El Ghibli - rivista online di letteratura della migrazione

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il principe e il povero in località carracci

pina piccolo

Si era seduto sullo scalino, non per fare i capricci - ‘che poi forse la mamma gli dava l’ovetto kinder con il giochino dentro - no, stavolta lo faceva solo perché voleva sentirsi importante. Proprio come quel gruppo di signori, con quei vestiti strani, seduti un po’ più in là che discorrevano, non dovevano correre, come invece fa sempre la sua mamma. Forse per una volta sarebbe riuscito a fermarla. Chissà, forse saranno dei principi, come ho visto in quel libro con tutte le figure. Quella sera, mentre gli leggeva il libro, la mamma si era messa a ridere, spiegandogli che non si erano fatti male alla testa, portavano il turbante, un cappello elegante che si mettevano per far vedere che erano principi. Allora dai mo’, cala il culetto sul gradino e vediamo come reagisce, se stamattina mi lascia fare il principe anche a me.
La sentiva nervosa quella mano della mamma, sai la mano ti parla, ti racconta come sta: se oggi è di buon umore e ha tempo, la mano è leggera che sembra una farfalla e ti svolazza nel palmo che fai fatica a prenderla, se invece ha fretta ti stringe in una morsa che sembra un coccodrillo. Incredibile, sembra una storia delle foreste dell’Africa: la sua mano come bocca vorace azzanna la tua manina che cerca di timidamente di ricordarle “Guarda io ho le gambe più corte delle tue!”, la riduce al silenzio. Bene, oggi non è nervosissima, si vede che può permettersi qualche minuto in più, mi ha anche sorriso quando mi sono accovacciato come fa il cagnone Oliver.
“Dai, andiamo che facciamo tardi!” Lo sapevo, è finita la festa, riprendono le corse. E così ci siamo avvicinati a quel gruppo di principi. Strano, sentivo la mano della mamma che quasi grondava acqua, non capivo bene perché. Io sorridevo a quei babbi- nababbi, volevo fargli capire che il Principe lo so fare anch’io, guarda che alle volte anche la mia mamma mi fa sedere sullo scalone. E vabbe’ che non ho il turbante, un po’ di fantasia, si capisce lo stesso che sono una persona importante anche se sono piccolo.
Gli passiamo accanto, la mano della mamma mi stringe, è ancora più bagnaticcia, come forse potrebbe essere la proboscide di un elefante. Vedo che un principe si alza veloce e si dirige verso di me sorridendo. Devo fargli un inchino? Forse la mamma mi saprà dire come devo comportarmi. Mica capita tutti i giorni che un principe ti venga incontro. Vediamo se la sua mano magica, grande comunicatrice, questa volta funziona. I grandi a volte si fanno leggere la mano per sapere il futuro, ma a me tocca leggere la mano della mamma per sapere il presente.
Ecco che il Principe è già qui, strano è lui che quasi s’inchina a me, ecco cerca di prendermi la mano e mandare via la mamma. La mamma, tutta presa dai suoi pensieri non l’ha nemmeno visto e se lo è ritrovato tutto all’improvviso davanti, una grande ombra tipo Fantomas.
Ma che fa? Perché urla? Perché grida, ”Aiuto! Aiuto! Mi porta via il bambino!?” Il Principe intanto cerca di spingerla via ma lei mi abbraccia così forte quasi da strozzarmi. Che faccio? Strano questo mondo dei grandi… che faccio? piango anch’io?
Il Principe non demorde, perdo la mano della mamma. Lui ora ha la sua mano nella mia e mi porta con sé. Chissà dove vuole condurmi. Forse in quel paese pieno di torri e di cupole. Lì non li hanno i portici perché non piove mai. Beati loro. E poi hanno i pavoni che passeggiano nel cortile e se si fortunato li vedi che fanno la ruota con la coda. Ma la mamma piange e grida, gli ordina “Mollalo!”, allora anch’io piango e grido e anche il Principe fa lo stesso. Piange come se gli stessero strappando la carne di dosso.
Intanto una signora ci ha sentito, tira fuori il cellulare e parla concitatamente, poi corre verso di noi e mi strappa al Principe. Ora la mamma e la signora mi tengono, il Principe corre via. La signora e la mamma non lo inseguono per cercare spiegazioni, stanno con me. La mamma ancora piange e ogni tanto dice la parola “clochard”. Che significa? Forse un’altra cosa tipo nababbo o turbante? Arriva la polizia. Il Principe è nel sedile di dietro e ha gli occhi pieni di terrore. Ma ora che gli fanno?

