El Ghibli - rivista online di letteratura della migrazione

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la migrazione, un orizzonte letterario nella produzione marocchina in lingua spagnola

sara chiodaroli

La storia coloniale europea del secolo scorso ha lasciato tracce indelebili nei luoghi e nelle culture delle popolazioni, ma in alcuni punti del mondo questi segni sembrerebbero scomparire sotto la polvere depositata dal tempo. Talvolta una lingua straniera o alcuni suoi residui riemergono nella parola di coloro che un tempo soffrirono la violenza coloniale, altre volte essi si manifestano con naturalità come se i segni del tempo si fossero persi nel corso della storia.
Nel caso del Marocco, la storia delle lingue coloniali si è caratterizzata per alcune particolarità che spesso si tendono a dimenticare, ovvero ci si concentra sulla diffusione della francofonia distogliendo lo sguardo dalla presenza, seppur minoritaria e debole, della lingua spagnola. In seguito al trattato di Fes del 1912 il paese nordafricano, già terra di conquiste negli anni delle “guerre d’Africa” del XIX secolo, si trasformò in un Protettorato a doppio mandato. La Spagna avrebbe avuto sotto il suo controllo la costa settentrionale con capitale Tetuán e il Sahara Occidentale, mentre la Francia si sarebbe garantita il controllo della vasta area rimanente.
Se può risultare usuale il fatto che una lingua coloniale si trasformi in lingua d’uso nella comunicazione quotidiana – certamente dettata da questioni pratiche – della popolazione locale, può essere invece interessante osservare in quali modalità quella stessa lingua possa “sopravvivere” a eventi endemici all’esperienza coloniale, ovvero alla sua conclusione e metabolizzazione. Il percorso storico-linguistico della lingua francese nella ex-colonia marocchina si rintraccia a livello geografico nell’enorme diffusione della lingua sul territorio, data la vastità dell’area “protetta” dal governo francese, nonché a livello governativo nell’attenta politica linguistica del paese europeo a inserire e a mantenere l’insegnamento dell’idioma durante gli anni di protettorato e dopo la sua conclusione. A quell’epoca il governo spagnolo non ebbe tale lungimiranza e non ebbe interesse nel perseguire una politica post-coloniale di mantenimento dei rapporti culturali.
Quello che è accaduto alla lingua spagnola è un fenomeno molto particolare, perché essa si è limitata a lasciare delle flebili tracce nell’idioma locale marocchino, la dariya, senza apparentemente imprimersi nella memoria culturale locale. Eppure, nonostante tale leggerezza, alcune generazioni di intellettuali marocchini che vissero a cavallo tra gli anni cinquanta e sessanta la scelsero come lingua d’espressione letteraria, dando inizio a un fenomeno che sarebbe stato ripreso e nutrito fino ai giorni nostri dai più giovani tra gli anni ottanta e novanta. L’aspetto interessante di questa analisi è mostrare la trasparenza dei confini che separano diversi mondi culturali, nonché dichiararne l’inutilità ai fini dello studio della letteratura, e della cultura in generale, dal momento che sono proprio le differenze e le eterogeneità a generare occasioni per soluzioni inedite e imprevedibili, citando il pensiero di Édouard Glissant1. Si vedrà nell’analisi dei testi come l’immaginario letterario di questi scrittori si nutra di eventi e simboli comuni che il mondo ispanico e marocchino hanno condiviso nel corso della storia e che continuano a condividere tuttora: il mito dell’Andalusia araba, scenario di gloria e dolore per l’impero arabo e terra della riconquista cristiana, la convivenza tra culture e religioni diverse, la diaspora degli infieles e dei moriscos e il loro “ritorno” nelle terre nordafricane, e infine i tragici eventi di cronaca dell’immigrazione clandestina nelle acque dello Stretto di Gibilterra. È un immaginario costruito su un moto continuo della ida y vuelta, un movimento di andata e ritorno tra le due simboliche sponde del Mediterraneo, un mutuo scambio tra due mondi le cui caratteristiche ormai faticano a distinguersi.

