El Ghibli - rivista online di letteratura della migrazione

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misticismo e sitema sociale

chiara barison

Magia e stato sociale; marabutti, talibé, prime, seconde, terze mogli in guerra; giovani innamorati che vogliono imprigionare giovani fanciulle, yaye drianke alla ricerca di gri gri da spedire in Europa ai figli emigrati, commercianti desiderosi di avere intrugli magici che possano garantire un numero sempre crescente di clienti.
Il Senegal è misticismo, inutile tentare di sottrarsene. Qui tutto è velato di magico o di supposto tale. La vita, la politica, il lavoro, le relazioni, lo sport suonano tutti alle porte di infiniti marabutti che, a loro volta, si faranno carico delle sorti della vita, della politica, del lavoro, delle relazioni, dello sport di un intero paese.
Qui tutto si spiega grazie alla potenza di qualche grande marabutto, la pioggia dopo mesi di siccità, la gravidanza di una donna che si pensava sterile, la vittoria di un lottatore, l'aumento del guadagno di un'impresa, un matrimonio riuscito, il divorzio del proprio marito da una delle mogli concorrenti, la partenza di un figlio, le disgrazie di un vicino così odiato, la malattia di un parente. Inutile dibattere ore sulle possibili spiegazioni logiche e razionali. La maggior parte dei senegalesi e anche una buona parte di stranieri trapiantati sul posto crede fermamente che esistano persone che hanno un qualche potere speciale e che con questo potere speciale siano in grado di cambiare le sorti di una o più persone.
Naturalmente anche dietro la magia un business di non poco conto. Le persone spendono soldi, tanti soldi per cercare di realizzare misticamente il sogno che inseguono, sia esso benevolo o malevolo.
Se poi questo obiettivo verrà raggiunto, il marabutto di turno sarà ricoperto d'oro e di regali.
I marabutti qui sono vere e proprie autorità che seduti a gambe incrociate nelle loro stanze aspettano di ricevere cliente dopo cliente.
Hanno tutti un'aura quasi sacra, ibridi a metà tra Buddha grassocci, maghi thelma, vanne marchi, preti, papi, patrigni cattivi, suore d'asilo con il dito puntato e padri pio resuscitati.
Tutti sempre pronti ad aiutare il prossimo, basta che questo prossimo sia pronto a pagare e a seguire con puntigliosa attenzione le istruzioni che gli verranno dettate.
Da Pikine a Mermoz, da Saint Louis a Tambacounda non c'è posto dove non sia possibile scovarne uno. Ormai i marabutti sono talmente evoluti che mettono annunci su giornali del tipo 'potente marabutto risolve problemi di coppia, di lavoro e (udite bene) pure di impotenza. Solo su appuntamento', inserito tra annunci di giovani donne nere di 1.90 che cercano mariti toubab maturi e giovani uomini che offrono massaggi a quattro mani completi.
Proprietari di macchine di lusso, case e appartamenti, viaggiano sempre a spese di clienti generosi a cui hanno esaudito sogni e desideri, pernottando in stanze dove non manca proprio nulla, tv al plasma, divani in pelle, letti da mille e una notte.
Ognuno indirizza l'amico, il parente, il vicino dal marabutto più in voga al momento o quello da cui va la zia, la nonna, la cugina, l'amica del fidanzato della vicina, 'lui si è forte, è un feticista del Mali, lui ti può fare un lavoro che non appena toccherai la mano di una persona, questa farà tutto quello che tu le dirai di fare', oppure 'devi andare in Casamance, lì si ci sono i marabutti quelli forti, alcuni ti danno dei gri gri da attaccare in vita che anche se cercheranno di pugnalarti la lama non entrerà nel tuo corpo'.
Certo, per noi europei la cosa fa sorridere eppure tante sono le situazioni al limite tra reale e surreale. Vivere qui porta a pensare che alcuni di questi marabutti conoscano davvero ciò che si cela dietro le nostre anime.
