Nota biografica | Versione lettura |
Non sapevo quanto fosse faticoso viaggiare!
Non ho mai viaggiato. Prima non ne avevo voglia. Non m’interessava proprio e dopo, quando avrei voluto, non ne avevo più la forza. Troppo tardi.
Peccato, davvero peccato.
Sciocchezze.
Non mi dispiace affatto di non avere mai viaggiato. Sono stato sempre bene a Lima. Bene o male. Ci sono stato. Basta così. Certo non sarei stato meglio altrove e nemmeno sarei stato peggio. O forse si? Non lo so, non sono sicuro, non sono mai sicuro di una cosa, ma non me ne vergogno. Sono vecchio. Perché dovrei ancora vergognarmi? Che senso avrebbe?
Ah, è faticoso viaggiare! Davvero faticoso. Non l’avrei mai detto prima. Solo ora lo so. Ho settantacinque anni. Compiuti nel mese di aprile. Giusto a metà. Il mio compleanno spezza il mese, gli anni, le ore, le mie ore, il tempo che resta. Quando chiudo gli occhi sento, ovunque sia, un tic-tac, è il tocco pesante del mio orologio a cucù, che mi hanno portato dalla Germania tanto tempo fa, tanto -
E’ musica, per me è musica quel monotono tic-tac.
Ah, che fatica, maledetto questo viaggio! Stretti sono i sedili e sempre c’è qualcuno che vuole chiacchierare o che sfoglia il giornale o che fa rumori osceni quando mangia. É sempre così. Lo so. Sono vecchio, so tutto oramai della vita e posso dire quello che voglio. E’ una fortuna essere vecchio, in tedesco la chiamano la libertà del buffone, Narrenfreiheit -
Dicono: lasciatelo parlare, tanto è vecchio, non capisce più niente, è ancora dell’altro secolo, pensate, si rifiuta pure di bere da un bicchiere di plastica e porta sempre uno strano cappello, verde con una grande piuma, dove diavolo si portano cappelli del genere?
Non a Lima.
Non certo a Lima. Sono l’unico, forse, anzi sicuramente. A me piace così e ciò che mi piace ancora di più è che non piace a nessuno. Ridono di me. Come se non lo sapessi! E io rido di loro! Ecco! E siamo tutti felici e contenti, si dice così, non è vero, senza pensare, anch’io non penso quando dalla mia bocca escono parole e frasi senza senso, non ha senso parlare, ho smesso da tempo, preferisco ascoltare la musica -
Fa caldo qui dentro, non è vero? Solo a Lima fa più caldo e più caldo ancora nel mio ufficio nella calle de Cordoba 17.
Vladimir Juan de la Vega è il mio nome. Professione notaio. Così l’ ha deciso mio padre tanto tempo fa, tutto oramai è successo tanto tempo fa. Quando i soldi stavano per finire, un giorno mi disse: ora tocca te, figlio mio, non ci sono più soldi per te e tua sorella. Li ho fatti fuori tutti io e ti confesso che mi sono proprio divertito un mondo!
Poi, una grande risata, come la sapeva fare solo lui.
Non m’ importa nulla di quest’uomo e lo ricordo molto male. Mia sorella invece, lo ricordo molto bene.
Ah, la mia sorellina.
Ada si chiamava. Prima di me c’era stato un altro fratello, ma è morto subito o quasi. Si chiamava come me, esattamente come me: Vladimir Juan.
Vladimir, perché all’epoca mio padre era comunista. Poi questo primo Vladimir è morto e sono nato io e ho vissuto la vita non vissuta di mio fratello e quella incompiuta di Vladimir Illich Lenin. Solo dopo cinque anni è nata Ada. La mia Ada. Quanto era bella, buona e – inconsolabilmente - triste, mia sorella, che io amavo e che amo ancora e che non smetterò mai di amare. E’ la cosa più naturale del mondo amare la propria sorella, l’unica femmina che è del tuo stesso sangue, l’unica che puoi comprendere e che ti possa comprendere fino nell’oscurità delle viscere.
Non capisco perché non tutti i fratelli amino la loro sorella come si deve, com’è previsto nel codice segreto della più triste felicità.
Non capisco la vita degli altri e loro non capiscono la mia. Tutto qui.
