Nota biografica | Versione lettura |
"La mia voce molteplice
che solleva questo corpo
lo porta in alto
lo invade, lo sospinge, lo trascina,
lo colma”
(Assia Djebar)
PERSONAGGI
Thomas Ruhe, linguista
Samuel Ruhe, suo fratello
Sara, una giovane donna
Prof. Wittman, direttore del dipartimento di filologia comparata
Signorina Jolie, segretaria
Djibo, un aborigeno
L’azione si svolge in una metropoli
Scena 1
Thomas Ruhe arriva a casa dopo un lungo viaggio.
Verifica i messaggi nella segreteria telefonica.
Mentre li sente, disfa la valigia. Le sue sono solo reazioni.
VOCE DI SARA: Thomas? Thomas! Rispondi. Lo so che ci sei. Non parlavo sul serio. Davvero.
Sai che non avrei mai fatto una cosa del genere. Le persone dicono cose brutte quando sono
arrabbiate. E’ normale, no? Possiamo parlare? Possiamo parlare come adulti? (Pausa. Butta giù.
Bip. Altro messaggio) Thomas, richiamami, per favore (Bip. Altro messaggio) Thomas… Questo silenzio... non ce la posso fare. (Bip. Vuoto. Bip. Vuoto. Bip. Vuoto. Altro messaggio. Arrabbiata)Basta con questa stronzata. Tutto questo non ha senso. Ti stai comportando come un bambino.Chiamami, cazzo. Chiamami. (Bip. Vuoto. Bip. Vuoto. Bip. Altro messaggio. Pianto) (Bip. Altro messaggio, voce arrabbiata) Thomas, rispondi rispondi rispondi, sto male. (Vuoto. Bip. Vuoto. Bip. Vuoto. Bip. Vuoto. Bip. Vuoto. Bip. Altro messaggio.) Adesso ho capito. Hai deciso di prenderti il
tuo tempo. Lo so perché mi sono fatta le carte ieri sera. E’ venuto fuori il quattro di spade, non il
due di picche. Tempo sospeso o battaglia interrotta, dipende dalle interpretazioni. Ho tirato un
sospiro di sollievo, e mi sono fatta una canna. Una bella canna come non mi facevo da secoli. Come
ai vecchi tempi. Mi sei mancato, sai? Mi sei mancato tanto. Mi manchi. (Bip. Altro messaggio.
Risa) Sai cosa mi è successo oggi? La grassona mi ha detto che sono una svitata. Così, ha detto. Sei
una svitata. E io ho pensato: come si permette. Sei svitata e pure stupida, non sai fare nemmeno un
pacchetto regalo. Ti rendi conto? Che stronza. Quand’è che ti fai sentire? (Bip. Altro messaggio)
Ciao, Thomas. Oggi è il mio compleanno. Pensavo di fare qualcosa, non so, una riunione. Con gli
amici. Ma se vuoi ci vediamo noi due da soli, ti va? Ho scoperto un locale carino vicino alla
stazione. Si chiama Il Tempio delle Mosche. Piazza Caiazzo uno. Alle dieci, va bene? (Bip. Altro
messaggio. Silenzio. Fiato corto vicino alla cornetta, voce depressa deturpata da sonniferi) Ti ho
aspettato. Ti ho aspettato, sai. Ho creduto fino all’ultimo. Mi sono perfino comprata un vestito
nuovo. Volevo cercare di metterci una pietra sopra, di andare avanti. Un nuovo inizio. In fondo, non
c'è niente di male in… E ho tenuto duro. Ho tenuto duro fino alle due. Poi è venuto un tipo. Uno
con gli occhiali rotondi e la camicia polo. Faccia da informatico. Infatti era informatico. Parlava
solo di quello. Giochi di ruolo, internet. Il mondo senza frontiere della globalizzazione. Me lo sono
scopata. Aveva un cazzo memorabile. Sono venuta tre volte. (Bip. Pianto. Bip.) Dieci giorni. Dieci
giorni che non mangio e non dormo. (Pausa) Neanche Johnny. (Pausa) Ne ho fin sopra ai capelli di
tutto questo. Davvero. Non ce la faccio più. (Bip. Vuoto. Bip. Vuoto. Altro messaggio) Johnny… sta
male. L’ho fatto vedere, hanno prescritto delle pasticche. Non le vuole ingoiare. Io gliele do, gliele
ficco fino in fondo alla gola, ma poi le trovo in giro. Oggi, ad esempio, quando passavo
l'aspirapolvere ne ho trovate tre sotto al divano. Sono diventata una bestia. Vuoi morire, gli ho
detto? Vuoi vedermi morta? Perché se muori muoio anch’io. Secondo te è grave? (Bip. Altro
messaggio) Mi hanno licenziata. La cicciona me l’ha detto così, come se niente fosse, come se
bevesse una birra al bar. Siamo in un brutto periodo, la crisi, bla bla, e poi ti scade il contratto.
Niente rinnovo. Venti ragazze, mica solo tu. Pensi di essere speciale? Di questi tempi nessuno è
speciale. Di questi tempi quello che importa è avere la grana. E tu, mia cara, tu non ce l'hai. La
uccido? (Bip. Altro messaggio) Johnny è peggiorato. Lo tengo sempre sdraiato ora. Fortuna che
sono a casa. Insomma, tanto per essere ottimista. Gli sto sempre appresso, gli preparo da mangiare,
gli faccio le coccole. Il dottore ha detto che ha a che fare con la depressione. Quando si è depressi le
difese immunitarie crollano e chissà cosa può succedere. Per questo gli faccio le coccole. Una sorta
di medicina alternativa. Sto ore a passargli la mano sulla testa, sulla schiena. E' così morbido, così
caro. (Bip. Altro messaggio) Domani devo pagare l’affitto. Mi rimangono solo cinquanta euro, e
devo dare trecento. Non so che fare. Non ho trovato ancora niente. La mia amica Katia - ti ricordi,
quella del tatuaggio sulla guancia? - mi detto che forse c’è qualcosa in un locale vicino a casa sua.
Io ho detto che non ho mai fatto la barista. Lei ha risposto che non fa niente, il padrone è uno alla
buona che vuole solo impegno. Ma che non sarebbe male se l’impegno avesse a che fare con i
pompini. (Bip. Altro messaggio) Johnny sta sempre peggio. Non riesco più a fargli mangiare.
Neanche bere. Sono tre giorni che non fa la cacca. Il dottore non sa cos'è. Ha chiesto se l'ho portato
in qualche paese esotico. Ha detto che sappiamo poco di certe cose qui. Che nel mondo ci sono mali
che neanche immaginiamo. Io l’ho ringraziato. Non mi ha chiesto niente per la visita. (Bip. Altro
messaggio) Ho trovato lavoro. Non è un granché, ma va bene così (Pausa) Ah, volevo dirti che non
ho scopato quel tipo quella volta. Era solo un dispetto. (Bip. Silenzio.) Johnny è morto. L’ho trovato
stamattina. (Rumore di un oggetto metallico che cade per terra. Respiro affannoso. Bip.)
Thomas, immobile e impassibile, affonda nel silenzio.
Scena 2
Thomas Ruhe sul suo tavolo da lavoro.
Ha un piccolo registratore. A periodi lo aziona, a periodi lo ferma e scrive. L'apparecchio emette
suoni incomprensibili - una registrazione disturbata, una voce da donna troppo bassa, una lingua
strana. Thomas ascolta e riascolta i brani. Cerca di ripetere alcuni suoni, prende appunti.
Suona il campanello.
Thomas va a rispondere.
Alla porta, un giovane vestito in modo inusuale. Può avere caratteristiche etniche distinte, o no.
L’importante è che sembri fuori luogo. Una tigre che cerca di fare il gatto, o vice-versa.
THOMAS: Ciao.
DJIBO (dopo un po’): Disturbo?
THOMAS: No. Entra, entra.
Djibo si guarda in giro, non sa bene come comportarsi.
THOMAS: Prego, accomodati.
Djibo si siede sul televisore.
THOMAS: Dicevo qui, sul divano.
DJIBO: Non importa, sto bene in piedi.
Breve pausa.
THOMAS: Vuoi qualcosa? Un’aranciata?
DJIBO: Acqua, grazie.
THOMAS: Ti va bene quella del rubinetto? Non ho avuto ancora tempo di fare la spesa. (Dijibo non
Reagisce) La vado a prendere.
Thomas esce, mentre Djibo si fa un giro per la stanza, osservando gli oggetti.
Thomas torna con un bicchiere d’acqua in mano.
THOMAS: Ecco.
DJIBO (riferendosi a degli addobbi appesi sul muro): Cosa sono?
THOMAS: Maschere. Di tutto il mondo. Mi piace portare qualche ricordo dai viaggi. Costruire un
mosaico di mondo intorno a me.
DJIBO: Questa mi piace.
THOMAS: E’ Anorak, dio dei Pigmali. Un popolo sperduto delle foreste indonesiane.
DJIBO: E questo?
THOMAS: Un poncho. Dal Messico. Ci sono stato due anni fa per uno studio.
DJIBO: Dalle mie parti cos’hai portato?
THOMAS: Non ho proprio avuto tempo per... E’ stato tutto così veloce.
DJIBO: Lei sta bene?
THOMAS: Sì. Adesso che ha le giuste cure mediche, tutto andrà per il meglio.
DJIBO: Dove si trova?
THOMAS: Al Policlinico. Non mi ricordo esattamente in che camera, ma se chiedi in reception te
lo sanno dire.
DJIBO: Ha fatto resistenza?
THOMAS: Non è stato facile. Abbiamo dovuto chiamare un dottore. L’ha fatta addormentare. Non
voleva salire sull'aereo.
DJIBO: L’avete drogata?
THOMAS: No, no, per dio. Era molto nervosa. Non aveva mai volato, e le sue condizioni erano
critiche. Le hanno dato cento milligrammi di Xanax, niente di ché.
Pausa.
DJIBO: Questo appartamento è bello.
THOMAS: Grazie. E' un po' fuori mano, ma niente di grave. Bisogna camminare una ventina di
minuti fino alla metropolitana, ma da lì fino in centro è un attimo.
DJIBO: Io ci metto un'ora e mezza ad arrivarci.
THOMAS: Puoi cercare qualcosa di meglio più avanti.
DJIBO: Costa troppo.
Pausa.
THOMAS: Hai trovato un lavoro?
DJIBO: Non ancora, ma mi rimangono un po' dei soldi che mi avete dato.
THOMAS: Hai preso la decisione giusta, fidati.
DJIBO: Sicuro.
THOMAS: Adesso è un periodo difficile, ma tutto si aggiusterà.
DJIBO: Sicuro.
Silenzio.
Thomas prende un giornale e lo porge a Djibo.
THOMAS: Prendi.
DJIBO: …
THOMAS: Questo è il supplemento annunci. Ci sono tanti tipi di annunci. Tu devi guardare le
offerte di lavoro.
DJIBO: …
THOMAS: Coraggio. In una città come questa c’è posto per tutti. Tu sai leggere, scrivere. Hai pure
le superiori. Avrai delle opportunità. Le cose possono solo migliorare.
DJIBO: E se mi chiedono da dove vengo?
THOMAS: Tu glieli dirai.
DJIBO: Non posso.
THOMAS: Non puoi?
Pausa.
THOMAS: Ti sbagli. Hai un'idea sbagliata del mondo, delle persone. Siamo in una metropoli, non
in un villaggio sperduto nel Madagascar o in Mongolia. Non ci sono lotte tribali. Non ci sono stragi
etniche. Qui la diversità è una ricchezza. Qui il colore della pelle, la lingua, le culture diverse sono
tasselli che rendono il paesaggio più bello. Non dovresti vergognarti di quello che sei. (gli posa la
mano su una spalla)
Pausa.
DJIBO: Voglio una lettera di referenze.
THOMAS: Come?
DJIBO: Mi hanno detto così. Ci vuole una lettera di referenze. Bisogna comprovare esperienze
passate.
THOMAS: Così ti hanno detto?
DJIBO: Sì.
THOMAS: Va bene. Te la faccio.
DJIBO: Non posso aspettare.
THOMAS: Va bene, va bene. (va fino alla scrivania e scrive qualcosa su un foglio)
DJIBO: Non dire chi sono. Da dove vengo, voglio dire.
Thomas alza la testa, lo guarda per qualche secondo, poi torna a scrivere.
Infine, gli porge il foglio. Djibo conferma che è tutto a posto.
DJIBO: Grazie.
THOMAS: E di che.
Si avviano alla porta.
DJIBO: Allora posso andare a trovarla?
THOMAS: Certo.
DJIBO: Anche oggi?
THOMAS: Hanno degli orari precisi. Prova a chiedere. Penso di sì.
DJIBO: D’accordo. (Breve pausa) Grazie ancora.
THOMAS: In bocca al lupo.
Thomas chiude la porta.
Un attimo di riflessione prima di tornare a lavoro.
Scena 3
Un lussuoso ufficio di una multinazionale. Penultimo piano.
Samuel Ruhe è seduto, i piedi poggiati sopra la grande scrivania.
La signorina Jolie, impeccabile nel suo tailleur, è seduta su una poltrona.
SAMUEL (al telefono): …e appena le azioni saliranno, potremo proseguire gli investimenti.
(Pausa) Te l’ho già detto, bisogna puntare sul Sudamerica. Hai visto i grafici, no? (Pausa) Che
m’importa quello che ha detto Smart. I numeri sono schizzati alle stelle. Una crescita esponenziale.
Se ci teniamo indietro, qualcun’altro abbatterà il toro. E questo noi non possiamo permetterlo.
(Pausa) E’ un momento delicato, bisogna valutare ogni possibilità, mettere su una strategia. (Pausa)
Certo, certo, ti terrò aggiornato, non ti preoccupare. (Pausa) Tra un mesetto. (Pausa.) No, perché
dovrei essere emozionato? (Pausa. Ride) Sì, mi tengo in forma. Mezz’ora di jogging al giorno.
(Pausa) Sei molto gentile, ti ringrazio. A presto, allora. Arrivederci. (Chiude la chiamata. Si
Sgranchisce) Perché non si paga un’analista? Tutte queste insicurezze. Ha paura che gli mozzi la
testa.
La signorina Jolie ha un’espressione ferrea. E’ la perfetta immagine della professionalità.
SAMUEL: Bene, signorina Jolie, andiamo avanti. Dov’eravamo rimasti?
JOLIE: Any change whatsoever should be carefully submitted to Accountability for approval.
SAMUEL: Ah, sì, sì, certo. L’approvazione contabile. Mi legga l’intero paragrafo, per favore.
JOLIE: If we ought to produce an income equivalent to that of two thousand and eight, there are
three clue steps to be taken. The first one has to do with a first hand investment on technological
development, and a minimal amount of five million four hundred thousand euros has to be set to
that purpose. Any change whatsoever should be carefully submitted to Accountability.
SAMUEL: Any change whatsoever should be submitted to Accountability.
JOLIE: Carefully submitted.
