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Relazione tenuta al convegno sui 20 anni della Letteratura della migrazione, organizzato dal Centro Culturale Multietnico La Tenda presso la Biblioteca Dergano-Bovisa Milano il 12 febbraio 2011
1. “Vent’anni anche per noi”: gli scrittori migranti per ragazzi
Quando la letteratura per l’infanzia esce dai propri contesti “protetti” incontra non poche difficoltà di comprensione, come se fosse un oggetto misterioso, indecifrabile, meglio lasciar perdere. Non si sa bene come trattarla, da che parte prenderla. Per certi versi ciò è comprensibile.
La letteratura per l’infanzia ha una identità complessa quanto a significati (letteraria, pedagogica, psicologica, storico-culturale) funzioni (formativa), destinatari (per l’infanzia, la preadolescenza, l’adolescenza, adesso ci sono i c.d. “giovani adulti”) e linguaggi (verbale, iconografica, grafica). Non si sa dove metterla, che posto riconoscerle: c’è una scarsa “cultura” sulla letteratura per bambini e ragazzi. Vale ancora la sconsolata constatazione di Pino Boero e Carmine De Luca per cui: “[…] Accade di frequente che anche a persone di buona cultura manchi il senso stesso di letteratura per l’infanzia: la loro conoscenza è limitata alle proprie esperienze dirette, ai titoli dei libri letti negli anni della propria infanzia, e la scoperta che esiste uno specifico ambito di studi e di ricerche di letteratura per ragazzi li stupisce”1.
Più di tre decenni fa una studiosa americana, Florencia Bluter, parlò di “grande esclusa” a proposito della letteratura per l’infanzia2. Oggi non è più così. Non è più un genere così bistrattato come una volta. Un modo nuovo di guardare alla letteratura per l’infanzia e alla sua storia ha preso avvio a partire dai primi anni Ottanta: “una rilettura del libro per l’infanzia e la gioventù che ne ha messo in rilievo la ricchezza e la complessità, le origini articolate e la struttura nient’affatto elementare, il pluralismo semantico e la funzione ideologica e culturale tutt’altro che marginale”3. Ciò nonostante la letteratura per l’infanzia mantiene ancora una posizione di “cenerentola” nelle attenzioni della critica, dei media e del grande pubblico. Se ne parla diffusamente soltanto due volte all’anno: in occasione della Fiera internazionale del libro di Bologna e per le strenne di Natale. E ovviamente anche gli editori concentrano le nuove uscite in queste due occasioni.
È questa anche la storia ventennale della letteratura italiana della migrazione rivolta ai giovani. In tutti questi anni è rimasta pressoché sconosciuta, ignorata, trascurata. Ha sofferto un duplice oscuramento (ovviamente non c’è stata intenzionalità): sia da parte degli studiosi della letteratura della migrazione, sia da parte di coloro che si occupano di narrativa per l’infanzia.
La possibili motivazioni di questa dimenticanza sono molte, in parte seguono quelle proprie della narrativa per l’infanzia di cui, ovviamente, anche le opere dei migranti per ragazzi fanno parte. Ho cercato di evidenziare le ragioni di tale dimenticanza in un mio recente libro al quale rinvio4.
È certo però che la scarsa attenzione verso queste scritture non è stata senza conseguenze. Alla narrativa migrante per ragazzi è mancato quel complesso diversificato patrimonio di risorse di cui la letteratura della migrazione per adulti ha potuto beneficiare e avvalersi nell’ultimo decennio, e che ha legittimato e “consacrato”, valorizzato, sostenuto, accompagnato, creato spazi ai giovani scrittori migranti, contribuendo a dare un canale di visibilità, una vetrina ai loro testi letterari, all’autoriconoscimento nei confronti della propria opera. Per quel gruppo di autori che hanno scritto e scrivono per ragazzi sarebbe fuori luogo parlare di “movimento”, come invece si è parlato riguardo agli scrittori della migrazione per adulti (o almeno ad un gruppo consistente di questi autori).
