Nel novembre del 2005 in Francia, dapprima a Parigi e poi in molte altre città, scoppia, a partire dalle banlieues, una insurrezione, che coinvolge i giovani figli di immigrati e le forze di polizia. La rivolta, che costringe il governo francese a dichiarare lo “stato d’emergenza”, provoca danni notevoli, molta paura e tensione.
In 19 notti di scontri e incendi si contano 8720 macchine bruciate, 2599 giovani arrestati.
Le analisi sono fra le più diverse e disparate sia da parte di studiosi francesi, che da parte di studiosi di altri paesi.
I rivoltosi sono i “Beurs”, cioè i figli o i nipoti degli immigrati che non sono più magrebini, perché sono nati in Francia e hanno studiato nelle scuole dello Stato francese; ma non si sentono neppure autentici francesi, pur avendone spesso la nazionalità, perché sanno di non essere accettati come veri cittadini. Non basta una nazionalità per essere tali, per usufruire di tutti i diritti.
Alcuni hanno affermato che le condizioni di vita di questi giovani rappresentavano delle vere bombe ad orologeria, altri hanno invece sostenuto che il fenomeno della rivolta vada ascritto al più ampio problema della trasformazione del capitalismo, della fine del fordismo e dell’avvento del postfordismo, degli effetti della globalizzazione.
Romano Prodi in quella occasione ebbe modo di dire che anche in Italia potevano scoppiare fatti del genere. Qualche sociologo l’ha contraddetto. Toni Negri sulla Stampa del 12/11/2005 scriveva:
L’affermazione dell'ex Presidente del Consiglio forse era dovuta al fatto che allora era a capo dell’opposizione e che quindi stimolava il Governo Berlusconi in carica a fare di più per il problema della immigrazione.
Che in Italia possa avvenire a breve o a lungo termine qualcosa di simile a quanto avvenuto in Francia è un’analisi che va lasciata agli studiosi dei fenomeni sociali. Quella che è importante mettere a fuoco e che comunque i figli degli immigrati, nati nei paesi europei manifestano problemi che vanno conosciuti, intravisti e compresi.
Il fenomeno non è solo francese, perché anche in Inghilterra i figli degli immigrati hanno organizzato gli attentati del luglio 2005.
Fra gli attentatori tre erano figli di immigrati arrivati dal Pakistan. Nel rapporto ufficiale alla Camera dei comuni si legge:
L’espressione della violenza in Francia, la scelta del terrorismo in Inghilterra costringono a porre estrema attenzione alle seconde generazioni.
In Italia è nato un blog (www.secondegenerazioni.it) voluto e gestito da figli di immigrati in cui si esprimono da una parte i loro malumori, dall’altra si fanno avanti proposte politiche tendenti a venire incontro alla loro condizione di vita in Italia.
Ritengo che lo studio delle tematiche, dei personaggi della letteratura, prodotta dagli scrittori, a volte giovanissimi, figli di immigrati e nati in Italia possa essere una valida spia per comprendere il grado di accettazione della società in cui sono nati e i problemi che incontrano nel rapportarsi ad essa.
Forse potrebbero essere delle spie capaci di indurre ad impostare politiche sociali tali da evitare conflitti alla società che verrà.
Il meticciato culturale sarà visibile attraverso le loro opere e forse sarà anche possibile intuire la direzione letteraria che queste nuove generazioni sapranno imprimere.
Chi sono questi autori: Finora possiamo con certezza indicare come scrittori di seconda generazione cioè figli di immigrati e nati in Italia: Gabriella Kuruvilla, Randa Gazy, Igiaba Scego, Ghazvinizadeh Nader, Ghebreigziabiher Alessandro.
A questi può essere associato Jadelin Mabiala Gangbo che, nato in Congo è arrivato in Italia in tenerissima età per cui lo stesso autore si sente italiano piuttosto che congolese. Poi può essere considerata di seconda generazione sia Cristina Ali Farah, che nata in Italia nel 1973 da padre somalo e madre italiana, si è trasferita a Mogadiscio dal ’76 al ’91, che Valentina Acava Mmaka, che nata a Roma è cresciuta però in Sudafrica e in Kenia.
Sulla scena letteraria italiana non è comparso finora, da quello che conosco, nessun altro scrittore. Da notare la giovanissima età di tutte questi artisti e il fatto che la maggior parte sono donne. La più grande di età è Gabriella Kuruvilla che è nata nel 1969, mentre la più giovane è Randa Gazy, giovanissima poco più che vent'enne.