Sono andata anche io dai marabutti, per curiosità e anche per convinzione, dopo un susseguirsi di infinite sfighe e voci che si susseguivano mi è venuto automatico pensare di essere vittima di qualche marabuttaggio da parte di uno spasimante o anche solo di una delle tante, numerose persone gelose, invidiose o semplicemente cattive. Meglio proteggersi, come dicono qui. E allora via, alla ricerca di queste entità mistiche che indagano, chiedono, osservano, scrivono, richiedono nomi di persone, madri e padri, ancora scrivono, meditano per giorni, sognano, ti raccontano cos'hanno sognato, ti danno gri gri da attaccare alle braccia, al negozio, da mettere sotto il letto, bottiglie contenenti intrugli sporchi e puzzolenti con sui lavarsi mattina e sera e tutta una serie di sacrifici da portare a termine.
Finché il marabutto si fa pagare uno, due o tre euro il gioco mi diverte pure, così come quando scrive nomi in bigliettini vari o mi da cose da appendere o da spargere qua e là, poi quando iniziano a fare la loro lista spesa, 'devi comprare un montone, due polli, un sacco di riso, cinque litri di vino' allora lì mi scoraggio, mi dico 'e che cazzo, certo, così fai la festa a casa tu, le tue tre mogli e pure tutti i tuoi vicini'.
A quel punto lascio, annuisco, prometto che tornerò e me ne vado con la coda tra le gambe con la tristezza che nemmeno questa volta diventerò professoressa alla Sorbona o che il mio ex fidanzato decida all'improvviso di sposarmi.
Uscendo dalle stanze, code lunghissime di persone in attesa. Nella mia mente i ricordi dell'Italia e dei miei amici senegalesi, le case piene di bottiglie con rami strani, gri gri nascosti nei cassetti, sabbia gettata a terra e amuleti vari. E mi viene da ridere pensando a Bamba che sbuffava ogni volta che uno dei cugini tornava dal Senegal distribuendo gri gri a tutti, 'che palle mia mamma ogni volta mi manda i suoi mille gri gri che vuole che metta, ma che si li metta lei'.
Al contrario del mio amico Bamba, la maggior parte dei senegalesi porta oggetti vari legati alle braccia o alla vita che poi abilmente levano e appoggiano nei comodini prima di fare l'amore con mogli, amanti, amiche, amiche delle mogli. Anche la magia, come la religione è pudica.
Reale e surreale, razionalità e istinto, visibile e invisibile. Non fatemi la domanda banale se io creda o meno alla magia, tanto non ve lo dirò e non darò neppure giudizi in merito, ognuno è per me libero di spiegare l'inspiegabile con ciò che ritiene più vicino al suo modo di essere. L'idea che ho coltivato da tempo è invece un'altra. E se la magia qui in Senegal fosse una sorta di sistema sociale?
Mi spiego meglio. Che sia un business redditizio questo è innegabile, soprattutto per le tasche dei marabutti e delle loro famiglie. Eppure c'è qualcosa dietro i sacrifici che mi fa spezzare una lancia in loro favore.
Spesso i sacrifici chiedono l'acquisto di cibarie varie e non tutte queste cibarie sono destinate ai maghi thelma senegalesi. Sacchetti di latte cagliato, pentole di riso e thiakry, carne, candele, cola, zucchero, sale e latte in polvere devono essere distribuiti a seconda dei casi e con modalità differenti a persone bisognose nella strada, piccoli talibé scalzi, donne anziane, completi sconosciuti.
La mattina osservo sempre i barattoli dei bimbi che chiedono l'elemosina, contengono di tutto e quel tutto sono sacrifici compiuti da persone che, incrociando le dita, hanno riposto i loro sogni nelle mani di uno o più talibé.
Considerando che ogni giorno il marabuttaggio è una della attività più dinamiche del paese, questo mi porta a pensare che un sacco di gente, ogni giorno, comprerà cibo ed oggetti che ridistribuirà per strada ad altrettante persone che magari proprio quel giorno ne avevano bisogno.
E così alcuni bambini si ritroveranno a mangiare thiakry o latte cagliato per colazione, vecchie signore povere si ritroveranno con mezza pecora tagliata tra le mani, un kilo di riso o cinque sacchetti di zucchero.
Mi piace pensare che la solidarietà che fa delle reti sociali senegalesi quelle tra le più dense e coese, si sia estesa fino a toccare l'ambito mistico. D'altronde si sa, i senegalesi sono famosi in tutto il mondo per riciclare e rimettere in commercio qualsiasi cosa. Una grande ed efficiente macchina sociale che fa invidia ai nostri sistemi europei.