SAMUEL: Carefully submitted to Accountability. (Pausa) Punto e a capo. No, no. Stesso
paragrafo. If the policy, on the other hand, is to be changed, in spite of the scrupulous auditing
procedure taken to term by the Corporation, the Administration Council will be recalled for
approval. If the guidelines, on the contrary, are maintained, the income will result extraordinarily
enhanced and the company will have fully attained its goals. Therefore… (si ferma a guardare
qualcosa fuori della finestra)
Pausa.
JOLIE: Therefore?
SAMUEL: Ha mai visto due piccioni che si accoppiano?
JOLIE: Mi scusi?
SAMUEL: Hanno fatto un nido sul davanzale di Jarman.
JOLIE: Vuole che avverta il personale della pulizia?
SAMUEL: Hanno questo modo un po’ tenero di beccarsi.
Pausa.
JOLIE: I chiodi sono stati messi l’estate scorsa, ma evidentemente il lavoro non è stato ben
eseguito.
SAMUEL: Ci sono due piccoli.
JOLIE: Provvederò a sistemare tutto.
SAMUEL: Mentre i piccoli urlano affamati, i genitori si divertono.
Pausa. La signorina Jolie si alza per prendere provvedimenti.
SAMUEL (girandosi): Qualcuno le ha chiesto di far qualcosa, signorina Jolie?
JOLIE: Mi scusi, signor Ruhe. Ho pensato che… L’estate scorsa… Ha dato l’ordine di… .
SAMUEL: Non mi metta parole in bocca, signorina Jolie.
JOLIE: Mi scusi.
Pausa.
SAMUEL: Piuttosto, si spogli.
JOLIE: Prego?
SAMUEL: Si spogli.
Pausa.
La signorina Jolie si alza, si toglie la giacca e rimane in reggiseno.
SAMUEL: Non le avevo detto di usare nero?
JOLIE: Pensavo si riferisse al tailleur, signor Ruhe.
SAMUEL: Ho detto tutto nero. E’ daltonica, signorina Jolie?
JOLIE: Mi scusi, signor Ruhe. Non succederà più.
SAMUEL: Si rivesta.
La signorina Jolie si riveste. Torna austeramente a sedere come se niente fosse.
Silenzio. Il signor Ruhe è tornato a guardar fuori dalla finestra.
JOLIE (schiarendosi la gola): Hm-hm. Signor Ruhe. La devo avvertire che la deadline è per le
quattro.
SAMUEL: Le quattro?
JOLIE: Sì, le quattro.
SAMUEL: Certo, le quattro.
JOLIE: Riprendo?
SAMUEL: Prego.
JOLIE: If the guidelines, on the contrary, are maintained, the income will result extraordinarily
enhanced and the company will have fully attained its goals. And finally /
SAMUEL (dopo un po’, reticente): And finally the market will be under our complete control.
(si
Ferma)
JOLIE: Under our complete control. Punto?
SAMUEL: Non so, c’è qualcosa che mi disturba oggi. Ha notato, signorina Jolie?
JOLIE: Se mi permette, sembra un po’ più nervoso del solito.
SAMUEL: Vero? Sento qualcosa che mi bolle dentro.
JOLIE: Sarà la zuppa di cozze che ha mangiato a pranzo. Provvederò a reclamare.
SAMUEL: Del magma. Magma che fa pressione sotto al terreno per uscire.
JOLIE: Vuole un Dramin?
SAMUEL: Un vulcano addormentato in procinto di sputare fuoco.
JOLIE: Adesso chiamo l’infermeria. (si alza)
SAMUEL: Il Vesuvio che vuole farsi vivo dopo secoli di silenzio. Dove va, signorina Jolie?
JOLIE: A cercare una persona competente. Per risolvere il suo problema.
SAMUEL: Come può essere così frivola?
JOLIE: Mi scusi?
SAMUEL: Così sbadata?
JOLIE: Faccio il mio dovere.
SAMUEL: Che dovere?
JOLIE: Aiutarla, signor Ruhe.
SAMUEL: Chi potrà mai aiutare un suo simile, signorine Jolie? Chi? Questa è superbia. E’ voler
rubare il posto a Dio.
JOLIE: Mi dispiace, signor Ruhe. (Breve pausa) Desidera un bicchiere d’acqua?
SAMUEL: Forse uno scotch. Anzi, acqua tonica. (la signorina Jolie si avvia al bar) No, fa niente.
Ho solo bisogno di riposare. Finiamo il rapporto domattina.
JOLIE: Ma la deadline?
SAMUEL: Dica al presidente che mi è venuto il mal di pancia. Tanto gli scopo la figlia.
JOLIE: Le serve qualcos’altro?
SAMUEL (dopo un po’): Ha chiamato mio fratello?
JOLIE: No, signor Ruhe.
Pausa.
SAMUEL: Grazie, signorina Jolie. Può andarsene.
La signorina Jolie esce.
Samuel torna a guardare dalla finestra.
SAMUEL: Non so, è come se oggi mi andasse di ingoiare saliva.
Scena 4
Un parco.
Djibo, seduto su una panchina, sta leggendo gli annunci sul giornale. Ha una penna in mano e ogni
tanto scrive.
Passa Sara, una borsa di patchwork sotto al braccio e tacchi a spillo. Prende una storta, un tacco
si rompe. La borsa cade per terra, i suoi oggetti personali si sparpagliano.
SARA: Fanculo.
Djibo guarda perplesso.
SARA: E tu che guardi? Aiutami, no?!
Djibo si affretta ad aiutarla.
SARA: Io a quelli li ammazzo, capito? Glielo faccio pagare come incidente sul lavoro. Chiamo un
avvocato e li lascio in mutande. Stronzi. Vermi. Farmi mettere questi cosi orribili. E’ come. E’
come. Come mettere la cintura ad un ippopotamo. O l'apparecchio fisso ad un rospo. Ridicolo,
semplicemente ridicolo. Ed ecco il risultato. E tutto perché? Perché devono dare un'immagine
rispettabile di sé, capito? Perché ogni impiegato è un mattoncino essenziale nella loro immensa
piramide. E basta uno sgarro, un colore diverso sulla superficie, un sorriso un po' storto perché ti sei
svegliata male una mattina, perché gli adolescenti del piano di sopra hanno fatto un’orgia a base di
coca, che ti fanno ingoiare veleno. Veleno puro. Perché tu sei loro. Tu devi essere loro. E loro non
ammettono un sé decadente. Un sé a metà. Devi essere perfetto. Perfetto, capito? Camminare come
una regina su un paio di trampoli. Anche se passi tutto il giorno in un angolo schifoso a fare
telefonate schifose. E i ragni giocano a Tarzan sopra la tua testa. E i tuoi piedi poggiano su un
tappeto di briciole, quelle dei panini che hai mangiato di fretta in pausa pranzo per non perdere
neanche un secondo. Perché se perdi un secondo te lo scontano dallo stipendio. Che poi è un cazzo
di stipendio, uno stipendio di merda per persone di merda. Che vai a spendere tutto nell'affitto, per
quel cazzo di appartamento di trenta metri quadri, con quei cazzo di adolescenti fulminati al piano
di sopra. E io di tutto questo non ne posso più.
Silenzio.
SARA: Ciao.
DJIBO: Ciao.
SARA: Come ti chiami?
DJIBO: Djibo.
SARA: Che razza di nome è?
DJIBO: E’… (cerca una risposta) lituano.
SARA: Caspita.
DJIBO: Cosa?
SARA: Niente.
DJIBO: Cosa?
SARA: Mi sono resa conto di non averne mai conosciuto uno prima.
DJIBO: No?
SARA: No. T’immagini? In questo mare di città. (Pausa) Voglio dire, giamaicani, venezuelani,
egiziani, tutti questi ani… cioè... insomma, questi sì. Ma un lituano, un lituano legittimo, no.
DJIBO: Ah.
SARA: Piacere, io sono Sara. (tende la mano)
DJIBO (stringendole la mano): Piacere. Djibo.
SARA: Be’, Djibo, grazie.
DJIBO: Per cosa?
SARA: Per avermi aiutatata. Per. Insomma. Non si trova gente così tutti giorni.
Pausa.
SARA: Parli bene. La nostra lingua.
DJIBO: Grazie. (Pausa) L'ho studiata fin da piccolo.
SARA: Allora sei cresciuto qui?
DJIBO (esita): Sì.
SARA: Grande. In che zona?
DJIBO: No, non qui. In un'altra… città.
SARA: Ma dai? Dove? (lui non sa cosa rispondere) Ho capito, sei riservato. Scusa, scusa. I miei
amici mi dicono che a volte sono un po’ invadente. Ma sai, uno è quel che è, non c’è niente da fare.
Sono sempre stata così, un po’ sopra le righe. Difetto di nascita. Anche il mio fidanzato lo diceva. Il
mio ex fidanzato. Non mi sono ancora abituata.
Pausa.
SARA: Mi sa che ho disturbato la tua lettura, vero?
DJIBO: No, no. Cercavo /
SARA: Un lavoro, eh? Il cruccio di tutti quanti. Con questa crisi non è mica facile. Conosco un
sacco di gente che si trova con le pezze al culo. Tagliano, tagliano, più di un coltello svizzero a
dieci lame. E la gente torna a casa senza sapere dove andar a bussare, perché gli uffici di
collocamento se ne sbattono. (Pausa) Hai trovato qualcosa?
DJIBO: No. Solo qualche /
SARA (prendendogli il giornale di mano): Ma disegni? Hai fatto dei disegni. Cos'è questo, un
dinosauro?
DJIBO (fa una mossa inutile per riprendersi il giornale): Mi scusi, io /
SARA: O un Babbo Natale? Non si capisce bene.
DJIBO: Cercavo di far passare il tempo.
SARA: Che tipo di lavoro cerchi?
DJIBO: Be’, non so se riesco a /
SARA (leggendo): Project Manager. Cercasi giovane spregiudicato per azienda in netta espansione.
Prospettive di guadagno promettenti. (a lui) Niente male, eh? (legge) Inviare il curriculum all’
indirizzo di email bla bla bla chiocciola bla bla bla punto com. Inglese fluente. Si gradisce anche il
francese o lo spagnolo. (a lui) Vedi che stronzi? C’è sempre qualche fregatura.
Chiude il giornale e inizia a massaggiarsi i piedi.
DJIBO: E' un mese che cerco lavoro.
SARA: Io ce ne ho messi sei. Sull'annuncio c'era scritto "assistente di marketing a tempo pieno". In
pratica passo le giornate a chiamare la gente a caso, cercando di rifilare qualche promozione. Tre
mesi gratis dopodiché una botta salata. E tu devi convincerli che è una figata. Per l’azienda sono
un’operatrice di vendita; per la gente comune, una cagacazzo. E’ l’aggettivo che mi affibbiano più
spesso. A parte qualche buon’anima che ha bisogno di attenzione. Qualche vecchietto solitario o
ragazzino in calore.
Pausa.
Djibo riprende il giornale.
SARA (Sara si guarda l'orologio): E’ tardissimo. Devo andare, comincio il secondo turno. (prende
le sue cose) Ci vediamo in giro, allora. In bocca al lupo per il lavoro. Auguramelo pure tu, mi serve.
Per tanti motivi.
DJIBO: In bocca al lupo.
Lei sorride e esce.
Scena 5
Università. Dipartimento di filologia comparata.Scena 6
L’ufficio di Samuel. Lui fa jogging in un tapis roulant, in tenuta sportiva. Un segnale acustico indica la fine dell'allenamento. Samuel scende dal tapis roulant, si asciuga, beve acqua, riprende fiato. Poi si guarda all’orologio e inizia a cambiarsi. Mentre si allaccia la cravatta, gli balena un pensiero in mente. Alza la cornetta del telefono, tentenna un attimo, ci ripensa e la poggia nuovamente. Continua ad allacciarsi la cravatta. Si guarda allo specchio. Torna al telefono, alza la cornetta, decide di comporre un numero.Scena 7
Casa di Thomas.
THOMAS: Ilau. Ilau macungerti. Ilau macungerit capatau ui. Tongherictu ictabar sagmanucat ictui
ictuia. Ui ie macungat be, saprtaniz prcat tatmigin. Cacolot maneriptu ui, ia bai, ia bai candivulap,
macnetenai racatbu ractibui. Brtcaeip, ui. Ui ga, kan bo trepkriter ictui. Mulet ilau, prcat conbuin
ovbut tonkerig. Ma. Ma. Ma pacaretna alai. Pacaretmandu alai. Kraivoret ui, titineru rosnugavu.
Nibonibo ju, ninonibo ku, ui rapalet canotat mursiau. Ui rapalet cantonit tolenebar. Ilau-io. O forse
tu? Ilau-tu. (Ripete le frasi con diverse intonazioni, cercando di decifrarle, fino all’esasperazione.
Si mangia le unghie per il nervosismo)
Si sente un tonfo, qualcosa è andato contro alla finestra. Thomas si avvicina, è macchiata di
sangue. La apre, guarda giù. Un uccello è andato a sbattere contro.
Scena 8
Al parco, Sara dà da mangiare ai piccioni seduta su una panchina.Scena 9
Thomas Ruhe ascolta ripetutamente una registrazione. Trascrive dei brani. Poi si alza, il pezzo di
carta in mano, e legge a voce alta ciò che è riuscito a trascrivere.
THOMAS: Ilau macungerit capatau ui. Tongherictu ictabar sagmanucat ictui ictuia. Ui ie macungat
be, saprtaniz prcat tatmigin. Cacolot maneriptu ui, ia bai, ia bai candivulap, macnetenai racatbu
ractibui. Brtcaeip, ui. Ui ga, kan bo trepkriter ictui. Mulet ilau, prcat conbuin ovbut tonkerig. Ma.
Ma. Ma pacaretna alai. Pacaretmandu alai. Kraivoret ui, titineru rosnugavu. Nibonibo ju, ninonibo
ku, ui rapalet canotat mursiau. Ui rapalet cantonit tolenebar. (riflette, ripete alcuni brani scandendo
le parole, trovando intonazioni. Si mangia le unghie)
Suona il telefono.
THOMAS: Pronto? (Pausa) Pronto? (Pausa) Chi parla? (Pausa) Chi parla? (Pausa.. Ascolta)
Buttano giù dall’altra parte. Thomas guarda la cornetta irritato, e mette a posto il telefono. Cerca
di concentrarsi nuovamente sul lavoro. Riprende a studiare le frasi, ma la sua angoscia cresce per
l’impossibilità a capirle. Sputa fuori quella lingua sconosciuta con rabbia.
Suona il campanello. Thomas cerca di ricomporsi e va ad aprire la porta. E’ Djibo.
THOMAS: Finalmente. Ti aspettavo per pranzo.
DJIBO: Scusa.
THOMAS: Mi potevi chiamare.
DJIBO: Non ho trovato un telefono.
THOMAS: Hai già mangiato?
DJIBO: Sì.
THOMAS: Sì?
DJIBO: Ho incontrato un’amica. Abbiamo mangiato insieme.
