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cocoliche e lunfardo

sabatino annecchiarico

Emigrazione linguistica-Influenza della lingua dialettale italiana nel lessico di Buenos Aires

Era un gringo tan bozal
Que nada se le entedía
¡Quién sabe de ánde sería!
Tal vez no juera cristiano
Pues lo único que decía
Es que era pa-po-litano1

Era uno straniero che parlava male
Nulla si capiva
Chissà da dove veniva!
Forse neppure era cristiano
Poiché l’unica cosa che diceva
Era di essere napoletano2

Premessa

L’obbiettivo di questo scritto è quello di mettere in evidenza, dal punto di vista storico, in che modo l’emigrazione della lingua dialettale italiana ha modificato il linguaggio degli argentini, in particolare quelli di Buenos Aires, nel periodo trascorso dal Risorgimento fino gli anni ’50 del Secolo successivo.
Lontano dalla pretesa di produrre una documentazione esauriente sull’obbiettivo prefissato, e consapevole della mancanza di un’analisi semiotica e linguistica3, sarò appagato se il lettore accrescerà la propria curiosità sull’argomento.

Introduzione

Sin dalla seconda metà del XIX secolo, quando ancora l’italiano non era una lingua né popolare né unificata in tutta la penisola, una consistente e diversificata emigrazione d’italiani si sparse in tutto il mondo portando con sé, oltre la valigia carica di sogni e ricordi, il miglior tesoro che possedevano: il modo di comunicare dialettale.
La notevole diversità dialettale di questi migranti, per la maggior parte analfabeti4, fu proporzionale alle diversità geografiche dei porti di partenza: Trieste, Genova, Livorno, Napoli; i più noti. Questi dialetti sbarcarono in altre realtà linguistiche d’oltreoceano, tra cui quello di Buenos Aires. Fu in questo modo che iniziò uno dei più interessanti fenomeni migratori della lingua dialettale italiana dall’Ottocento in poi, senza precedenti.
A Buenos Aires, questo massiccio fenomeno migratorio dialettale italiano non poteva rimanere senza conseguenze nel modo di parlare degli abitanti della città. Infatti, comportò una trasformazione lessicale nella metropoli sudamericana che arricchì fortemente il crogiolo linguistico di Buenos Aires, dove arrivavano migranti dai cinque continenti5. Una trasformazione che durò quasi cent’anni e che caratterizza ancora oggi il modo di parlare dei porteños (abitanti di porto), ovvero di Buenos Aires con il cocolichee il lunfardo.

Cocoliche

Francesco Cuccoliccio, manovale emigrato dalla Calabria che lavorava nella compagnia teatrale di José Podestá verso la fine dell’Ottocento, parlava malissimo il castigliano. Con la sua cadenza dialettale mescolata con il castigliano che basicamente ignorava, voleva dimostrare di essere un argentino a tutti gli effetti.
L’attore Celestino Petry, della stessa compagnia di teatro, sentendolo parlare si mise a imitarlo e portò quel modo di parlare sul palcoscenico del sainete rio platense6 riproducendo lo stile dell’immigrato calabrese con la sua prosodia, il lessico e la sintassi italiana.
Nel 1886, nell’opera Juan Moreira di Eduardo Gutiérrez, fu introdotto un personaggio di nome Cocoliche, che all’inizio di ogni rappresentazione si presentava al pubblico dicendo il proprio nome e cognome e di essere criollo7, ovvero argentino fino al midollo richiamando così l’attenzione degli amici su di sè:

Me quiamo Francisque Cocoliche, e songo creollo gasta lo güese de la taba e la canilla de lo caracuse, amigue, afficate la parada…8