Nel corso degli anni Cinquanta assistiamo ai primi tentativi nell’uso della lingua spagnola per mano di importanti esponenti della cultura marocchina, in particolare si trattava di critici letterari, giornalisti e ricercatori in vari ambiti scientifici, tra i quali si annoveravano anche le scienze sociali, mentre più rari erano i casi di scrittori e letterati tout cour. È importante segnalare questo dato perché, solo grazie alla presenza di questo corpus eterogeneo e ricco di testi in castigliano, gli scrittori marocchini della seconda metà del secolo avranno un punto di riferimento nel perseguire i loro intenti letterari. Questo spiegherebbe il fatto per cui l’antologia curata da Mohamed Chakor e Sergio Macías, dal titolo Literatura marroquí en lengua castellana2 (1996), non raccolga testi esclusivamente letterari.
Importante dal punto di vista della creazione letteraria fu la florida esperienza delle riviste letterarie dirette da Trina Mercader e da López Gorgé, rispettivamente Ketama e Al-Motamid. La passione dei due direttori per la letteratura spagnola e marocchina, spinti da un ideale di mutuo arricchimento condusse a un esperimento senza precedenti nell’ambito degli studi ispanici nel mondo arabo. Infatti, queste pagine riuscirono a dare spazio a diversi autori marocchini ispanofoni, pubblicando racconti e poesie e a proporre estratti di classici e di opere contemporanee delle rispettive letterature. Alcuni racconti pubblicati in quegli anni per la prima volta su Ketama saranno raccolti nelle antologie di letteratura marocchina in lingua spagnola a partire dagli anni ottanta, come La proscrita3 di Abdul-Latif Jatib e Zuleja o la historia del loco del cabo4 di Mohamed Temsamani. È importante segnalare che queste riviste si rivolgevano al pubblico ispanofono sia marocchino che spagnolo residente nell’area del Protettorato, quindi contavano su una realtà storica e linguistica favorevole alla loro diffusione. In questa fase pionieristica è difficile scorgere dei tratti comuni o determinanti di questa produzione; è inoltre azzardato parlare di una letteratura consolidata in quei primi anni di sperimentazione, infatti la maggior parte dei protagonisti vivevano ancora nel pieno dell’occupazione spagnola e le contingenze storiche ancora non avevano messo a dura prova la resistenza del fenomeno.
A cavallo degli anni cinquanta, con l’avvicinarsi dell’indipendenza le possibilità che questa produzione potesse progredire diminuirono fortemente per via della naturale reazione di rigetto della popolazione marocchina nei confronti dello “straniero” e della sua lingua. Come si è accennato qui sopra, la Spagna non ebbe interesse nel mantenere l’insegnamento della propria lingua nell’ex-protettorato, quindi l’abbandono graduale dello spagnolo fu un fenomeno inarrestabile. E infatti questo è quello che accadde anche alla produzione letteraria.
Uno dei rari casi di scrittori che perseverarono nel loro intento fu Mohamed Chakor5. Nella sua opera si condensano i tratti salienti della cultura nord-marocchina e del rapporto osmotico tra Spagna e Marocco. Incarna da un lato il ruolo dell’intellettuale comprometido nella storia di un paese in crisi e in fase di ricostruzione, raccontando con una voce nuova piccole storie dimenticate e obliterate dalla Storia ufficiale6, dall’altro assume la posizione di artista, cittadino del mondo, capace di unirsi alle voce molteplici del mondo della letteratura sovranazionale. Nel prologo a La llave y Latidos del sur, raccolta di racconti, poesie e articoli letterari dell’autore, il professor Manuel Ruiz Lagos delinea un suo profilo immaginando che i suoi racconti siano le tracce di un passato vissuto in esilio, come un prolungamento dell’esilio dei moriscos. Il recupero della lingua letteraria spagnola rappresenta il “ritorno” morale degli espulsi in quella che per loro resterà sempre la loro vera patria.

Chakor, porqué vuelves?- le pregunté.
Y él dejando su ovillo de hilo, con la misma presteza que los niños de la alcazaba de Tánger, me respondió:
- Es el deseo tan grande que casi todos tenemos de volver a España, que es dulce el amor de la patria.-
Y aquello dijo sin tropezar nada en su lengua morisca, sino en la pura castellana.7

Latidos del sur8 è una raccolta di poesie che corre sul filo del concetto di Sud. È un Sud che si esprime nei sogni, nel mito di un passato concluso tanti secoli fa e nello spazio della memoria dell’io poeta. Nel caso del sud mitico l’autore ricrea, attraverso immagini di purezza e armonia spirituale, la visione di Al-Andalus, per condurre l’attenzione del lettore al passato di un luogo che oggi non c’è più o per creare un legame con il presente in un luogo che potrebbe corrispondergli. Nel primo caso emerge la nostalgia dello splendore di quell’ultimo baluardo del mondo arabo in Spagna; la nostalgia si proietta poi sull’immagine dei moriscos, esuli, costretti ad abbandonare la loro terra. Il morisco, che viene evocato sovente dall’autore, rappresenta la diversità in ogni dove, ovvero colui che non può più essere se stesso, poiché è stato cacciato dalla sua terra, e nello stesso tempo sente di avere qualcosa di diverso dalla nuova terra che l’accoglie, ovvero dai nuovi connazionali sulla sponda marocchina. Incarna il sentimento dell’esilio universale. Un esempio di questo legame è la coppia di città Tetuán – Granada. La città marocchina, a cui il poeta dedica i suoi versi, viene evocata come un segno di continuità spirituale e storica con Al-Andalus in Canto inconcluso a Tetuán:

[I]
Cuando al-Andalus
entregaba a Dios su alma
sobrevivientes granadinos
le dieron vida y esperanza.9

Il nord del Marocco e città come Tetuán, Chauen e Fes sono state popolate dai moriscos espulsi e hanno portato con sé il loro bagaglio di storie e culture differenti, facendo risplendere la loro nuova terra. Quando il poeta canta l’Andalusia di oggi, attraverso la città di Granada, non solo rintraccia i volti dei suoi antenati, ma sente il pianto e il dolore dei palazzi e dei giardini dell’Alhambra. Il loro è un canto di dolore per l’assenza di un mondo e di una cultura che invece mostrano la loro esistenza in un'altra terra. Non è un canto di morte, ma di dolore per la non-presenza. E quindi si reintroduce il motivo dell’esilio. L’Alhambra vive l’altra faccia dell’esilio dei moriscosin Marocco.