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e se bossi

chiara barison

Non so come mai quel giorno ho deciso che sarei tornata con il clandò che porta a Dior. In generale, nei giorni di particolare traffico, la sera, da Sandaga preferisco prendere quello che va verso Case Bi e fermarmi nel mio vecchio quartiere per parlare con gli amici di fronte alla Brioche Dorée.
Quella sera no. Impossibile trovare un solo clandò libero, sia per Dior che per Case bi. Allora, consigliata da un gruppo di signori di mezza età in giacca e cravatta, ho preso un clandò verso Patte d'Oie. 'Da lì scendi e ne prendi uno per Yoff' mi dissero. Come al solito il mio viaggio in clandò era stato interessante, un salotto di discussione in cui si sono affrontati differenti tematiche, dal disagio giovanile, alla mancanza di educazione civica, alle prossime elezioni presidenziali. Salutato il gruppo e scesa a Patte d'Oie, ho dovuto girare in tondo mezz'ora per trovare un clandò che partisse nella mia direzione. I senegalesi hanno un brutto difetto. Non possono dire no. E non possono dire che non sanno. Allora dicono sempre sì, che sanno tutto quello che tu chiedi e sanno fare tutto quello di cui tu hai bisogno. Chiedi un'informazione su una direzione? Sappi che nel 90% dei casi non sapranno dov'è ma ti indirizzeranno da qualche parte. Verso dove, poi chissà. E quindi ho girato e girato in tondo, sono salita e scesa da almeno due clandò parcheggiati, finché mi sono ritrovata su quello buono. Come al solito la macchina era scassatissima, nessuna manopola per aprire il finestrino e il solito autista 'roots-underground' con il bastoncino tra i denti. Ricordo che ho messo su le mie cuffie e ho canticchiato per un bel pezzo di strada. Ad un certo punto una telefonata dall'Italia. Chiuso il cellulare, una voce da dietro 'sei bolognese?'. Ecco, penso, un altro senegalese che deve mostrare a tutti che parla italiano, che è stato in Italia o che è qui in vacanza. Che palle. 'No, sono di Padova' rispondo secca e parto con le domande di rito 'E tu? Quanti anni sei stato in Italia? In che città hai abitato? Da quanto sei tornato? Che fai in Italia?' Ogni tanto mi sento una maestrina all'asilo. Il ragazzo risponde tranquillo, è qui in vacanza, abita a Rimini dove fa l'ambulante e sono dieci anni che è emigrato. Non mi sono ancora girata per guardarlo. Incontro talmente tanti senegalo-italiani, come li chiamo io, che non ci faccio nemmeno più caso. Già dieci anni fa l'avevo detto alla mia relatrice di tesi. Il legame tra Senegal e Italia è forte e lo sarà sempre di più negli anni. Eppure la sua voce è diversa da tutti gli altri. Il tono non è il solito tono di chi vuole attirare attenzione. E' calmo, anzi, sembra quasi che lui mi abbia messo nella posizione di chi è ridicolo nel fare domande banali e scontate. Mi giro a guardarlo. Nel buio lo intravedo appena, è un mio coetaneo, magrolino ma con un gran sorriso simpatico.
'Mi chiamo Thierno ma a Rimini mi conoscono come Max'. 'Piacere, Chiara' gli rispondo. Mi dice che scende a Dior, come me. Continuiamo a chiaccherare, Thierno è stupito di vedere un'immigrata 'fatou fatou' italiana in Senegal, mi fa mille domande, sul perché della mia scelta, sul mio lavoro, sulle difficoltà incontrate. Poi mi racconta di lui, è di Kaolack una città a sud di Dakar, è li che vive la sua famiglia. A Dakar ha aperto due negozi, uno di telefonia mobile, dove lavora il fratello minore, anche lui arrivato da Kaolack e uno di vestiti importati dall'Italia, aperto in società con un amico senegalese di Rimini e gestito da un amico comune. 