Così nasce a Buenos Aires la parola cocoliche che divenne subito popolare9 per identificare gli immigrati italiani che parlano in interlingua, (itagnolo10), ovvero quel modo di parlare a metà strada tra l’italiano e lo spagnolo. Ma il Cocoliche rappresenta qualcosa di più, è una mescolanza a tutti gli effetti tra l’italiano dialettale, con il lessico gauchesco della Pampa e il castigliano della città, in un susseguirsi di confusioni semantiche aggiunto alla forzatura patetica di assimilarsi ad ogni costo al criollo.
Ma non tutta l’influenza dialettale italiana finì in cocoliche. Mario Teruggi11 osserva come queste trasformazioni incidevano nella grammatica castigliana differenziandola nettamente dal cocoliche. In questo codice lessicale tra pochi, così lo definì Teruggi, si rovesciano le sillabe nelle parole (casa per saca, tango per ) o semplicemente si tagliano e poi s’invertono: dal napoletano femmena12 si passa al lunfardo naifa in sostituzione della parola castigliana mujer. Anche l’uso corrente delle figure retoriche, della paronomasia o della parasintassi, omofonia, derivazioni verbali o nominali, restrizioni o ampliamento del significato, lo distinguono dal cocoliche. Le sineddoche, le metafore, le concatenazioni, il cambio di genere, la polisemanticità o semplicemente i cambi di significato della parola, sono altre delle caratteristiche di questo mutamento linguistico, fortemente favorito anche dal fatto che la lingua italiana era già «caratterizzata dalle inversioni sintattiche»,13 e che ha dato origine al linguaggio per eccellenza dei porteños: il Lunfardo, il codice lessicale tra i pochi che incise linguisticamente su questa città.
José Gobello, presidente della Academia Porteña del Lunfardo fondata nel 1962, sostiene che il lunfardo «non è né una lingua, né un dialetto, né un gergo; è un vocabolario composto da voci di origini diverse che l’abitante di Buenos Aires utilizza in opposizione alla lingua ufficiale». Tra queste voci quelle dei dialetti italiani sono le prevalenti. Prosegue sempre Gobello che «Esiste una lingua comune, una lingua accettata, una lingua decodificata dalla Reale Accademia Spagnola e i porteños mischiano parole proprie dentro questo contesto».

Lunfardo

Lo que muchos llaman lunfardo es brillo de la imagen popular, es una nueva forma de la metáfora, es el lenguaje propio de la canción.