,
[I]
Granada, poema herido
que gime y canta.
En el legendario Generalife,
jardín de vírgenes auroras,
lágrimas y esperanzas
jamás se secarán […]
En tu cultura millenaria,
el luto es blanco,
como la flor del naranjo.
Alhambra, tu vivir
es un enigma del destino.10

I riferimenti al mondo andaluso puntano a sottolineare l’atmosfera di pace, convivenza, comprensione e fusione che si era creata tra le varie popolazioni che lo abitavano. Quella convivenza tra i popoli delle due sponde del Mediterraneo si è conclusa e non restano che dei confini. L’evocazione di quel periodo storico è soprattutto una speranza che quel sogno svanito possa in qualche modo realizzarsi nuovamente.
Avvicinandoci agli anni ottanta si assiste a un evidente ritorno dell’uso della lingua spagnola orientato verso nuove forme e generi letterari. Infatti la nuova generazione, oltre a essere molto più nutrita a livello numerico rispetto ai predecessori, mostra il suo interessamento al genere della prosa letteraria in forma di racconti brevi e, solo in un secondo momento, in forma di narrazioni più estese. Mohamed Bouissef Rekab, scrittore e critico tetuanense, dedica a questo terzo gruppo un’antologia che si propone di censire la produzione marocchina in lingua spagnola fino agli anni novanta, includendo gli autori11 già comparsi nell’antologia di Chakor, che nel frattempo avevano pubblicato nuove opere, e soprattutto coloro che invece avevano iniziato a farlo nell’ultimo decennio. L’antologia12 infatti è dedicata al Grupo de los ’90.
L’uso imponente del genere narrativo rappresenta una tappa importante per due ragioni; se da un lato segna evidentemente l’acquisizione di una certa sicurezza linguistica da parte degli scrittori bilingui, dall’altro è sintomo di una nuova necessità espressiva. Il genere narrativo avrebbe permesso di dar voce a storie che avevano bisogno di essere rese note, permettendo loro di uscire dall’anonimato e dall’oscurità dell’emarginazione. L’emigrazione, per nulla sconosciuta alle terre a sud del Mediterraneo, diventò un problema di dominio pubblico agli inizi degli anni novanta e apparve con violenza sulle prime pagine della stampa europea. Iniziarono ad apparire fotografie e resoconti sui tragici sbarchi clandestini sulle coste europee. L’aggravarsi di questo fenomeno e il coinvolgimento sempre più forte da parte di chi assisteva da vicino all’incessante diaspora furono tali da condurre alla nascita di un genere letterario, quello delle cronache della migrazione.
Questo fenomeno sociale incontrollabile richiama alla memoria la separazione tra i due emisferi, Nord e Sud, una storia fatta di continui contatti e conquiste. È come se nuovamente la storia avesse riportato alla luce problemi che l’Europa credeva di avere risolto con la conclusione sommaria dei rapporti coloniali. La Spagna, dopo la fine della dittatura franchista e il superamento della fase di transizione democratica, si era trasformata in un paese in pieno sviluppo economico al pari delle altre potenze europee e contemporaneamente si era trasformato in una nuova meta per tanti migranti provenienti dalle vicine coste africane. Riaffiorava dal lontano passato di splendore lo spettro della conquista araba e della riconquista cristiana della penisola iberica. Lo studioso americano Cristián Ricci fa riferimento ad alcuni momenti storici cruciali per fare una mappatura dell’immaginario comune a Spagna e Marocco e per tracciare un profilo della letteratura della migrazione, esplosa non prima degli anni novanta: l’espugnazione del regno nazaride di Granada nel 1492 e la massiccia espulsione degli ultimi infieles moriscos nel XVI secolo. È chiara l’urgenza testimoniale che spinge gli scrittori maghrebini a raccontare le storie dei migranti, ma Ricci segnala l’effetto di un’onda culturale che, rafforzata dagli episodi di cronaca, è stato l’elemento propulsore dell’avanzare di questa letteratura emergente.

El fenómeno migratorio de los noventa del siglo pasado y sus repercusiones sociológicas y literarias es concomitante con la anterior presencia expulsiva de árabes 711-1614 de la península. Ambos fenómenos responden a los mismos condicionantes históricos: economía, política y religión. De la misma forma lo entienden los ecritores de la que denomino “Generación del ‘92”.13

Abbiamo riscontrato negli scritti di Mohamed Chakor la ricerca di una linea di continuità tra lo splendore perduto del mondo arabo-andaluso e un presente molto diverso; ebbene, in queste composizioni il presente è caratterizzato da una crisi vissuta in prima persona dalle giovani generazioni e dall’emigrazione verso l’Europa. La scelta dell’espressione Generación del ’9214 vuole sottolineare come momento significativo l’anno in cui si celebrava il cinquecentenario della fine del regno arabo granadino, oltre a rendere significativa, nell’ambito sociale e letterario, la data di uno dei primi sbarchi clandestini sulle coste spagnole. Infatti nel febbraio del 1992 fu avvistata un’imbarcazione diretta ad Almería con a bordo trecento migranti di origine araba, di cui una ventina persero la vita nel corso della traversata. Quello fu uno degli sbarchi più numerosi avvenuti fino a quel momento secondo le fonti de El País.15 Ricci segnala che la prima manifestazione letteraria che si spinse a raccontare con gli occhi e la voce dei veri protagonisti della migrazione fu un testo dello scrittore marocchino Tahar Ben Jelloun, apparso sulle pagine de El País dopo alcune settimane dalla tragedia del mese di febbraio di quell’anno:

Younés ya no miraba el cielo, pero observaba las luces de Almería. Se acordaba de que le habían contado cómo sus antepasados, hace 500 años, habían conquistado España y cómo habían introducido en ese país una cultura grande y bella. Se acordaba también de la época en la que los españoles vivían en los barrios populares de Tánger y de que les llamaban "pantalones remendados". No eran colonos ricos y dominadores, sino gente del pueblo, modesta y sin pretensiones. Y hétele aquí, en esta noche de febrero, atravesando clandestinamente el estrecho de Gibraltar como un vulgar traficante, como un ladrón, como un hombre sin estrella.16

Ritorna la retorica della vicinanza emotiva della penisola iberica, antica terra di conquista e oggi trasformata in un mondo estraneo che guarda incessantemente verso Nord, dimenticandosi del Sud che un tempo aveva abitato in Lei. La Spagna mostra il suo duplice volto, come si è notato nei testi di Chakor: è il simbolo dell’antico splendore e dell’osmosi culturale tra le mille diversità che componevano il mosaico dell’impero andaluso, ma oggi è anche il simbolo di un paese orientato esclusivamente sul panorama europeo e mondiale, infatti quell’anno si accingeva ai preparativi dell’Expo di Siviglia e delle Olimpiadi di Barcellona.

Algunos se imaginan ya el sur de Europa invadido por hambrientos hombres de ojos llenos de angustia y odio. Es posible que esa barca de desdicha se convierta en un fantasma que se aparezca en las noches de celebración de 1992. El Sur no pasa todavía hambre. El Sur tiene simplemente necesidad de justicia. Vista desde abajo, España parece inmensa. Sus pies son de barro. Da la espalda; mira al Norte.17

Questo testo sintetizza tre elementi che ricorreranno sistematicamente nella letteratura della migrazione marocchina di espressione spagnola: la descrizione minuziosa della preparazione del viaggio, un approfondimento psicologico del personaggio migrante che permette di aprire uno scenario inedito sulla sua figura normalmente chiusa nel gelido anonimato delle pagine giornalistiche di cronaca, e infine l’aspra critica sociale nei confronti del mondo occidentale, ricco di contraddizioni. L’occidente è l’Eldorado, meta di sogni e di speranze, nell’immaginario dei giovani maghrebini, ma è anche una trappola che conduce alla prostituzione, alla delinquenza, allo sfruttamento nell’ambito del lavoro e a un’esistenza vittima del razzismo e del pregiudizio.
Dopo poco tempo un altro scrittore marocchino, León Cohen Mesoneros pubblica in spagnolo un breve racconto che continua la storia di Younés, il giovane migrante descritto da Ben Jelloun. La storia18, comparsa sulle pagine della rivista almeriense Europa Sur, segue la linea del primo racconto ma introduce un ulteriore elemento di critica e di denuncia nei confronti della Fortezza Europa, citando altri esempi di indifferenza nei confronti dell’emergenza del “terzo mondo”. La questione dell’immigrazione clandestina è frutto di un passato di sfruttamento e di guerre schiaccianti per le popolazioni ex colonizzate. Ma l’Europa guarda con la stessa indifferenza anche alla vicina Albania, straziata dalla guerra del Kosovo. Il Sud non è più una definizione geografica, ma sociale ed economica; così, chi non può essere all’altezza dello sguardo della ricca Europa entra a far parte di quel Sud scomodo che essa cerca di allontanare dalla propria vista.

Conocemos el destino de Younés por Tahar Ben Jelloun, el poeta de la Hafita, esa historia bella y terrible es también la historia del Sur. Ese Sur que amanece ahogado en las playas del levante, en Tarifa, Algeciras o Almería. Ese Sur que también se disfraza de Albaneses arrojados al mar por el muy demócrata a fuer de democrático gobierno italiano (?).19

Emerge in questi anni il genere del racconto o saggio breve di tematica sociale, tipologia letteraria che aveva caratterizzato da sempre la letteratura marocchina. I racconti di Mohamed Chakor, per esempio, sintetizzavano l’intento del saggio giornalistico con quello letterario. Negli anni Novanta questo genere si presta perfettamente alla necessità degli autori che sceglieranno di testimoniare in forma letteraria gli episodi dell’immigrazione.