THOMAS: Un’amica?
DJIBO: Un’amica.
THOMAS: Che amica?
DJIBO: Un'amica.
THOMAS: Da quando hai un’amica?
DJIBO: Da… Perché me lo chiedi?
THOMAS: Così, per curiosità.
DJIBO: L’ho conosciuta in giro, qualche giorno fa. Ci siamo incontrati per caso.
THOMAS: Mi fa piacere che ti stai integrando.
Pausa.
Va fino ad un mobiletto, prende un cellulare, glielo porge.
THOMAS: Ecco. Questo è per te. E' il mio vecchio cellulare. Così puoi chiamarmi quando vuoi.
DJIBO: Grazie.
THOMAS: Avvertimi la prossima volta.
Pausa.
THOMAS: Vuoi sederti?
DJIBO: Grazie (si siede)
Pausa.
THOMAS: Allora, raccontami un po’. Come va il nuovo lavoro?
DJIBO: Bene. Mi danno quanto basta per pagare l’affitto e mangiare. E' faticoso, mi fa male la
schiena. Ma è questione di abitudine, credo.
THOMAS: Sicuramente. Non si può pretendere di avere tutto subito. Bisogna avere pazienza. Con
il tempo riuscirai a crescere e troverai un lavoro più soddisfacente. Puoi fare qualche corso di
formazione. Il Comune offre molti corsi serali. Per gente come te, che vuole costruirsi un futuro.
DJIBO: Mi piace la tua camicia.
THOMAS: Davvero? Grazie.
Pausa.
THOMAS: Bene. Ti ho chiamato qui per… Hai notizie di tua nonna?
DJIBO: Sono andato in ospedale ieri. L’infermiera ha detto che sta peggiorando.
THOMAS: Esatto. Sempre di più.
DJIBO: Fa fatica a parlare.
THOMAS: Lo so. Ogni giorno facciamo una seduta. Cerco di stimolarla a parlare e registro tutto.
Ma ha sempre meno fiato, meno stimolo.
Silenzio.
THOMAS: Djibo, ho bisogno del tuo aiuto. Sono esausto. Sto dando corpo e anima a questo lavoro.
Non mangio, non dormo. Ma è una lingua difficile, non ci sono appigli, somiglianze. Le interviste
non mi stanno aiutando. O sono vaghe, o aneddotiche, comunque inutili. Tu sei l’unica persona che
mi può dare una mano.
DJIBO: Te l’ho detto che non parlo la lingua.
THOMAS: Ma riesci a comunicare con lei in qualche modo.
DJIBO: Non con le parole. E’ questo che ti interessa, no?
Pausa.
THOMAS (nervoso, quasi arrabbiato): Insomma, non è possibile che non ti ricordi niente! E' tua
nonna, no? Hai passato del tempo con lei quando eri piccolo. I bambini sono come delle spugne,
assorbono tutto quello che capita. Ti sarà rimasta un'espressione, una frase, una parola… Parole di
una canzone, per esempio? Una ninnananna che lei cantava? Un suono a cui associare
un’immagine?
Pausa.
DJIBO: No. Niente.
THOMAS: Pensaci.
Pausa
DJIBO: Niente.
THOMAS: Niente?
DJIBO: Niente.
Pausa.
THOMAS: Non è possibile. Ci deve essere... Ascoltami. Ho una proposta da farti. Conosco uno
specialista, uno psichiatra molto rinomato. Ha scritto studi molto importanti sull’ipnosi. Vorrei farti
fare qualche seduta. Niente di impegnativo. Devi solo stare lì e rilassarti. Seguire quello che lui
dice. Farti portare dalla sua voce. Chiudere gli occhi e ascoltare. Lui ti guiderà in un piccolo
viaggio. Delle immagini ti appariranno in mente, suoni, ricordi inaspettati. Un po’ come andare al
cinema.
Pausa.
DJIBO: Il cinema non mi piace.
Pausa.
THOMAS: D’accordo. Vedilo come un lavoro. Ti servirà qualche quattrino in più, no?
Pausa.
DJIBO: Quanto?
THOMAS: Venti a seduta.
Pausa.
DJIBO: D'accordo.
THOMAS: Grande. Grazie. Allora fisserò un appuntamento.
DJIBO: Dopo lavoro.
THOMAS: Certo, dopo lavoro. Quando smonti domani?
DJIBO: Ho il turno serale.
THOMAS: Allora durante il giorno. Perfetto.
Pausa.
THOMAS (prendendo dei soldi dal portafogli): Eccoti un anticipo. Ti chiamo per dirti l’ora, va
bene?
DJIBO: Va bene.
Pausa.
THOMAS: Ti serve qualcos’altro
?
DJIBO (dopo un po’): Vorrei… la tua camicia.
Scena 10
Djibo e Sara seduti a un tavolo di una catena di fast food. La statua ad altezza d’uomo di un
pagliaccio sorridente in fondo.
SARA: Davvero vieni da quel posto?
Djibo fa un cenno positivo con la testa, abboccando un panino.
SARA: Parli così bene la nostra lingua.
DJIBO: Ce la insegnano da piccoli.
SARA: Che strano.
DJIBO: Cosa?
SARA: Dev’essere strano crescere con la lingua di un altro.
DJIBO: E’ la mia lingua.
SARA: Voglio dire, andare a scuola e imparare in una lingua diversa da quella che parli a casa, con
i tuoi genitori.
DJIBO: I miei genitori parlavano poco o niente la lingua locale. Quasi più nessuno parlava la lingua
locale. Il commercio, il lavoro – i soldi, insomma – dipendevano dalla nuova lingua. Solo qualcuno
in montagna parlava quella vecchia. Ma poi c’è stata un’epidemia…
SARA (mettendo ketchup sulle sue patatine): Pazzesco. (le infila in bocca) E perché hai deciso di
trasferirti?
DJIBO: Perché qui ci sono più opportunità. Ti pagano meglio, puoi avere più cose. Una vita
migliore.
SARA: Ma lì com’era?
DJIBO: Non male.
SARA: Tipo?
DJIBO: In che senso?
SARA: Tipo cosa facevi lì. Tipo mangiavi.
DJIBO: Sì, certo. Il cibo era buono.
SARA: Ti manca?
DJIBO (riflette): Forse il latte. Il latte mi manca. Avevamo una mucca.
SARA: Una mucca? Pazzesco. Non ho mai visto una mucca. Dico, una mucca vera. Solo quelle
stampate sulle confezioni. O sugli spot in tv. (ride) Ho sempre voluto averne una. Mi stanno
simpatiche. Hanno quel manto a chiazze e fanno Muuuu muuuu (ride) Mia cugina me ne ha regalata
una per la cucina. Di porcellana, ovvio. Figuriamoci, una bestia così in un cubicolo… (ride)
DJIBO (riferendosi al latte): È più denso.
SARA (ci ripensa): Anche se il mio vicino di fianco ha un san bernardo.
DJIBO: La mungevo io.
SARA: Hai mai visto quella in cui la bambina si sveglia, la mamma sta preparando la colazione e
sul tavolo c'è un barattolo di mou, ma quando lei lo apre non c’è più niente, ed ecco che vediamo
una mucca in giardino che si lecca i baffi?
DJIBO (non capisce): Quale bambina?
SARA: E’ una delle mie preferite. Poi c’è quella della coca-cola, in cui un vecchietto tutto sporco
sta chiedendo l’elemosina, passa questo bambino, un bambino bellissimo, alto così, tre o quattro
anni, le guancie rosse come due mele, tira la giacca al papà e gli chiede di dar una moneta. Un
attimo dopo li vediamo bere insieme la coca-cola. Così poetico. Un messaggio del tipo: dobbiamo
aiutare gli altri. Non pensi che tutti gli spot dovrebbero essere così? Se tutti gli spot fossero così il
mondo sarebbe diverso. (guardando il panino intatto di Djibo) Ma non mangi?
DJIBO: Sa di…
SARA: Di?
DJIBO: Sapone.
SARA: Sapone? (ride) Aspetta, non hai messo abbastanza ketchup. Ti faccio vedere io. (inonda il
panino nel ketchup) Ecco fatto. (Djibo assaggia il ketchup con le dita, ma non mangia il panino)
Cosa ti stavo dicendo? Ah, sì, che le mucche sono fantastiche. Dovremmo averne di più in giro.
Lanciare una campagna del tipo “adotta una mucca”. Portare i bambini in fattoria. Fargli vedere le
origini di quello che trovano sulla tavola. La gente non ha idea di certe cose. Bisogna cominciare a
renderli consapevoli da piccoli. Tu non sei d’accordo? (abbocca il suo panino) Buono l’
hamburger.
Pausa.
SARA (guardando l’orologio): Se oggi fosse un lunedì, dovrei scappare di corsa. Oddio, mi fa star
male pensare che passo due terzi delle mie giornate in quel buco. Due terzi di vita. Un investimento
malsano. Con questo caldo, senz’aria condizionata. E quando la grassona suda, l'unica soluzione è
chiudersi il naso con il nastro adesivo. Ma ovviamente non si può. Una volta l’ho fatto e m’hanno
scontato tre ore dallo stipendio. (sospira) Incredibile, dovunque vada c’è sempre una grassona a
rovinarmi la vita. Perché non si mettono a dieta? (Cambiando umore) Ma per fortuna oggi è sabato.
Ho tutto il tempo per fare tutto quello che voglio. Passo la settimana ad aspettarlo, sai? Una corsa
sfrenata verso il weekend. Solo che quando arriva non so mai che farmene.
Pausa.
DJIBO (guardando l’orologio): Io… dovrei andare.
SARA: Dove?
DJIBO: Ho un appuntamento. Sono… in ritardo.
SARA: Bravo, stai imparando. Qui si è sempre in ritardo. Anche io ho un paio di appuntamenti più
tardi. Faccio dei lavoretti per arrotondare, sai. Consulenza esoterica. Tarocchi, rune, cose del
genere. E tu?
DJIBO: Io no.
SARA: Dico, te la cavi bene con il tuo stipendio?
DJIBO: Pago l’affitto. Mangio. ( guarda il panino)
Sara prende dei fogli dalla borsa e li consegna a Djibo.
SARA: Mi fai un po' di pubblicità? Lasciali in giro, dove ti capita. Qui sotto c'è il mio telefono.
DJIBO: Grazie.
Pausa. Lei mangia.
SARA: Sai cosa detesto? Detesto il cinema. Il cinema mi fa cagare. Al cinema ti fanno vedere le
donne perfette con gli uomini perfetti con i figli perfetti con gli stipendi perfetti. Per questo non
vado al cinema. Saranno anni che non vado al cinema. L'ultima volta che sono andata al cinema ho
pianto l’anima. Non me n’era rimasta neanche una goccia. Mi guardavo allo specchio e mi vedevo
gli occhi del colore del deserto. Non avevo più pupille. Avevo il viso tutto rosso. Sembravo quel
pagliaccio lì. Per fortuna sono venuti i vigili del fuoco. Ma che fai? Lasci le patatine? Mangiale, no?
(le infila in bocca) Non si lascia il cibo sul piatto. In Africa i bambini muoiono di fame.
Scena 11
Ufficio della multinazionale delle telecomunicazioni.
Samuel cammina per la stanza, mentre detta qualcosa alla Signorina Jolie.
Lei prende appunti con un’efficienza impeccabile.
SAMUEL: …according to the recent decision of the Administration Council on this matter, it is
highly encouraged to install some sort of partnership with the local population, so as to guarantee a
complete control of the business worldwide. For that purpose, the intention is to nominate a Board
of Directors out of the resources in each territory, which will respond directly to the country
division. The country division receives from the central management strict guidelines of behavior,
which should be carefully applied, under the supervision of a legal representative, and every week a
nominee in charge will report every single action to the Head Office. The details of these
procedures will be determined by the Administration Council in the next meeting.
Silenzio.
SAMUEL: Che ne dici, signorina Jolie?
JOLIE: Mi sembra eccellente, signor Ruhe.
SAMUEL: Il Consiglio di Amministrazione si aspetta molto questa volta.
JOLIE: E' vero, signor Ruhe. Ma sono sicura che lei farà un’esposizione brillante.
SAMUEL: E' un'operazione molto delicata, signorina Jolie. Potrei anche dire chirurgica. Questa
fusione determinerà il successo planetario del nostro business.
JOLIE: Lei sta facendo un ottimo lavoro.
SAMUEL: Satelliti con il nostro marchio fluttueranno in cielo. Balleranno il walzer con le stelle. O
la rumba. O il chachacha. Raggiungeremmo ogni anfratto di questo azzurro corpo celeste. Un
grande trionfo.
JOLIE: Il suo trionfo, signor Ruhe.
SAMUEL: Non ancora, signorina Jolie, non ancora. La presidenza è a un passo. Ma compierlo non
è un gesto banale.
JOLIE: Non c’è nessun altro più competente di lei.
SAMUEL: Un errore, un piccolo sgarro. Non bisogna lasciar sfuggire niente.
JOLIE: Niente, signor Ruhe.
SAMUEL: La perfezione.
JOLIE: Esatto.
SAMUEL: Bisogna contemplare ogni inconveniente, anche i meno probabili. Avere il controllo
millimetrico della situazione.
JOLIE: Il presidente ha fiducia in lei.
Breve pausa.
SAMUEL: E lei, signorina Jolie? Lei ha fiducia in me?
Breve pausa.
JOLIE: Evidentemente, signor Ruhe.
Samuel va alla finestra.
SAMUEL: Da quanto tempo ci conosciamo, signorina Jolie?
JOLIE: Da quasi dieci anni. Più esattamente dieci anni, tre mesi e due giorni.
SAMUEL: Così tanto tempo?
JOLIE: Sì, signor Ruhe.
SAMUEL: Mi ricordo quando è venuta a lavorare per me. Ero ancora al quindicesimo piano.
JOLIE: Esatto.
SAMUEL: Un giovane alle prime armi, pieno d’ambizione.
JOLIE: E’ ancora giovane.
SAMUEL: Avevo deciso di sfondare. E non ho risparmiato sforzi.
JOLIE: E’ sempre stato un uomo di volontà implacabile.
SAMUEL: In dieci anni sono salito più di venti piani. Un percorso inaudito.
JOLIE: Direi geniale.
SAMUEL: E adesso, alle soglie della quarantina, sto per compiere l’ultimo passo, il passo più
importante.
JOLIE: Se lo merita.
SAMUEL: Tra qualche settimana, l’ultimo piano sarà mio.
JOLIE: Solo suo.
SAMUEL: E lei, signorina Jolie, verrà con me.
Pausa.
JOLIE: La ringrazio, signor Ruhe.
SAMUEL: La sua fedeltà sarà premiata.
Pausa.
SAMUEL: E’ emozionata?
JOLIE: Certamente, signor Ruhe.
Pausa. Torna alla finestra e guarda fuori.