Abitiamo lo stesso pianeta, ma laddove loro vedono un colore, io ne vedo un altro. Miravo alla felicità, alla mia e a quella di mia sorella, nient’altro. So che Dio è d’accordo con me, so che approva la mia scelta. Ogni domenica accendo candele in onore della Santa Vergine per la quale l’impossibile è diventato possibile. E dico: grazie. E ancora: grazie.
Grazie, perché anche se solo per poco tempo, io e mia sorella abbiamo conosciuto la felicità. Io amavo Ada e lei amava me. E insieme cantavamo nella nostra vecchia casa buia e disordinata, piena di strani oggetti che papà aveva portato dai suoi viaggi: un luogo ideale per nascondersi! Del resto, mio padre non c’era quasi mai. Ci affidava prima della partenza distrattamente alle cure di una vecchia balia cieca e sorda, quindi eravamo liberi! Non sentivamo la mancanza di nessuno, neanche quella della mamma che ci aveva lasciato così tanto tempo fa che nessuno si ricordava di lei. Quello che contava allora e conta tuttora , è lei, Ada, la mia adorata, la mia musica.
Ah, quanto tempo è passato da quando è morta mia sorella, lasciandomi come un pezzo di carne tremante, da solo in quella casa dove eravamo stati felici. Come ha potuto, mi chiedo ancora oggi, andarsene senza una parola? Ti sei portata via la mia anima, sorella, anche se certi filosofi contemporanei sostengono che ci siamo sbagliati e che non ci sia proprio. Io invece so che c’è, anzi, che c’era. Poi l’ha mangiata mia sorella e ora è dentro di lei, io sono dentro di lei da più di cinquant’anni, dentro mia sorella che ha sempre accolto con gioia l’anima e il corpo di suo fratello. Così doveva essere e così è stato e, in un certo senso, lo è ancora. Niente è cambiato e niente cambierà mai.
Solo dopo la morte di Ada, ho incominciato ad ascoltare la musica. Perché lei aveva una bella voce e amava cantare. Perché quando la ascoltavo, mi sentivo meno solo e qualche volta riesco perfino a sentire ancora la sua voce. Non volevo lasciare la casa. Non volevo andare a scuola e più tardi all’università. Non volevo una professione, una vita, una moglie. Non volevo tradirla, ma rimanere fedele per sempre al nostro stupendo sognare.
Ma mio padre insisteva. Mi voleva vedere notaio come lui e io non ebbi la forza di oppormi alla sua volontà da leone. Alla fine sono diventato notaio come lui. Ho trascorso gran parte della mia vita in un ufficio, dietro una scrivania con una camicia bianca ben stirata a risolvere faccende di cui non mi importavano niente.
Santa indifferenza! In un certo senso era un bene non dover pensare durante il giorno alla mia Ada. Probabilmente sarei morto se non fossi stato costretto a recarmi alla mattina in ufficio dove mi trattavano con rispetto, chiamandomi dottore o notaio e dove tutte le faccende della vita erano semplici e risolvibili. Andava bene così, fino alle cinque del pomeriggio andava bene così. Poi cominciava la mia vera vita. Non ho mai tradito mia sorella. Sono sempre rimasto fedele a lei.
Fa caldo a Lima, fa sempre caldo, come fa caldo in quest’aereo! Mi manca il respiro, voglio bere e quindi chiamo l’hostess. No, non dell’acqua, ci vuole qualcosa di più forte, ubriacarsi è uno dei piaceri più sublimi del mondo, signorina, fa bene a questo vecchio che sono io e che non sa dove sta andando e perché.
Non è vero.
Naturalmente lo so.
Vuole che glielo dica, signorina? Lei che è così giovane e bella, un po’ troppo magra, un po’ troppo bionda e un po’ troppo sorridente. Non sa cosa le aspetta! La sua spaventosa ignoranza mi preoccupa e perciò le auguro con tutto il mio cuore che presto la vita nella sua infinita generosità le possa concedere un vero e proprio dolore. Un po’ meno bionda la vorrei, un po’ meno sorridente quando porta tutte queste bibite ai volgari passeggeri di questo aereo, queste inutili bibite colorate, perché l’unica cosa che vale la pena di essere bevuto è il vino rosso. Ha un amante, mia cara? E’ bello il suo amante? E’ giusto che lei abbia un bell’amante per fare l’amore insieme in luoghi romantici. Stia tranquilla, glielo dico io. Vladimir Juan de la Vega, un vecchio uomo stanco che per la prima volta nella sua vita si è messo in viaggio.