Estratto dal verbale del commissariato Bolognina Pontevecchio:
Alle ore 10 del dì 10 novembre 2010, in via Messerenti 52 la pattuglia numero 15 ha intercettato il Sig. Mia Rana, cittadino del Bangladesh di 35 anni, attualmente irregolare in Italia e senza fissa dimora. Al momento dell’arresto l’inquisito dimostrava scarsa lucidità mentale e versava in uno stato confusionale. Dalle prime indagini risulta essere stato in possesso di regolare permesso di soggiorno per lavoro dal 2007 ai primi mesi dell’anno corrente e di averlo perso sei mesi fa per disoccupazione. Dopo i primi rilevamenti e dopo aver ascoltato le testimonianze della madre e dell’aiuto infermiera che, pur avendo scambiato in un primo momento la scena per un’altercazione tra genitori separati per il possesso del bambino, è intervenuta per impedire il rapimento dello stesso, il bengalese è stato arrestato per tentato sequestro di persona, del bambino A.B. di anni 3, che il signor Mia Rana ha cercato di sottrarre alla custodia della madre sotto il porticato dell'ospedale Sant’Orsola. Alle sollecitazioni dell’inquirente circa il significato del suo gesto, il Sig. Rana ha replicato che l'ha fatto per nostalgia dei figli. Colto da raptus, quella mattina, nell’avanzare fiducioso del bimbo, nel suo sguardo e nel sorriso rivolto direttamente a lui ha ravvisato quello del figlio Karim attualmente di 6 anni, ma all’epoca della sua partenza dal Bangladesh di 3 anni e pertanto, a suo dire, in tutto simile al bambino di cui si teorizza il tentativo di sequestro di persona. Dalle parole dell’inquisito risulta che il clochard sia stato vittima di un corto circuito temporale e che prendendo A.B. per mano egli abbia cercato di mettere in atto la sua identità di padre, ruolo ormai negatogli dai tre lunghi anni di permanenza in Italia.

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la giusta distanza

pina piccolo

per i ragazzi della gru di Brescia

35 metri al di sopra dell’immota
italica discarica
avvolti dal ferreo scrigno
della macchina
sposta-carichi
movimentatrice del macigno
cugina di viaggio
del sogno-incubo
acciaio, rotelle e funi
di un malinterpretato sud/nord
da funesto teatrino domenicale
da periferia d’impero
che mortifica la terra
scavando tunnel di velocità
nel nostro buco nero della storia

là per questo
scavatrice piangente
di metropolitane
che oggi nel tuo bozzolo
accogli
ragazzi dai volti bruni
in cerca
della distanza giusta
per tenere d’occhio
il Paese dei Furbi
giá culla di Scelba e Maroni
faine di Prima e Seconda Repubblica
di Pinocchio
del Gatto e della Volpe
vigila la gru sentinella
sulle compagne addormentate
distese su sabbie mobili
travestite da valletta amena

la giusta distanza
dell’uccello migratore
che tira il collo in fuori
protendendolo verso il sogno
e non lo rincagna, come la cugina cicogna,
che indietreggia dall’incubo del viaggio

esposti al vento e alle intemperie
sotto la volta di stelle bresciane
in un emisfero che non manifesta
la costellazione della gru
d’estate foriera
sei ragazzi
dai berretti colorati
avvolti nelle trapunte
issate da amici terrestri
renitenti agli interventi
di falsi samaritani istituzionali
laddentro si ripassano
il lemma arabo antico gharaniq
le tre dee gru esaltate
del pagano versetto maledetto

gharaniq bistrattato antenato
della gru and of the crane
fantasiosa macchina
di uccelli imitatrice
utilizzata da Sinan, l’architetto
per racchiudere nella pietra
masso su masso
fantastiche interpretazioni
di luce e di aria
in una terra
di diaspore antiche
dove le gru
nidificano sull’Ararat

8 novembre 2010

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Anno 7, Numero 30
December 2010

 

 

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