El Ghibli - rivista online di letteratura della migrazione

Versione lettura |

il condominio spazio ritrovato nella letteratura della migrazione?

raffaele taddeo

Il romanzo di Laila Wadia Amici per la pelle, a chi ha masticato e bevuto della cultura occidentale dell'ultimo secolo pone qualche riflessione perché viene descritta una relazione non solo fra persone, ma fra abitanti una struttura edilizia che possiamo definire condominiale nell'accezione più ampia del termine: cioè come complesso edilizio che ospita una serie di famiglie o di singles in strutture abitative che salvaguardano la privacy, ma offrono nel contempo servizi comuni e da tutti usati, cioè gli spazi connettivi, come scale, cortili e altro.
Non esiste molta letteratura sul "condominio", così inteso; non sul piano letterario, ma nemmeno su quello sociologico. Piuttosto si è studiata la città del XX secolo, cioè quello spazio che ha subito trasformazioni abitative, fra il 1800 e il 1900.
La tesi che percorro è che, almeno sul piano letterario, l'immigrato tende a ritrasformare lo spazio condominiale riportandolo a struttura relazionale simile a quello degli spazi del paese d'origine. Prenderò in esame 5 testi: il romanzo di Edmondo de AmicisAmore e ginnastica, il capolavoro di Emilio Gadda Quer pasticciaccio brutto de via Merulana, il romanzo di Laila Wadia Amici per la pelle, il romanzo di Amara Lakus Scontro de civiltà per un ascensore a piazza Vittorio, infine il romanzo di J.G. Ballard Il condominio.
Il condominio come

"diritto di proprietà di più soggetti su un unico bene, specificamente edificio o altro immobile dei quali ciascuno abbia in proprietà singolarmente una o più parti e in modo indiviso con gli altri le parti e i servizi comuni"1.

Ma già a seguito di questa definizione troviamo che fra i romanzi scelti c'è una anomalia. Nel testo di Edmondo De Amicis il proprietario dello stabile è unico e gli altri sono inquilini che pagano una pigione. Tecnicamente il complesso edilizio descritto dallo scrittore ligure non è quindi un condominio, ma poiché nel romanzo diventa centrale la descrizione del complesso edilizio e delle relazioni che si stabiliscono fra gli inquilini, il romanzo, ai fini della nostra analisi, assume una certa importanza.
Intanto è da tener presente che la struttura abitativa condominiale, sia che si tratti di più proprietari che di inquilini a pigione, si afferma forse a metà del 1800. I centri urbani con 80.000- 100.000 abitanti, con funzioni simili a quelle di una grande città odierna, sono all'inizio del 1800 meno di una decina in tutta Italia.2
Generalmente poi gli elementi base che esprimevano gli impianti urbanistici prima del 1800 erano:

"grandi edifici per i governi delle oligarchie civili e delle autorità religiose, le grandi dimore delle famiglie abbienti – in genere nobili – le chiese e i conventi, le case delle istituzioni corporative, le piazze destinate periodicamente a manifestazioni di particolare richiamo, gli apprestamenti militari incardinati in un castello, che fasciavano l'abitato con cinture di muraglie, fosse e torri."3.

L'insediamento cittadino così come lo conosciamo oggi, ove risulta fondamentale la residenza operaia e borghese media e piccola, è proprio dei nostri tempi e si è sviluppata a partire dalla seconda metà del 1800.
Forse è solo

"agli inizi del secolo [che] le grandi trasformazioni politiche e sociali, in atto, determinano una significativa modificazione dei modelli abitativi. Le forti concentrazioni urbane e l'accrescersi del peso della classe borghese, conducono alla trasformazione della tipologia residenziale. Le nuove esigenze abitative richiedono spazi diversi rispetto alle tipologie tradizionali. Nasce così il condominio come struttura architettonica che modifica e propone un nuovo sistema di spazi. Si tratta di suddividere un edificio che per sua definizione prevede la concentrazione di persone con abitudini, provenienza e interessi diversi in cellule abitative che rispondono a tutte queste esigenze. Lo spazio ridotto deve venire utilizzato nel modo più funzionale. Il concetto di base sta nella suddivisione dello spazio abitativo in zone distinte: giorno, notte, servizi disimpegni. E sull'articolazione di questi che procede il lavoro degli architetti. Non si modifica il concetto di appartamento, ma la suddivisione interna degli spazi. Dai primi schemi rigidi, si passa man mano ad articolazioni diverse fino a giungere alla pianta libera. Le trasformazioni più significative riguardano la progressiva diminuzione degli spazi di disimpegno, l'unificazione degli spazi sala, salotto, fino a prevedere uno spazio unico con la cucina, la riduzione della zona notte a vantaggio degli spazi comuni della vita familiare, la particolare importanza attribuita ai servizi igienici, man mano che nella società aumenta l'importanza del momento estetico."4