Lima-Dresda, solo andata, ho detto con fermezza allo sportello di un’agenzia di viaggio non lontano da casa mia; dopo una settimana ho ritirato il biglietto, l’ho pagato in contanti e ora sono qui sopra le nuvole, in volo per Dresda.
M’immagino che Dresda sia una città molto pulita.
Dicono che i tedeschi siano così ordinati. E che non sbagliano mai una virgola e che sono sempre puntuali. Bel paese! Quando penso a Lima, mi sento soffocare dal caldo e quando penso a mia sorella che nel cimitero monumentale giace, in pace, non lo so.
Vado a trovarla ogni sabato pomeriggio. Le porto un mazzo di fiori secondo la stagione e in autunno accendo candele e colmo la sua impazienza con sempre le medesime parole. Presto, presto, sussurro alla sua bianca tomba, presto ti raggiungerò, intanto abbi cura della mia anima, Ada, adorata, vedrai che presto saremo di nuovo insieme -
Più di una volta nella mia vita, sono stato tentato di scrivere una poesia, ma non ho mai ceduto a questa ridicola tentazione. Sono stato forte, un vero uomo, ho opposto resistenza alla bellezza e invece ho svolto il mestiere più grigio del mondo. Così mi sono guadagnato da vivere. Le mie giornate, le ho trascorse in ufficio, le sere invece le ho vissute a casa con lei, ascoltando la musica. La grande musica europea, l’unica cosa al mondo capace di consolare le nostre anime tormentate, che secondo certi filosofi di moda, non esiste. Cosa avrei fatto in tutti questi anni senza il requiem di Mozart, le suite per violoncello di Bach e - la Morte di Isotta di Wagner? Come sarei sopravvissuto?
E’ stata lei, la celebre cantante Irmgard Schmidt, gran donna, divino soprano, a farmi accettare il fatto che la mia Ada fosse morta a quindici anni per una difterite mal curata.
Siamo a Lima, cioè nella giungla.
A Dresda Ada si sarebbe salvata sicuramente e noi saremmo ancora insieme e ora voleremmo insieme in Germania.
O Ada - quasi vecchia come me, con i reumatismi nelle gambe e i seni cadenti! Ma giuro, se fosse viva, ci ameremmo ancora, come sempre, perché eravamo fatti l’uno per l’altra. Eravamo stati voluti e ben accolti in questo mondo degli orrori. Felici prima della disgrazia. Ma a Lima anche le disgrazie sono un dono. Si usa ringraziare il signore anche per la sorte più atroce. Entusiasmo del naufragio. Un mare di candele che non distinguono fra la felicità e la disgrazia. "Amor fati".
Per tutta la vita ho detestato Lima, con tutto il cuore.
Fa sempre caldo a Lima.
Grazie anche per il caldo, signore nell’alto dei cieli, grazie per avermi tolto l’anima, hai ragione, so che sta mille volte meglio nel grembo della mia amata sorella, la mia anima che, così si dice, in verità è solo un’invenzione -
Il mio primo disco è stato un regalo, un gesto gentile e indifferente. Secondo gli amici di mio padre, dovevo distrarmi, ed effettivamente ebbero ragione. Non possedendo un giradischi, il giorno seguente ne comprai uno. Da allora non passa giorno in cui non dedichi tutto il mio tempo libero all’ascolto. La musica mi ha salvato la vita.
Non avevo mai sentito parlare di Tristano e Isotta. E nemmeno di una cantante di nome Irmgard Schmidt. Ho impiegato un bel po’ per imparare bene a pronunciare il suo nome. Ora lo so. Ho studiato pure il tedesco, è duro, ma alla fine ci sono riuscito. Naturalmente l’ho fatto per lei. Per farle, in quel giorno in cui mi sarei finalmente deciso a partire per sentirla cantare dal vivo, i miei complimenti nella sua lingua madre.
Ora sto andando.