Nel 1993 Mohamed Sibari pubblica il suo primo romanzo, El caballo20. Insieme a El diablo de Yudis21 (1994) di Ahmed Daoudi si situa nel filone della letteratura sull’immigrazione. L’esodo moderno che vivono le ultime generazioni si spoglia dell’aurea mitica dei moriscos, cantata dal poeta Chakor, perché il viaggio da compiere è ignoto, pericoloso, dettato dall’incertezza del domani nel proprio paese, amato e odiato nello stesso tempo. Le narrazioni dell’emigrazione sono un fiume di speranze e di paure, in continua contraddizione, ma necessarie al discorso del migrante nel momento in cui si trova a spiegare il suo percorso psicologico, prima di quello fisico e geografico.
Il protagonista di El caballo, Kaddur, è un ragazzo di vent’anni che ha come unico sogno quello di partire per la Spagna. Vive la sua vita di adolescente pensando al futuro in Europa e ai miti sportivi del Real Madrid e del Barcelona. L’immagine di un mondo altro è nutrita continuamente dalle immagini dei canali tv europei, dai racconti degli emigranti di ritorno e dalla visione delle auto di lusso allo sbarco del porto di Tangeri. È in questo modo che il giovane costruisce il volto dorato del paese vicino. Ma il suo sogno si scontra con le difficoltà burocratiche dell’immigrazione. L’impossibilità pratica della partenza non ne cancella il desiderio e non fa che impreziosire ulteriormente l’immagine del paese europeo. La Spagna si offre come oggetto del desiderio, come simbolo di un’esistenza altra e di un mondo lontano e positivo. La città di Tangeri svanisce nella sua fisicità mentre l’immagine favolosa del paese che non c’è pervade lo spazio narrativo. È un luogo lontano, oltre lo stretto, che rappresenta simbolicamente un mondo altro, che incarna tutto quello che nel mondo “al di qua” del Mediterraneo non esiste. È l’incarnazione di un’assenza percepita dal giovane. Secondo le parole dell’autore la creazione del mondo immaginario di Kaddur può valere come elemento compensativo per l’assenza dell’oggetto desiderato, poiché le sue parole sono state concepite proprio in spagnolo: “La obra misma, la creación literaria, toda la historia que se narra en El caballo sólo tiene existencia gracias a la lengua española, que viene a ser el espacio verbal de la creación.”22 In questo modo l’uso letterario della lingua spagnola e la creazione di un personaggio che non si esprime naturalmente con essa, ma che viene creato nel mondo letterario attraverso di essa, sono un modo per far penetrare un mondo altro nel proprio. Il personaggio viene fatto vivere nel romanzo di Sibari attraverso una lingua che non è la sua, e che viene percepita come “altra” nella dimensione di Kaddur, ma rappresenta nello stesso tempo un modo per avvicinarlo letterariamente al mondo impossibile a cui aspira. Nel suo caso la lingua spagnola, con cui si trova ad esprimere il suo sogno, è inconsapevolmente l’unico strumento che possiede per sfiorarlo.

Ahmed Daoudi nasce nel 1965 a Fes e nel 1994 pubblica il suo primo romanzo, El diablo de Yudis. Il personaggio, anonimo, viene spinto dalla moglie Leuma a cercar fortuna in Spagna. L’oggetto del desiderio che anima le motivazioni della donna è simbolicamente un televisore, simbolo della modernità, concetto mitico, lontanissimo dalla loro realtà quotidiana, dato che nella loro abitazione non c’è nemmeno la corrente elettrica. A quel punto inizia la sua avventura nei meandri della Tangeri sommersa, ovvero quella parte di città che viene mantenuta in vita da coloro che aspettano il momento della partenza, nell’attesa di guadagnare abbastanza denaro per pagare l’attraversamento dello stretto o di ricevere il segnale della partenza dagli organizzatori. Durante l’attesa il suo sogno si nutre delle fantasie e dei racconti dei suoi futuri compagni di viaggio. Sognano le auto di lusso dei marocchini che qualcuno vede scendere dai traghetti provenienti dalla Spagna. Sognano, e sperano, che valga la pena di compiere quel viaggio e fanno di tutto per convincersene23. Finalmente, giunge il giorno della partenza e si narra la traversata a bordo della precaria imbarcazione. Dopo varie vicissitudini l’imbarcazione riesce a raggiungere le coste spagnole. I passeggeri a bordo vengono immediatamente accolti dalla Guardia Civil e rinchiusi nei centri di permanenza temporanea. Il protagonista riesce a liberarsi e a circolare per il paese correndo il rischio di essere riconosciuto come clandestino e quindi rimpatriato. Infatti questo è quello che accadrà più volte nel corso della sua storia. Dopo le numerose avventure il personaggio si convince a non ritentare nuovamente l’attraversamento e infine lo vediamo nei panni di un cantastorie nella famosa piazza di Bujlud di Fez. L’intera narrazione è condotta dalla voce narrante dello stesso cantastorie che ripercorre in prima persona le sue avventure di migrante. Corrono in parallelo due piani narrativi: da un lato un racconto che narra la storia di un’isola chiamata Yudis, nella quale è in corso una guerra per sconfiggere il diavolo, e dall’altro il piano della memoria del passato, nel quale si raccontano le peripezie del personaggio migrante. Ognuna di queste parti viene frammentata creando una serie di piccoli episodi frapposti.
Il mondo incantato sognato dal personaggio durante la lunga attesa per la partenza iniziale s’infrange sulla dura realtà. Le sue storie infatti narrano il volto oscuro e segreto del mondo agognato dai suoi connazionali e a cui nessuno vuol credere senza averlo visto prima con i propri occhi. Questa storia rappresenta il canto del ritorno di colui che vuole dire come stanno veramente le cose. Nel corso del romanzo si fa riferimento ai racconti di conoscenti marocchini che si sono ricostruiti una nuova vita oltre lo stretto guadagnando denaro e successo con facilità. L’arte del raccontare si esprime nella sua duplice valenza, poiché è lo strumento che costruisce le speranze e i sogni degli uomini e che nello stesso tempo può spazzali via come castelli di carta, lasciando posto alla grigia realtà. Tuttavia la magia del racconto non è l’unica responsabile della costruzione di un immaginario distorto dell’Europa, infatti, come si è detto all’inizio, l’oggetto del desiderio che spinge il protagonista alla partenza è un televisore. Lo schermo magico dell’elettrodomestico non è altro che l’ennesimo generatore di sogni e di speranze. Mostra direttamente senza intermediari e cantastorie il mondo incantato della penisola occidentale, incoraggiando ulteriormente le false speranze dei futuri migranti. In questo modo la parola rivelatrice del protagonista ha la funzione di annientare l’effetto di questo strumento, generatori di falsi miti.

