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saib

enrico pili

La casa di Saib era a metà strada della lunga via Is Cornalias, dominata dal colle di San Michele e dal castello omonimo. Castello per modo di dire, una casa forte, come lo sono tutti i castelli della Sardegna, però il loro fascino medioevale l’avevano.
Saib stava al secondo piano di un palazzotto di quattro senza ascensore. L’appartamento era molto dignitoso, pulito. Lo condivideva con un senegalese, una nigeriana e un tunisino, l’unico bianco (ma non troppo). Quasi roba da quasi ricchi. Tre camere da letto, due bagni, un cucinino, un ingresso che fungeva anche da salotto e uno studiolo senza finestre, come quello di Lorenzo il Magnifico, ma rischiarato da potenti faretti che facevano risaltare il colore d’ebano della pelle di Saib, il tavolino dove era aperto come un libro il notebook e la carrozzina dove stava seduto. Saib era una persona con disabilità.
Oramai si era talmente abituato ai colpi di scena in quello scampolo di giornata che sembrava non finire mai, che Silvio Diaz quasi non si meravigliò nel vedere che il fidanzato di Bart Pitt, “Angiolina”, era un portatore di handicap. Eppure Saib si considerava fortunato perché nel Darfur la maggioranza o muore di fame o di arma da fuoco. E si considerava molto felice perché amare uno come Bart ed essere amato da lui era una di quelle opportunità che non solo non esistono nell’Africa subsahariana ma da nessuna parte al mondo.
«Ciao, Angiolina, come stai Jolie? Non ci vediamo da poco più di un paio d’ore e già avevo nostalgia di vederti» disse Bart Pitt baciando sulla bocca Saib.
La voce baritonale dell’africano rispose:
«Sto molto bene, caro, ho studiato tutta la sera diritto civile e non ho trovato alcun modo di aggirare la legge. Noi non possiamo sposarci».
«Senti, appena metto da parte un bel gruzzolo ce ne andiamo a vivere in Spagna o in Olanda» interloquì Bart Pitt nella improbabile parte del buono.
«Meglio in Spagna – soggiunse Saib –, non c’è un bel clima in Olanda.»
«Ti presento il dottor Diaz, un mio vicino di casa, ha bisogno di aiuto, del tuo e del mio» proseguì Bart indicandogli Silvio, che, intanto, si avvicinava per stringergli la mano e, spinto da chissà quale impulso, per abbracciarlo e baciarlo sulle guance. Le guance sembravano morbide e lisce, quasi di velluto.
«Bene – disse Saib dopo aver sentito tutta la sequenza degli accidenti capitati a Silvio Diaz –, dottore, è proprio un casino totale. Mi ricorda Montale. Ho letto la trilogia di Izzo in lingua originale. È bellissima. Cagliari ricorda un po’ Marsiglia, ma qui non c’è tutta quella mafia, via, a Palermo, forse. A Cagliari mafia vera e propria non ce n’è, un po’ di corruzione, sì, ma è quasi fisiologica. Quando è patologica, allora bisogna preoccuparsi.»
Silvio Diaz era a bocca aperta. Non sapeva quasi che dire. La persona che si trovava davanti, nera, handicappata, atea, omosessuale, che in altri tempi sarebbe stata gasata a Dachau oppure ora poteva tranquillamente albergare in un carcere del Texas, gli stava dando una lezione di sociologia politica.
«Il fatto è che a Hinterland Tre sembra proprio patologica» interlolquì con un tratto di timidezza Silvio Diaz.
«Lei, dunque, pensa che il movente sia la corruzione, il denaro e la seduzione del potere» rispose come pensando tra sé Saib.
«Be’, e che altro se no, è il movente più consueto, quasi tipico. Quasi tutte le azioni degli uomini – anche quelle non cattive – sono determinate da quel movente...»
«E quindi esclude quello passionale o anche quello sessuale visto che... insomma il sindaco e il messo comunale erano amanti, a quanto pare.»
«Non lo escludo ma sembra improbabile.»
«Improbabile? Ma lo sa quanti delitti a sfondo più o meno sessuale succedono in Italia e nel mondo? E quando ci sono gli omosessuali di mezzo, la percentuale aumenta. Siamo soggetti deboli, dottore, anche più delle donne. Solo i bambini sono più deboli di noi.»
Oh, quanto ne sapeva Saib! Ma dove cazzo l’aveva presa tutta quella scienza, in Darfur? pensava, e finalmente gli consegnò la pen driver dove forse stava rinchiuso il mistero dei delitti del municipio di Hinterland Tre. Saib inserì la pennina nell’apposito alloggiamento Usb.
«Interessante – fece l’africano appena vide le cartelle –, hanno tutti nomi di film di Orson Welles eccetto...»
«Non mi dica che nel grande Erg invece dei miraggi proiettano pellicole d’autore? Sa persino di cinema, ma dove caz…» lo interruppe Silvio Diaz con una punta di meravigliata irritazione. «Al cineforum dell’università da poco hanno dato in rassegna tutti i film di Orson Welles. Quasi tutti, mancavano gli ultimi quattro. Ma qui c’è un problema – disse rientrando subito in medias res –, ogni cartella, a esclusione di “Bobby Fischer”, che lei conosce già, ha a sua volta una password che non è “rosabella”.»
«Che casino!» fece Silvio Diaz, che stava per essere sovrastato dalla depressione e dimenticava di aver accettato la sfida.
«Che casino!» dissero tutti.
Digitare password.

