Notte di settembre,
notte stanotte,
ventinove volte
notte.
Attraversati da un dolore blu come una pallottola,
mentre la riva va e diventa bella,
come se la raccontassero quelli rimasti a quelli partiti,
che non li possono sentire.
Notte,
indietro canto avanti coltello,
passata a baciarci,
a contare le stelle e a dividercele fino all’ultima,
per tutti e due una sola.
Io sono lui dentro la luce della sigaretta,
lei ha la sabbia sulle labbra, le parole come petali,
le dico “non dire nulla”, le dico
“facciamo un figlio, ora, prima che parta”,
io sono lei : entro nella luce di lui,
la stessa della stella,
del mare che torna con vetri,
torna con conchiglie, torna.
Notte,
che cambi i disegni delle comete per fare posto agli dei della vita,
al suo impossibile morire anche mentre accade eppure non è,
ancora, mai, nel modo pensato,
di cui abbiamo avuto paura.
Fino all’ultimo io sono lui,
un cerchio sulla spiaggia dove non entra il vento,
lei piena di cuori sulla pelle, piena di uccelli,
la bacio, la copro di mani, di conchiglie, di cielo, di piante,
della voce di mia madre,
fino all’ultimo io sono lei,
un cerchio sulla spiaggia dove non entra il vento,
lui pieno di barba, di valigie,
lo bacio, mi lascio essere la terra che lo coprirà, il dopo dei suoi semi,
del suo canto, delle sue piante bellissime, della voce di sua madre.
Poi però io mangio il gelato, rido, straparlo, nuoto come un pesce,
e io mi nascondo nella stiva,
naufrago, bevo acqua, muoio preso a calci e a pugni,
finisco nella plastica di un sacco con la cerniera.
Poi però io ho fame, ho freddo, son nervosa,
non vedo l’ora che tu parta, che torni anzi di raggiungerti,
di dimenticare questa notte,
stanotte ventinove.
Lullaby
Bambino
mio,
io,
io tu,
il vento del cavallo nudo su cui noi,
io e tuo padre,
siamo saliti impiastricciandoci di cielo,
tutte le voci di quella sera e il partire,
in fila dalla spiaggia,
le parole nella stiva della mente le onde,
l’acqua arrabbiata che ci spingeva a spintoni.
“Dandini dandini dastana, bambino dalle piume di seta”,
la mia voce ha gli occhi chiusi,
ha il ritmo che ha la città lasciata,
nella notte più giovane e più vecchia
in cui io e tu,
io tua madre,
io e tuo padre.
Il 21 marzo, dicono le poesie.
Quella sera la sua saliva,
le sue dita su di me,
azzurra per lui,
a stropicciarci all’albero,
alla sabbia.
Volevamo andare ad abitare nella casa dopo l’Adriatico,
volevamo salire sulla zattere di lana e comprarti un amuleto.
E il vento aveva preso a venire dall’Orsa,
ci soffiava i suoi fili d’oro e tesseva il disegno delle cose.
“Dandini dandini dastana”,
bambino.
C’era una volta una volta c’era,
come una canzone che non sta nella sua misura.
Il vuoto quel giorno si apriva per farmi passare i capelli,
per farmi arrivare da lui
nel grande del grande del giardino,
e i cavalloni arrotolati come foglie ci nascondevano,
nascondevano i nostri baci,
nella notte del cuore,
mentre una moneta d’oro rotolava
e arrivava la canzone :
di seta,
di piume,
di bambino il bambino.
La notte vola, la nave vola, la spiaggia vola.
Ho sale e cenere, un lupo lontano,
la mano del mare
sulla bocca :
dice “ stai ferma”, “stai zitta”,
dice “finiscila o ti sparo”,
e tu scalci, scalci e non esci, forse dormi forse sogni,
nell’acqua in fondo all’acqua in fondo al mare,
come un canto di vetro
nella casa delle orecchie :
“dandini dandini dastana”,
bambino,
mio,
mio io,
“per essere un giorno bisogna dormire,
dormire e rinascere e rinascere,”
mentre io azzurra per lui,
le sue dita su di me,
il suono di una moneta d’oro, la canzone.
Nostos
Tutto è finito, si torna a casa.
Hai perso sangue azzurro.
I brividi e la febbre parlano davanti alle telecamere,
hanno conficcati uccelli,
lo stomaco:
“finché fa male non puoi morire.”
“Una volta all’anno la notte”
una volta dicevi
“lasciamo aperte le porte, aperto tutto
e andiamo ad occhi chiusi fuori ad aspettare,
aspettare il vento.”
Ma l’aria immobile ora
sa di sale,
dissenteria.
China sul lavabo,
gli occhi pesti,
i calmanti e il cucchiaio,
la chiave in mano,
le luci a doccia,
troppi respiri,
troppo poco spazio pieno di capelli,
troppe dita che pettinano il vuoto lasciato dal tuo bambino,
troppi vassoi di riso rovesciati,
scagliati lontano.
Non riesci a dormire,
non bevi,
non ti lavi da addosso il mare,
il sogno di partire con le nausee,
le voci dell’infanzia che rientrano da dove erano venute
senza essere diventate grandi,
il vuoto di tornare in stanze che hanno ucciso……..