SAMUEL: Quei piccioni sono sempre più numerosi. Sono uccelli fecondi. Raggiungono la maturità
sessuale molto presto. (si gira) Una volta ho letto che se si ammazzassero tutti i piccioni di questa
città per dar da mangiare ai poveri, non ci sarebbe più fame nel mondo.
JOLIE: Un dato peculiare.
SAMUEL: Non sarebbe una cattiva idea.
JOLIE: Affatto.
SAMUEL: Quando la comunità diventa troppo numerosa, aumenta l'aggressività e la competizione
tra gli individui della stessa specie. La scarsità del cibo diventa pressante.
JOLIE: La natura ha le sue leggi.
SAMUEL: L’altro giorno, per esempio, proprio qui, sotto la mia finestra, un piccione si mangiava
un altro. Viscere da tutte le parti. Una cosa disgustosa.
Pausa.
SAMUEL (pratico): Bene. Abbiamo finito per oggi, signorina Jolie.
JOLIE (alzandosi): Per la riunione di domani, do la conferma alla direzione di vendite?
SAMUEL: Sì. Fagli fare un resoconto dettagliato dell'ultimo mese.
La signorina Jolie sta per uscire.
SAMUEL: Aspetti.
La signorina Jolie si volta.
SAMUEL: Stia pure qui. Mi serve ancora.
Scena 12
Università.
Una lezione di Thomas Ruhe.
THOMAS: Molte lingue oceaniche distinguono tra ciò che potremmo chiamare possesso alienabile
e possesso inalienabile, termini che si riferiscono anche alla natura della relazione tra il possessore e
le cose possedute. In questi sistemi di classificazione, tutti i sostantivi sono considerati o sotto il
controllo del parlante – posseduti in modo alienabile – o no – posseduti in modo inalienabile. Per
esempio, nella lingua hawaiana, i genitori e in nonni, così come certi altri parenti stretti e le parti del
corpo, sono inalienabili perché una persona non sceglie di nascere, o di avere braccia e gambe. I
mariti, le mogli e i figli vengono invece scelti e, così, sono alienabili. Si confronti ka'u keiki, “mio
figlio”, con ko'u makuahine, “mia madre”, dove l'aggettivo possessivo ha forme diverse a seconda
di ciò che è posseduto, figlio o madre. Nella lingua Panyjima – ancora usata correntemente da
cinquanta parlanti nella regione di Pilbara nell'Australia occidentale – i due tipi di possesso sono
espressi grammaticalmente in modi diversi. Per indicare un possesso alienabile, si applica un
suffisso al possessore – come nell'espressione inglese Mary's coat – mentre il possesso inalienabile
comporta la giustapposizione del possessore e della cosa posseduta – come se fosse possibile dire
"Maria lingua". Nella lingua guugu yimidhirr, yugu ngarra munhi significa "la corteccia dell’albero
è nera” – letteralmente “albero pelle nera” – o yarrga mangal munhi “La mano del ragazzo è nera” –
letteralmente, “ragazzo mano nera”. Tuttavia, per dire “la casa del ragazzo è nera” dovremmo usare
yarr-wi bayan munhi, dove wi è un suffisso di possesso che indica il ragazzo come possessore. Ciò
che viene considerato alienabile e inalienabile può differire da una lingua all’altra, ed è perciò
influenzato dalle credenze culturali sul possesso, la proprietà e così via. In generale, soltanto gli
esseri umani sono capaci di possedere cose o di esercitare il controllo su di esse. Nella lingua
yagaria, per esempio, una lingua non austronesiana parlata in Papua Nuova Guinea, secrezioni
corporali come le lacrime, la saliva, il sudore e il muco sono possedute in modo inalienabile, ma
questo non vale per l’urina e il sangue. La magia viene solitamente praticata nei confronti di cose
che sono possedute in modo inalienabile, come la saliva o le lacrime, ma non con il sangue. In molti
casi, la classificazione possessiva ha estese ramificazioni grammaticali. Nella lingua hawaiana e in
molte altre lingue polinesiane non ci sono verbi di “avere” o “essere”, cosicché il significato di frasi
come “possiedo un’auto” o “ho un figlio” viene espresso mediante pronomi possessivi che
richiedano di scegliere tra pronomi di classe o/a – per esempio he ka’a ko’u/he keiki ka’u,
letteralmente “un’auto mia/un figlio mio”. In nuce, il vocabolario di una lingua è un inventario degli
elementi che una cultura ha categorizzato e dei quali parla per dare un senso al mondo e per
sopravvivere in un ecosistema locale. Per questo motivo, le numerose lingue del mondo sono una
sorgente di dati sulla struttura delle categorie concettuali e una finestra sulla ricca creatività della
mente umana.
Per oggi basta. Fatemi un piccolo saggio sull’argomento per la prossima lezione.
Scena 13
Luce soffusa. La sagoma di un uomo legato e imbavagliato per terra. La figura geme, si dibatte,
tenta di liberarsi. La sagoma di una donna in tacchi a spillo fuma una sigaretta di spalle. Questo
momento dura un po’.
La donna spegne la sigaretta, si avvicina. E’ la signorina Jolie, nel suo impeccabile tailleur e
tacchi a spillo. Prende una frusta dal tavolo. Da' una spintonata all’uomo per terra. E' Samuel, in
un abbigliamento sadomaso in lattice.
Jolie parla senza emozione.
SIGNORILA JOLIE (ficcandogli il tacco nella carne): Fa male?
SAMUEL (emette solo gemiti)
SIGNORINA JOLIE: Fa molto male?
SAMUEL (emette solo gemiti)
SIGNORINA JOLIE: Te lo meriti. Ti meriti ogni singola cosa che ti farò.
SAMUEL (emette solo gemiti)
SIGNORINA JOLIE (scandendo bene ogni parola, ma asettica, senza rabbia): Ti frusterò. Ti
frusterò per bene. Finché la tua pelle cede. Fino a sentire l’odore del sangue. Finché non avrai più
forze e mi implorerai, con la schiuma in bocca, di lasciarti andare. Poi prenderò degli spilli. Degli
spilli aguzzi. Te li conficcherò nel petto. Te li conficcherò in pancia. Te li conficcherò nei testicoli.
E tu resterai immobile, senza spiccicare parola.
Pausa. Ruhe smette di gemere. Lei fa un giro intorno a lui. Il rumore dei suoi tacchi a spillo
risuonano. Quando lei riprende a parlare, lui riprende a gemere e dibattersi.
Poi, ti farò leccare il pavimento. Pulirai tutto il pavimento di questa stanza. Ogni angolo. Ogni
centimetro. Ogni briciola per terra. Ogni granello di polvere. Ogni goccia di sangue e sudore.
Perché domani, quando rientro, voglio tutto come nuovo. Voglio che il pavimento risplenda come
un sole. Voglio questa stanza immacolata come un letto di ospedale. (di scatto, autoritaria) Zitto.
Stai zitto. Non voglio sentir volare una mosca.
Scena 14
Un call center.
SARA: Buongiorno. Vorrei parlare con il signor Esposito. (Pausa) Ah, deceduto? (Pausa) Lei è per
caso la moglie? (Pausa) Avrei bisogno della sua attenzione per qualche minuto, per un’inchiesta. E'
contenta del servizio di posta? (Pausa) Le prometto, è una cosa breve. E’ contenta del servizio di
posta? (Pausa) Con quale frequenza lo usa? (Pausa) Ma qualche lettera la scriverà pure. (Pausa)
Cartoline, pacchetti regalo, auguri natalizi? (Pausa) Niente? (Pausa) Ha contemplato la possibilità
di usare un corriere privato? (Pausa) Lo so, lo so, signora. Ma mettiamo che, ipoteticamente,
dovesse inviare un dono al suo nipotino dall'altra parte del mondo. Userebbe un corriere privato?
(Pausa) Sarebbe disponibile per una prova? (Pausa) Allora complimenti. Ha appena ricevuto in
omaggio un buono di dieci euro per realizzare qualunque tipo di spedizione, dentro al paese o
all’estero. Mi può gentilmente fornire i suoi dati? (Pausa) Questo non è affare mio, signora. (Pausa)
Che ne so, s’inventi qualcosa. Non ha uno zio, un fratello, un parente lontano da qualche parte?
(Pausa) Un’amica? Un vicino? (Pausa) No, signora, questo non è possibile. Il valore è legato al
servizio. (Pausa) Come? (Pausa) Signora, non mi sembra il caso. (Pausa) Stia calma. (Pausa)
Signora, disperarsi non porta a niente. Perché non si siede? (Pausa) Si sieda, respiri fondo, beva un
bicchiere d'acqua. (Pausa) Mi dispiace, ma sono in orario di servizio. (Pausa) Certo, la capisco
benissimo. (Pausa) No, non si deve rimproverare per una cosa del genere. Sono cose che succedono
(Pausa) Pensi che la vita è bella. (Pausa) Sì. Si dica che la vita è bella. (Pausa) Brava. Adesso vada
in camera da letto, si guardi allo specchio e ripeta a voce alta "La vita è bella", "La vita è bella", “La
vita è bella” (Pausa) Si sente meglio? Vedrà che si sentirà meglio. Lo faccia tutti i giorni. Il nostro
cervello ha bisogno di sentirsi dire le cose. (Pausa) No, si figuri. (Pausa) Come? Cosa sta facendo?
(Pausa) Non la sento bene. (Pausa) Signora, per l’amor di dio, cosa fa? (Pausa) Non dica
stupidaggini, questa è una stupidaggine (Pausa) Mi ascolta? Signora, deve rientrare. (Pausa) Non
deve pensare che nessuno… (A qualcuno, fuori) Sì, ho capito! Ho capito! Un attimo di pazienza!
(Pausa) Signora, il mio capo è arrabbiato. Purtroppo devo lasciarla. Ma deve promettermi di stare
calma. (Pausa) Signora, è ancora lì? Signora? Signora?
Scena 15
Stazione di metropolitana.
Djibo aspetta, seduto. Il suo treno non arriva.
Ogni tanto, rumore del treno in arrivo nel senso contrario.
Un po' spazientito, va fino a una macchinetta di bevande. Inserisce una moneta, preme il pulsante,
ma non esce niente. Perde la pazienza, e inizia a dar cazzotti contro la macchina, inutilmente.
Dall’altro lato, entra la Signorina Jolie. Si siede su una panchina.
Djibo torna a sedersi sulla sua panchina, sconfitto.
Continuano i rumori dei treni che arrivano in senso contrario.
DJIBO: Mi scusi?
La signorina Jolie lo guarda.
DJIBO: Mi scusi, lei sa a che ora passa il treno?
JOLIE: Prego?
DJIBO: E’ mezz’ora che aspetto.
JOLIE: Ogni cinque minuti, ma dopo le dieci sono più radi.
Pausa. Rumore di treno che arriva.
DJIBO: Lavora in zona?
JOLIE (quasi offesa): Come?
DJIBO: Non è la prima volta che la vedo. Mi sono domandato se lavora in zona.
JOLIE: No.
Pausa.
DJIBO: Allora abita in zona?
JOLIE: No.
Pausa.
DJIBO: Mi domandavo perché...
JOLIE: Si faccia gli affari suoi.
Silenzio.
DJIBO: Che ora fa il suo orologio? Mi sa che quello è rotto. (riferendosi all’orologio della
Stazione)
JOLIE: Lei mi sta molestando. La avverto che chiamerò la polizia.
DJIBO: No, si sbaglia. Volevo solo…
La signorina Jolie si alza e cambia panchina.
La sua valigetta scivola e le carte si sparpagliano. Dentro, una bomboletta a gas.
Djibo si affretta ad aiutarla. Prende la bomboletta a gas.
JOLIE: Mi stia lontano. Cosa vuole? Adesso grido. Adesso chiamo qualcuno.
DJIBO: Voglio solo…
JOLIE: Un pervertito, oh mio dio.
DJIBO: … aiutare.
Djibo quello che ha preso e torna a sedersi, un po’ scosso.
La signorina Jolie si calma. Raccoglie le sue cose. Si siede nuovamente. Silenzio. Treno che arriva
dall’altra parte.
JOLIE: Davvero voleva…?
Pausa.
JOLIE: Davvero?
Pausa.
JOLIE: Mi scusi. E’ che non si sa mai cosa ti può succedere in questa città. E' tutto così... fragile.
Questa bolla che abbiamo intorno a noi. Può esplodere in qualsiasi momento. In qualsiasi momento,
sa, può arrivare qualcuno e buttarti dell’acido in faccia e deformarti per tutta la vita. O puntarti un
coltello alla gola, sfilarti le mutande, costringendoti a fare brutte cose in qualche angolo buio. Si
rende conto?
Pausa.
JOLIE: E’ questione di badare alla propria pelle. Se non lo facciamo noi, e chi?
Pausa.
JOLIE: Io sono Amanda Jolie, piacere.
Si stringono le mani.
DJIBO: Djibo.
JOLIE: Che nome è?
DJIBO: Lituano.
JOLIE: Accidenti. Mai conosciuto uno prima. Peruviani, venezuelani, giamaicani sì, ma... Oh dio,
non mi fraintenda. Io sono per una società multiculturale. Colore della pelle, nazionalità – dettagli,
no? Io stessa sono un sangue misto. Si può dire, no? Mio padre era tedesco e mia madre francese.
Sono europea nel senso più ampio del termine. (ride) Parlo cinque lingue. Francese, Tedesco,
Spagnolo e Italiano. E inglese, ovviamente. Senza l'inglese non si va da nessuna parte. (sfilando un
cracker dalla borsa) Vuole un cracker?
DJIBO: No.
JOLIE: Sono stata assunta proprio per questo. Per parlare con il mondo. Sono molto brava, sa? Per
parlare con il mondo, non basta saper alzare la cornetta. No, no. Ci vogliono le chiavi. Le chiavi per
arrivare al cuore della gente. E io queste chiavi ce le ho, e sono cinque. (Pausa. Mangia) Poi
bisogna anche essere un po’ psicologi. Dire le parole giuste al momento giusto. Dire quel che il
cliente vuol sentire. Assecondarlo. Questa è una cosa importante. Assecondarlo. Perché una volta
che si fida di te, la partita è vinta. Parlo di affari, è chiaro. Il mio capo dice che sarei una brava
manager se fossi uomo. E tu?
DJIBO: Io sono un uomo.
JOLIE: Cosa fai, dico? Cosa fai, ad esempio, a quest’ora qui?
DJIBO: Vado a casa.
JOLIE: Non mi piacciono le stazioni deserte. Non si sa mai chi si può trovare.
DJIBO: Abito in periferia.
JOLIE: D’altra parte, di giorno è insopportabile. I treni traboccano di gente sudata. E tu cerchi di
infilarti dentro, lanciandoti contro il branco, strusciando il corpo ai corpi sudati che ti stanno
attorno. Sennò rimani indietro. Sennò perdi il treno. Ti rendi conto? (mangia)
DJIBO: E’ tranquillo. Dove abito.
JOLIE: A quest’ora la maggior parte della gente è a casa. Ha già mangiato la pasta e ora ha il suo
bel distendersi sul divano, a guardare un telefilm. Odio gli straordinari.