I libri per ragazzi hanno trovato spazio e ascolto, pressoché esclusivo, nelle biblioteche pubbliche, nelle biblioteche per ragazzi e nelle scuole, dove l’autore – spesso anche mediatore, animatore, illustratore, musicista, artista poliedrico – è stato invitato a presentare il libro, a raccontare fiabe e favole della tradizione, a suonare e cantare storie della propria terra, a narrare la sua storia personale di migrazione. Spesso, insomma, a fare lo “straniero” e l’immigrato. E ciò è avvenuto con frequenza durante quella fase dell’intercultura buonista, caratterizzata da una curiosità, anche ingenua ed esotica verso lo straniero, spesso decontestualizzata: dove “le differenze, considerate in maniera astratta ed eterodefinita, sulla base di categorie e rappresentazioni, spesso folcloriche, erano al centro di incontri, narrazioni, racconti autobiografici… in uno spazio relazionale bonificato e avulso dai contesti reali” 5.
Le istanze di mediazione didattica e gli intenti scolastici e pedagogici (in chiave interculturale) di parte delle opere letterarie per bambini e ragazzi uscite dalla penna degli scrittori migranti e volute dai loro editori, se da un lato le hanno rese più appetibili al mondo della scuola, dall’altro sono apparse “poco interessanti” e spendibili sul piano letterario. Insomma, lo scrittore migrante per ragazzi, a differenza di quello per adulti, è stato chiamato, e ancora oggi viene spesso chiamato a rispondere più sul piano dell’educazione e della promozione dell’interculturalità, che su quello della letteratura.
Ma non tutto viene per nuocere, si potrebbe dire. Lontano dai riflettori, il cammino di queste scritture si è potuto dispiegare libero da condizionamenti e da troppe attenzioni. Con i suoi pro e i suoi contro.
È questa, in definitiva, un po’ tutta la storia della letteratura per l’infanzia, sviluppatasi parallelamente e all’ombra della letteratura ufficiale, quella per adulti.
Nonostante la scarsa attenzione prestata a queste scritture, la letteratura della migrazione per ragazzi sembra avere molto in comune con quella in prospettiva adulta: alcuni autori, certe tematiche, uno sguardo tutto particolare alle storie. Una polifonia di voci variegate ed eterogenee per storie personali, sensibilità, stili e registri linguistici, che rifuggono da facili accostamenti. Benché la poetica migrante – con i suoi aspetti di “stranierità”, disorientamento e inquietudine verso se stessi – sia rintracciabile in gran parte di questi autori e nei loro scritti, essa trova forme di espressione e gradazioni anche molto diverse da autore ad autore, fino a divenire, in alcuni di essi, una delle molteplici componenti del proprio immaginario letterario, e talvolta neppure quella più significativa.
Ciò nonostante la letteratura italofona degli stranieri in Italia per bambini e ragazzi ha al suo attivo alcune prove letterarie importanti. Alcuni autori hanno ottenuto un successo, di critica e di vendite, incomparabile con gran parte degli scrittori migranti che hanno scritto per adulti: libri tradotti in varie lingue in Europa e nel mondo.
Il fatto che questo pomeriggio, in questo importante convegno, sia presente anche la produzione narrativa per ragazzi dei migranti, e che, ad esempio, nella rivista “Andersen. Il mondo dell’infanzia” apparirà per la prima volta (marzo-aprile 2011) un lungo contributo su queste scritture, è davvero molto importante: è un riconoscimento a tutti quegli autori translingui che negli ultimi venti anni hanno scritto in forma esclusiva, prevalente, occasionale, libri rivolti ai bambini e ai ragazzi. Una produzione ricca di voci soliste (oltre 50 ad oggi) e di testi narrativi (circa 150): raccolte di fiabe e leggende, racconti autobiografici, storie di fantasia… Un panorama di autori che evidenzia una forte eterogeneità in termini di provenienza, lingua madre, cultura e poetica; una costellazione variegata di autori e di testi, che non consentono il ricorso a facili etichettature e semplificazioni, tali da definire una volta per tutte finalità poetiche, stili e tematiche.