'Vieni che te li faccio vedere'. Tentenno un po', avrei un impegno. Alla fine cedo, non so perché ma Thierno ha l'aria rassicurante, simpatica. Arriviamo di fronte al negozio di vestiti e con mio grande stupore mi rendo conto che era il negozio che ogni mattina, andando a prendere il bus, attirava la mia attenzione: luminoso, carino, con dei gran bei vestiti. 'Quindi questo è tuo!' Bravo, penso. Poi scopro che Thierno è del '79, come me, ha già costruito una casa nella sua città natale e aperto due negozi. Mi sento una piccola nullità. A piedi ci dirigiamo verso la stazione di Dior. Vicino ad una delle zone snodo per eccellenza un altro piccolo negozio. In vetrina tutti gli ultimi modelli di telefonini. Dietro il bancone due ragazzi, più o meno della nostra stessa età. Sono tutti concentrati su Facebook. 'Non dovevi inviare degli articoli?' mi chiede Thierno. 'Sì, ma non ti preoccupare, poi vado al cyber'. Invece nel giro di cinque miunti fa alzare il fratello dalla sedia e mi da il suo pc. Teranga senegalese. Scrivo e nel frattempo chiacchero. L'altro ragazzo è El Hadji, l'amico con cui Thierno ha aperto il negozio di vestiti. Anche lui lavora a Rimini e anche lui è qui in vacanza. Anzi, io le definirei 'vacanze-business'. In molti ormai tornano qui per almeno due, tre mesi, chi per mancanza di lavoro, chi in congedo, chi in cassa integrazione e trafficano, commerciano, comprano, vendono, aprono attività.
La combriccola che si è venuta a creare è davvero interessante. Potere magico del clandò. 'Se non hai fretta ti mostro dove vivo, così parliamo ancora un pochino, poi ti accompagno a Yoff'. Tentenno. Non vado mai da nessuna parte con chi non conosco ma, ripeto, Thierno ha qualcosa di diverso. Decido di andare. Ci dirigiamo verso un immobile poco lontano, ben curato. E' lì che ha affittato una stanza all'interno di un appartamento di proprietà di un emigrato in Spagna. E' la moglie che affitta e gestisce la casa. E' una signorotta dall'aria simpatica, mi invita subito a cenare con lei e i bambini. La camera di Thierno è grande, tipica camera in affitto: un letto a terra, vestiti e scarpe ben ordinati negli angoli, una televisione, uno stereo e un dvd.
'Ho affittato questa stanza per mio fratello, ma quando sono qui vivo qui anch'io' poi continua 'pago 50 euro al mese, alle volte quando in Italia guadagno bene mando giù anche 150 euro così può pagare subito tre mesi'.
La solidarietà che i migranti dimostrano mi colpisce sempre. Questi ragazzi che partono all'estero e che spesso faticano, vendono per strada, sopravvivono alle mille difficoltà, riescono sempre a trovare il modo per mandare soldi a casa per aiutare i familiari. Questa caratteristica è quella che più ci differenzia da noi italiani, diventati ormai troppo egoisti, troppo legati ad una filosofia dell''ognun per sé, Dio per tutti'.
Thierno va a lavarsi poi torna. Per lui è tutto normale, come se fossimo amici di lunga data. Poi continua' Sono partito dieci anni fa, con un visto comprato. Ho pagato l'equivalente di 4.000 euro ad un cantante che è riuscito a farmi partire con lui e il suo gruppo in Francia. Pensa, in ambasciata, prima di rilasciarci il visto ci hanno fatto suonare per vedere se effettivamente eravamo musicisti'. 'E com'è finita?' gli chiedo curiosa. 'E' finita che siamo partiti, suonavo il piccolo tamburo che si usa nei sabar'. Ride, poi aggiunge 'qui tutti i senegalesi lo sanno suonare' e continua 'Ho sempre fatto l'ambulante, poi ho iniziato ad andare a vendere arte africana nei festival in giro per l'Europa. Ogni tanto torno e porto giù merce da vendere o da mettere in negozio. Se devo essere sincero non posso lamentarmi. Mi è andata bene'.