DJIBO: Ma mi piacerebbe cambiare.
JOLIE (come se si svegliasse): Cosa?
DJIBO: Mi piacerebbe vivere più in centro. Ci metto tanto ad arrivare qui.
Pausa.
JOLIE: Ti sei mai domandato se ha un senso. Dico, se tutto questo ha un senso? Non hai mai avuto
una di quelle giornate in cui vorresti chiuderti per sempre in una camera iperbarica, chiuderti a dieci
mandate e buttare via la chiave? Quelle giornate in cui ti andrebbe di gridare, gridare così forte, solo
per poter sentire il silenzio dopo? Quelle giornate in cui ti sembra inutile ritornare a casa, perché
tanto c’è solo il tuo gatto che ti aspetta, sul divano di ecopelle, a giocare col topino di gomma?
DJIBO:...
JOLIE: Perché a me succede sempre.
Djibo prende un pezzo di carta e si mette a disegnare. Rumore di treno in arrivo e partenza
dall'altra parte.
JOLIE: Cosa fai? Disegni?
Djibo le dà il disegno.
JOLIE: Un dinosauro?
DJIBO: Una donna.
JOLIE: Questo sembra una coda. O una barba.
DJIBO: Una vecchia.
JOLIE: Perché hai disegnato una vecchia?
DJIBO: Ha i capelli lunghi.
JOLIE: Ah, capelli. Non sei tanto bravo a disegnare.
DJIBO: E le labbra increspate dalle rughe.
JOLIE: Non si capisce bene.
DJIBO: Sembra che le hanno cucite.
JOLIE: Me lo stai regalando?
DJIBO: E gli occhi corrosi dalla cataratta. Non vede niente. Forse non sente nemmeno.
JOLIE: Grazie, è molto carino da parte tua.
DJIBO: Forse non sa nemmeno di essere viva.
JOLIE: Anche se non so cosa farne.
DJIBO: Forse è un sogno.
JOLIE: Ma è comunque molto carino.
DJIBO: Forse sogna.
JOLIE: Magari ci fossero più persone come te in giro.
DJIBO: Forse abita ancora in quel tempo. In quella radura. Dietro alle montagne.
JOLIE: Se ci fossero più persone come te, il mondo sarebbe migliore.
DJIBO: Forse non esiste.
JOLIE: Davvero. Un mondo migliore.
Pausa.
La signorina Jolie rigira il pezzo di carta.
JOLIE (leggendo): Sara Newman, sensitiva. Tarocchi, rune, I Ching. Tariffe modiche. Orario
serale. (lo piega e lo mette in borsa) Grazie. Davvero.
Rumore di treno in partenza.
ALTOPARLANTE: Attenzione, signori utenti. Siamo spiacenti di informarvi che il traffico nella
linea verde è stato interrotto. Attenzione, il traffico nella linea verde è stato interrotto. I treni della
linea verde sono sospesi a causa di un incidente. Ci scusiamo per lo spiacevole inconveniente.
Informiamo che degli autobus sostituivi sono stati resi disponibili.
Djibo e la signorina Jolie si guardano.
JOLIE: Stupidi suicidi. Fanno solo perdere tempo.
Scena 16
Una seduta di psicanalisi.
In primo piano, di spalle alla platea, la poltrona dello psicanalista. Vediamo soltanto il fumo
ascendente di un sigaro.
In fondo, un divanetto.
Samuel è in piedi e, nel corso del monologo, passeggia per la stanza.
SAMUEL: Mio padre non mi voleva bene. Era un uomo esigente, e io non ero mai all’altezza. La
sua disciplina ferrea, la sua dedizione al lavoro erano la regola d’oro. Anche quando ci portava in
vacanza al mare aveva sempre qualcosa da ridire. I bambini spensierati erano frivoli, gli altri
genitori irresponsabili. Lasciar cadere la palla in acqua era un peccato universale, così come
sporcare il costume di sabbia. (Pausa) Era un uomo suadente. Con la sua voce imperante, il suo
camminare impettito, il suo orgoglio ferreo. Io lo amavo. Lo amavo, capito? Ero attaccato alle sue
mammelle come un cucciolo. Come un cucciolo, aspettavo il momento in cui mi avrebbe posato la
mano sulla testa, o le labbra sulla guancia. (Pausa) Ma non accadeva mai. Solo qualche volta la
sera, quando decideva che era il momento di uno svago. E ci raccontava storie di imperi, di generali
vincenti, di civiltà in espansione. Ci raccontava, per esempio, come Alessandro Magno ha sconfitto
Dario III. Come i suoi seimila uomini hanno preso per il naso un esercito di un milione, con la sola
forza dell’intelligenza. Il trionfo della superiorità dell’Occidente. E io mi addormentavo cullato da
queste immagini, e sognavo di esserci stato veramente, di impugnare la lancia, spronare il cavallo e
gridare all’attacco. Quelle rare volte che sorrideva, era come ricevere un regalo anelato per anni.
Mai per vera gioia o tenerezza, mai per autentica soddisfazione, ma per scherno. O per via di mio
fratello. Lui sì ha sempre avuto la fortuna di piacergli. Il suo modo di esprimersi, articolato sin da
piccolo, le sue spiccate abilità intellettive. Un modello da seguire. Ma io a mio fratello non
assomigliavo, ed era difficile capire perché. Anche se era il più piccolo, arrivava prima. E io
rimanevo sempre più indietro. Quando papà morì, la rottura fu definitiva. Come se nessun altro
vincolo ci unisse oltre alla mano ferma di quell’uomo. Le telefonate si sono fatte sempre più rade,
più rade, fino ad interrompersi del tutto. Non so spiegare il motivo. Non c'è stato un litigio. O una
scenata. O il rinfacciarsi l’odio a vicenda. Solo il silenzio. E la distanza oceanica tra due continenti
disgiunti. (Pausa) Ogni tanto lo chiamo. Non dico niente. Sento la sua voce e provo a indovinare i
suoi pensieri. Non so perché ho ancora bisogno di questo. (guarda l’orologio, si alza) Buona sera,
dottore.
Esce dalla stanza.
Djibo è in sala d’attesa.
DOTTORE (voce): Avanti.
Samuel incrocia Djibo. Lo guarda per un attimo – la sensazione di “forse l'ho già visto da qualche
parte”.
Dijibo entra nella stanza.
Scena 17
Consultorio dell’analista.
Tutto come nella scena precedente, tranne che per un registratore poggiato su un tavolino. Luce
diversa.
Djibo soltanto reagisce a quello che ascolta – odio, terrore, smarrimento, allegria…
Diventa piano piano un animale rinchiuso in una gabbia, lottando disperatamente per uscirne.
REGISTRATORE (voce inespressiva): I suoi capelli pendono fino al piede. Non li ha mai tagliati.
Li tiene raccolti in una treccia e ha l’abitudine di spazzolarli la sera. Proprio adesso li sta
spazzolando, in camera sua. Io sono seduto su una sedia, e mi avvicino perché li voglio toccare.
Sono morbidi e hanno il colore del miglio raccolto, a parte qualche striscia bianca. Il volto è solcato
al margine degli occhi e andrà solcandosi sempre di più, come terra zappata. Ma il loro colore
rimarrà lo stesso, quel grigio indefinito, più tardi rafforzato dalla cataratta. Lei usava parole che non
capivo, che a volte mi facevano ridere, a volte addormentare. Parole che volevano dire “pietra” o
“albero” o “pioggia” o “vacca”. Volevano anche dire tristezza o solitudine o nostalgia. Quando i
miei genitori sono morti, tutto è cambiato. Mi hanno affidato ad una nuova famiglia. Mi hanno
mandato ad una scuola, in cui s’imparava la buona lingua. L’insegnante era una donna assiderata
dentro un abito da suora. Mi faceva inginocchiare sul grano quando dicevo parole mie. Quei pochi
semi rimasti, sparsi sulla pietra. Ho imparato a provare vergogna. Ho imparato a nascondere. Ho
imparato a essere adulto. Andavo a visitarla sempre più di rado. D’un colpo, non c’era più anima
viva. Il presente diventò passato, seppellito sotto terra. Aveva nomi scritti su tavole, presso cui lei
depositava fiori. Passava le giornate a guardare il cielo, secca di saliva. I nostri incontri erano lunghi
dialoghi silenziosi. Alla fine, non è rimasto niente, solo la voglia di andare via.
Scena 18
Casa di Sara.
Luci soffuse, incenso, candele.
Un tavolo con due sedie. La signorina Jolie è seduta davanti a Sara.
Sara legge i tarocchi.
SARA: Le carte parlano chiaro. La torre è uno dei peggiori arcani del mazzo.
JOLIE: E’ sicura?
SARA: Sta mettendo in dubbio la mia professionalità?
JOLIE: No. Mi scusi.
SARA: Può vedere lei stessa. La torre è in testa. Significa tradimento, perdita, morte, punizione...
JOLIE: Tradimento? Ha detto tradimento?
SARA: O perdita. O punizione. (Pausa) O morte.
Pausa.
JOLIE: E’ terribile.
SARA: Non si preoccupi. A tutto c’è rimedio. Le prescriverò qualche esercizio per cambiare il suo
karma.
Pausa.
JOLIE: Tutto qui?
Pausa. Sara si concentra.
SARA: Un uomo. Vedo un uomo.
JOLIE: Davvero?
SARA (indicando una carta): L’imperatore. (Pausa) Ma è capovolto.
Pausa.
JOLIE: Cosa significa?
SARA: Significa tirannia, brutalità, ingiustizia.
JOLIE: Ingiustizia?
SARA: O tirannia. O brutalità.
Pausa.
JOLIE: Non potrebbe essere più specifica?
SARA: Io do solo degli spunti. Sono un canale. I dettagli, li dovrebbe sapere lei.
Pausa.
JOLIE: Dice qualcosa su una promozione? Una promozione lavorativa?
SARA (si concentra): No, non vedo una promozione.
JOLIE: Non vede una promozione?
SARA: Non vedo una promozione.
Pausa.
JOLIE: Qualcosa su… una famiglia?
SARA: Una famiglia?
JOLIE: Un marito, un figlio?
Sara osserva le carte, concentrata.
SARA: No.
Pausa.
JOLIE: Niente?
SARA: Il tre di spade sopra gli innamorati annulla il suo effetto.
Jolie è nervosa. Prende un mazzo di sigarette dalla borsa, fa per accenderla.
SARA: Hm-m.
JOLIE (guardandola): Posso?
SARA: Veramente…
Jolie la fissa. Rimette la sigaretta in borsa.
SARA: Vuole un bicchiere d’acqua?
JOLIE: Si, grazie.
Sara apre un piccolo frigo e versa acqua in un bicchiere. La signorina Jolie si è alzata e gironzola
per la stanza.
JOLIE (indicando una cuccia vuota): Ha un cane?
SARA: Un gatto. Ma è morto tre mesi fa. Tumore all’intestino. Povero.
Jolie prende un topolino di gomma per terra.
JOLIE: E perché lascia qui la sua cuccia?
SARA: Non so. Per abitudine. Faccio finta che è andato in balcone a fare un giretto. Il vuoto non mi
piace.
Pausa.
JOLIE: Ha mai pensato a che animale le piacerebbe essere? A me piacerebbe essere un passero.
SARA: Forse è un ricordo della sua precedente incarnazione.
JOLIE: Mi piacerebbe volare, una volta tanto.
SARA: Può fare paracadutismo. O parapendio.
JOLIE: Ha mai pensato di buttarsi dalla finestra?
SARA: No. Preferisco tagliarmi le vene. (Breve pausa.) Scherzavo. (ride)
JOLIE (assorta): Io a volte lo penso. Quando non c’è nessuno. Quando il mio capo è in riunione o
semplicemente andato in bagno. Penso: adesso basta, adesso è il mio momento, adesso spiego le ali
e prendo volo. Buttarsi dal ventinovesimo piano. Cosa cambierebbe? Una nota di cinque righe sul
supplemento di cronaca.
Pausa.
JOLIE: Forse se uno potesse tornare indietro.
SARA: Forse.
JOLIE: Forse capirebbe meglio perché le cose sono andate così.
SARA: Forse.
JOLIE: O forse sarebbero andate così comunque.
Pausa.
JOLIE (butta il topino per terra): Odio questi aggeggi.
SARA: Posso ancora aiutarla? Perché è tardi, devo…
JOLIE: Se lei dovesse morire domani, cosa farebbe? L’ultima cosa, qual è l’ultima cosa che farebbe
se sapesse che non oltre ventiquattro ore il suo corpo giacerà sotto terra.
SARA: Non lo so.
JOLIE: Lei non è sincera.
Pausa.
SARA: Un atto di amore, penso.
Pausa.
JOLIE: Quanto le devo?
SARA: Cinquanta euro.
Jolie le dà i soldi. Si avvia all’uscita. Sara rimane inchiodata con i soldi in mano.
JOLIE (si volta, prima di uscire): Tradimento? Lei ha detto tradimento?
Scena 19
Casa di Sara.
Sara è in cucina. Sta "cucinando": prende dal freezer del cibo surgelato e mette nel microonde.
Mente prepara la cena e apparecchia, parla con qualcuno fuori scena.
SARA: Hai capito? Si è avvicinata e mi ha chiesto se avevo qualche moneta. “Le do la moneta o
non le do la moneta?” ho pensato. Ero spaccata a metà come un’anguria. Perché si sa che questi
bambini sono sfruttati da stronzi senza cuore. Ma lei ha insistito. “Ho fame”, mi ha detto. “Per
favore, signorina. Mi compri da mangiare?”. A quel punto mi sono arresa. Cosa potevo fare,
dimmi? Negare del cibo a una povera creatura di nove anni? Quello sguardo, quello stupido sguardo
mi ha messo k.o. Le ho detto “Va bene, andiamo a comprare il tuo panino”. I suoi occhi si sono
illuminati. “Come ti chiami, signorina? Lei è molto bella, sa?” Le ho detto che poteva chiedere al
commesso quello che voleva. Immaginavo un menu qualsiasi, un numero quattro, tipo. Ma quando
me ne rendo conto, aveva chiesto tutto quello che c’era. Non so perché, ma non ho avuto il coraggio
di dire di no. Sembrava che gli occhi del commesso mi dicessero: sei una stronza se non paghi da
mangiare a questa bambina. Allora gli ho dato i cinquanta euro. Lui ha avanzato il resto, ma lei ha
fatto più in fretta di me e se l’è intascato senza battere ciglio. Questo mi ha irritato un sacco, ma mi
sono detta: “Non essere stupida, hai fatto una buona azione. Un passo in più verso la liberazione dal
tuo karma”. Un attimo dopo la vedo allontanarsi e buttare tutto in un bidone. (Pausa) Mi sento così
fessa.
Thomas, che era accasciato dietro al divano, si alza.
THOMAS: Ho finito.
SARA: Cosa?
THOMAS: Il puzzle.