Tra gli autori translingui che hanno scritto e scrivono per bambini e ragazzi possiamo distinguere almeno tre ipotetici insiemi:
- gli autori di un solo libro (è il gruppo più numeroso e caratterizzante la prima fase di produzione narrativa);
- gli scrittori migranti di libri per adulti, che hanno all’attivo anche uno o più libri/testi per ragazzi (tra cui Christiana de Caldas Brito, Ben Amushie, Clementina Ammendola, Jarmila Ockayová, Mohamed Ghonim, Viorel Boldis…);
- gli scrittori migranti che ad oggi hanno pubblicato soltanto (o in forma nettamente prevalente) opere di narrativa per ragazzi, scegliendo così la letteratura per l’infanzia quale ambito dove esprimere la propria creatività artistica. Si pensi, tra gli altri, a Paul Bakolo Ngoi, Fabian Negrin, Fuad Aziz, Georg Maag, Pierre Hornain… e a Barbara Pumhösel, che divide la passione per la scrittura per ragazzi con un’intensa attività poetica.
2. Alcuni passaggi chiave
Il primo testo rivolto esplicitamente ad un pubblico di giovani lettori è il noto libro La promessa di Hamadi di Saidou Moussa Ba, scritto a quattro mani con il giornalista Alessandro Micheletti. È il 1991: siamo nell’epoca della letteratura della migrazione “degli albori”, quando fioriscono testi “scritti a quattro mani”. Da allora in avanti la produzione per ragazzi degli scrittori migranti italofoni non si è più arrestata. Nel ripercorrere questi venti anni mi sembra che si possano distinguere almeno tre fasi di sviluppo della produzione narrativa italofana per ragazzi dei migranti.
I fase. Una prima fase con tratti ben definiti: due grandi ambiti tematici (di ispirazione autobiografica e fiabesca), con finalità prevalentemente didattiche, ristretta a poche e piccole case editrici “generaliste” (EMI, Africa’70-Vecchi…), cioè non specializzate nella produzione di testi per l’infanzia e l’adolescenza (con l’importante eccezione di Sinnos). Emerge così un’interessante differenziazione con la produzione letteraria dei migranti in prospettiva adulta: se quest’ultima, almeno inizialmente, è stata incentivata dall’annuale concorso “Eks&Tra”, le scritture migranti per ragazzi hanno trovato negli editori il loro principale “sollecitatore”. Ad alcune case editrici non sfuggì la necessità e l’importanza di proporre nuove narrazioni a carattere interculturale, più originali e intensamente vissute, considerando i bisogni degli educatori e degli operatori scolastici connessi alle trasformazioni che si stavano producendo nel paese e nella scuola per effetto delle migrazioni internazionali. Le storie personali e quelle provenienti da ogni angolo del mondo in pochi anni erano giunte a noi, portate dai migranti: bastava soltanto offrirgli una possibilità per disvelarsi.
Questi due generi letterari – racconto di testimonianza e fiabe e favole della tradizione – ricorrono in forma pressoché esclusiva negli scritti per ragazzi dei migranti fino alla fine degli anni Novanta: sono espressione di un bisogno immediato di raccontare e raccontarsi, di testimoniare la migrazione, di immergersi nelle tradizioni culturali del Paese di origine e gettare un ponte di conoscenza reciproca con la società di accoglienza. In genere si tratta di testi che nascono con una chiara finalità didattica e che trovano nella scuola l’interlocutrice privilegiata, ancorché non esclusiva. Questa prima produzione si caratterizza inoltre per essere prevalentemente “eterodiretta”, talvolta è presente un coautore oppure è orientata e sospinta dall’editore e dal curatore della collana che contribuiscono variamente a dar voce ai migranti.
A questo prima fase appartiene la bella raccolta di fiabe “I racconti di Mahi della savana” (Africa ‘70, 1996) di Michel Koffi Fadonougbo; nonché, sempre nella medesima collana, il libro di esordio dell’italo-congolese Paul Bakolo Ngoi, Un tiro in porta per lo stregone (Africa ‘70-Vecchi, 1994), di cui da tempo si attende la ristampa. Scritto a soli ventidue anni, il libro evidenzia subito le doti e le capacità di questo talentuoso scrittore: ritmo e agilità nella costruzione della storia, sguardo malinconico condito da una buona dose di ironia. Una scrittura nitida, apparentemente semplice, una scelta narrativa in cui vissuto e passione si trasformano in invenzione letteraria.
