El Ghibli - rivista online di letteratura della migrazione

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fatima è troppo stanca. non ha più voglia di pensare a niente

karim metref

Una eternità! Le sembra di essere in questo mondo da un'eternità. Un'eternità, senza mai uscire dal provvisorio permanente. Ha sempre lavorato, si è sempre sbattuta... Invano. Non si è mai stabilizzata da nessuna parte. La sua vita è fatta di pezzi scuciti. È così da quando è nata. Le poche persone che l'hanno amata sono scomparse, quelli che lei ha amato l'hanno mollata. Ma fin che era giovane, bella e robusta, non ha mai accusato il colpo. Si è sempre rialzata dopo ogni caduta e si è subito ributtata nella mischia, senza fiatare. Ma ora è troppo stanca. Non ha più voglia di battersi. Vuole solo stare in pace. Non le importa più niente. Clandestina non clandestina non la interessa più. Lei ha già dato.

Intanto clandestina lo era dalla nascita. Nascere femmina in una famiglia povera e analfabeta in un paese sottosviluppato e con sistema ancora largamente feudale è la peggiore delle clandestinità. Tornare alle origini è una virtù dice il proverbio arabo.

Sono nata in Marocco, più o meno a metà degli anni cinquanta, in una frazione di un piccolo comune a sud della città di Khoribga, in mezzo a terre secche e ingrate che pretendono tanto e ben poco danno in ritorno.

Mia madre singhiozzò appena notò tra le mie piccole gambe l'assenza dell'attributo maschile. Mio padre, per non lasciare equivoci sul suo stato d'animo, le sputò subito in faccia e uscì senza degnarmi di uno sguardo.

Speravano un maschio, un paio di braccia per lavorare, una assicurazione per il loro futuro. Invece ero la loro terza figlia. Una terza bomba ambulante.

Le figlie nel nostro villaggio, per i più poveri, erano un mucchio di guai e basta. Non solo non possono aiutare più di tanto nel lavoro, ma in più devi tenerle continuamente sotto controllo. Basta poco per perdere l'onore in queste comunità dove tutti si conoscono, tutti sanno tutto di tutti e dove nessuno dimentica mai niente.

Fu la zia Amria, una divorziata, ad avere pietà di me, sciagurata come lei. Mi raccolse dall'angolo dove mi avevano dimenticata e mi diede il nome di Fatima. Da allora sono cresciuta malgrado tutto e tutti. Tutti speravano che qualche malattia mi avrebbe spazzata via come le mie sorelle più grandi e ci mettevano anche del loro. Ma io andavo avanti lo stesso. Avevo una salute di ferro. Incassavo lavori pesanti, fame, pugni, calci, vessazioni e colpi del destino senza mai mettere ginocchio a terra.

Ho cresciuto i miei fratellini come se fossi io la loro madre. Ma loro appena grandi impararono a maltrattarmi, come tutti.

Crescevo e diventavo anche bella. Se a casa nessuno se ne era accorto, vicini e parenti maschi cambiarono presto modo di guardarmi.

Negli anni settanta quando mio padre fu chiamato per andare a combattere nel Sahara Occidentale, mi ritrovai ad essere l'unico appoggio per mia madre. Quando ci riportarono la sua salma avvolta in una bandiera, capii che lo sarei stata per sempre.

I miei due fratelli maschi, come ogni maschio desiderato a lungo, crescevano egoisti e presuntuosi. Volevano tutto. Tutto gli era dovuto. Non davano mai niente a nessuno... a parte i numerosi pensieri che procuravano a nostra povera madre.

Giocavo con le bambole fatte di pannocchie avvolte in pezzi di stoffa nell'orto quando capii che il mio corpo era ormai quello di una piccola donna. Fu mio zio più giovane a farmelo capire rovesciandomi in mezzo alle zucchine e ai fagiolini. Mia madre capì subito tutto appena mi vide rientrare in lacrime con il vestito maculato di terra e di sangue. Sapeva di che cosa erano capaci i maschi del nostro vicinato nei confronti di una ragazzina indifesa come me. Sapeva anche che non c'era nessun modo di avere giustizia. Che la colpa comunque era mia e che il disonore l'avrei pagato io. Soltanto io!

Dopo un consiglio di guerra con Zia Amria, decisero di mandarmi via. La zia era ancora in contatto con una lontana parente che faceva la serva in una famiglia benestante. La chiamò e la pregò di piazzarmi da qualche parte. Pochi giorni dopo lasciai la casa paterna per non tornarci mai più.

Il mio fu, da lì in poi, il classico percorso da ragazza indifesa in una società spietata. Più bassi che alti, tanti dolori e poche gioie: sfruttamento, solitudine, umiliazioni, stupri, aborti clandestini... Ma nonostante tutto non cascai mai nella facilità e non mi risolsi mai a praticare il più vecchio mestiere del mondo, come tante di quelle nella mia condizione. Continuai a campare di lavoretti vari. Fin quando incontrai il mio primo marito.