Mohamed Bouissef Rekab esplora il mondo dell’immigrazione clandestina attraverso la voce di vari personaggi che realisticamente incarnano tutte le sfumature di quell’universo. La figura immancabile del Boss è sempre presente nei racconti. E’ spesso descritto come l’incarnazione del diavolo e dell’inferno, nel suo ruolo di compratore e di venditore di anime. Il viaggio è lo strumento con cui ingannare e abbindolare i migranti speranzosi, i quali farebbero qualsiasi cosa per arrivare sulle coste spagnole. Il suo ruolo si compone paradossalmente di due elementi, da un lato l’aspetto sgradevole e disgustoso e dall’altro la tendenza a fornire un supporto psicologico ai viaggiatori. Tutti parlano del boss, ma nessuno l’ha mai visto in faccia, se non il giorno in cui si presenterà per comunicare la data della partenza. E in questa sua assenza, i migranti si costruiscono un’immagine e i loro discorsi annoiati, durante la lunga attesa della partenza, trattano anche di questo. Si avverte la paura di incrociare il suo sguardo e la sensazione che quando finalmente i migranti lo vedranno comparire sarà perché è giunto il momento della partenza, tanto attesa ma anche tanto temuta. La venerazione per lui e la riconoscenza nei suoi confronti celano disprezzo e odio. Egli rappresenta l’unica possibilità di riuscire a raggiungere la terra promessa, e questo fa di lui un aguzzino senza scrupoli che sfrutta la disperazione per arricchirsi. Nel racconto In limine, la protagonista femminile lo chiama come fanno tutti “el Mjiazni”. Egli non ha un nome, non può averlo. Nel suo anonimato, la sua figura acquista mistero e incute maggior timore e soggezione.
Ogni viaggiatore costruisce in sé una barriera comunicativa; i suoi pensieri, di speranza e paura, restano intrappolati nel silenzio. I personaggi dei racconti dell’autore sulla migrazione parlano in prima persona con se stessi. Di rado iniziano una conversazione con i compagni di viaggio, a volte per difficoltà linguistiche – molti sono africani subsahariani e non parlano l’arabo – ma spesso per pudore. Ognuno porta dentro di sé una storia di povertà, se non addirittura, nei casi dei migranti sub sahariani, di esperienze di guerre civili, di torture, di persecuzioni e la stanchezza di un viaggio che per loro è iniziato molto tempo prima con l’attraversamento del deserto del Sahara. I momenti di sconforto non vengono condivisi, ma nascosti nella solitudine. Parlare di tristezza e paura significherebbe far crollare emotivamente anche i compagni di viaggio. L’unico elemento che può tenere unito il gruppo è la speranza e il parlare di un futuro migliore. La protagonista femminile di Cobijo inminente, mentre la sua compagna di stanza è uscita a fare una passeggiata, si sente finalmente libera di esternare la sua tristezza, ma sa che dovrà risollevarsi subito, perché l’unico modo per superare l’idea del pericolo è la speranza che ne sia valsa pena sprofondare.

Hoy cuando sale a pasear por los pasillos de la gran casona, me deja sumida en una honda y profunda angustia. Y quiero llorar todos los sufrimientos, desengaños y desamores que he vivido en mi país; un gemido me recuerda que no debo flaquear; que nadie debe saber que estoy casi vencida.24

Cristián Ricci individua un’immagine ricorrente a partire dal racconto di Ben Jelloun, ovvero l’idea della tierra prometida, spesso citata retoricamente dai migranti, contrapposta all’idea della franja de la vergüenza25 che è il punto in cui finisce la vita e dove invece inizia la lenta o brusca dissoluzione fisica degli emigranti.

Este día, de mar tranquila, también será un triunfo y podrá regresar tranquilamente después de dejar a todos en la orilla de la tierra prometida; él sabe perfectamente que es ahí donde termina la verdad de la vida y comienza la demolición física de los emigrantes.26