II fase. L’avvio di una seconda fase è annunciata sul finire degli anni Novanta, con la pubblicazione dei libri di Georg Maag (Il misterioso viaggio nel Medioevo, Piccoli, Torino, 1997) e di Jarmila Ockayová (Appuntamento nel bosco, EL, Trieste, 1998). Essa lancia un duplice segno premonitore: l’interesse per queste scritture da parte di autori migranti già conosciuti nella letteratura “ufficiale”, come Ockayová, e l’accesso all’editoria specialistica per ragazzi. È tuttavia negli anni successivi, dall’inizio del Duemila, che questa nuova fase giunge a maturazione e si rafforza con l’uscita di libri importanti di Paul Bakolo Ngoi, Christiana de Caldas Brito, Pierre Hornain, Fabian Negrin: le loro opere ampliano il ventaglio di generi e temi affrontati; si emancipano finalmente da un’idea educativa-didascalica della letteratura per ragazzi e da un orizzonte rigidamente “interculturale” (nelle motivazioni e nella destinazione); propendono per una scrittura più ricca e accurata, complessa e artistica, una prosa scorrevole, dal ritmo veloce e incalzante; evidenziano uno sforzo di innovazione nello stile e nel linguaggio; sono pubblicate (anche) da prestigiose e raffinate case editrici per ragazzi e talvolta da alcuni grandi editori (orecchio acerbo, Editions Du Dromadaire, Coccole e Caccole, La Biblioteca Junior, EL, Fabbri).
È ancora significativa, ma in diminuzione rispetto al periodo precedente, la produzione di fiabe e favole (ora spesso in versione bilingue) e i racconti autobiografici sull’esperienza migratoria (con la citata collana di Sinnos): tuttavia, il panorama dei temi proposti si arricchisce con opere di finzione, che spesso affrontano temi importanti e “cari” a questa narrativa, quali l’incontro tra diversità che può generare conoscenza e riconoscimento, ma anche conflitto e lontananza; il cammino faticoso dell’integrazione di chi proviene da altri paesi e tradizioni culturali, fatto di sofferte ricomposizioni identitarie, mai banali e univoche; di storie capovolte che rivisitano e decostruiscono alcuni classici della tradizione letteraria popolare. Si tratta di cambiamenti importanti che riguardano le tematiche, le storie, la scrittura. Alcuni autori migranti già noti per aver pubblicato libri e racconti per adulti, si cimentano con buon esito nella letteratura per ragazzi, come le citate Ockayová e Caldas Brito, o come Clementina Sandra Ammendola. In questa fase emergono alcuni scrittori migranti per ragazzi che si dedicano esclusivamente, e con più prove, a questo ambito letterario.
Dagli inizi del Duemila hanno poi iniziato a scrivere anche i figli dell’immigrazione, nati, cresciuti e scolarizzati in Italia che scrivono, dunque, a partire da un universo culturale e linguistico eminentemente italiano. Si pensi, per citare la più brava, ai romanzi di Randa Ghazy che parlano di identità culturale, libertà religiosa e volontà di integrarsi senza dovere per questo sottostare a facili etichette.
III fase. Sul finire del 2006 si registrano alcuni segnali di attenzione alle scritture migranti per ragazzi da parte di studiosi e operatori della letteratura italofona per adulti6. Le nuove prove narrative di Ngoi, Fabian Negrin, Elham Asadi, Fuad Aziz, Pierre Hornain confermano la presenza di un gruppo di autori appassionati alle scritture per ragazzi. A questi si aggiungono i convincenti esordi di Barbara Pumhösel e, più di recente, di Viorel Boldis e Alicia Baladan. Per queste scritture prende così avvio una fase più matura e di consolidamento.
Si evidenzia poi un ritorno alle pubblicazioni firmate a quattro mani, a quella co-autorialità che aveva caratterizzato la prima stagione della letteratura della migrazione, benché, ad uno sguardo più attento, la responsabilità della scrittura di tali opere è dell’autore italiano7. E’ evidente che adesso, dopo vent’anni di scritture migranti, queste pubblicazioni a quattro mani assumono tutt’altro significato.