Apre un grosso borsone, è pieno di scarpe e vestiti per uomo. 'La settimana prossima vado a Kaolack, li venderò lì'. Che forza i senegalesi, sono decisamente loro i re del commercio. Come promesso Thierno mi accompagna verso Yoff, per strada si ferma a salutare i suoi amici, sono tutti di Kaolack e sono tutti senegalesi che vivono e lavorano a Rimini. Che effetto strano compie la migrazione. Essa crea legami forti e percorsi attraverso i quali le persone, i beni ma anche le idee circolano, creando sviluppo. Li osservo e li ascolto. Sono senegalesi, ma sono anche italiani, nel modo di fare, di porsi, di ragionare, di vestirsi. Loro mi osservano e mi ascoltano e mi dicono, sei italiana, ma sei una senegalese allo stesso tempo, hai lo stesso modo di fare, gli stessi gesti, lo stesso modo di vestire. Stiamo zitti un secondo, poi scoppiamo tutti a ridere. Senghor una volta disse “The Neo-Humanism of the twentieth century stands at the point where the paths of all Nations, Races and continent cross, where the four winds of the spirit blow”.
Senegal e Italia uniti indissolubilmente come sposi all'altare. Salutiamo l'allegra combriccola dei riminesi di Dior e ci avviamo. Ci conosciamo appena ma è come se ci conoscessimo da sempre. L'Italia ha creato il legame mentre l'esperienza migratoria comune ha distrutto ogni barriera che ci divideva. Non ci conosciamo, siamo diametralmente l'opposto in tutto eppure ci capiamo perfettamente. Potere positivo della migrazione, della scoperta, del viaggio, dell'incontro. 'Perché non investi nella telefonia?' mi chiede Thierno. 'A dire la verità, se avessi soldi investirei nell'immobiliare' rispondo io decisa 'comprerei un edificio e ne farei appartamenti da affittare. Questi sì che sono soldi sicuri'. Cerco di non inciampare in una buca. Thierno mi solleva per un braccio poi mi dice 'l'immobiliare è l'investimento peggiore che si possa fare in Senegal'. 'E' pazzo' penso, poi gli chiedo il perché di quest'affermazione. 'Questo è l'errore che la maggior parte dei senegalesi emigrati fa. Chi investe nell'immobiliare non solo fa una scelta egoistica ma anche dannosa allo sviluppo del nostro paese. Non è costruendo case su case che il Senegal avanzerà. La gente deve capire che c'è bisogno di creare impresa e, di conseguenza, posti di lavoro. Ecco perché io ho aperto dei negozi. Chi parte deve sapere che ha una chance che altri non hanno e deve far fruttare questa possibilità che gli è stata data affinché altri possano beneficiarne. Se io apro un'attività potrò dare del lavoro a chi non ne ha e fare in modo che possa gestire le necessità della propria famiglia. Ne guadagnerò io ma avrò fatto guadagnare anche altre persone. Questo è sviluppo ed è questo di cui il Senegal ha bisogno'.
Lo guardo e sto zitta. Penso allora a tutti i nostri politicanti ignoranti che strumentalizzano la tematica migratoria e i migranti. E se per una volta parlassero con uno di loro per sapere cos'ha vissuto e cosa vive? O se gli chiedessero semplicemente perché hanno deciso di partire? E se Bossi si facesse un giro in clandò? Me lo auguro di cuore. Io nel mio piccolo ringrazio di aver continuato gli studi e la ricerca che mi hanno permesso di vivere l'esperienza della migrazione. Non c'è nulla di più arricchente, nulla di più necessario per lo sviluppo di un popolo e di un paese. Nulla di più istruttivo per la crescita personale di ognuno.

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Anno 7, Numero 31
March 2011

 

 

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