Se i migranti non sopravvivono al viaggio i loro corpi verranno risucchiati dall’oscurità del mare, sprofondando nell’abisso dell’anonimato e dell’oblio. Se invece giungono a riva sani e salvi, lì inizierà il lento disfacimento della loro persona: il lavoro clandestino, lo sfruttamento e la prostituzione. Qualsiasi sia l’esito della traversata, nel momento stesso in cui consegnano i passaporti ai trafficanti prima della partenza “los migrantes se han convertido en cadáveres… ¡qué más da si terminan en el fondo del mar o en las manos de los negreros que los esclavizan!”.27
Il pensiero dei migranti si concentra ossessivamente sulla linea di confine che divide la loro vita presente da quella futura; questa linea è rappresentata proprio dal viaggio, dal simbolico attraversamento che unisce le due rive del mare. È un confine tanto importante da garantire due possibilità estreme: il raggiungimento della felicità o l’oblio, la cancellazione fisica di chi ha tentato il viaggio. Non c’è spazio per una misura intermedia. La sconfitta significa non arrivare in Spagna e nemmeno ritornare a casa. Il migrante ripercorre nella mente il concetto di quella linea di confine, la cui realtà comparirà soltanto al momento della partenza. La dimensione del viaggio viene vissuta innumerevoli volte da chi ancora deve compierlo, e da questa ossessione, centro della propria esistenza, deriva la comune retorica dei migranti nel corso di queste narrazioni. Un rimedio momentaneo che permette loro di superare la fase dell’attesa è il ripetere continuamente il progetto di vita: quali obbiettivi prefissarsi dopo l’arrivo in Spagna, chi contattare il giorno dello sbarco, cosa fare per evitare di essere arrestati. Emerge una letteratura dell’attesa, che caratterizza realisticamente la condizione psicologica dei migranti in procinto di partire, nutrita indubbiamente dai racconti di coloro che hanno magari già tentato la quema del estrecho o che hanno sentito indirettamente racconti di questo tipo. L’ingenua sicurezza con cui parlano a se stessi del futuro assume una vena tragica, perché nello stesso tempo sono i primi a non credere fino in fondo a quei sogni.

