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quasi classiche

martina chiari

Quasi classiche

Ante te natum, in questo stesso luogo,

Ante te natum, in questo stesso luogo,
non ricetto di libri, ma parcheggio
di biciclette e sogni adolescenti,
un altro come te
mi sedeva di fronte
(ισοϛ κενος θεοισι per riandare
memorie dolorose),
le guance scavate dal sogno,
gli occhi come i tuoi avevano visto
un momento nel sole
dell’avvenire – forse è per questo che adesso
sollevi la mano per farti
solecchio – e tremavo, amico
non più borghese, non più sotto-
proletario, ma solo
sotto-disperato
pari mio...
Ora non tremo più, non sono
più verde dell’erba
e non mi bussa il rombo
del sangue cupo agli orecchi.
Sono già morta,
da molti anni dopo la sua morte.
Solo la lingua è sciolta, non si spezza
e te ne insegno (in me segno)
il verbo i verbi,
agile feroce lingua morta.

La lingua ha le sue forme

La lingua ha le sue forme
– quella che dicono mia congiuntivi,
imperfetti, condizionali –
per predicare desideri
esortazioni ipotesi speranze.
Ma il desiderio vero non ha lingua,
è l’assenza di lingua
di una speranza senz’occhi e senza
gli orecchi e nostalgia è una parola
senza la cosa, una lingua
senza alcun corpo. Mi provo
di compitare un ricordo
col corpo e di offrire
le labbra al silenzio
che ti possiede. Mi provo
di essere il corpo
della tua lingua. Mi provo
di fare di un tuo desiderio
l’utinam, l’ειθε reali
di una parola viva:
flatus dentro una voce.
Ma solo una lingua discesa
negli inferi conosce l’inferno,
solo una lingua discesa
in te ti conosce,
la lingua in me discesa
che è stata sepolta come seme.
E ogni ipotesi non si verifica
che nella verità del dolore,
in corpore vivi, e il dolore
non ha parola e la parola
è dolore tra le mie labbra e la tua
lingua, tra le tue labbra e la mia
lingua. Non spero più,
non prego, non scongiuro:
sono certa che l’abisso
di nulla e passato è la terra
in cui noi fioriamo. E la grammatica
della mente non mente,
non ha congiuntivi ma solo
separativi e i suoi condizionali sono
inesorabili; vi domina un tempo
soltanto: quello umano, mortale,
l’imperfetto.

Non starmi in ginocchio davanti,

Non starmi in ginocchio davanti,
ché tu sei ombra e ombra
vedi e non c’è scampo
o rifugio tra queste
tavole bianche, né posso
abbracciarti le spalle
e la testa a levarti:
tra noi non ci sono che labbra.
Ma il tuo silenzio è il tocco
delle dita trovate,
la mia parola il corpo
della pelle di miele.

E i molti passanti
continuarono a passare,
la sirena dell’Ade a suonare
il suo turno feriale,
Caronte in ufficio non mosse
nemmeno le ciglia,
ma il casto poeta li aveva
fottuti perché
la sua lingua dei morti
aveva un momento incontrato
i corpi dei vivi.

E adesso non starmi in ginocchio davanti:
non essere l’ombra
dell’ombra che vedi.

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Anno 7, Numero 31
March 2011

 

 

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