In effetti della struttura condominiale come fatto sociale non si è scritto molto come pure sull'immaginario letterario poco è stato evidenziato; forse molto di più è stato il cinema ad essere affascinato da questo tipo di fatto abitativo. Registi come Cronenberg, De La Iglesia, Jeunet & Caro, Roman Polanski, Felice Farina, Roberto Benigni si sono ispirati proprio a questa sorta di contenitore ove l'uomo

"ha sempre cercato la comunità, la presenza tangibile dell'altro e di un progetto comune, per sentirsi invece solo al suo interno, per giustificare la propria solitudine, la propria individualità esistenziale. Da sempre allora, egli ha costruito attorno a sé un guscio dalla forma di un'abitazione che rispettasse la necessità di ritagliarsi un habitat a sua volta inserito nell'ambiente più complesso delle relazioni umane. Ha inventato così lo Stato per garantirsi un'immagine, la città per cercarne una propria e i palazzi per nascondersi. Il condominio diventa dunque l'insieme della comunione e dell'allontanamento, della collettività e dell'isolamento."5
Già Harvey Cox in La città secolare metteva a fuoco le positività che offre la struttura urbanistica secolarizzata che, con l'anonimità e la mobilità, acquistano una dimensione di libertà mai avuta in nessun altro tempo.
Non è quindi ricerca di solitudine, ma piuttosto di anonimità quella che anima gli abitanti della città, e tuttavia ricerca della comunità nel medesimo tempo. Questa doppia aspirazione li porta ad accettare il condominio come luogo e struttura di riferimento e relazione sociale.
L'anonimità è in sé un valore in contrasto con l'identità. Con la prima si tenderebbe a passare del tutto inosservati, rinchiusi nel proprio ego, torre d'avorio, inattaccabile e inossidabile. Con la seconda si tende al riconoscimento dell'io all'esterno.
Questi valori oltre che quelli economici, sono alla base della ricerca, da parte della classe media della struttura abitativa del condominio.
Forse è questa una caratteristica europea che non ha visto lo svuotamento abitativo dei centri storici delle sue città con la edificazione al di fuori di esse di strutture abitative mono e bifamiliari. In Europa si è assistito piuttosto al mantenimento ad uso abitativo degli stabili anche all'interno dei centri storici, nonostante l'innalzamento dei prezzi delle abitazioni che tende a scalzare le classi sociali meno abbienti e a sostituirle con quelle a più elevato reddito.
Il sistema condominio da questo punto di vista si è incrementato piuttosto che entrare in crisi.

Il primo dato che sembra emergere dalla lettura di testi che pongono, in qualche modo, al centro della costruzione immaginaria il condominio è il fatto che questa situazione abitativa tende, in maniera più o meno sensibile e significativa, a ricreare lo spaccato di differenziazione sociale proprio della società. E questo proprio attraverso gli elementi di relazione o di distribuzione spaziale del complesso condominiale, che si è andato modificando nel corso del tempo. Così che, ad esempio, i piani alti, destinati prima dell'arrivo dell'ascensore a gruppi sociali più svantaggiati, con l'installazione del mezzo elevatore, sono poi riservati essenzialmente ai più facoltosi. Oggi i piani alti valgono molto di più dei piani bassi arrivando in alcuni casi addirittura al raddoppio del prezzo.
Ne Il condominio di Ballard uno dei protagonisti Wilder sente che ciò che lo faceva più arrabbiare