Enrique Santos Discépolo14

Quando chiesero a Nicolás Olivari15, dopo aver pubblicato nel 1926 La Musa de la Mala Pata, se aveva imparato il lunfardo, lui rispose: «Siccome sono nato nel quartiere di Villa Luro, sobborgo di Buenos Aires, dove abitavano delinquenti, prostitute, operai, ex carcerati, mascalzoni, tutti miei vicini, non ho avuto tempo per imparalo»16.
Il 18 marzo 1879 apparve sul quotidiano di Buenos Aires La Nación l’articolo Los Beduinos Urbanos, dove l’autore del testo, Benigno Lugones, invitava a parlare del calò dei ladri. In quell’articolo sorse la parola lunfardo definito dallo stesso Lugones come «un fenomeno linguistico dinamico».
Il poeta argentino Amaro Villanueva sostiene di aver trovato nel dialetto Romanesco17 di Filippo Chiappino18 l’origine della voce lunfardo definito in questo modo: «deriva dal dialetto romanesco del vocabolo Lombardo trasformato in lumbardo che significa ladro» e quest’ultimo, a Buenos Aires, è diventato lunfardo19: M'ha llombardato un fazzoletto. Lombardo, ladro" (J. Gobello. Blanqueo etimológico del lunfardo. Buenos Aires: M. H. Olivieri Editor, 2005).
Fu proprio il giornalista Benigno Lugones che nella seconda metà del XIX Secolo, per arrotondare lo stipendio da giornalista, decise di fare ore straordinarie presso il commissariato della città coprendo funzioni amministrative. Questa mansione, che lo abilitò ad ascoltare le conversazioni dei malavitosi in carcere, gli permise di osservare quel particolar modo di parlare sconosciuto fino quel momento. Molti dei detenuti erano italiani.
In un primo approccio lo assimilò al calò del mondo delinquenziale di Buenos Aires, ma capì subito che era qualcosa di diverso. Scoprì che questo lessico rispondeva essenzialmente al bisogno che avevano queste persone di comunicare tra loro senza farsi capire da terzi e di semplificare la loro comunicazione in un linguaggio comune, poiché erano quasi tutti immigrati.
Soler Cañas, scrittore e giornalista argentino membro della Accademia Porteña del Lunfardo, pubblicò nel 1976 un articolo dove evidenziava che già il 6 luglio 1878, nel giornale La Prensa di Buenos Aires sotto il titolo Il dialetto dei ladri20, di autore anonimo, furono pubblicate 29 voci e locuzioni con le rispettive traduzioni prodotte da un commissario della Polizia di Buenos Aires. Tra queste parole figura la voce Lunfardo tradotta come ladro assieme ad altre parole di origine italiana: furca, punga, mayorengo, bacán, biaba, solo per citarne alcune che costituirono il primo vocabolario del lunfardo.
Nel giro di pochi anni, nel 1894, erano già state registrate 414 parole nel dizionario El idioma del Delito di Antonio Dellepiane21. La biblioteca di Todo Tango - Diccionario Lunfardo22 registra attualmente 12.500 voci e locuzioni lunfarde, popolari e gerghi di origine straniera.
«Quello che chiamiamo habla castellana y romance ha origine in tutte le Nazioni», scrisse Francisco Quevedo23 nel Cuento de Cuentos e aggiunse: «i Romani naturalizzarono con le loro vittorie nuove voci nella nostra lingua…» Quevedo si riferiva alle voci latine, non italiane, che hanno influenzato la lingua castigliana: mujer dal latino mulier e poi jermu nel lunfardo. Nello stesso modo si può confermare che nel lunfardo, come già anticipato, hanno contribuito lingue di tutte le nazioni, tra cui l’Italia con le diverse forme dialettali. José Gobello, nella sua Lunfardía ironizza che questa influenza italiana non fu «Per qualche vendetta della mafia», e chiarisce che «Per trovare queste parole non c’è bisogno neppure d’intrufolarsi nel gergo carcerario». Infatti, «molte di queste parole la si trovano con il tango e il sainete»24. Ma anche nella quotidiana conversazione popolare nei quartiere della città. Uno di questi quartieri è La Boca, periferia sud di Buenos Aires, popolata prevalentemente da migranti genovesi, tutti protagonisti di una varietà lessicale che arricchì decisamente illunfardo mescolando tutti i segni di comunicazione e di significazione tra i codici genovesi con quelle innate regole del quartiere portuario de La Boca.

*****
Quel flusso di navi cariche d’immigrati italiani, che ebbe inizio negli anni del Risorgimento italiano, finì tra il 1949 e il 1950. S’interruppe in questo modo il contributo secolare del dialetto italiano al lessico dei porteños.
Oggi il lunfardo, con tutte quelle radici italiane, lo si trova nelle lettere del tango, nei romanzi, nelle poesie, nei racconti e nei saggi che nutrono una ricca bibliografia che continua ad evolversi ininterrottamente. Vocabolari e dizionari con tutte le voci di ieri e di oggi confermano la ricchezza linguistica del lunfardo che l’immigrazione lasciò in quella città.
Il cocoliche, invece, è rimasto intrappolato nella roca voce di qualche emigrato italiano, oggi anziano, che da Buenos Aires mai più tornò. Una generazione che se ne va, recita un brano della canzone di Juan Carlos Cáceres, cantautore e compositore argentino. Quello che non se ne va è l’ironico umore porteño che mantiene vivo il cocoliche, assieme a quel fenomeno linguistico dinamico, il lunfardo, come lo definì Lugones.
Gobello rileva che Enrique González Tuñón scrisse in Tangos (Editorial Borocaba, Buenos Aires, 1952), che la parola lunfarda Pelandrún, che proviene dall’italiano pelandrone (stesso significato), ritorna in Italia nelle province toscane di Pisa e Luca come pelandron, già di uso comune.
Nahuel, un bambino che a metà degli anni ’90 dello scorso secolo aveva appena cinque anni, le cui origini sono di Buenos Aires, usava frequentemente la parola corchillo per coltello, ovvero comunicava in Italia con i suoi coetanei facendo uso dell’interlingua. Nahuel univa con singolare normalità due parole diverse, di diverse lingue, ma di uguale significato: coltello e cuchillo trasformandola in col-chillo, che poi si trasformò per comodità fonetica in curchiyo, una sorte di cocoliche all’italiana. Forse un modo per restituire parte di quello scambio lessicale popolare avvenuto a Buenos Aires? Forse. Sicuramente uno scambio naturale tra popoli che emigrano portandosi con sé le uniche due cose vincolate che non si perdono mai, ma si trasformano: la cultura e la lingua.

