Versione Originale | Nota biografica | Versione lettura |
‘Benedetti coloro che ci lasciano parlare.’
Lo avevano detto gli anziani
o era un sogno
inviato dai morti?
4 di notte: gli uccelli cantano. Il vento imita parole.
Dritto al cuore, sapeva che l’avrebbero uccisa.
In ogni caso, il messaggio era chiaro:
‘No alla censura.’
Prima un sussurro, poi un sibilo acuto:
‘No alla censura, non ascoltate chi schernisce la vita.’
Resta in mente un ritornello.
Dritto al cuore, sapeva che l’avrebbero uccisa.
Sapeva troppo per una di otto anni.
Sapeva che la stavano violando, e sapeva
che se avesse parlato e denunciato quel peccato,
l’avrebbero ammazzata.
Così non disse nulla, fece finta di niente.
Sapeva che la madre non poteva salvarla,
che il padre l’avrebbe preferita morta –
E così visse col suo segreto.
Ci fu un articolo sul giornale:
breve, accurato. Tanti anni fa.
Pubblicarono il suo nome, ma chi se lo ricorda adesso?
Era un nome difficile, straniero.
Viveva in un paese straniero,
non in quello dov’era uscito l’articolo.
In un villaggio poverissimo, dicevano. Ma era vero?
In un sogno, i dettagli
sono come semi di papavero nello yogurt.
In un sogno uno è tutto:
un tavolo, una sedia, una finestra –
persino i cervi che brucano nel bosco –
E se uno sogna le balene, può fuggire?
In vita, era solo una bambina.
Ci raccontiamo le stesse storie,
il dolore nel sangue, la rabbia che ci sprona –
Succedeva cinquecento anni fa,
è successo cinque minuti fa.
La chiamo figlia di Medusa,
sorella di Shakti –
La sua casa, un villaggio in qualunque paese –
Con la luna sul viso, si intravede
nel pozzo; l’acqua scura ne trattiene lo sguardo.
Prima dell’alba, cuoce il pane nella cucina della madre.
A volte sente odore di pecora macellata.
Sa quando il sangue scorre
dalla gola della capra, come una sciarpa –
L’uva si fa dolce. Le api sono sotto controllo.
E nei sogni, il suo Io grida –
Così, era vissuta per altri dieci anni,
pensava sempre che col tempo, col tempo,
li avrebbe persuasi, avrebbe convinto
padre, madre e fratello che la sua anima era pura.
Sono ancora innocente, voleva dire.
Voleva solo vivere.
Credeva davvero che l’avrebbero lasciata andare?
E come faceva a saperlo?
Aveva visto la sorella uccisa?
Una sorella maggiore che le aveva detto tutto,
spiegato cos’è lo stupro –
la sacralità del corpo –
Una sorella che le aveva insegnato un’altra lingua?
Come faceva a saperlo lei, una bambina
così piccola, di appena otto anni?
In tutto quel tempo non poté rivolgersi a nessuno.
Si era fatta da padre e da madre –
Ma non c’era una sorella uccisa
a indicarle la strada?
Una sorella uccisa che le appariva in sogno?
E ogni mattina, cosa
provava alle prime luci?
E ogni sera, cosa
provava al calar del buio?
Lei che voleva vivere –
Quando ruppe il silenzio,
era la vigilia del suo matrimonio –
Aveva diciott’anni, e sentiva di dover dire la verità,
pensava che avrebbero capito,
ma non fu così.
Qui vorrei convocare il Coro,
vorrei convocare le Furie.
Se solo la madre fosse diventata Demetra!
Il Coro è furioso,
il Coro non sarà consolato.
Che posso dire?
Dove vivo, i corvi sono sazi,
e al sole, hanno il collo che splende di porpora.
La mia betulla è tornata bambina,
Persefone travestita; verde, trasforma la luce,
e io mi sento la sua Demetra –
Oggi, è come se i ragni fossero andati sottacqua
a formare grandi ottagoni blu –
Oggi, le farfalle sono lente, le gialle,
le scialbe, le piccole,
ritardano – o sono andate altrove?
E così, immagino ci fossero corvi nei campi,
e colombe sugli alberi; immagino i merli
nei pressi, e senz’altro i passeri, quando le spararono,
e il proiettile le arrivò dritto al cuore.
Una mira perfetta. Nessun errore.
Anche se aveva spiegato che voleva vivere –
Anche se aveva chiesto perdono
per essere stata stuprata –
Non ascoltarono, non capirono –
dritto al cuore –