"della vita nel suo condominio, era il modo in cui un insieme apparentemente omogeneo di professionisti ad alto reddito si era strutturato in tre campi disuniti e ostili. Le vecchie suddivisioni sociali, basate su potere, capitale ed egoismo, si erano riaffermate anche lì come in qualsiasi altro posto. Di fatto, il grattacielo si era già suddiviso nei tre gruppi sociali classici, la classe inferiore, la classe media, la classe superiore. Il centro commerciale del decimo piano costituiva un chiaro confine fra i nove piani più bassi, con il suo 'proletariato' di tecnici cinematografici, hostess e gente simile, e il settore mediano del grattacielo, che andava dal decimo piano alla piscina e alla terrazza-ristorante del trentacinquesimo. I due terzi centrali del condominio formavano la sua borghesia, costituita da membri delle professioni, egocentrici ma sostanzialmente docili: medici e avvocati, contabili e fiscalisti che lavoravano non per conto proprio ma per istituzioni sanitarie e grandi società. Puritani in grado di disciplinarsi da sé, avevano l'alto grado di coesione di coloro che desiderano ardentemente piazzarsi secondi. Sopra di loro, ai cinque ultimi piani del grattacielo, c'era la classe superiore, la prudente oligarchia di piccoli magnati e imprenditori, attrici televisive e accademici arrivisti".6

Seppure più velatamente anche Gadda nella descrizione del palazzo in cui avvengono due fatti criminosi così si esprime:

" E il palazzo, poi, la gente der popolo lo chiamaveno er palazzo d'oro. Perché tutto er casamento insino ar tetto era come imbottito da quer metallo. Drento poi, c'erano du scale, A e B, co sei piani e co dodici inquilini cadauna, due per piano. Ma il trionfo più granne era la scala A, piano terzo, dove ce staveno de qua li Balducci co li fiocchi pure loro, e in faccia a li Balducci ce steva na signora, na contessa, che teneva nu sacco 'e solde pure essa, na vedova".7

In maniera più chiara, quasi di soppiatto, lo scrittore ad un certo momento precisa sulla ricchezza dei "casilanti" di via Merulana.

"Di quel nome e di quelle gioie, vere o supposte, di quel mucchio d'ori della contessa der terzo piano le duecentodicinnove (scala A, spiegamese bene, che la B è un artro conto) pe tutta via Merulana e Labbicana insino a Sant'Antoniode Padova e a Sal Clemente e a li Santi Quattro, l'epos ormai s'era insignorito, e mannava fora bagliori, lividori come fiamma della carta unta."8

La conferma della percezione di una divisione di classe fra più ricchi e meno ricchi è evidente. In modo più tenue, anche perché le analisi sulle classi sociali non erano ancora molto diffuse, si intuiscono le divisioni interne al condominio descritto da Edmondo de Amicis:

"Era una delle più vecchie case di Torino, un antico convento, dicevano: senza soffitte, senza terrazzini sul cortile, con due sole scale mal rischiarate: su ciascuna delle quali non erano che sei quartieri, la più parte assai piccoli, e abitati tutti da gente tranquilla. Sulla scala del padron di casa, al primo piano, abitava l'ingegnere Ginoni, con la sua famiglia, con la quale la Pedani era in relazione per essere stata maestra elementare d'una delle figliuole, che allora era alunna della scuola Margherita. Stavano sullo stesso piano due vecchie sorelle agiate, tutte di chiesa, scrupolose a segno che non alzavano mai gli occhi in viso ad un uomo, e buonissime in fondo; le quali avevan da prima salutato la Pedani cortesemente e poi smesso di salutarla, dopo che per via delle persone di servizio avevan saputo che essa frequentava un corso di anatomia e fisiologia applicate alla ginnastica, fatto dal dottor Gamba. Al secondo piano, in faccia al commendatore, abitava un vecchio professore di lettere, certo cavalier Padalocchi, vedovo e pensionato, un linguista terribile, dicevano, ma di maniere compitissime; il terzo piano era tutto scolastico e ginnastico…".9

Non segue immediatamente la descrizione della seconda ala del caseggiato, ma è possibile notare la chiara divisione di classe e censo fra primo e ultimo piano, praticamente rovesciato rispetto alla descrizione vista ne Il condominio di Ballard. Nel romanzo di Laila Wadia, la suddivisione di classe è avvenuta già a monte nella stessa città e sia per il piccolo numero degli abitanti del caseggiato in cui abitano i protagonisti della storia narrata, sia per la tipologia e la precarietà degli abitanti, non si è ancora stabilita una reale gerarchia fra gli inquilini. Anche qui siamo nella stessa situazione del testo di Edmondo de Amicis e cioè tutti gli abitanti dello stabile sono inquilini a pigione. Vale la pena riportare la lunga descrizione dell'abitato e del suo contesto:

"Il centro storico di Trieste incorpora tre tipologie di case. L'elegante Borgo Teresiano,…sfoggia imponenti palazzi color pastello… Queste meravigliose opere del Pertsch, del Berlam, del Nobile e del Righetti ora ospitano prestigiose banche, compagnie d'assicurazioni, studi notarili e lussuose dimore della borghesia triestina. Poi c'è la Città vecchia con le sue vie strette in un abbraccio popolano, le sue palazzine degradate…ora, grazie all'aiuto della Comunità Europea, questa zona è stata sottoposta a un restyling, come si usa dire, per fare più chic….Da poco questo quartiere, ribattezzato Zona Urban, ospita solo atelier e boutique, alberghi di charme e attrici alla portata esclusiva di professionisti dal gusto eclettico…via Ungaretti appartiene ad una terza fascia del centro storico, quella di cui parrebbe che sia il sole che il Comune si siano dimenticati. I pochi palazzi cenerentola di quest'androna muffosa rimangono in perenne attesa della bacchetta magica…A differenza delle altre case nella via, che si appoggiano l'una contro l'altra come i vecchi nell'autobus per non cadere, la palazzina al numero 25, una volta color malva, è a sé stante. E' tozza e sciatta, come una donna che si è lasciata andare con gli anni, ed è una luce triste quella che traspare oggi dai suoi occhi velati di lacrime. Di solito offrono tre tipi di illuminazione. Al primo piano, grazie ai lampadari di carta e riso con draghi acrobatici della famiglia Fong, la luce è rossa e soffusa. L'appartamento accanto è sfitto, e la signora Fong (o Meigui, più nota come Bocciolo di rosa) spera un giorno di poterselo permettere. Ora i ragazzi (tra figli e nipoti per il momento ne ha sei) sono piccoli e si arrangiano come possono, ma quando cresceranno avranno bisogno di più spazio…Al secondo piano, a sinistra, la luce ricorda un cimitero a novembre. Più che una lampadina, sembra che il Sig. Rosso accenda un lumino. La finestra accanto appartiene alla famiglia albanese dei Dardani, e stare a casa loro è come essere dentro Star Trek – solo neon, blu e verdi. Al piano terzo abitiamo noi, i Kumar, originari di Sholapur, in India, e a destra la famiglia Zigovic, profughi bosniaci."9
E tuttavia, emergono anche in questo romanzo piccole gerarchie. Da una parte il Sig. Rosso, xenofobo dichiarato, che guarda tutti i coinquilini dall'alto in basso, dall'altra la famiglia Dardani e specialmente Lule che si crede una gran signora e ha la casa arredata con gusto e pregio.
"Lule è la nostra maestra di bon ton; cerca di renderci più sofisticate. Io accetto i suoi consigli di buon grado perché so che ha più gusto di me, ma Marica a volte se la prende dicendo che, anche se abitiamo nello stesso palazzo, non vuol dire che siamo tutti nella stessa barca. Non tutti hanno milioni da buttar via per borsette Prada e occhiali Gucci"10

Nel romanzo di Lakhous il caseggiato di piazza Vittorio in Roma è tutto in affitto con un unico proprietario. Le differenze di classe sociale non si definiscono precisamente, ma emergono invece i pregiudizi di ordine razziale e l'atteggiamento xenofobo.
Ma tant'è nella società attuale omogeneizzata tutta nella globalità e precarietà forse è da dire che le classi sociali sono state soppiantate da presunte differenze etniche. La scala sociale più bassa è generalmente rappresentata da immigrati che svolgono i lavori più umili indipendentemente anche dal grado di cultura.

