El Ghibli - rivista online di letteratura della migrazione

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hora migratoria - cociencia social

sabatino annechiarico

- Sa, è incredibile la ricchezza culturale che c’era a Tocopilla, quella piccola cittadina sperduta nell’arido nord del Cile, stretta tra le Ande e l’oceano Pacifico. Si figuri che prima della crisi del Ventinove, e ancora molto prima dell’invenzione del salnitro artificiale per merito dei tedeschi dopo l’utilizzo nella Guerra di Crimea, tutta la regione del nord cileno, Antofagasta e Iquique comprese, era considerata il paradiso dell’oro bianco. Era incredibile vedere come l’inesauribile nitrato di potassio, ideale per fabbricare esplosivi, fu capace di attrarre da quelle parti una moltitudine di migranti da quasi ogni angolo del mondo…

- Scusi l’interruzione, don Reinaldo. Lei racconta sempre queste belle storie che ci affascinano. Chiedo scusa nuovamente. Non vorrei uscire dall’argomento. Ricordo una notte di qualche anno fa, forse era inverno, ci trovavamo nel bar di Don Juan con il suo amico, quel matto chitarrista Patrik Woffan, che era appena arrivato dall’Austria per passare qualche giorno di vacanza in città. Ricordo che dopo un improvvisato concerto che ci regalò e tra varie bottiglie di vino rosso nelle vene, ricordo come se fossero oggi tutti quei vostri racconti di storie d’immigrazioni, carichi di passione, che si mischiavano e si fondevano tra date e personaggio, pugni tra uomini e donne da amare. Ricordo che il chitarrista ci parlava insistentemente di tedeschi e di austriaci cileni, come se fossero il mondo intero trasferito in quel posto. Ricordando quelle focose conversazioni tra voi due e ora, dopo quanto mi viene appena raccontato, mi viene un forte dubbio: ma chi erano tutti quegli stranieri? È possibile che fossero solo tedeschi e austriaci gli immigrati a Tocopilla?

- No di certo, non erano tutti tedeschi e austriaci. A Tocopilla vivevano italiani, inglesi, nordamericani, cinesi, jugoslavi, giapponesi, greci, spagnoli; e anche tedeschi... e poi va a sapere quanti altri ancora! Tutti loro facevano parte di quella massiccia migrazione internazionale che popolò, anzi, che invase! – ma questa particolare definizione di invasione non lo annoti sul suo taccuino – dica: “popolò”, e che resti tra di noi che io penso che loro abbiano invaso più che popolare queste terre. Dicevo, migranti che invasero sin dagli inizi del XX secolo tutta l’America Latina. Guardi, così va meglio: usi pure la parola “invase” e chi se ne frega, se è la verità.

-E tutti assieme in questo piccolo paese e senza problemi?

-Lei ora mi chiede un’altra cosa, entriamo in un altro argomento. Come facevano a vivere tutti insiemi con tante culture che si mischiavano tra di loro; culture così diverse, così complesse, così maltrattate: questo è quello che lei mi sta chiedendo adesso. Guardi, cercherò di spiegarglielo in modo che lei possa capire, ma non è detto che lei ci riesca.

-Non sia presuntuoso…

Non creda e non faccia lei il presuntuoso, vedrà. Sa, capire ciò che un'altra persona ha vissuto, quando si sta fuori dalla storia, o si vede da lontano e senza aver avuto un’esperienza migratoria in prima persona, credo che sia, a mio modo di vedere le cose, alquanto complicato. L’emigrazione è come l’amore: solo chi l’ha vissuto sa cosa significa. E per comprendere fino in fondo quei convulsi anni vissuti in Tocopilla e le decisioni che drasticamente poi ho preso – in sostanza, è questo ciò che lei vuole sapere e per cui ci siamo dati appuntamento – è necessario aver vissuto tutte queste esperienze. Sì, dico bene, è necessario aver vissuto quell’esperienza e non solo: anche averle vissute in quei precisi anni. E sto dicendo vissute nel fango di quella terra. Sporcarsi insieme a tante idee. Di tanti emigrati, tutti mescolati, tutti ammassati, quasi assimilati. Capisce? In un altro modo non sarebbe facile raccontarglielo e, mi rendo conto, tantomeno comprenderlo.