Canta domani sera alla Semperoper. A quanto pare, deve essere un bel teatro. Danno il Tristano. Naturalmente. L’ascolterò e dopo le farò i miei complimenti più sinceri. Le porterò un bel mazzo di rose bianche e dirò con il duro accento di noi latinos: Sie waren wunderbar, Madame. Perché lei sarà wunderbar. Lo deve essere, perché domani sera nel pubblico ci sarà il suo più grande ammiratore, il notaio Vladimir Juan de la Vega che è venuto da Lima per sentire cantare sua sorella -
Fin da piccoli abbiamo sempre dormito nello stesso letto, io e Ada. L’aveva comprato mio padre in Africa. Era nero con intorno una fascia di inquietanti maschere che durante la notte parlavano. Proprio così. Senza muovere le labbra, queste maschere ci raccontavano sempre nuove complicatissime storie. Bisognava stare molto attenti, altrimenti si perdeva il filo e non si capiva niente. E Ada e io stavamo molto attenti. Imparavamo da queste maschere tutto ciò che dovevamo sapere della vita e quando avevamo capito tutto, quando eravamo pronti per il nostro sublime peccato, improvvisamente le maschere tacquero. Era un letto molto saggio, il nostro letto. Grandi e belli l’uno per l’altra ci siamo fatti nel suo grembo oscuro e quando finalmente giunse il momento, diventammo amanti. E quando ci amavamo, le maschere cantavano, tu cantavi per me, e io cantavo per te e le nostri notti non finivano mai.
Non finivano mai, finché tu non te ne andasti e io cominciai a portare camicie bianche ben stirate e ad occuparmi delle cose più indifferenti del mondo. Dopo la morte di Ada, le maschere smisero di parlare e di cantare e siccome non riuscivo a sopportare quell’improvviso silenzio, un giorno spaccai il nostro letto e lo portai giù in strada. Qualcuno doveva essersi preso i pezzi, perché la mattina successiva già non c’erano più. Spero che ora canti di nuovo quel letto, il nostro letto.
Era nero. Come i capelli di mia sorella. Per un bel po’ di tempo ho dormito per terra, poi ho comprato un letto di legno chiaro, un letto qualsiasi, stretto, casto, solido, il letto di un uomo destinato all’eterna solitudine.
L’amore ho fatto in altri letti, senza mai guardare in faccia colei che stava sotto di me. Ho fatto piangere le più belle puttane di Lima. Piangevano per te, Ada, perché tu sei morta e loro vivevano e ognuna di loro, almeno nell’istante più bello, avrebbe dato la vita perché tu fossi risuscitata dai morti. Ma né il loro pianto facile né le mie dure lacrime ti hanno portata indietro. Di pietra avrei voluto essere quando ti hanno portato via, e lo ero diventato davvero, di pietra, e solo più tardi è tornato in me il sangue dei vivi, la fame, la sete e il desiderio. Più forte, più feroce che mai è tornato in me l’animale notturno, un mostro a sette teste, ma senza una sola anima. Perché la mia anima l’hai portata via tu, Ada.
E’ per te, Ada, che hanno pianto le donne di Lima, quelle di strada, le ultime delle ultime, foruncolose, piene di cicatrici, quelle che muoiono giovani, sporcate, beate, buttate in una fossa comune senza un solo fiore. Per te hanno pianto e sono diventate belle, le sorelle che non hai mai conosciuto, peccato, Ada, perché erano come te, perché il mio amore ha soffiato nel loro grembo la tua anima -
Poi ho incominciato ad ascoltare il Tristano, l’Isotta cantata da Irmgard Schmidt, divina voce, lontana Germania, quanti peccati per aver amato solo una volta nella vita! Mi consolava la tragica fine dei due amanti. Ascoltavo disteso sul mio nuovo letto che non ricordava il gemere. Ascoltavo e nell’ ascoltare lentamente ti dimenticai, Ada. Mi procurai tutti i dischi che la Schmidt avesse mai inciso e la mia raccolta ben presto crebbe e si completò. Volevo sapere tutto di lei e per anni non mi occupai d’altro. Al mattino andavo in ufficio e, tornato a casa, mi buttavo sul letto per ascoltare la voce di mia sorella. Il sabato e la domenica non mi alzavo nemmeno, solo alla sera scendevo giù in strada per mangiare in piedi un pollo alla rabrasca ed una calda zuppa di patate dolci. Qualche volta un gelato alla vaniglia come dessert. Fa caldo a Lima, troppo caldo per un uomo che per tutta la sua vita ha adorato le terre nordiche, il freddo e il vento. Irmgard Schmidt.
Mi piaceva non solo la sua voce ma anche il suo nome. Trovo che ci sia qualcosa di solido in esso. Qualcosa che mi fa pensare immediatamente a una donna alta e robusta di sani principi morali. Con cinque figli grossi e biondi e un bravo marito molto serio e in tutto questo c’era qualcosa di così infelice che avrei voluto piangere per la vita di Irmgard, così come ho pianto per la morte della mia Ada.