Gli aspetti più significativi su cui indagare attraverso le loro opere possono essere:
a) l’immagine che questi scrittori hanno della terra dei loro genitori.
b) L’immagine che essi hanno del paese ove sono nati, cioè l’Italia.
c) Il grado di permeabilità nella la società italiana.
d) Il grado di “stranierità” ancora presente in loro
A questi elementi sarà necessariamente da aggiungere la caratteristica poetica di ciascuno di essi sia nella creazione di sensi letterari che nella organizzazione linguistica, come strumento veicolante della manifestazione della commistione e creolizzazione culturale che sta avvenendo o è avvenuta in loro.
Non mi soffermo per nulla si Nader Ghazvinizadeh, sia perchè la sua produzione è essenzialmente poetica, sia perchè fino a questo momento non è copiosa e non ci consente di fare riflessioni adeguate rispetto agli obiettivi che ci siamo proposti. E' solo da dire che la sua produzione culturale è totalmente inserita in una dimensione italiana e occidentale così che ad esempio è possibile trovare nelle sue poesia citazioni che sembrano veri e propri ricordi di scuola, come la seguente: "é l'estate di san Martino", che sembra un verso tratto da una nota poesia di Pascoli.
Gabriella Kuruvilla
Incominciamo l’analisi con Gabriella Kurunvilla che ha scritto il romanzo Media Chiara e noccioline con lo pseudonimo Viola Chandra, due racconti inseriti nel raccolta Pecore nere edito da Laterza nel 2005 e ultimamente di lei è stato pubblicato il volume: E’ la vita, bellezza
E' nata in Italia e cresciuta prima che l'ondata migratoria diventasse un fatto importante e significativo della recente storia d'Italia e dell'Europa e prima che gli stranieri incominciassero ad essere percepiti come problema. I personaggi delle sue narrazioni non risentono del fascino nostalgico della terra dei padri, anzi il rapporto fra la terra d’origine del padre della protagonista del romanzo e la protagonista stessa è molto problematico.
Una presentazione del genere che è la carta d’identità dell’India nel romanzo sopra citato la dice lunga su quale possa essere il legame fra il personaggio principale e l’India. Non c’è alcuna rappresentazione di spazio, di luoghi.
Tutto dimenticato, tutto offuscato, spazio rimosso.
La protagonista, quindi, è subito in conflitto con questa terra. Lo è fin da bambina/ragazza. E’ in conflitto come lo è con suo padre, che è un indiano. Poi ci ritorna in India, come era intuibile. Ci torna con il suo fidanzato.
Se nel romanzo il tema India e la descrizione del rapporto fra la protagonista e il territorio di nascita di suo padre è marginale, in rapporto alle righe che vi sono spese e in relazione ad altri argomenti, nei due racconti inseriti nel testo “Pecore nere”, Gabriella Kuruvilla, pone al centro delle due narrazioni l’India e gli effetti dell’essere di derivazione indiana.
Così che viene il sospetto che l’ostilità che la protagonista presenta nei confronti del paese orientale, sia un’ostilità della scrittrice stessa.
Tant’è che parti intere di paragrafi del romanzo dedicati all’India si ripresentano tali e quali nel primo racconto intitolato “India”.
Anche qui le descrizioni sono taglienti. La protagonista del racconto ritorna in India quando ha ormai 30 anni. L’impressione del paese:
Siamo totalmente lontani da una visione mitica o semplicemente esaltante della terra d’origine dei genitori o di uno dei due.
In queste descrizione di che cos’è l’India, viene proposta un’immagine del paese orientale basata essenzialmente sul modo di comportarsi delle persone, del loro manifestarsi in totale dissociazione dal modo di essere della cultura comportamentale dell'Occidente.
La protagonista vuole attenuare il giudizio negativo cercando scusanti che giustifichino il suo rifiuto.
E’ del tutto naturale in questo contesto che la terra che l’ha vista nascere, che l’ha adottata, sia un paese ben accetto, anzi si vuole assumere in toto la italianità fino a cercare di eliminare le tracce fisiche della sua non italianità.
Anche nel racconto Ruben il desiderio di essere fisicamente come l’italiano, l’occidentale è dominante tant’è che la paura di avere un figlio è data essenzialmente dal fatto che possa essere dello stesso suo colore e quindi un “diverso” rispetto al colore occidentale.
Non è un caso usi il termine nazione, anziché paese, etnia, territorio. Nazione vuol dire appartenere solidamente ad una comunità perché se ne condividono valori, cultura, modi di essere e di vita.
La protagonista sia del romanzo che dei racconti sembra descrivere una situazione familiare di rottura fra i genitori, padre indio e madre italiana. L’odio amore nei confronti del padre, o meglio il rifiuto che il padre mostra nei confronti della figlia, lontanissima dai suoi schemi culturali, è contraccambiata dalla figlia con un odio, amore nei confronti dell’India. L’accettazione dell’Italia e della sua cultura potrebbe portare all’ipotesi di un amore più consistente nei confronti della madre. Ma nel romanzo “Media chiara e noccioline”, anche il rapporto con la madre è compromesso. La scelta della cultura italiana è quindi del tutto indipendente dall’influenza dei genitori.