3. Sugli aspetti linguistici delle scritture per ragazzi
Vorrei adesso soffermarmi sugli aspetti linguistici di tali scritture. Va subito detto che questa sottolineatura appare meno feconda per le scritture migranti destinate ai più piccoli. Nella letteratura per l’infanzia, in genere, il linguaggio scritto si fa più controllato, più semplice, fruibile, meno propenso all’invenzione, alla sperimentazione e alla trasgressione linguistica e grammaticale, all’introduzione di un linguaggio ibrido, a ricerche espressive forzate ai limiti della leggibilità. Un linguaggio semplice e trasparente tuttavia, “non significa necessariamente ‘banale’ o ‘non costruito’, ‘non elaborato’”. Anzi, nella letteratura della migrazione per ragazzi troviamo autori che non hanno rinunciato a sperimentazioni linguistiche, a giocare con le parole, alla contaminazione tra diversi registri linguistici, ad una accurata ricerca linguistica, mai fine a se stessa o compiaciuta. Si considerino i giochi linguistici di Fabian Negrin, costruiti intorno alla musicalità delle parole, a rumori semantici e sonorità inusuali. Si pensi a certi volumi della collana “I Mappamondi”, laddove la costruzione linguistica si fa meno tradizionale, e le parole della lingua di origine – non tradotte perché intraducibili o ritenute dall’autore intraducibili in quel contesto – si mescolano con le italiane, rendendo più ritmato e genuino il racconto (vedi Racordai di Maria de Lourdes Jesus); o dove l’incontro tra due lingue (materna e italiana) genera una mescolanza linguistica, ricca di neologismi e parole meticce altamente evocative (come in Lei che sono io di Clementina Sandra Ammendola). E infine, passando ad una autrice nata in Italia da genitori immigrati, si consideri il primo romanzo di Randa Ghazy, Sognando Palestina, costruito come una sorta di “rap” incessante e claustrofobico.
Certo, sappiamo che l’apprendimento di una lingua scritta (e di una scrittura letteraria) non può che essere lento, graduale e guidato; gli autori translingui per ragazzi hanno sempre ricercato senza farne mistero, soprattutto nelle prime prove letterarie, un confronto costante con madrelingua italiani, dai quali hanno ricevuto (e ricevono) aiuti e consigli. E sappiamo anche che l’editing a cui essi devono sottostare – a cui devono sottoporsi, in generale, gli autori di testi per ragazzi – talvolta è pesante e può rivelarsi invasivo. Eppure, questi autori hanno offerto e offrono un contributo originale ad una “lingua viva”, inventano e aggiungono parole nuove, ne riprendono altre vecchiotte, cadute in disuso.
Negli scrittori migranti, anche in quelli che scrivono per bambini e ragazzi, la nuova lingua subisce “un processo di deterritorializzazione, alchimia, tensione interna che si può esprimere in due modi, quello dell’aggiunta e quello della sottrazione. Il primo tende ad arricchire la lingua adottiva, caricandola di immagini, artifici, metafore; il secondo tende, al contrario, a scarnificarla, rendendola più essenziale e sobria. Alcuni ‘scrittori migranti’ si esprimono per accumulo e stratificazione di significati, rimandi, evocazioni; in altri, l’incessante traduzione interiore porta piuttosto alla semplicità e al rigore”.8
Tende ad arricchire la lingua adottiva, a introdurre metafore e immagini Pierre Hornain, scrittore e poeta di origine francese, autore di libri per bambini, che insieme alla compagna Florence Faval, autrice delle illustrazioni, ha dato vita nel 2000 alle Editiones du Dromadaire, a Venezia: una coppia di artisti che ha meritato attenzione e consensi per la raffinatezza e l’originalità del loro progetto editoriale.
L’autore ricorre ad un linguaggio preciso e curato, originale e ricco di inventività, dove le parole si incontrano creando effetti e immagini inusuali. Per questo linguaggio poetico, evocativo e introspettivo, per l’uso frequente della metafora, i testi di Hornain non sono testi facili. Ci inducono, e inducono il giovane lettore, a dei “viaggi pensosi”: richiedono attenzione, disponibilità, sensibilità, apertura, introspezione. Talvolta occorrono più letture per scoprire tutte le idee che ci sono dentro e per assaporare il suono delle parole e il calore delle immagini.