Lo conobbi tramite una amica. Mi disse che viveva in Francia, che era vedovo e cercava una donna per prendersi cura di lui e dei sui figli. Le cose andarono molto veloci. Fece lui i documenti necessari, si occupò di tutto. Due mesi dopo il nostro incontro ero già in macchina con lui diretta verso la Spagna, poi verso la Francia.

Quando mi resi conto dell'impostura, era tardi. Ero già reclusa in una stanzetta di Belleville, costretta ad accogliere ogni giorno diversi clienti. Ma anche quel periodo passò e riuscii a liberarmi, dal mio presunto marito e da quella vita, scappando via, ancora una volta. L'unica cosa che mi aveva insegnato la vita è come limitare i danni nelle cadute. Io sono diventata una artista della caduta. Non ho fatto altro sin da bambina. Cadevo sempre in piedi come una gatta.

Fine anni ottanta sbarcavo in Italia in compagnia di un altro uomo. Mi aveva promesso monti e meraviglie. “L'Italia è un paese nuovo per l'immigrazione, non è saturo come la Francia” - mi ha detto. “Vedrai che saremo felici, lì.” Con lui ho avuto una figlia. È stato il frutto dei pochi mesi di felicità vissuti insieme. Il nostro rapporto si deteriorò progressivamente dopo la nascita della bambina. Cominciò ad ubriacarsi, ogni sera. Poi cominciò a picchiare me e poi se la prese anche con la bambina. Io ci ho provato con tutte le mie forze a tenere, a resistere, a salvare il nostro matrimonio. Ma in vano. L'assistente sociale si presentò un giorno accompagnata dai carabinieri e prese la nostra figlia. La affidò prima ad una comunità e poi ad una famiglia d'accoglienza. Io feci resistenza per un po'. Poi, dopo essere andata a trovarla a casa dei suoi genitori adottivi, vidi che loro le davano molto più di quanto avrei mai potuto darle: affetto, sicurezza, cultura e futuro. Uscì da lì e non la andai mai più a disturbare. Non volevo mettere un'altra naufraga sulla mia barca alla deriva.

Ho tirato avanti comunque. Ho lavorato, ho imparato. Mi sono messa in regola varie volte e altre tante volte sono ricaduta nell'irregolarità. Ho fatto tutta la trafila delle sanatorie italiane, da quella di Martelli in poi. Di lavori ne ho fatti tanti; alcuni belli, altri meno, ma sempre precari: in nero, interinali, contratti brevi, licenziamenti prematuri, vecchietti morti prima del previsto, bambini cresciuti troppo in fretta, crisi, bancarotta... ho visto di tutto.

Ho passato giorni e giorni della mia vita a fare la fila in questura. Ho fornito montagne di cartacce. Non ho mai mollato e ho sempre cercato ad essere in regola con la legge. Ma è la legge che non è mai stata in regola con quelli come me. Non sono mai riuscita ad avere i documenti in regola per la famigerata “Carta di Soggiorno”. Figuriamoci la Cittadinanza.

Oggi, vent'anni dopo il mio arrivo, sono ancora alla casella di partenza. Senza documenti, irregolare, clandestina... Inesistente. Lavoricchio un po' di qua e di là. Vivo in una stanza con due altre donne. Ho poche cose e non ho nessuno. Mia madre è rimasta in contatto con me solo perché le mandavo ogni mese di che sfamarsi e sfamare quei due fannulloni di miei fratelli. Quando è morta si è reciso l'ultimo legame con la mia famiglia. Ora sono come un ramo tagliato dall'albero e trascinato dal torrente della vita.

Fatima è stanca. Non ha più voglia di pensare a niente. Sono anni che lotta senza ingranare nulla, solo amarezza.

Ha saputo della nuova legge. Sa che essere senza documenti è diventato un reato. Ma non ha più voglia di partecipare alla “sanatoria per colf e badanti”. Non ha voglia di spendere i suoi magri risparmi per “comprare” un altro contratto fasullo, ancora una volta. Non ha più voglia di tutto ciò. Ha deciso di continuare ad uscire ogni mattina per andare a fare le sue ore di pulizia, in nero, fin che la vorranno. Ha deciso di continuare a fare la vita che ha sempre fatto negli ultimi due anni. Da quando ha perso l'ultimo lavoro regolare. Da quando tutti le hanno fatto capire che era troppo vecchia per essere assunta.

Pensa che se la arrestano non sarebbe poi così male. Finalmente in carcere, forse, troverà un attimo di pace.

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Anno 6, Numero 25
September 2009

 

 

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