"Mi chiamo Benedetta, però a molti piace chiamarmi la Napoletana. So che molti inquilini del palazzo non mi sopportano e mi odiano senza motivo anche se io sono brava nel mio lavoro. Chiedete un po' qual è il palazzo più pulito di tutta piazza Vittorio, vi risponderanno senza esitare: 'il palazzo di Benedetta Esposito'. Non voglio dire che questo palazzo è di mia proprietà, sia chiaro, non voglio guai con il vero proprietario, il signor Carnevale…Sono sicura che la causa di tutto questo casino è la disoccupazione. Sono assai i giovani italiani che non trovano una fatica dignitosa, e così la maggior parte sono costretti a lavorare pe 'nu muor' e pane. Bisogna cacciare i lavoratori immigrati e mettere al loro posto i nostri poveri figli…Non capisco perché la polizia tollera questi delinquenti [gli stranieri]… Io sono sicura che l'assassino di Lorenzo Manfredini è uno degli immigrati. Il governo deve reagire ampressa ampressa. Un altro poco ci cacceranno dal nostro paese."11

Da questo punto di vista Lakhous tende a rimarcare la spaccatura sociale fra l'indigeno e lo straniero, mentre Laila Wadia tende a ricomporla.
Il dominio dello spazio è sempre una questione di classe e divisione sociale, ma più significativamente è da prendere in considerazione la relazione che si stabilisce fra condomini o fra coinquilini.
Ne Il condominio di Ballard la relazione fra i condomini è pessima così che fra i gruppi sociali che si sono demarcati a seconda dei piani scatta una vera e propria guerra:

"In superficie, la vita nel condominio scorreva abbastanza normale…La maggior parte degli inquilini andava in ufficio ogni mattina, il supermarket era ancora aperto, la banca e il parrucchiere funzionavano come al solito. Nonostante questo, in realtà l'atmosfera che regnava all'interno era quella di una difficile coesistenza fra tre campi armati. Le posizioni si erano completamente irrigidite e quasi non c'erano più contatti di nessun genere fra il gruppo superiore, quello centrale e quello inferiore."12

Nel romanzo di Emilio Gadda le relazioni degli inquilini dello stabile di via Merulana non sembrano intense. E' la tipica situazione della maggior parte dei condomini di ceto borghese ove i rapporti fra i vari condòmini generalmente è puramente formale. Ci si saluta, si scambia qualche battuta sul tempo, ma difficilmente si stabiliscono amicizie profonde e serie. Il condominio è in fondo un arcipelago di isole. La relazione fra un'isola e l'altra è ostacolata dal liquido che li separa e che difficilmente viene superato o prosciugato. Così la diffidenza fra inquilini di uno stesso stabile, il desiderio di mantenere una certa privacy, anonimità, rende incolmabile il vuoto che si stabilisce fra un condomino e un altro.
Significativo al riguardo può essere l'atteggiamento di un personaggio, il commendator Angeloni, sempre del romanzo di Emilio Gadda.

"«Garzoni di fornitori non ne avete mai visto in questa casa?» fece Ingravallo, in un tono di autorità consapevole, e tuttavia fastidito…«E come no?» fece la Pettacchioni, «co sto porto de mare der palazzo?»… «E per chi venivano? Non ricordate?»… «Giusto…er sor Filippo, qui,» lo cercò…e lo indicò nel gruppo". 13

Colpisce il fatto che non si sia fatto avanti da solo, alla richiesta del commissario Ingravallo, ma abbia atteso che qualcuno lo indicasse. Ma più oltre si descrive meglio il suo riserbo.

"«Er sor Filippo, qui,» ripeté la sora Manuela. «Mbè, a voi quarche vorta v'è venuto, ma sì un maschietto co li pacchi, co la parannanza bianca. Nun l'ho mai visto in faccia: sicchè propio cum'era nun me n'aricordo. Ma suppergiù, mo che ce penso, quello de stammatinapoteva esse er vostro. Una sera che je corsi appresso, me strillo da le scale che saliva su da voi, ch'aveva da portà er presciutto» Tutti gli sguardi si puntarono sul commendatore Angeloni. Il nominato si confuse: «Io? Garzoni?..Che prosciutto?» «Sor commendatore mio,» implorò la sora Manuela «nun me vorrete fa sta partaccia de dimme che nun è verò in faccia ar commissario…Voi siete solo…» «Solo?» ribatté il sor Filippo, come se il viver solo fosse una colpa. «E che ce sta forse quarcuno co voi? Manco er gatto…»…In apparenza, un pasticcio. La confusione der sor Filippo era evidente: quel balbettare, quel trascolorare: quegli sguardi così pieni di incertezza, a non credere d'angoscia."14