SARA: Non me lo lasciare lì per terra, però.
THOMAS: Lo farò incorniciare.
SARA: E’ un mese che mi sbatto per non pestarlo.
THOMAS: Tremila pezzi. Ho battuto il mio record.
SARA: Aiutami ad apparecchiare, Thomas. Ti vanno gli spinaci? Ho scongelato anche gli involtini
primavera.
THOMAS (va ad aiutare): Ci ho messo tre mesi, tre mesi - ti rendi conto? - per trovare il capezzolo
sinistro di Shiva. Un pezzettino da niente, che si era nascosto sotto al divano. Stamattina, per caso,
lo trovo. Sembrava un pezzetto come un altro. Una macchia gialla su uno sfondo marrone. Ma d’un
tratto qualcosa cambia e quel pezzo guadagna senso. Il resto è venuto da sé. (guarda la sua “opera”
con orgoglio)
SARA: Puoi prendere l'olio e l'aceto, per favore?
Lui va a prendere l'olio e l'aceto, lei posa il cibo sul tavolo. Si siedono e iniziano a mangiare.
SARA: Mi sono domandata se il problema sono io, capito?
Pausa.
Se non sono io a attrarre questo tipo di roba.
Pausa.
Come se io fossi, che ne so… una sorta di… parafulmine per la sfiga.
Pausa.
SARA: Perché tutti i miei incubi, capisci, tutti i miei incubi più profondi diventano realtà.
THOMAS: Di che parli?
SARA: Perché la bambina non poteva sapere, no? Come faceva a immaginare che…
THOMAS: Quale bambina?
Pausa.
SARA: Come quale bambina?
Pausa.
THOMAS (finge di aver capito): Ah, certo. La bambina.
SARA: Come faceva a sapere che faccio quel sogno ogni notte? Che ogni notte, appena mi
addormento, una bambina si avvicina al mio capezzale e mi chiede una moneta. Io cerco
disperatamente di svegliarmi per darle la moneta, ma non ci riesco. Non riesco a muovermi. Non
riesco nemmeno a gridare. Anzi, grido, ma la voce mi rimane in gola. Grido, grido con tutte le mie
forze, ma sono urla inutili. Allora lei pensa che sono morta e si allontana piangendo. E’ orribile. Ora
dimmi, come faceva a saperlo? Come è possibile, Thomas?
Pausa.
THOMAS: Pensavo fosse per il caldo. (Pausa) Che ti svegliavi così sudata.
Silenzio.
SARA: Vuoi un po’ di salsa?
THOMAS: No, grazie.
Pausa.
SARA: Se vuoi, ce n’è in frigo.
THOMAS: No, va bene così.
Pausa.
SARA (fa per alzarsi): Vado a prenderla.
THOMAS: No. Grazie.
Pausa.
SARA (sedendosi): Thomas.
THOMAS (senza guardarla): Mm.
SARA: Quando lo facciamo?
THOMAS: Cosa?
SARA: Il bambino.
Pausa.
THOMAS: Ne abbiamo già parlato.
Pausa.
SARA: Perché non mi lasci?
THOMAS (automatico): Perché ti amo.
SARA: Allora facciamo un bambino.
THOMAS: Non otterrai niente con i ricatti.
SARA: Non è una minaccia, è un fatto. Ho trent’anni, non posso aspettare di più.
THOMAS: Oggi giorno molte donne fanno il primo figlio a quarant’anni e anche più tardi. La
scienza lo permette.
SARA: Non mi va di essere la nonna di mio figlio.
THOMAS: Le donne che lavorano, che hanno una carriera /
SARA: Non me ne frega niente della carriera. Non ho una casa, non ho un lavoro stabile, non ho
nemmeno una laurea. Per la società sono uguale a zero, non valgo niente, capisci? Ma forse per
qualcuno posso valere.
Silenzio. Thomas è inquieto, gira per la stanza.
SARA: Sai qual è il tuo problema? Sei un codardo. Hai scritto il copione della tua vita e lo devi
recitare a puntino, ad ogni costo. Il figlio modello, il ricercatore modello. Devi essere sempre il
primo della classe. L’uomo di grandi valori. Il portatore della conoscenza. Ma in tutto questo io non
c’entro. In tutto questo ci sei solo tu e il tuo ego. Tu e quello che devi dimostrare a te stesso. E a tuo
padre. (Pausa. Gli gira attorno, cercando il suo sguardo, ma lui lo sottrae) Ma lui è morto.
Schiacciato da un tir, povero uomo. O povero stronzo? Tuo fratello invece è vivo, da qualche
parte…
THOMAS (interrompendola): Cosa c’entra mio fratello?
SARA: …e tu non lo chiami nemmeno. O forse non è vivo? Forse è morto pure lui. Forse tuo
fratello è morto e tu non sei neanche andato al funerale.
THOMAS: Cosa vai dicendo, cosa c’entra…?
SARA (incalzandolo sempre di più, cercando continuamente il suo sguardo): Forse è stato mesi ad
agonizzare in un letto di ospedale, corroso dal cancro, ad aspettare l'arrivo di un mazzo di fiori o di
una cartolina. Sognando di vederti un giorno attraversare la porta con uno sguardo amichevole. Ma
il tempo è passato e non è venuto nessuno; e una bella sera, mentre guarda una partita di calcio in
televisione per passare il tempo, gli manca il respiro. Cerca aiuto, stende il braccio per premere il
pulsante e chiamare l'infermiera, ma non ce la fa. Il bicchiere d’acqua sul comodino gli si rovescia
addosso. Contemporaneamente, perde il controllo di suo corpo e si piscia addosso. Doppiamente
bagnato, e senza un’anima che gli aiuti. Stringe forte le lenzuola, come se potessero essere una
mano, e rimane così, per una frazione di secondo, a guardare il vuoto, finché il suo corpo non cade
immobile sul letto, per sempre.
Pausa.
THOMAS (finalmente guardandola negli occhi): Perché mi stai dicendo queste cose orribili?
SARA: Perché è così che finirai anche tu.
THOMAS: Mio fratello è vivo.
SARA: Come lo sai?
THOMAS: Lo so. (Pausa) Ha molti soldi. Non gli toccherà di morire così.
SARA: Non è un uomo felice.
THOMAS: Che razza di domanda è?
SARA: Non è una domanda.
Pausa.
THOMAS: E tu come lo sai?
SARA: Ha un non so ché nello sguardo, una sorta di fiume in piena. Come se giorno e notte la
corrente si accumulasse, facendo pressione contro la diga, una pressione così forte che il cemento
tentenna. Le crepe si vedono, qui, accanto agli occhi. Basta una goccia perché esploda.
Pausa.
THOMAS: Te lo stai inventando.
SARA: Tuo padre ne sarebbe fiero. Ha tutte le carte in regole.
THOMAS: L’hai trovato?
SARA: E’ un pezzo grosso.
THOMAS: Come l’hai trovato?
SARA: Non è sposato. Oppure non usa la fede.
THOMAS: Come ti venuto in mente? Come cazzo /
SARA: Comunque non ho visto portaritratti in giro. Non deve essere uno che coltiva gli affetti.
THOMAS: Sei pazza.
SARA: Ha una vasca idromassaggio nel bagno. (Pausa) Nel bagno dell'ufficio. Ha una vasca
idromassaggio enorme.
Pausa.
THOMAS: Sei entrata in bagno?
SARA: E degli accappatoi di seta. Mai vista una seta così morbida. Ti senti come una seconda pelle
addosso.
THOMAS: Hai messo il suo accappatoio?
SARA: Non era suo. Ne tiene più di uno, per le visite.
Pausa.
THOMAS: Stai scherzando?
SARA: Non è maldestro. (Pausa) Non come dicevi tu. (Pausa) Se l'è cavata benissimo.
Pausa.
THOMAS: Perché se è uno scherzo…
SARA: Mi potrebbe aver messa incinta. Non sarebbe male, perché no? Se una è marcia, magari
l'altra metà della mela...
Thomas le dà uno schiaffo. Lei porta la mano sulla guancia colpita, ma non reagisce. Lui esce
sbattendo la porta. Lei rimane ferma in mezzo alla stanza.
Scena 20
Ufficio di Samuel.
Samuel è seduto sulla sua scrivania, in penombra.
Sara in mezzo alla stanza.
SAMUEL: Togliti la maglietta.
SARA: Nell’annuncio non c’era scritto che…
SAMUEL: Se non ti interessa, puoi andartene.
SARA: No, è soltanto che… Non immaginavo… C’era scritto “assistente aziendale di alto bordo".
SAMUEL: Esatto.
SARA: “Orario serale. Nessuna lingua straniera richiesta”.
SAMUEL: Esatto.
Pausa.
SARA: E’ così buio. Come mai non c’è nessuno?
SAMUEL: Preferisco sbrigare questi affari la sera. Di giorno c’è troppa confusione.
Pausa.
SARA: Cosa dovrei fare?
SAMUEL: Mettiti lì. (Sara si posiziona) Adesso ti sciogli i capelli e ti sfili la maglietta piano piano.
SARA: Non preferisce che le faccia un resoconto del mio percorso professionale?
SAMUEL: Prima voglio vedere il tuo bel pancino.
SARA: Ho iniziato a lavorare a quindici anni. Facevo l’aiutante parrucchiera a mia zia. Lavavo i
capelli a tutte le signore di mezz’età del quartiere. Per ogni testa, una moneta. Così potevo
comprarmi le canne.
SAMUEL: Alzala di più, voglio vedere i capezzoli.
SARA: Poi sono passata al settore degli hot dog. Stavo tutta la sera dietro al bancone di una roulotte
con un tizio di centoventi chili che puzzava come un orso. Un giorno ha deciso di mettermi le
zampe addosso. Io l’ho dato un morso all’orecchio, lui è caduto per terra, gli si è rovesciata la
mensola dei condimenti addosso. Alla fine non si sapeva più cos'era sangue e cos'era ketchup.
SAMUEL: Adesso toglila del tutto.
SARA: Dopodiché ho pensato che era meglio investire nella formazione. Ho finito le superiori, e
mi hanno assunta in un birrificio come receptionist.
SAMUEL: Il reggiseno. Togli il reggiseno.
SARA: Ma mi hanno licenziata subito, perché ho organizzato una festa e infilato i miei amici di
nascosto. Mi hanno trovata il mattino dopo in una pozza di vomito.
SAMUEL: Girati. Piano. Toglilo piano.
SARA: Poi ho intrapreso la carriera di venditrice di cosmetici. Bussavo di porta in porta offrendo
una gamma di prodotti anticellulite. Facevano un gran successo. Ma alla fine spendevo di
più comprando che vendendo.
SAMUEL: Adesso la gonna. Togli la gonna.
SARA: Poi è iniziata una serie infinita di colloqui di lavoro. Ma nessuno andava in porto. O
comunque durava poco. Allora mi sono inventata una laurea. Ho scritto sul curriculum: laureata con
centodieci e lode in “Amministrazione Umana”.
SAMUEL: Le mutandine.
SARA: Allora mi hanno assunta come commessa in un negozio e sono andata a lavorare con la
grassona. (Pausa) E’ una tortura. Il salario non basta. Per questo voglio cambiare.
Samuel si avvicina.
SARA: E allora, sto andando bene? Mi assumerà?
Samuel si avvicina sempre di più. Le tocca i capelli.
SARA: Ma tu sei…
Lui le bacia il collo.
Scena 21
Università
L’ufficio di Wittman.
THOMAS: Sta peggiorando. Quasi non parla più. Riesce a malapena a respirare. Sto ore lì, a tenerle
la mano, aspettando un suono che assomigli a una parola. Ogni tanto lei mi stringe la mano e mi
sorride con gli occhi. La bocca non si vede, è coperta dal respiratore. A volte penso che mi scambi
per il nipote. Non ci vede bene.
WITTMAN: E lui? Non ti stava aiutando?
THOMAS: Continuo a mandarlo tre volte a settimana dallo specialista, ma l'ipnosi non sta
funzionando. Dice cose confuse, non riesce a mettere a fuoco le immagini. Ho provato a suggerirgli
situazioni, parole, ricordi… Ma niente. E’ una tabula rasa.
WITTMAN: Bel guaio.
THOMAS: Vedi queste occhiaie? Dormo mediamente quattro ore a notte.
WITTMAN: La riunione del consiglio del dipartimento è la settimana prossima.
THOMAS: Ho bisogno di più tempo. Il processo è molto più complesso di quello che prevedevo.
Pausa.
WITTMAN: Thomas, se non presenti niente di concreto, daranno la cattedra a Bondieu. Ha fatto
uno studio brillante sulla linguistica francofona applicata agli affari di stato.
THOMAS: Tu non sei dalla mia parte.
WITTMAN: Sto facendo tutto quello che riesco. Ma non posso fare miracoli. E non posso
nemmeno fingere di vedere di buon occhio questa follia. E’ un’ossessione. E come ogni ossessione
porta al baratro.
THOMAS: Ti sbagli. Anche se sono ancora lontano dai miei obbiettivi, ho fatto dei passi. Ho fatto
dei passi, davvero. Ho scoperto, ad esempio, cosa vuol dire bakti. Baktivuol dire “naso”. Lo so
perché ha detto “bakti” e ha puntato il mio naso.
Pausa.
WITTMAN: Perché insisti? Non devi provare niente a nessuno. Tuo padre è morto.
THOMAS (arrabbiato): Non ridurre tutto ad una bega freudiana. E' una questione di principi, di
valori. Perché tutti quanti sono pronti a aizzare la bandiera per le balene, l'aquila reale e lo
scoiattolo rosso, o per difendere la foresta amazzonica? E a me danno del pazzo? La logica è la
stessa. La biodiversità, no? La ricchezza della vita.
WITTMAN: Se le specie scompaiono c’è sempre un motivo. Il buon vecchio Darwin non fa cilecca.
THOMAS: Ma il motivo non è nella natura, non come una volta. Siamo noi i colpevoli. E questo
Darwin non l’aveva previsto. Non aveva previsto un mondo in cui una scoreggia a Berlino può
diventare una bomba atomica a Giacarta, o vice versa.
WITTMAN: Noi siamo uomini, Thomas, molto semplicemente. Il nostro contributo all'universo è
molto piccolo. Potremmo dire infinitesimale. La nostra esistenza è governata da fattori che non ci
riguardano. Forse proprio domani un meteorite staccatosi da Marte cadrà sulle nostre teste. O un
attacco terroristico manderà all’aria questa città, questo paese, il mondo. Allora sarà tutto finito.
Quello che devi chiederti è: ne vale la pena?
THOMAS: Bisogna far qualcosa. Per quel poco che dipende da noi.
WITTMAN: Figliolo, ascoltami. Pensa a sistemarti. Trovati una fidanzata. Fate una famiglia.
Mandate avanti la specie. Tutto il resto sono sciocchezze. (Pausa) Presentati alla riunione con un
nuovo progetto, un progetto sensato. Solo così potrò salvarti la faccia.
Pausa.