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GLISSANT, Édouard, Introduction à une poétique du divers, Paris, Gallimard, 1996
2 Literatura marroquí en lengua castellana, edición de Mohamed Chakor - Sergio Macías, Madrid, Ediciones Magalia, 1996.
3 Pubblicato per la prima volta sulla rivista Ketama, Tétouan, n. 2. 1953, pp. 8-9. Verrà ripubblicato in Antología de relatos marroquíes, edición de Mohamed Chakor – Jacinto López Gorgé, Granada, Editorial Ubago, 1985 e in Nueva Antología de relatos marroquíes, edición de Jacinto López Gorgé, Granada, Port-Royal, 1999, pp. 81-84.
4 Pubblicato per la prima volta sulla rivista Ketama, Tetuán, n. 5, 1955, pp. 5-6. Verrà ripubblicato in Nueva Antología de relatos marroquíes, cit., p. 109.
5 Mohamed Chakor nasce a Tetuán nel 1937. Giornalista, poeta, scrittore e intellettuale in lingua araba, spagnola e francese, l’autore ha svolto un ruolo fondamentale nella costruzione di un ponte culturale tra Spagna, Marocco e America Latina. Oltre a dedicarsi all’attività di ispanista e traduttore, è stato direttore dell’emittente radiotelevisiva spagnola in Marocco, direttore della Programmazione radiotelevisiva per le trasmissioni arabe e francesi, e per la Radiodifusión y Televisión Marroquí, e fondatore della rivista Marruecos a Rabat negli anni ‘76-‘77. Viene nominato capo della Oficina Internacional de Maghreb Arabe Prensa (MAP) e opera come inviato da Madrid, dove continua a lavorare come ispanista. Dagli ispanisti marocchini è considerato il rappresentante di questa cerchia di intellettuali. Sergio Macías lo descrive come “un poeta poliglota que piensa como árabe, construye finas imágenes como un francés del modernismo, y escribe con la riqueza del idioma castellano.”
6 A proposito degli arruolamenti forzati a opera dell’esercito franchista tra la popolazione marocchina del protettorato si veda: CHAKOR, Mohamed, La metamorfosis de un áscari, in “La llave y latidos del Sur”, Madrid, Editorial Cálamo, 1997, pp. 17-23.
7 RUIZ LAGOS, Manuel, Prólogo, in CHAKOR, Mohamed, La llave y Latidos del Sur, cit., p. 1. “Chakor, perché sei tornato? – gli chiesi. E lui, abbandonando la sua matassina di filo, serafico come i bambini dell’Alcazaba di Tangeri, mi rispose: - Tornare in Spagna è il desiderio più grande di noi tutti, perché dolce è l’amore per la patria. – E non pronunciò quelle parole con l’intralcio della sua lingua moresca, ma in puro castigliano” (T.d.r.).
8 Ivi.
9 CHAKOR, Mohamed, Canto inconcluso a Tetuán in La llave y Latidos del Sur, cit., p. 72. Traduzione: “Mentre al-Andalus /restituiva a Dio la sua anima/sopravvissuti granadini/diedero a lei vita e speranza” (T.d.r.).
10 CHAKOR, Mohamed, Granada in La llave y Latidos del Sur, cit., , p. 66. “Granada, poema ferito/che si lamenta e canta/Nel leggendario Generalife,/giardino di vergini aurore,/lacrime e speranze/non si seccheranno mai […]/Nella tua cultura millenaria,/bianco è il tuo lutto,/come il fiore d’arancio./Alhambra, il tuo vivere/è un enigma del destino.”(T.d.r.)
11 Gli autori citati nell’antologia di Chakor e ripresi dal critico Bouissef Rekab sono: M’Hammad Benaboud, Mohamed Bouissef Rekab, Mohamed Chakor, Ahmed Daoudi, Abdellah Djibilou, Moulay Ahmed El Gamoun, Mohamed Lahchiri, Mohamed Mamoun Taha, Mohamed Sibari, Tribak Jalil, Atimou Moufid e Ahmed Mohamed Mgara.
12 BOUISSEF REKAB, Mohamed, Escritores marroquíes de expresión española, El grupo de los ’90(Antología), Tetuán, Tetuán-Asmir, 1997.
13 RICCI, Cristián, El regreso de los moros a España: fronteras, inmigración, racismo y transculturación en la literatura marroquí, “Cuadernos de Aldeeu”, Florida, Publicación de la Asociación de Licenciados y Doctores Españoles en Estados Unidos, vol. XI, noviembre 2005, p. 6.
14 Ivi.
15 Cfr. GONZÁLEZ, Ángel, 20 magrebíes mueren axfisiados en su travesía hacia España a bordo de dos pequeños barcos e El mayor desembarco, 7 de febrero de 1992 (Madrid), p. 18. Consultabile anche nel web alla pagina: http://www.elpais.com/articulo/espana/ALMERIA/ESPANA/MAGREB/ESPANA/ESPANA/MARRUECOS/magrebies/mueren/axfisiados/travesia/Espana/bordo/pequenos/barcos/elpepiesp/19920207elpepinac_17/Tes (ultima cons. 6/01/09).
16 BEN JELLOUN, Tahar, ¿Cómo se dice “boat people” en árabe? in “El País”, 28 de febrero de 1992. Consultabile nel web alla pagina: http://www.elpais.com/articulo/opinion/ESPANA/dice/boat/people/arabe/elpepiopi/19920228elpe piopi_4/Tes ( data ultima cons. 6/01/09). “Younés aveva smesso di fissare il cielo, ora guardava le luci lontane di Almería. Gli avevano raccontato che i suoi antenati, 500 anni prima, avevano conquistato la Spagna e che avevano portato in quel paese un cultura grande e meravigliosa. Si ricordava anche del periodo in cui gli spagnoli vivevano nei quartieri popolari di Tangeri, e che tutti li chiamavano “soldatini con le pezze al sedere”. Non erano coloni ricchi e dominatori, ma gente semplice, modesta e senza troppe pretese. E adesso guardatemi qui, in questa notte di febbraio, mentre attraverso lo stretto di Gibilterra come un volgare trafficante, come un ladro, come un uomo senza destino.” (N.d.r.).
17 Ivi. “Certi s’immaginavano l’Europa del sud invasa da uomini affamati dallo sguardo carico di pena e odio. È probabile che questa barca si trasformi in un fantasma che apparirà nelle notti dei festeggiamenti per il 1992. Il Sud non vive soltanto di fame. Il Sud ha semplicemente necessità di giustizia. Vista da sotto, la Spagna sembra immensa. I suoi piedi sono come fango. Ci dà le spalle; guarda verso Nord.” (N.d.r.).
18COEN MESONEROS, León, Camisas mojadas, “Europa Sur”, 10 de marzo de 1992. Articolo consultabile alla pagina (data ultima cons. 6/01/09).
19Ivi. “Conosciamo tutti il destino di Younés di Tahar Ben Jelloun, el poeta della Hafita, ebbene quella storia meravigliosa e terribile è anche la storia del Sud. Quel Sud che spunta come un corpo annegato dalle spiagge del levante, a Tarifa, Algeciras o Almería. Quello stesso Sud che si maschera con i volti degli Albanesi gettati in mare dal tutto fuorché democratico governo italiano.” (N.d.r.).
20 SIBARI, Mohamed, El caballo, Tánger, EMI, 1993.
21 DAOUDI, Ahmed, El diablo de Yudis, Madrid, Edición ATIME, 1994.
22 Ivi. 23 MARTÍN RODRÍGUEZ, Manuel, Aztlán y Al-Andalus: la idea del retorno en dos literaturas inmigrantes: http://www.cervantesvirtual.com/servlet/SirveObras/23584061092370529454679/p0000001.htm (ultima consultazione 6/01/2009).
24 BOUISSEF REKAB, Mohamed, Cobijo inminente, http://usuarios.lycos.es/mohbouissefrek/ (ultima cons. 06/01/09). “Oggi mentre è uscita a far due passi per i corridoi della casa, mi ha assalita una profonda tristezza. E vorrei piangere tutti i dolori, i sogni infranti e le amarezze che ho vissuto nel mio paese, ma un gemito mi ricorda che non posso arrendermi, nessuno deve sapere che mi sento a terra.” (N.d.r.).
25 Ivi. “Questa giornata di mare calmo sarà un altro trionfo e anche questa volta potrà tornare tranquillamente indietro dopo aver lasciato tutti sulla costa della terra promessa; lui sa perfettamente che è lì dove finisce la verità della vita e dove comincia la corruzione fisica dei migranti.” (N.d.r).
26BOUISSEF REKAB, Mohamed, Candidez oculta, .
27BOUISSEF REKAB, Mohamed, Generosidad indeseable, . “I migranti non sono altro che cadaveri… che differenza fa se finiscono nel fondo del mare o nelle mani dei negrieri che li schiavizzano”.

(N.d.r.).

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Anno 5, Numero 23
March 2009

 

 

 

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