- Parché?

- Il fatto è che nella nostra memoria resta una certa fantasia che si costruisce man mano che passa il tempo. Pensi ai racconti che Patrik ci fece quella notte, sì, forse era inverno. Lui aggiungeva e toglieva pezzi della sua storia senza che noi ce ne accorgessimo e la ricostruiva nuovamente per renderla più piacevole e per rallegrare una serata di festa tra amici. Ricorda la sua penetrante e roca voce? Se la ricorda? Mi sembra ancora di sentirlo: «...prima di salire sui transatlantici, i tedeschi erano orgogliosi di portare la loro cultura in altre parti del mondo; soprattutto quella della birra... » Così diceva e noi ridevamo e poi aumentava l’enfasi della sua voce, e anche facendo finta di arrabbiarsi. Ricorda? «…disgraziati questi tedeschi!» e alzava ancora la voce sempre più vibrante senza lasciare né la chitarra, né la bottiglia: «…adesso questi tedeschi non fanno altro che parlare male della loro terra, dove sono nati e dei nostri costumi e qui, traditori che sono, se la passano bevendo vino. Anzi, peggio ancora, vino cileno e non più birra!» e si scolava un altro sorso di rosso e noi lo assecondavamo scoppiando in frenetiche risate, da veri ubriachi.

Sa, io ora potrei fare la stessa cosa con lei. Potrei fare la parte di Patrik, il grande affabulatore. Potrei raccontarle, magari inventando, quello che le farà piacere e comodo ascoltare da un giornalista e poi scrivere per vendere la storia ai suoi amati lettori. Quelli che non aspettano altro da leggere tutto ciò che a priori già sanno e che ipocritamente sostengono di meravigliarsi applaudendo il suo articolo perche dice solo quello che loro vogliono sapere: nient’altro. Io non farò così. Preferisco non fare come Patrik. Mi sembra più onesto nei confronti delle sue attese e della verità.

Mi ascolti bene, don Alejandro, per non deluderla le voglio dire qualcosa. Le vorrei raccontare qualcosa che anticipò le mie scelte e che è stato, per me, fondamentale, tanto da segnarmi la vita.

Ciascuno di questi migranti viveva a Tocopilla rinchiuso nel proprio guscio di provenienza, come in gabbie, tra le proprie pareti persino mentali piene di superbia. Una superbia che si costruì, forse, chi lo sa, per proteggersi o per giustificarsi dalle perdite nella vita, le mancanze, le nostalgie, strani timori maturati con l’emigrazione. O forse, semplice sopravvivenza in terra straniera. Lei sa come fecero a costruirsi tale superbia? Come può notare, io non lo so. Lei lo sa? Forse si tratta di auto difesa, di una protezione naturale di chi migra, come dicevo. Boh! Ho notato un particolare: una volta stabiliti nel nuovo paese e dopo aver vissuto e superato in qualche modo il primo trauma migratorio, nel loro essere migranti riemerge la nostalgia di tutto ciò che hanno lasciato alle spalle, là, nella patria di nascita e, senza ritegno, loro pretendono di dimostrare con tutta quella superbia che sono presenti, vivi, forti, che ce la fanno e continueranno a farcela fino l’inverosimile, fino l’irrazionalità. Incredibile come l’essere umano si possa trasformare in un essere irrazionale, non le pare? Ho notato, tra di loro, questo particolare che mi ha sempre colpito sin da piccolo; anche se non saprei dirlo con certezza.

- Questo vuol dire che lei ha vissuto male la sua infanzia a Tocopilla, senza che sia rimasto qualcosa di positivo nei suoi ricordi?