1 Brano tratto dal poema Martín Fierro, scritto in lingua gauchesca da José Hernández (1834-1886), poeta e giornalista argentino.
2 Traduzione dell’autore.
3 In fase di elaborazione
4 Al momento della fondazione del Regno d’Italia quasi l’80% degli abitanti era ufficialmente analfabeta. Claudio Marazzini, Breve Storia della Lingua Italiana, , Il Mulino, Bologna, 2004, pp.185
5 Nel 1850 il 50% degli abitanti di Buenos Aires erano stranieri. Jorge Ochoa de Eguileor, Historia de la Inmigración en la Argentina, Tomo 1, Primera edición, Museo Nacional del la inmigración, Buenos Aires, 2006, pp.8
6 Il sainete rioplatense è un’opera teatrale corta, generalmente di un solo atto diretta a provocare emozioni alterne tra comicità e tristezza con un forte impatto drammatico finale.
7 Crio=crianza: figlio di… ollo=buca: luogo. Criollo, argentinismo, che significa: figlio di quel luogo
8 Me llamo Francisco Cuccoliccio y soy criollo hasta los huezos de la taba hasta la canilla del caracú, amigos, fíjense mi parada. / Mi chiamo Francesco Cuccoliccio e sono creolo fino le ossa dal ginocchio fino al midollo delle caviglia, amici, guardate la mia postura.
9 Cocoliche, termine ancora in uso non solo a Buenos Aires, ma anche in tutto il paese, incluso in Uruguay.
10 Itagnolo, di significato simile al cocoliche
11 Mario Egidio Teruggi (1919 - 2002), scienziato e scrittore argentino di fantascienza, saggista e lingüista del lunfardo.
12 ‘A Livella, Antonio di Curtis, Totò. Poesie napoletane, Fausto fiorentino Editore, Napoli, 1990.
13 C. Marazzini, Breve Storia della Lingua Italiana, Il Mulino, Bologna, 2004 pp. 155
14 Musicista, compositore, drammaturgo e cineasta argentino (1901-1951)
15 Poeta, giornalista e scrittore argentino (1900-1966)
16 Eduardo Persico, Lunfardo, en el tango y la poética popular, Proyecto Editorial, Buenos Aires, 2004. pp.11
17 Edizione postuma delle Schede a cura di Bruno Migliorini, Seconda Edizione, Roma 1945: Lombardo, Lombardare, verbo attivo, Rubare. Lombardo. Ladro.
18 Poeta dialettale italiano (Roma, 6 novembre 1836 – Roma, 9 agosto 1905)
19 Amaro Villanueva, El Lunfardo, pubblicato nella Rivista Universale, n° 20, aprile-guigno 1962 Università Nazionale del Litorale, Santa Fe 1962, pp. 13-42
20 Antologia del lunfardo, Quaderno n° 28 de Crisis, Cielosur Editora S.A., Buenos Aires 1976
21 Avvocato penalista e scrittore argentino, (1864-1939)
22 http://www.todotango.com/spanish/biblioteca/lexicon/lexicon.html
23 Scrittore spagnolo, (1580-1645)
24 Lunfardia, acotación al lenguaje porteño, José Gobello, marcelo H. Olivero Editor,Buenos Aires 2003, pp. 44

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Anno 6, Numero 26
December 2009

 

 

 

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