Povera Irmgard!
Perché non ti ha amato tuo fratello? Perché non ha sfiorato il tuo braccio quando avevi tredici anni tremanti? Ah, come tutto sarebbe stato diverso, vero? Non avresti dovuto cantare in tutto il mondo se fossi stato io, Vladimir Juan de la Vega, tuo fratello.
Fortunata la mia Ada che poteva permettersi di cantare solo quando ne aveva voglia! Era pigra, mia sorella, amava dormire fino a molto tardi, in casa non sapeva far niente, sapeva solo farsi amare e basta.
Attendimi dunque, mia cara, attendimi sul nostro letto mormorante, tenendo pazientemente a bada il tuo grande desiderio.
Sto arrivando.
Domani sera - tu non lo sai ancora - sarò da te.
E’ vero, è passato tanto tempo, ma la vita non è cambiata.
Quando mi guardo intorno, vedo che tutto è rimasto come una volta. Sulla faccia della gente leggo lo stesso tormento e la stessa indifferenza di allora. Vedo le donne giovani, con le gonne corte e vedo in loro la donna perbene o la futura adultera, qualche volta vedo tutte e due, sovrapposte, e la tenerezza e il disgusto mi riempiono di colpo e mi tolgono il respiro. Sono sempre le donne più belle, che mi fanno piangere, perché è il dolore a creare la bellezza, mentre l’indifferenza rende l’uomo brutto e insignificante.
Amo Ada, Dio è mio testimone, ma amo anche le sue sorelle nello spirito, amo tutte le donne che sono indifese davanti all’amore, amo chi pensa, mentre lava i panni, alla propria nudità come a una promessa o un regalo maledetto, amo chi cade nell’amore come in un pozzo e amo chi canta per il suo amore, come tu cantasti per me un tempo.
Ada, Irmgard, tempi lontani, terre lontane, sono in volo io, Vladimir Juan de la Vega, sopra le nuvole per raggiungervi in un abbraccio che ci costerà non meno della vita!
La vita, poca roba in fondo.
Voglio sentirvi cantare ancora una volta.
Non ritornerò a Lima. D’ora in poi farò le mie passeggiate a Dresda. Triste città, tutta distrutta dalla guerra, quante ferite aperte e semichiuse, quante cicatrici, quanti foruncoli sugli stanchi visi delle donne di Lima e di Dresda che si vendono sulle strade come se potessero dissetare la sete degli uomini, la sete d’amore -
Quanto prende di solito, signorina? Qual è suo prezzo? Seguirebbe questo vecchio uomo stanco nel suo albergo? Sarebbe disponibile a cantare per lui? A distendersi al suo fianco? A subire gli insulti più osceni del mondo perché lei è viva e sua sorella è morta?
Perché la vita se ne va con grande fracasso dentro e grande silenzio fuori. Perché Ada, la mia Ada, non la rivedrò mai più.
Perché Irmgard non è stata sfiorata da suo fratello quando aveva tredici anni tremanti.
Perché è solo musica, la più leggera delle arti che va e viene e non lascia traccia di sé.
Verrebbe con me signorina?
Vedo in lei il desiderio di farsi ferire. Sento che lei sa - probabilmente senza saperlo - che il dolore è necessario per venire in questo mondo orribile. Mi ascolti bene: forse questa è la sua unica chance. La grande offerta che la vita ha riservato per lei. Si fermi un attimo. Rifletta bene.
Sono le stesse parole che dissi ad Ada allora, tanto tempo fa, e lei capì immediatamente.
Non si spaventi, signorina, la prego. Possiamo spegnere le luci. I soldi non sono un problema. Sono un uomo ricco e non solo. Sono un uomo che sa piangere e lei ha bisogno di tutte e due le cose, di soldi e di lacrime.
Non si preoccupi, non fa niente se non sa cantare. Canterò io per lei. Canterò io per Ada e per la povera Irmgard che non è stata amata abbastanza. Cosa importano, in fondo, gli applausi? Quando le luci si spengono, il teatro è buio, buio come quella stanza in cui due bambini in un letto mormorante inventarono la parola amore.
A-m-o-r-e. Lei sa cosa vuol dire, signorina?