- Nooo, non è così!. Posso dire che, anche se in modo frammentario, ho potuto beneficiare di tutta quella diversità intellettuale grazie alla quale mi ritengo culturalmente maturato. Ad esempio, gli spagnoli rifornirono la biblioteca d’immagini e racconti di Calleja, gli inglesi furono prodighi di trattati massonici…

- Trattati massonici?

- Certo. Lei non lo sa?

- Sì, mi pare... ma perché furono proprio gli inglesi a introdurre questi argomenti?

- Può darsi che lei non sappia che la storia della massoneria, purtroppo mal conosciuta oggi, incomincia nel 1717 a Londra, e mi scusi se mi dilungo un po’. A quei tempi non era facile, come quasi mai è stato facile nella storia, poter esprimere chiaramente le proprie idee, le proprie scelte di vita, i propri gusti. Le logge massoniche, in questo senso, furono indispensabili per trovare quel rifugio lecito per scambiare idee, magari quelle forti, brindare alla salute di qualcuno, mangiare e bere bene, ecc. Protetti dall’anonimato e da una certa riservatezza. Per farla corta le dirò che furono quattro, tra le tante logge massoniche che esistevano a Londra, che inizialmente aprirono questo spazio a queste persone. In questo modo nacque la nota Grande Loggia di Londra, cui seguirono nel tempo tutte, o quasi tutte, le Logge che conosciamo oggi. Dal quel momento, infatti, le Logge si diffusero in tutto il mondo, a tal punto che nel 1770 erano attive diverse Logge non solo in Europa, anche nel Vicereame del Perù e, anni dopo, anche nei Vicereami del Río de la Plata e di Nueva Granada.

No, non faccia quel gesto. Se vuole sapere perché gli inglesi furono prodighi dalle nostre parti in questioni massoniche continui ad ascoltarmi.

Agli inizi del XIX secolo, la massoneria ebbe un’importanza strategica nella storia del nostro continente americano, ma generalmente la gente comune non lo sa. Non mi fermi, mi permetta di continuare con questo racconto.

Già nel 1800 viene fondata a Londra La Gran Reunión, i cui membri si chiamano Cavalieri Razionali. Tra i Cavalieri fondatori della Loggia troviamo il venezuelano Francisco de Miranda e il cileno Bernardo O’Higgins. Pensi che in quella sede si scrissero i piani filosofici e sociopolitici del Continente. Incredibile, non le pare? Questi ideali proposti dai Padri fondatori della nascente nazione americana furono disseminati in America del Sud dalla Loggia Lautaro, fondata nel 1811 dallo stesso Miranda a Cadice, in Spagna, in onore del caudillo mapuche Lautaro. Sa cosa proponevano questi della Loggia Lautaro? L’indipendenza continentale dai colonizzatori spagnoli. Lei lo sapeva? Sapeva che Lautaro è il nome spagnolizzato del mapudungun “leftraru”, la lingua dei Mapuches? Guardi, glielo scrivo io: “leftraru”. Ora scriva che tradotto in spagnolo è “ave veloce”. Aggiunga che Leftraru fu un celebre leader militare mapuche nella guerra di Arauco durante la prima fase della conquista spagnola, verso il 1550...

- Mi scusi se lo interrompo di nuovo. Riconosco di non sapere nulla di quanto mi sta dicendo e la ringrazio per la sua lezione di storia, ma non si distragga dall’argomento per cui sono venuto. Mi dica piuttosto cosa facevano tutti quegli stranieri a Tocopilla e perché ha preso questa decisione.

- Non si agiti, Alejandro, le ricordo che è stato lei a chiedermi altre spiegazioni sugli inglesi e la massoneria. Comunque, va bene, le racconterò quello che vuole sapere.