“Certo, prima che l’ascensore arrivi al 49esimo piano, dove lo aspetto, ci vuole un bel po’ di tempo”, pensa Michele nel racconto “Il cavallo di Michele”. E in questa attesa…
“Sono parole difficili, ma aiutano a comprendere le cose complicate della vita” scrive e si confida Lea in una lettera all’amica Chiara, in Io credo (2007), uno dei libri più belli e intensi della coppia veneziana, e forse la riflessione di Lea-Pierre è rivolta a tutti i loro lettori, giovani e adulti.
È difficile dare per scontate le parole quando si scrive in una lingua straniera, e Hornain era consapevole di lavorare con materiali non familiari, da cui discende questa grande accuratezza nei dettagli, nell’uso delle parole. Questa sua lingua colta e asciutta e intensamente poetica è il frutto di un attento lavoro sul testo.
Un lavoro intenso e faticoso sulla nuova lingua, per impadronirsene. Vale per Hornain quanto ha osservato Steven Kellman nel suo importante studio sulla letteratura translingue: “L’uso costante di una lingua nativa automatizza la scrittura, riduce le parole a delle formule povere di forza espressiva. Ma una lingua straniera non permette allo scrittore, o al lettore, di dare nessuna frase per scontata […] Per gli autori translingui nessuna espressione può essere automatica. Costretti a concentrarsi parola per parola su ciò che scrivono, essi forzano allo stesso tempo il lettore a prestare attenzione all’insulsaggine di tanta nostra verbosità”.9
Hornain muore improvvisamente nel 2007, a soli 49 anni, se ne va in punta di piedi, come schiva e riservata è stata la sua vita. Ci lascia più di una decina di albi illustrati, proprio nel momento in cui la sua maturazione stilistica e linguistica aveva raggiunto il livello più alto. Con lui è scomparso il primo poeta migrante italofono per bambini e ragazzi. Del suo mondo poetico rimane impresso l’uso sapiente e raffinato della nuova lingua, che genera curiosità e sollecita connessioni; una trepida magia e le atmosfere sospese che ricorrono costantemente nei suoi lavori; le sonorità e i colori che si sprigionano dai testi popolati da parole logore, desuete, evocative, a volte difficili, ma sempre pertinenti.
4. Una “nuova casa” di parole
L’apporto di questi autori alla letteratura, alla narrativa per ragazzi è un apporto inedito e originale per la storia letteraria del nostro Paese.
Vi invito, ad esempio, a mettere a confronto, in una sorta di incrocio di sguardi, la produzione scrittoria per ragazzi degli autori translingui e quella degli autori “autoctoni” sul tema e i soggetti dell’immigrazione. Come hanno fatto splendidamente, per la produzione rivolta agli adulti, Maria Cristina Mauceri e Maria Grazia Negro in “Nuovo immaginario italiano”.
È con profondo rispetto che ci avviciniamo alle storie narrate in questi libri: storie personali, a sfondo autobiografico, storie di fantasia. In questo raccontare e raccontarsi attraverso le nuove parole, gli scrittori della e nella migrazione si trovano a portare a galla parti di sé e a ricomporne altre. Si pensi al magnifico racconto “Il fazzoletto bianco” dell’italo-rumeno Viorel Boldis, uscito a fine settembre 2010 presso Topipittori, un prestigioso editore per bambini e che sta meritando un inedito riconoscimento di critica e pubblico.
Il testo, scritto alla fine degli anni Novanta – vincitore di un concorso di letteratura e poi apparso su giornali e riviste web di letteratura della migrazione –, è un intenso e struggente frammento autobiografico, un racconto sul distacco e il ritorno, sul ritrovarsi. Una lettura altamente coinvolgente, capace di emozionarci e farci sentire partecipi di una storia, al contempo, individuale, familiare e collettiva. Scritto originariamente per un pubblico adulto, adesso proposto da un editore “per bambini”, il libro in realtà è un picture book senza un’età di lettura ben definita: dai 6 ai 99 anni. È dunque un nuovo libro e non una semplice riedizione di un racconto già noto. E non mi riferisco al lieve editing a cui è stato sottoposto il testo (rispetto alla versione precedente sono state cambiate solo alcune parole, nulla di più). Difatti, accanto alla narrazione testuale il libro presenta delle splendide tavole illustrate con la tecnica xilografica bianco e nero della compianta Antonella Toffolo; tavole che appaiono cupe rispetto ai colori che sprigionano dai ricordi di Boldis, almeno nella prima parte; ma che preparano sapientemente quell’atmosfera claustrofobica e solitaria, fatta di attese e timori, che respiriamo nel ritorno a casa.