Il signor Filippo si sente violato nella sua anonimità, nella sua riservatezza e ne rimane sconcertato. L'antitetica vita dei condòmini fra privato e sociale è evidente in questo atteggiamento del personaggio del libro di Gadda. E' presente ad ascoltare le dicerie, a vedere come si svolgono le inchieste del commissario e poi fa il disorientato quando viene richiamato coinvolto nell'inchiesta. L'atteggiamento di riservatezza dell'Angeloni rimarrà anche durante l'interrogatorio che subirà poi in commissariato.
Più significative sono le relazioni che si stabiliscono fra gli abitanti del caseggiato descritto da Edmondo De Amicis. Ci si saluta, ci si ritrova, a volte solo per spettegolare, ci si invita. Ci si unisce e ci si divide. La storia d'amore, descritta e centrata nel condominio, certamente rende possibile questa maggiore comunanza di intrecci relazionali.
Se andiamo ad osservare invece come si stabiliscono i rapporti fra gli inquilini dello stabile di piazza Vittorio a Roma - nel romanzo di Amara Lakhous - ci troviamo di fronte a qualcosa di simile a quanto descritto da Ballard. Gli inquilini del caseggiato sono ostili, salvo uno di loro che sembra aver assunto su di sé le qualità positive della cultura occidentale e mediorientale. La stessa organizzazione del testo, fatto essenzialmente mediante dei monologhi interiori rende ancor più distante i componenti della vicenda narrata. Gli incontri sono sporadici e improntati a diffidenza. Un esempio:

"Prendiamo l'esempio di Antonio Marini, che tratta gli inquilini del palazzo come i bambini dell'asilo o come appartenessero a una tribù zulù. Non smette di dare ordini. Ci è venuto da Milano per insegnare all'Università di Roma, come se questa fosse una città di asini, come se qui non esistessero professori universitari, 'sti fiji de 'na mignotta! Conoscono le arti del favoritismo e delle raccomandazioni e hanno l'ossessione del potere e di imporre la volontà a tutti. Il milanese ha fatto di tutto per impedirci di usare l'ascensore; voleva averlo solo per sé, avanzando le proposte più strane con la scusa che servivano a migliorare la qualità del servizio:…Una volta dopo l'ennesima riunione in cui mi sono veramente rotto i coglioni, gli ho detto: «Mo ha' rotto er cazzo e mo te meno, st'ascensore appartiene a tutti e nun è 'n parte de casa tua, questo è 'r nostro palazzo e nun è 'na tribù de zulù! Va a Milano a fa' quer cazzo che te pare!»"15

Gli inquilini non sanno incontrarsi se non per litigare a causa di un ascensore.
Una situazione diversa troviamo invece nel romanzo di Laila Wadia. Il caseggiato di via Ungaretti ospita 5 famiglie che occupano 5 rispettivi appartamenti e le etnie considerate sono 5, un italiano, una coppia di bosniaci, una coppia di cinesi, una coppia di indiani, un'altra di albanesi. Le relazioni che intrecciano sono intense e collaborative. Anche l'italiano, pur segnato ideologicamente, alla fine si rivela molto generoso nei confronti di quegli stranieri da lui, a parole, tanto disprezzati. Il tono del romanzo, la positività delle relazioni che si intrecciano fra i coinquilini di quella villetta a tre piani in via Ungaretti 25 a Trieste, sembra addirittura scivolare verso una favola, lontano dalla realtà.
La scrittrice di origine indiana sembra voler far rivivere nel condominio triestino quelle relazioni solidaristiche, possibili solo fra la povera gente; la gente che scopre di avere un unico destino, che sa di navigare in una stessa barca, sempre nelle precarietà di un possibile naufragio. E' la stessa logica di esistenza che si può trovare nel film Millionere oppure nel testo di Christiana De Caldas Brito 500 temporali.
Ma nel testo di Laila Wadia c'è anche qualcosa di diverso. E' forse il tentativo di riprodurre il sistema di relazioni del paese d'origine della voce narrante, India, pur in un contesto, in una situazione ambientale diversa. E' un po' l'anelito di ottimismo che pervade la Nazione indiana che traspare nel film sopra citato. Come nel film, anche in Amiche per la pelle, la soluzione è una favola.
Esiste in questo romanzo una sorta di legame affettivo con la casa, con l'abitazione comune e collettiva. Lo spazio interno è privilegiato rispetto agli altri spazi perché è lì che si svolge la vita di relazione, di costruzione dei propri sogni o di frantumazione delle proprie speranze.
Al contrario, nel romanzo di Lakhous l'abitazione non esiste, non ha consistenza. Lo spazio esterno, ma meglio lo spazio interiore, il non spazio quindi, ha la prevalenza su quello della casa.
Daniele Colista in un suo articolo sulla rivista Helios, afferma che per il maschio arabo la casa è harâm, in qualche modo proibita perché invece è halâl per la donna. Dice infatti:

"Una prima, importantissima differenza, consiste nella netta differenziazione degli ambienti, degli spazi della casa. Tale differenziazione, analogamente a quanto avviene nell’organizzazione della società islamica, si basa su una dialettica che contrappone la nozione di al-harâm a quella di al-halâl. Il primo termine designa ciò che è proibito, interdetto, inaccessibile; il secondo ciò che è lecito, permesso, accessibile.(3). Tutti i luoghi, i gesti e le situazioni della vita si collocano fra questi due poli estremi e si classificano come proibiti, indifferenti o raccomandati. Ad esempio, per i non musulmani sono harâm i territori della Mecca e della Medina, oltre che tutte le moschee. Per l’abitante di una città sono harâm tutte le case tranne la propria. Per una donna sono harâm la strada, il souk, il caffè, la moschea (e il velo da apporre sul viso quando è in strada dichiara proprio la sua estraneità allo spazio pubblico); luoghi, questi, tutti ovviamente halâl per l’uomo. Lo spazio halâl per la donna, invece, è lo spazio domestico, che al contrario è in buona parte harâm per l’uomo: ad esempio, a un uomo è interdetto l’accesso nelle camere (bit) occupate dalle altre coppie che coabitano all’interno della stessa casa. Possiamo dire che, in generale, l’intero spazio della casa è harâm per l’uomo."16

Il disinteresse e distacco dall'abitazione sembra molto presente anche in un altro scrittore della letteratura della migrazione Abdel Malik Smari, il quale nei suoi due romanzi Fiamme in paradiso e L'Occidentalista preferisce gli spazi aperti: le strade, i giardini, le piazze. Il migrante tende a riprodurre l'uso e il rapporto dello spazio che ha avuto dalla sua cultura, dalla sua storia. Non è un caso che Kant ponga lo spazio come categoria a priori, ma lo spazio divenuto categoria è quello che l'ambiente ci offre fin da piccoli, che ci fa succhiare con il latte materno.

1 Dal vocabolario Il grande dizionario Garzanti
2 Storia d'Italia, 5* i documenti, Giulio Einaudi Editore, 1973, pag.373
3 Storia d'Italia, 5* i documenti, Giulio Einaudi Editore, 1973, pag.382
4 Giuseppe Maria Jonghi Lavarini e Maurizio De Caro (a cura), Il condominio a Milano, 1987, Di Baio editore
5 Mario Bucci, Il condominio e l’infezione morale: Cronenberg, De La Iglesia, Jeunet & Caro ed altri coinquilini., EFFETTONOTTEonline, marzo 2009
6 J. G. Ballard, Il condominio, Universale Economica Feltrinelli, 2003, pag. 58
7 Carlo Emilio Gadda, Quer pasticciaccio brutto de via Merulana, in Romanzi e racconti II, Garzanti, 2007, pag. 19
8 Carlo Emilio Gadda, op. cit. pag.51
9 dmondo De Amicis, Amore e ginnastica, Comune di Mantova 2009, pag. 15
10 Laila Wadia, Amiche per la pelle, edizioni e/o 2007, ,pag. 7-8
11 Laila Wadia, op. cit. pag 33
12 Amara Lakhous, Scontro di civiltà per un ascensore a piazza Vittorio, edizioni e/o, 2006, pag . 41
13 J. G. Ballard op. cit., pag. 82
14 C. E. Gadda op. cit, pag. 40
15 C. E. Gadda op. cit. pag. 42
16 Amara Lakhous, op. cit. pag. 136

Inizio pagina

Home | Archivio | Cerca

Archivio

Anno 6, Numero 26
December 2009

 

 

 

©2003-2014 El-Ghibli.org
Chi siamo | Contatti | Archivio | Notizie | Links