Allora, eravamo rimasti con gli immigrati a Tocopilla. Ricordo che ciascuno di loro s’inventava qualcosa per vivere come meglio poteva. Molti immigrati s’inventavano l’impossibile semplicemente per sopravvivere. Ricordo il panettiere greco Pampino Brontis, che per promuovere la vendita dei suoi pasticcini ripieni di marmellata di rose invitava in panetteria tutte le domeniche mattina i bambini del quartiere e recitava loro, in uno spagnolo stentato, i versi dell’Odissea. Guardi un po’ che aria culturale si viveva nel paese! I giapponesi, invece, si esercitavano al tiro con l’arco e ci infondevano la passione per le arti marziali. Cosa mi dice?

- Mi domando: se davvero la sua infanzia è stata così come la racconta adesso, perché diavolo è emigrato da quel “Paradiso culturale” per radicarsi in Europa?!

-Per incominciare, lasci perdere l’ironia che intravedo nella sua domanda. La facile ironia con me non funziona. È curiosa la vita, e lo è di più ciò che ci riservano le circostanze.

Dunque, venendo a noi, fu durante la mia adolescenza che vedendo come si riunivano ogni tanto nel Salone Municipale di Tocopilla le Dame della Carità, che erano le mogli dei nordamericani che dirigevano le imprese straniere che estraevano il salnitro, e vedendo la loro generosità nell’offrire salsicce calde e bibite fresche ai figli poveri di quei genitori, che i mariti di quelle Dame della Carità avevano ridotti in miseria insieme alle loro famiglie... capisce? Beh, cerchi di capire. Fu grazie a queste donne che ho preso coscienza dell’ingiustizia sociale. Ora lo sa.

- Ed è solo per questa ragione che poi se ne è andato dal Cile?

- Potrei dire che me ne andai proprio come ancora oggi succede a milioni di latinoamericani che non hanno il minimo accesso alla dignità nei propri paesi, e si vedono perciò obbligati a tagliare le loro radici ed emigrare in altri paesi del pianeta alla ricerca di un sole sociale ed economico migliore. Oltre la sicurezza, certamente. Se ne vanno portandosi via dalla loro terra natia un’immensa e profonda ricchezza culturale, la quale si mischia, quasi accidentalmente, come accade in quegli anni a Tocopilla, con altre nuove ricchezze, in una babele tutte da scoprire.

-Don Reinaldo, forse sto capendo. L’ultima cosa che vorrei sapere da lei: cosa successe quella notte nel bar don Juan, dopo la chiusura del locale? Ho visto che lei e il suo amico Patrik Woffan discutevano...

- Appena uscimmo dalla porta gli gridai in un orecchio: «Me ne vado a studiare in Europa!» e lui mi rispose: « Sei pazzo!». Bene, non so se è stato per il vino o per la serietà con cui gli ho comunicato quella notizia che iniziammo a discutere, forte... e due cazzotti tra amici ubriachi in fondo non fanno male, no? Fu così che la settimana dopo, per dimostrargli che non scherzavo, cancellai il mio passato bruciando tutte le mie foto, comprese quelle di famiglia e me ne andai dal Cile.

- Ma perché?

- Lei ha già fatto la sua ultima domanda, ora basta.

- Per favore, lasci da parte la sua superbia!

- Ascolti, scriva questo che le dirò ora: dopo di aver preso quella coscienza sociale ho deciso di andarmene per incorporarmi al mondo dei migranti. Mi era arrivato il momento, l’ora, di emigrare con una coscienza tale che mi spinse a tagliare le radici e le tradizioni per poter contenere liberamente il mondo intero nelle mie mani.1

1Il racconto, basato su dati storici, prende spunto da un paragrafo scritto da Alejandro Jodorowsky nel libro “La danza della realtà”, (trad. It., Fertrinelli, Milano, 2004, pag. 28/29). Anche se i fatti e luoghi narrati sono reali, i nome di don Reinaldo, Patrik Woffan e don Alejandro, coinvolti nel dialogo, sono frutto della fantasia.-

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Anno 7, Numero 29
September 2010

 

 

 

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