Il lavoro dell’illustratrice ha almeno due pregi che rendono questo picture book davvero speciale. Da una parte, si opera un parallelismo tra il testo scritto e la tecnica iconografica adottata: al lavoro di ricomposizione e di scavo nella memoria dell’autore, Toffolo risponde con un impegnativo lavoro volto a far emergere le figure dal nero della tavola. Dall’altro, le immagini bianco e nero proiettano la narrazione in una dimensione onirica, che nelle pagini finali assume le forme di un incubo: la paura di non essere accolto, accettato, riconosciuto. Ma nella dimensione onirica l’interpretazione del racconto si dilata, si arricchisce di più significati: oltre al topos poetico del ritorno che risale agli albori della letteratura (come ci ricorda anche il recente libro di Raffaele Taddeo), il testo è un invito per noi a entrare nel cerchio del dialogo, a incontrare, accogliere, riconoscere l’altro che sta ancora sulla soglia o l’ha varcata. A noi, che abitiamo la sua nuova “casa”, Boldis tende la mano e ci invita a esporre il fazzoletto bianco dell’ospitalità10.
Questa moderna favola del figliol prodigo, di un figlio delle migrazioni, di ieri e di oggi, è una magnifica testimonianza dell’apporto degli autori migranti alla letteratura – e alla narrativa per ragazzi –, un apporto inedito e originale per la storia letteraria del nostro Paese. In questo raccontare e raccontarsi attraverso le nuove parole, impegnati in questa impresa profondamente interculturale di “tradurre”, gli scrittori della e nella migrazione si trovano a portare a galla parti di sé e a ricomporne altre: per loro – in modo così unico e peculiare – un libro è davvero un “nido” tessuto di parole, come scrisse Syria Poletti, scrittrice di origine friulana emigrata in Argentina e autrice di alcuni libri per bambini:
1 P. Boero, C. De Luca, La letteratura per l’infanzia, Laterza, Roma-Bari, 2006 (12° edizione), p. vii.
2F. Butler (a cura di), La grande esclusa: componenti storiche, psicologiche e culturali della letteratura infantile, Emme, Milano, 1978.
3A. Ascenzi, La letteratura per l’infanzia allo specchio, in A. Ascenzi (a cura di), La letteratura per l’infanzia oggi, Vita e Pensiero, Milano, 2002, p. 87.
4L. Luatti, E noi? Il posto degli scrittori migranti nella narrativa per ragazzi, Sinnos, Roma, 2010.
5G. Favaro, Al crocevia degli incontri, in G. Favaro, L. Luatti, Il tempo dell’integrazione. I centri interculturali in Italia, FrancoAngeli, Milano, 2008, p. 104.
6Mi riferisco, ad esempio, al libricino Il Carro di pickipò (Ediesse), una raccolta di racconti per bambini e ragazzi scritti da autori migranti per adulti, promossa e co-curata da Raffaele Taddeo, nonché alla previsione nel concorso “Eks&Tra” (edizione 2007) di una sezione dedicata agli scritti per ragazzi.
7Si pensi ai molti libri scritti da Sofia Gallo, costruiti a partire dal racconto orale di alcuni migranti, pubblicati da Sinnos e EDT-Giralangolo di Torino, oppure ai libri di Antonella Ossorio e Adama Zoungrana, di Luigina Battistutta e Mor Sow.
8G. Favaro, “Amo in una lingua che non imparai da mia madre”. Che cosa vuol dire per le famiglie immigrate imparare la lingua italiana?, in “Animazione sociale”, n. 228, dicembre 2008, p. 81.
9S. Kellman, Scrivere tra le lingue, Città Aperta, Troina (En), 2007, pp. 46- 47.
10C’è anche una “vera storia” del fazzoletto bianco. Me l’ha raccontata Boldis e d’accordo con lui l’ho pubblicato sul numero di novembre 2001 di “Andersen. Il mondo dell’infanzia”.