THOMAS: Non abbandono la mia ricerca.
Pausa.
WITTMAN: Va bene, mettiamo che tu abbia ragione. Che tutta questa baggianata dell'estinzione
delle lingue non sia folle e il tuo progetto abbia senso. Mettiamo pure che sia rivoluzionario.
Mettiamo che decifrerai questa lingua e scriverai un capolavoro. A quel punto, a quel punto lei sarà
morta e spacciata. E’ destinata al silenzio comunque. Quando scriverai la tesi, la dovrai tradurre in
inglese. Perché è l’inglese la lingua degli studiosi, nei Congressi; la lingua degli affari; la lingua del
cinema, della musica... E' una pandemia. E forse è giusto che lo sia.
Pausa.
THOMAS (arrabbiato): Vuoi sapere una cosa? Se non mi danno quella cattedra, non me ne importa
niente. Non me ne importa un bel niente. Che vadano tutti all’inferno. Tutti quanti. Anche te.
Thomas fa per uscire.
WITTMAN: Thomas. (lui si volta) Lavati.
Thomas esce.
Scena 22
Djibo seduto su un tavolo, con una cuffia e un libro aperto.
DJIBO: “The book is on the table”. Il libro sta sul tavolo. “The hen ran accross the street”. La
gallina ha attraversato la strada di corsa. “I love to cook a good English meal". Io amo cucinare un
buon piatto inglese. “We buy a big apartment downtown". Noi compriamo un grande appartamento
nel centro della città. “They play golf with their mates”. Loro giocano a golf con i loro amici. “The
children want to play videogame". I bambini vogliono giocare a videogame. "The couple divorced
after one year". La coppia ha divorziato dopo un anno. "She goes on vacation in the Bahamas” Lei
va alle Bahama in vacaze.“The policeman arrested the illegal immigrant". Il poliziotto ha arrestato
il clandestino. “The employee speaks good English”. L’impiegato parla un buon inglese. "I will
achieve all my goals". Raggiungerò tutti i miei obbiettivi.
Scena 23
Casa di Sara.
Djibo guarda la TV: un cartone animato. Indossa occhiali da sole e abiti più moderni.
Entra Sara. Ha i capelli bagnati e si pulisce l’orecchio con un cotton fioc.
SARA: Hanno suonato?
DJIBO: …
SARA: Mi sembra di aver sentito qualcosa.
DJIBO: …
SARA: Ma quanto ci mettono questi a portare la pizza?
Djibo è assorto dalla t.v.
Sara si mette degli orecchini e si trucca davanti ad uno specchio.
Poi si gira e lo guarda come per la prima volta. Comincia a ridere.
DJIBO: Cosa c’è?
SARA (ridendo): Che fai con quella cosa in faccia?
DJIBO: …
SARA(c.s.): Gli occhiali.
DJIBO: …
SARA: Dentro casa non servono a niente.
Djibo se li toglie, un po’ imbarazzato.
SARA: Scusa, non volevo... Ti stanno benissimo.
DJIBO: Li ho comprati oggi.
Sara si avvicina e glieli rimette.
SARA: Ecco. Hai fatto un ottimo acquisto.
Djibo se li toglie ancora.
Sara glieli rimette.
Djibo se li toglie.
Sara glieli rimette.
Djibo se li toglie.
Sara glieli rimette.
Djibo se li toglie.
SARA: Sono contenta che sei venuto. Non mi andava di uscire da sola. Venerdì sera da sola è una
tortura. Peggio di lunedì mattina con la grassona. (ride. Si butta sul divano) Ho una fame da lupo.
Tu?
DJIBO: Non molta.
Pausa.
SARA: Profumi?
DJIBO: Cosa?
SARA: Tu profumi. Conosco questo profumo.
DJIBO: …
SARA: No, davvero, mi piace un casino. Mi ricorda quello…
DJIBO: Ho fame. Pensando bene, ho fame.
SARA: …quello del mio ex fidanzato. Aveva un lato vanitoso, lui. Poteva passare qualche giorno
senza rasarsi, ma il profumo non se lo scordava mai. (Djibo sta cercando di dire qualcosa, per
cambiare l’argomento, ma non lo fa parlare, va come un treno.) Gli piacevano anche i vestiti, le
camicie inamidate. Se li faceva fare da una filippina due volte a settimane. Era borghese di nascita,
capisci? Niente da fare. Anche se ci provava, non riusciva a liberarsene. Aveva un’educazione. E
una volta che ti educano, non riesci a tornare indietro.
Pausa.
SARA: Finisco sempre lì, vero? A parlare di lui.
Pausa.
DJIBO: A che concerto andiamo?
SARA: Rock progressivo. Ti piace?
DJIBO: Non lo so.
SARA: Ti piacerà. Andiamo in questo locale molto carino, si chiama Il Tempio delle Mosche, ho
un’amica che fa la cameriera lì, una molto bella sai, te la devo presentare, perché vedrai, sì te la
devo presentare, ti divertirai un mondo, ti divertirai tanto, sarai
Scoppia a piangere copiosamente.
Djibo non sa come comportarsi.
SARA: Era tutto un’illusione, capisci?
DJIBO: …
SARA: Avrei voluto che…
DJIBO: …
SARA: In questo istante…
DJIBO: …
SARA: Proprio qui…
DJIBO: …
SARA: Ma lui…
DJIBO: …
SARA: Ma io…
DJIBO: …
SARA: Sono venuti i pompieri…
DJIBO:…
SARA: La porta era bloccata…
DJIBO: …
SARA: Sono arrivati in tempo…
DJIBO: …
SARA: Perché sono arrivati in tempo?
DJIBO: …
SARA: Forse sarebbe tutto diverso…
DJIBO: …
SARA: Forse non ci sarebbe…
DJIBO: …
SARA: O forse…
Djibo la bacia.
Lei si lascia baciare.
Suona il campanello.
SARA (sistemandosi): La pizza. (va a prendere il suo portafoglio) Hai spiccioli? Ho solo una
banconota da cinquanta.
Djibo prende dei soldi del suo portafogli e glieli porge.
SARA: Grazie.
Si guarda allo specchio. Ha gli occhi rossi e il trucco sfatto. Prende gli occhiali di Djibo e se li
inforca. Apre la porta di casa, parla con qualcuno fuori scena. Rientra con due pizze d’asporto.
SARA: Sono fredde. Scommetto che sono fredde. Che stronzi.
Scena 24
Ufficio di Samuel Ruhe.
Lui parla al telefono.
La signorina Jolie è in attesa.
SAMUEL (al telefono): No, non penso che questo influirà sulla questione. Le azioni stanno
risalendo. (Pausa. Ride.) Se lo fanno, li mandiamo dritto alla forca. Ho qualche asso nella manica. (Pausa) Certo che sono preparato. Sono preparato da una vita. Non ti preoccupare, la presentazione sarà incredibile. I partner non potranno dire di no. Ce la consegneranno tutta quanta l’azienda, vedrai. (Pausa) Non ti preoccupare, non ti farò fare brutta figura. Sai quanto significa per me la tua fiducia. (Pausa. Ride) Figuriamoci. Ti verrò a trovare, giocheremmo qualche partitina a golf. (Pausa) Come? Non è vero, ci sentiamo spesso. Sai che lei ha un carattere un po’ troppo sensibile. La verrò a prendere mercoledì, per il suo compleanno. (Pausa) Infatti, martedì. Ho detto martedì. (Pausa) D’accordo. (Pausa) Sì, certo che ne abbiamo parlato. Ma non sono convinto che… (Pausa)
Il posto. Mi riferivo al posto scelto da lei. Non sono tanto convinto che sia quello giusto. Un’isola
dei Caraibi mi sembra un po’ … (Pausa) Certo, ci si sposa una volta nella vita. (Pausa) Come vuoi. (Pausa) Dopo la riunione di domani, avrò più tempo. Anzi, penso proprio di prendermi qualche giorno di vacanza. Così potremmo organizzare tutto nei dettagli. Bisogna far attenzione ai dettagli, no? I tovaglioli piegati a farfalla, la combinazione floreale delle ghirlande delle damigelle (Ride.Pausa) Felice, felicissimo. (Pausa. Ride. Pausa.) Sì, lo so. Ti chiamo appena finirà il meeting, d’accordo. (Pausa) Grazie, George. Ce la farò. Ce la farò. (Chiude la telefonata)
Ferma la “scala”.
SAMUEL (guarda l’orologio): Ventiquattrore. Mancano ventiquattrore. Domani in questo
preciso istante centinaia di occhi saranno puntati su di me. Mitragliatrici cariche, pronte a sputarmi
mille proiettili addosso. Dovrò, con la parola, piegarle tutte quante.
JOLIE: Lo ha sempre fatto con naturalezza, signor Ruhe.
SAMUEL: Eppure.
JOLIE: Ha paura?
SAMUEL: Cosa dice?
JOLIE: Ha forse paura?
Pausa.
SAMUEL: Lei mi spiazza, signorina Jolie.
JOLIE: Mi dispiace signor Ruhe.
SAMUEL: Da qualche giorno in qua la sento molto strana.
JOLIE: E’ soltanto un’impressione, signor Ruhe.
SAMUEL: L’altro giorno ha sbagliato mittente ad una lettera.
JOLIE: Sono mortificata, signor Ruhe.
SAMUEL: A quella lettera. Spedire l’offerta di lavoro a Chen e la lettera sulle trattative in Cina a Ross è una distrazione imperdonabile. Un manager della concorrente locale.
JOLIE: Non so come sia potuto succedere.
SAMUEL: Tutto l’affare è saltato.
JOLIE: Sono davvero mortificata.
SAMUEL: Potrebbe compromettere la fusione, lo sa?
JOLIE: Le buste erano uguali.
SAMUEL: C’è tanta aria in questa testolina. Un palloncino legato a terra per un corpicino da donna.
Cosa succederebbe se si tagliasse il filo? (Pausa.) E come se non bastasse, signorina Jolie, adesso
cosa fa? Osa scandagliare i miei sentimenti. Invadere la sfera più intima di un uomo. Entrare nel
cratere della sua anima. La dovrei licenziare, lo sa? (Pausa) Quando mai ho avuto paura? Mi ha mai visto avere paura?
JOLIE: ...
SAMUEL (incalzante): Risponda!
JOLIE: No, signor Ruhe. Lei non ha paura di niente. Per questo è arrivato fin qui.
Pausa.
SAMUEL: Invece ho paura, signorina Jolie. Molta paura.
Silenzio.
SIGNORINA JOLIE: Ho già stampato il suo discorso. E’ perfetto. (glielo porge)
Samuel lo prende. Dà uno sguardo, ma lo posa subito sul tavolo con disinteresse. Guarda dalla
finestra.
SAMUEL: Lei sa quanti uccelli muoiono in questa città ogni giorno? Almeno un centinaio.
Piccioni, principalmente. Uccelli da poco. E sa qual è la principale causa mortis? Veleno? Malattie?
No, signorina Jolie, la luce. La luce li trae in inganno. Vede queste vetrate? Sono una trappola.
L’uccello spicca volo, convinto di andar incontro ad un faggio o una quercia, e invece ci rimane
secco. Perché il faggio o la quercia che desiderava era soltanto il riflesso del parco davanti.
L’uccello non è capace di percepire la differenza. Non gli è data questa cognizione. Non come a noi
umani. Tutta la sicurezza e leggiadria di quel volo, corollario della sua libertà, si sono sfracellati di
colpo, senza che lui abbia avuto il tempo di accorgersene. Un attimo prima era padrone del cielo,
quello dopo un corpo sull’asfalto. Aveva già pensato a questo, signorina Jolie?
Silenzio.
JOLIE: Vuole rivedere le slides?
SAMUEL (distante): Slides?
JOLIE: Le diapositive della presentazione. Ha selezionato una decina di grafici, si ricorda?
SAMUEL: Certo. I grafici.
JOLIE: Forse sarebbe meglio controllarle un’altra volta. Sono fondamentali.
SAMUEL (come svegliandosi): Ha ragione. Li controllerò un’altra volta.
Si mette a lavoro sul computer.
JOLIE: Desidera altro, signor Ruhe?
SAMUEL: No, grazie, signorina Jolie. Può andarsene.
Jolie fa per uscire.
SAMUEL: Aspetti.
Pausa. Jolie ritorna
SAMUEL: Ancora una cosa. Il davanzale, è pieno di briciole. Mi cerchi un altro addetto alle
pulizie.
Lei fa un ceno di sì. Fa per uscire, ma si ferma alla porta. Si gira.
JOLIE: Signor Ruhe, ho dimenticato di dirle una cosa.
SAMUEL: Sì?
JOLIE: Ha chiamato suo fratello.
Scena 25
Casa di Sara.
Disordine generale. Si capisce che non viene pulita da tempo.
Sara è rannicchiata sul divano in pigiama, mangiando pattatine. Lacrime pacifiche scivolano sul
suo viso, e dai polsi scorre sangue.
Suona il campanello. Lei non risponde. Il campanello continua a suonare con insistenza. Diventano
colpi sulla porta. Qualcuno fuori grida di aprire, o di chiamare i vigili del fuoco. Lei non risponde.
Continua a mangiare le patatine.
Scena 26
Sala di attesa del Policlinico.
Thomas e Djibo. Quest’ultimo molto “alla moda”.
DJIBO: Ho sentito delle grida.
THOMAS: Venivano dalla camera accanto.
Pausa.
DJIBO: Sei sicuro?
THOMAS: Sì. Mi pare.
Pausa.
DJIBO: Quanto tempo ci vorrà?
THOMAS: Forse un paio di ore, forse tutta la notte.
Pausa.
DJIBO: Farà male?
THOMAS: C’è un medico apposta per l’anestesia.
Pausa.
DJIBO: Aveva lividi su tutto il corpo.
THOMAS: Sono le punture. Gliene fanno tante tutti i giorni.
Pausa.
DJIBO: E i capelli. Le hanno tagliato i capelli.
THOMAS: Sono caduti per il trattamento. E’ necessario.
Silenzio.
Djibo si accende una sigaretta.
THOMAS: Non puoi fumare qui.
Djibo butta la sigaretta per terra e la schiaccia con un piede.
Silenzio opprimente, alla fine del quale suona il cellulare di Djibo. Una stupida suoneria. Djibo
risponde quasi alleviato.
DJIBO: Pronto (Pausa) Sì, sono io (Pausa) Giusto. (Pausa) Giusto (Pausa) Ci ho lavorato tre anni, dopodiché sono stato assunto da… (Pausa) Esatto, esatto. (Pausa) Yes, very well. (Pausa) Sì, disponibilità totale. (Pausa) Adesso? (Pausa) No, è che… (Pausa) No, no, nessun problema. (Pausa)Aspetti un attimo (Prende un pezzo di carta accartocciato dalla tasca e una penna. Scrive) Hm-hm.
Hm-hm. Hm-hm (Pausa. Si guarda l’orologio) In un’ora, va bene? (Pausa) Grazie. Grazie mille, davvero. A dopo. (Ripone il foglio. A Thomas) Un colloquio di lavoro.