tratto da Enrico Pili, Prima che passi la notte
(Scuola Sarda Editrice - collana Carta d'imbarco, Cagliari 2009)

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dalla terra dei migranti

enrico pili

Tam Tam Tam
cento razze cento lingue
cento tam tam
cento milioni di miliardi di granelli di sabbia
cento dollari l’anno per sopravvivere

Tam Tam Tam
il suono del balafon
e dei tamburi
nelle notti di luna piena
e il canto delle donne

Sud Sud Sud
a sud del Grande Vuoto
i fantasmi dei Sah o
gli Uomini del Sahel
carichi di sale e di tè
di carne e pesci secchi
sonagliere tintinnanti
carovane perpetue
verso stazioni ignote

Dum dum dum
palme dai frutti buoni per le scimmie
sagome altere
nella terra assetata
dei monti del Guera

Giù giù giù
nella brusse cappelli di Bororo
corna di buoi gibbosi
polvere biblica
imbrigliata nei chiaroscuri
del tempo e degli shesh

Tam Tam Tam
città senza latrine e acqua corrente
ma con la coca cola e la Gala
e l’antenna parabolica
per il missionario
e il legionario e il mercenario

e amebe amebe amebe
(incontenibili splashdown diarroici)
e femmine a buon mercato
five dollars (avec la protection pour le SIDA)
et voilà c’est l’amour
c’est bien l’Afrique
la triste beautè de l’Afrique

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visioni

enrico pili

Un viandante
nella scarna boscaglia predesertica
chilometri chilometri
di piste battute solo dal vento

una bicicletta un po’ rollante
nello stradone goudronnè
verso un punto qualsiasi dell’orizzonte

camion dinosauri
sudati unti impolverati
sovraccarichi di tutto
e di uomini che non sanno
dove vanno
se e quando arriveranno

canoe tronchi di quattromila anni
flebile scia
sul fiume amebico ove
appaiono e scompaiono
ippopotami scampati
a millenni di fame e di razzie

uccelli neri sui campi di cotone
galli sacri sulle mura di paglia

un viscido serpente
grosso rosso
fa scappare l’otarda

una donna che va

e sul rado cespugliato
il fuoco spento
le ombre più lunghe svanite
capanne di nomadi
in attesa d’altre albe

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Anno 6, Numero 25
September 2009

 

 

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