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paura – uomo con cane

silvestar vrljić

A Pavo Urban

1.

Disprezzo. Qui sulle scale. È questo
quel che cela la paura?
A causa della guerra non scordo la faccia rugosa sotto copertura,
il berretto che portava sempre mio nonno, braccia deboli.
E un cane.

Chi aveva più paura? Tu o lui?

Il ritmo del fuoco fa sempre sembrare il buio più denso. Sono malato,
devo esserlo. Altrimenti, perché
starei in una città che brucia a cercare questo ritmo,
danzatrici tra le fiamme.

E loro sono sempre qui. Nella morte.
Sotto il pavimento di pietra.

2.

La foto è silenziosa, la morte accade qui. Qui
i volti sono appuntiti e belli.
Dove tra tutto questo silenzio mi sono perduto?
La paura mi fa alzare un muro, per me e il cane.

Immagina il disprezzo, qui sulle scale. Nel buio.

L’uomo accanto a me si nasconde in silenzio. Non vuole. Nemmeno
io voglio. Nemmeno il cane. Nemmeno tu.

3.

Nemmeno tu.
Dove sei? Hai danzato tra le fiamme?
O dal buio, a sicura distanza, ti apposti in attesa
del primo momento per fuggire?

Qui, sulle scale, la musica è morbida,
dolce. Ti sto aspettando, altri qui ti aspettano. Qui
un cane e un uomo rannicchiato ti aspettano.

Uomo rannicchiato, nascosto nel silenzio.
E disprezzo.

4.

E disprezzo. Qui sulle scale. È questo
quel che cela la paura?

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se con la mano esco dal vetro nella stanza

silvestar vrljić

1. Quando con le dita ti tocco il viso
ti passo
tutta la grazia e la gravità in cui tu, impreparata
alla luce del mattino, ti avvolgi
e nascondi da barche e navi
appostate per te alla finestra dai parchi.
Le mie mattine sono diverse dalle tue perchè
il biancore di cui ti racconto
l'ho portato per le strade tutta la notte.
Le tue mattine sono molto migliori. Senza biancore,
senza troppi movimenti, senza niente che
noi, ebri e asciutti dalla notte,
potremmo chiamare gioia.

2. E se tu avessi ragione quando mi guardi
oltre le spalle
come un che di piccolo, che
si dissolve ad ogni nostro tocco?
Ho parlato agli oggetti sul tavolo, a tutto quanto
ci giaceva di fronte.

3. Ho parlato: se con la mano esco
dal vetro nella stanza
tutto quanto
volevo non dirti
si tenderà
in labbra,
si stenderà sui nostri corpi come spettro?

4. Ti guardo distenderti, nevosa
e colma di silenzio. Dove potremmo
salpare effimeri come siamo: tu
come denso biancore, io come un occhio
sul tuo collo?

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un palmo vuoto

silvestar vrljić

1.

È questo quello che ho sempre detto.
Ci muoviamo, ma senza lasciare il luogo
da dove, le mani affondate nella polvere,
volgiamo via gli occhi dalle parole.

A certe parole, non sai proprio dare
un senso.
Pensi: stai pronunciando, ma apri soltanto la bocca
spaventi le piante nella stanza. Come il tram
quando scarica via i passeggeri.

Come un palmo vuoto.

2.

E palmi vuoti finiscono sempre sul viso.
Tu resisti, affidata alla finestra
e a qualcosa che ti scruta da fuori.
E ti tenta.

Vorresti viaggiare, e io non mi sento di andare da nessuna parte.

3.

Mi sento di restare perché trovo difficile
star dietro ai tuoi sogni. Perché allora
non c’è nessuno che rimarrebbe, a dare da mangiare al gatto.

Mentre ti guardo,
mi sembra di crescere. Da qualche parte là fuori,
verso il muro. In realtà da nessuna parte.
In realtà non cresco.

4.

In realtà stai sparendo.
Ti fai parola che non dico, un ritratto vuoto.
Come quel Seder rimasto appeso al muro
per mesi.
Hai sempre avuto gusto.
I quadri sui muri sono il tuo forte.

5.

Il vetro di una finestra ti sta a pennello.

Un vaso mi è amico, e a te va di viaggiare.
Con i seni di un oracolo scansi sapiente
il fumo crudo di una sigaretta.

6.

Eppure, uno specchio ti sta meglio. Non ti chiede
nulla di superfluo. Nessun pensiero.
È lì che ti completi perché
è un’immagine in cui non sono presente.

Ti va di viaggiare, dici, ad esempio
a Capri. O il Vaticano:
persino le arance laggiù odorano di santi.

Io voglio solo sognare. Non so,
girasoli, ad esempio.

Di Van Gogh
(stanno girando, sai, proprio come un palmo vuoto).

Traduzioni di Serena Todesco e Silvestar Vrljić

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Anno 6, Numero 26
December 2009

 

 

 

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