THOMAS: Giorno fortunato.
DJIBO: Devo andare. Puoi rimanere?
THOMAS: Sì, certo.
DJIBO: Grazie.
THOMAS: Ancora per un'oretta, sì. Poi devo scappare.
DJIBO (sembra non ascoltare, di fretta): Ciao, allora.
THOMAS: Ciao. (prima che lui esca): Ehi, Djibo. (lui si volta) In bocca al lupo.
DJIBO: Crepi. (esce)
Thomas prende la cicca per terra, la guarda per un attimo, poi la butta nel secchio.
Scena 27
L’aula magna della Corporation.
Samuel parla davanti ad una immensa platea.
Una catena di diapositive con immagini di “finta felicità” viene proiettata.
Sottotitoli traducono il suo discorso, oppure un’interprete in simultanea.
SAMUEL: Good morning, Ladies and Gentleman. I’m delighted to have you all here today. We
have eagerly cherished to accomplish this meeting and we want you to be aware that after it our
future might change. Our future and the future of our children. The History of the whole Human
Kind. Yes, that’s what I said, the whole Human Kind – underline that. Because what I want to be
clear about is that it’s not just a matter of individual profit or profit of a Corporation, but a whole
Project of Life. A project for the generations to come. A revolutionary project that will found the
basis for a resplendent future. (Applausi) Our mission since the early ages is to spread out means of communication. As some of you might know, we were born in a neglected hovel, out of the genial
mind of Mr. Bum, a brave man who has overcome hunger and poverty to build an empire and
whose visionary guidance has been inspiring us for more than fifty years. Unfortunately his health
does not allow his presence here today, but that’s what he would say in such an occasion: don’t
drop the pot! That’s the secret of success, that’s why we are here. Because he grasped his dreams
tightly in his hands and dared, instead of letting them fall to the ground like pleated leaves.
(Applausi). And from that minuscule dot we flourished as mushrooms in the damp fertile territory
of this country. We flourished to a point where frontiers were no more important, and today, ladies
and gentlemen, we are the second company in the world operating in the field of communications.
(Applausi) But man has no limits. Limits are just an outdated idea that cannot take part of an
advanced society. The limits we have are the limits we make – underline that. Limits are no limits
without someone who conceives it. We think – this is our Philosophy – that mankind has the right
to be happy. And happiness is the child of hard work. So we must take our hands out of the pockets
and dare to take part of a common project. Dare to become one. (Applausi. Lui inizia a sentirsi
male. Si aggiusta la cravatta per respirare meglio, beve) That’s why we want you to carefully
evaluate this prototype our engineers have developed. A satellite of advanced functionalities, which
enables to reach every spot of the world. As a benevolent God, it will gather all human beings under
a common shelter. There won’t be any more gaps between a native of Ua Huka and a broker of
Manhattan. The triumph of Humanity. But for that, ladies and gentlemen, to make this dream come
true, we need your support. (suda, tentenna, si confonde) To reach there, high in the sky, where
birds… I mean, satellites, will… I mean, a bird as a satellite will… or a satellite as a bird… That is,
it is impossible as a satellite… I mean, no bird could as a satellite… Fall down… As a satellite…
Falling… I saw… I think I just saw… Something… I saw… Something falling… Something
with… no… wings… falling… something is…
Perde i sensi.
Scena 28
Casa di Thomas.
Il pavimento e le pareti sono tappezzati di immagini stampate e fogli scritti. Thomas è seduto sul
divano. Si mangia le unghie mentre lavora: ripete brani, fa appunti. Sul tavolo, una montagna di
piatti sporchi, cartoni da pizza, spazzatura varia, accumulata da diversi giorni.
Suona il campanello. Thomas si irrita per la distrazione.
THOMAS: Non sono a casa!
Il campanello continua a suonare.
Si alza irritato e guarda per lo spioncino.
Spaesamento.
Il campanello continua a suonare.
Decide finalmente di aprire la porta.
E’ Samuel. Ha la cravatta allentata e i capelli arruffati.
Eterno silenzio.
THOMAS: Cosa fai qui?
SAMUEL: Allora non stai morendo.
THOMAS: Cosa?
SAMUEL: Sei in piedi.
THOMAS: …
SAMUEL: La mia segretaria ha detto che stavi morendo. Che avevi il cancro e stavi morendo.
Pausa. Si scrutano.
THOMAS: E’ per questo che sei venuto? Perché ho il cancro e sto morendo?
SAMUEL: Allora è vero?
Pausa. Si scrutano.
THOMAS: Temo di doverti deludere.
SAMUEL: Sei sano?
THOMAS (ironico): Dipende dal tuo concetto di sano.
Pausa. Si scrutano.
THOMAS: Siediti. Vuoi qualcosa da bere?
SAMUEL (sedendosi): Grazie. Un gin tonic. No, niente. Non voglio niente.
Dà uno sguardo alla stanza.
SAMUEL: Cos’è successo qui?
THOMAS: Perché?
SAMUEL: Sembrerebbe che hanno sganciato l’atomica.
THOMAS: Uno studio. Uno studio importante che sto facendo.
SAMUEL: Su che cosa?
THOMAS: Una lingua sconosciuta. La sto decifrando.
SAMUEL: E come va?
THOMAS: Bene. Abbastanza bene. Sono a buon punto.
SAMUEL: Non si direbbe. (Pausa. Si fissano.) Le unghie. Ti sanguinano.
Thomas nasconde le mani, in un riflesso infantile.
THOMAS: Un periodo stressante. Le lezioni all’Università pesano.
SAMUEL: Insegni adesso?
THOMAS: Da cinque anni.
Pausa.
SAMUEL: Lui sarebbe contento.
THOMAS: Questo non importa.
Pausa.
SAMUEL: Non sei cambiato molto in questi anni.
THOMAS: Grazie.
Silenzio.
THOMAS: Se non ti dispiace devo tornare a lavoro. Come vedi, non sono un malato terminale.
SAMUEL: Chissà perché l’ha fatto.
THOMAS: Cosa?
SAMUEL: La mia segretaria. Era strana in questi giorni.
THOMAS: Si è confusa. O ti ha giocato uno scherzo. (beffardo) Licenziala.
SAMUEL: E’ morta. Si è buttata dal ventinovesimo piano. (Pausa.) Me l’hanno detto stamattina.
Ho passato la notte in ospedale. (Pausa.) Un malore. Ho avuto un malore ieri sera durante una
presentazione. La cosa strana è che mi sembra di averlo visto. Mi sembra di aver visto il suo corpo
cadere attraverso il vetro, mentre cinquecento persone stipavano l’aula magna ascoltando il mio
brillante intervento. Che non si è mai concluso.
Pausa.
THOMAS: Dovrai cercarne un’altra, di segretaria. Ma per te non sarà un problema.
SAMUEL: Tu hai mai sofferto il panico?
THOMAS: Cosa?
SAMUEL: Una sensazione pressante sul petto. Vertigini. Mani sudate. Claustrofobia. Sembra che
stai per morire.
THOMAS: No
.
SAMUEL: Neanche io. Pensavo di avere un infarto. Ero convinto di avere un infarto. Ero convinto
di morire. Ero così convinto che stamattina ho dato uno schiaffo al cardiologo. Lui si è congedato
con un sorriso. Poco dopo è venuto uno psichiatra.
THOMAS: Gli ospedali non sono mai stati il forte della famiglia.
SAMUEL: Il curioso è che…
THOMAS: Devo lavorare.
SAMUEL: Da oggi sono il Presidente della Corporation. Devo solo trasferire i miei oggetti
personali all’ultimo piano. Da ora in poi, sopra di me non ci sarà nessuno. Semmai un centinaio di
piccioni che fanno nido sul solaio. Ma quelli non contano.
THOMAS: Lui sarebbe contento.
SAMUEL: Anche se non sei tu quello che ha vinto?
THOMAS: Io ho vinto. Faccio il lavoro che mi piace.
SAMUEL: Anche se hai quarant’anni e vivi ancora in questo buco, a misura di single?
THOMAS: Il mio è un sacrificio che persone come te non possono capire.
SAMUEL: Non sei ribelle neanche mettendocela tutta.
THOMAS (inalberato): Cosa sei venuto a fare? Vedermi agonizzare?
Pausa.
SAMUEL: Sono venuto a salutarti. Ho immaginato di varcare questa porta tante volte. Parlarti.
Parlarti e raggiungerti – cose diverse. Ed ecco che il momento arriva ed è tutto come mi aspettavo.
Tu e il tuo egoismo, io e il mio. (Pausa) Non ti piaceva quella ragazza?
THOMAS: Chi?
SAMUEL: La moretta. Un po’ logorroica.
THOMAS (sarcastico): A te?
SAMUEL: Non era male. Le tette un po’ flaccide, ma un culo divino. Dov’è la fotografia? Ha detto
di aver visto una fotografia.
THOMAS: L’ho stracciata.
SAMUEL: Qual era?
THOMAS: Capodanno in Sicilia, con i cugini.
SAMUEL: Non ce n’è nessun’altra?
THOMAS: Forse in cantina.
SAMUEL: Neanche una di lui in giro?
THOMAS: Sono una persona proiettata verso il futuro.
SAMUEL (Pausa. Ride): Ho sempre immaginato di trovarti sorridente, circondato da una bella
famigliola, in un villa in riva al mare.
THOMAS: Perché sei venuto? Perché sei venuto, veramente?
Silenzio.
SAMUEL: Questo linguaggio è più difficile da decifrare, eh? Ce la farai?
THOMAS: Ce la faccio sempre.
Samuel si affaccia alla finestra dell’appartamento.
SAMUEL: Bel parco. Vai a correre ogni giorno? Dovresti andare a correre ogni giorno. Fa molto
bene alla salute. E tu hai la salute così fragile.
THOMAS: Non ho tempo.
Breve pausa.
SAMUEL (si gira e lo fissa): E’ un invito ufficiale al mio matrimonio. Sposerò la figlia del
Presidente – Ex presidente – della Corporation.
THOMAS: Complimenti.
Pausa.
SAMUEL: Verrai?
THOMAS: Non credo.
SAMUEL: Devi far pulire quest’appartamento. Non si respira.
THOMAS: Devo lavorare.
Samuel si avvicina al fratello, di spalle. Forse un abbozzo di carezza irrealizzata.
SAMUEL (avviandosi all’uscio): Arrivederci, allora.
Pausa.
THOMAS: Arrivederci.
Thomas resta immerso nel silenzio.
Scena 29
Djibo e Sara al parco.
Danno da mangiare ai piccioni.
Djibo è sempre più “alla moda”. Sara porta delle bende intorno ai polsi.
SARA: Quando arriverò, saranno le undici di mattina.
DJIBO: Cosa porti?
SARA: Un paio di scarpe, un cambio di vestiti e uno zaino. Voglio capire cosa significa essere
spoglia.
DJIBO: Com’è che si chiama?
SARA: Honduras.
DJIBO: Asia?
SARA: Centro America.
Pausa.
DJIBO: Ti divertirai?
SARA: Non lo so. Spero di sì. (Pausa) Più che altro aiuterò le persone. Bambini dell’orfanotrofio.
Hanno una casa famiglia, dove le ragazze madri vanno a partorire. Dopo il parto, molte lasciano i
bimbi perché non li possono tenere. Hanno quattordici, quindici anni, capisci? Forse lavorano per
sfamare altre bocche. Forse si prostituiscono. Perché lì la gente fa fatica a vivere, sai? Sanno cos’è
la fame. Gli si vedono le costole, è terribile. Non hai mai visto un documentario della National?
<7>Pausa.
DJIBO: Mi mancherai.
SARA: Anche tu.
Si abbracciano.
SARA: Mi capisci vero? Vero che mi capisci?
DJIBO: …
SARA: Non avrebbe mai funzionato.
DJIBO: …
SARA: La diversità.
DJIBO: …
SARA: Il mio dolore.
DJIBO: …
SARA: Avrei finito per distruggerti.
DJIBO: …
SARA: Lo faccio sempre.
Pausa.
SARA: Hai trovato lavoro?
DJIBO: Ancora no.
SARA: Lo troverai. Hai imparato l’inglese.
DJIBO: Lo troverò.
SARA: Sarai felice.
DJIBO: Sarò felice.
SARA: Avrai tutto ciò che sogni.
DJIBO: Avrò tutto ciò che sogno.
SARA: Sei libero.
DJIBO: Sono libero.
SARA: Puoi costruirti il futuro che desideri.
DJIBO: Posso costruire il futuro che desidero.
SARA: Sarò fiera di te.
DJIBO: Sarai fiera di me.
SARA: Sei un uomo di talento.
DJIBO: Sono un uomo di talento.
SARA: Arriverai al top.
DJIBO: Arriverò al top.
SARA: Puoi scegliere qualunque strada.
DJIBO: Posso scegliere qualunque strada.
SARA: Puoi diventare quello che vuoi.
DJIBO: Posso diventare quello che voglio.
SARA: Avrai successo.
DJIBO: Avrò successo.
Scena 30
Casa di Thomas.
Thomas si dedica alla sua decifrazione.
THOMAS: Bakti macungerit capatau ui. Bakti, naso. Bakti macun. Macun-gerit. Ma-cungerit.
Macunger-it. Ma-cungerit. Ge-rit. Rit, rit, rit (cerca tra i fogli)
Suona il telefono.
Thomas risponde.
THOMAS: Sì? (Pausa) Sono io. (Pausa) No, non sono un… (Pausa) No, il parente è… (Pausa) Ho capito, signora, ma dica pure a me. Sono io il responsabile. (Pausa) E’ morta? (Pausa) Quando? (Pausa) Arresto cardiaco? (Pausa) No, non è il caso di... (Pausa) Ascolti, signora, mi deve ascoltare. Ha detto qualcosa? (Pausa) Ho detto: ha detto qualcosa? (Pausa) No, le sto chiedendo se
la paziente ha detto qualcosa prima di morire. Una frase, una parola, un suono? (Pausa.
Aggressivo.) E’ importante! Mi ascolti? Adesso mi dica cosa… (Pausa) Come? Sorrideva? (Pausa) Sorrideva o piangeva? (Pausa) E basta? Nient’altro? (Pausa)
Butta giù il telefono.
E’ frastornato.
Silenzio.
Demoralizzato, riprende in mano i suoi appunti.
THOMAS: Bakti, naso. Bakti macungerit. Macungerit. Rit. Erit, uomo (va guadagnando
entusiasmo) Macun. Ma-cun. Mac-un. Capatau. Capa, Troppo. Tau… tau… Capa-tau ui. Tau-ui. Ui, essere. Verbo essere terza persona. É. Uomo naso é. Bakti macungerit capactau ui. Uomo naso troppo é. (cerca tra i fogli) Lungo. Uomo naso troppo lungo è. Grande. Naso lungo uomo troppo grande é. (vittorioso) IL NASO DEL GRANDE UOMO E’ TROPPO LUNGO.
Buio.