosceva profondamente il sistema che regge la politica estera degli Stati Uniti, aveva dimostrato in un suo libro che ogni presidente americano ha e deve avere la sua o le sue guerre; da questo punto di vista Obama non fa eccezione. Eccolo che inaugura anche lui la sua guerra.
Scommetto che ci prenderà gusto e non si fermerà alla Libia perché bisogna prima di tutto mantenere un nemico esterno, unica strategia per mantenere coese le popolazioni e etnie degli Stati uniti.
È quello che ha dichiarato Jean Ziegler al quotidiano algerino El Watan du 5-11-10: “Obama ha un linguaggio molto dolce, ma in fondo, la dottrina americana non si è mossa d’un iota sia per quanto riguarda la Palestina, sia per quanto riguarda l’Afghanistan… la stessa maniera di guardare il mondo! Al Cairo, Obama si è volto all’insieme dei mussulmani e non ha fatto che confermare, ancora una volta, che lui stesso era chiuso nelle tesi di Huntington sullo scontro delle civiltà.”
In secondo luogo gli USA “devono” cacciare i pericolosi concorrenti cinesi ed indiani che stanno invadendo il mondo arabo e l’Africa.
Bisogna anche, con quest’onda di caotizzazione, dare da fare per qualche cent’anni ancora agli “oziosi” paesi del Nord-Africa (e non solo): così quei mercati di mano d’opera, di materie prime, di mercati aperti… saranno proprietà privata degli Stati uniti e dei loro vassalli e vari sub-appaltatori...
E poi queste guerre atroci contro i paesi deboli servono ad appagare la brama perversa della nostra società moderna affamata ed assetata, sempre di più, di spettacoli di violenza, di crudeltà, di cronache nere e di guerra… spettacoli dal vivo e gratis! Che vogliamo di più?!
La supremazia dei paesi predatori è sempre in vigore anche se è stata sviata per un po’ di tempo dalla scossa bolscevica.
Il petrolio, lo consumano loro con il prezzo che vogliono; e non è certo la tua o la mia intelligenza o resistenza che glielo impediscono. È da quando lo hanno scoperto che è loro.
Non fanno la guerra per averlo quindi, no. Idem per le basi militari; con Gheddafi o con un altro, l’avrebbero avuto, loro.
Sai perché? Perché hanno la forza (una forza che Cesare stesso non sognava) e quindi il diritto assoluto. Ah la forza, unica legittimazione delle azioni umane. Forse i collaborazionisti e gli alienati (alleati, sub-appaltatori) facilitano anche un pochino la bisogna...
Gheddafi per loro è un fumo che soffiano con efficacia negli occhi dei vari alienati e collaborazionisti loro malgrado. Essere un cattivo cittadino è cool, quando si è alienato.
Detto questo, è tutta la Libia che vogliono. E sarà la chiave per tutta la regione… come ieri in Iraq, come nei tempi classici delle colonizzazioni.
Vendita delle armi
Jeune Afrique 10/03/2011 ore 17h:07 di Constance Desloire: il X° salone internazionale di difesa (Idex), organizzato ad Abou Dhabi, è stato un grande successo… alcuni Stati potrebbero abbandonare gli armamenti pesanti a favore di strumenti (armi) antisommossa. Le compagnie britanniche hanno esposto tutta una gamma di granate lacrimogene e di pallottole di gomma,…” ecco anche a che cosa serve la guerra.
Ed ancora, il titolo del giornale Le monde del 22-03-11: “Libia: gli insorti, in mancanza di armi e di benzina.” Ecco, corra a venderne chi ne ha!
Solo la guerra, ahimè, è una costante della natura umana!!
“Ma la bellezza dei campi (sembravano tanto piccoli!), delle siepi e degli alberi; le villette, le aiuole, le antiche chiese, le magioni e ogni cosa ben nota; e tutte le delizie di quel viaggio che addensava nel troppo breve giorno d’estate le gioie di tanti lunghi anni nella gioia di riprender contatto con la patria e con tutte le cose che ce la rendono cara: tutto ciò, né la mia lingua né la mia penna sarebbero sufficienti a descriverlo.” Charles Dickens “America”