La protagonista dei racconti e del romanzo è del tutto inserita nella cultura italiana. Non si evidenziano difficoltà di rapporti con i compagni a scuola, che sembrano averla accettata e inserita completamente ( sarà stato il grado sociale dei genitori: avvocato/medico e psicologa), non si evidenziano problemi nel mondo lavorativo, come anche nelle amicizie. L’emarginazione, l’isolamento che spesso accompagna anche l’immigrato e anche il figlio, in questi testi è del tutto inesistente.
E tuttavia una sorta di compartecipazione ai destini degli immigrati esiste anche nei personaggi degli scritti di Gabriella Kuruvilla.
Nell’ultimo testo pubblicato E’ la vita, bellezza, una raccolta di racconti, si lascia da parte ogni riferimento a legami con una terra d’origine propria o dei propri genitori.
Il tessuto narrativo è organizzato su altre basi, su altre dimensioni. Anche la stessa integrazione, o per meglio dire la stessa compenetrazione nella società italiana sembrano del tutto acquisite, ma emerge un dato molto significativo.
Spesso la solitudine dei personaggi dei vari racconti deriva da una estraneità avvertita e sentita, che è riferibile al colore della pelle, all’essere in qualche modo diverso dagli altri.
Igiaba Scego
Igiaba Scego ha scritto: La nomade che amava Alfred Hitchcock, Rhoda, due racconti presenti nella raccolta Pecore nere, un racconto scritto per la rivista el-ghibli dal titolo la strana notte di vito renica, leghista meridionale; ultimamente ha coordinato con Ingy Mubiayi il libro Quando nasci è una roulette, la sua ultima pubblicazione è: Oltre Babilonia
.Questo attacco tratto dall’introduzione al testo La nomade che amava Alfred Hitchcock, dice in maniera esaustiva come la scrittrice di origine somala recuperi il territorio d’origine dei suoi genitori in maniera positiva, fin quasi a mitizzarlo.
Anche nel testo dismatrie la Somalia diventa una terra sognata, per cui si organizza l’intera vita, persino la struttura abitativa, fatta non da mobili che racchiudano vestiti od oggetti, ma da valigie ripiene e pronte per essere utilizzate in qualsiasi momento si possa partire. “
Il
L’appellativo “mamma” sta ad indicare chiaramente il grado di affettività e di dipendenza da quel territorio, non solo ma un ritorno è visto come un trionfo, una vittoria di inestimabile valore.
Le protagoniste del racconto non sono dei rifugiati, degli espatriati, ma dei “dismatriati”, come si definiscono, cioè allontanati con forza da una madre alla quale si ha bisogno di tornare:
Il territorio dei genitori di questa scrittrice, sul piano letterario, è visto come qualcosa di importante, portatore di una cultura da recuperare, terra vagheggiata, sognata.
Il romanzo Rhoda si presenta con una complessità maggiore perché si stabilisce una dialettica, che assume la dimensione di uno scontro non sanato fra due sorelle Rhoda, appunto e Aisha. La prima ad un certo momento si oppone alla cultura del paese ospitante e in qualche modo ne fuoriesce, la seconda è invece colei che l’accetta.
La prima ha quasi una venerazione per il paese d’origine, pur consapevole della precarietà in cui versa, e viene scelto come terra di rifugio ai fini di una rigenerazione della propria persona, della propria struttura etica.
Rhoda, la protagonista, del romanzo non ha accettato di buon grado il suo improvviso e forzato trasferimento in Italia, deciso al di sopra della sua stessa volontà, così che rimane nostalgicamente legata alla sua Somalia e a tutte le cose che possano richiamarla.
Ma anche la sorella che invece ha accettato Roma, e l’Italia ha bisogno di risentire, rivivere modi e abitudini della terra d’origine.
L'attaccamento a Mogadiscio è viscerale, uterino, sarebbe da dire perché l'espressione usata dalla protagonista nei confronti della capitale somala ha come riferimento proprio l'apparato femminile:
Rhoda ha vissuto la sua vita a Mogadiscio in casa dello zio Daud e in Italia presso un'altra zia, sorella di di Daud. Nel romanzo non si parla dei genitori. La madre è morta. Del padre non si dice nulla. E' una assenza che pesa anche se probabilmente nella cultura somala la struttura parentale assume comunque la funzione genitoriale.
Non si sviluppa nella protagonista di questo romanzo una sorta di dialettica
con i genitori e quindi essi non possono giocare un ruolo più o meno positivo nella funzione di riscoperta della terra d'origine. Bani, sua zia, non riesce ad assumere questa funzione, sogna di andare in Inghilterra, più che di tornare alla sua terra.
Quando Rhoda si ribellerà, sintomo della suo disagio nei confronti del paese ospitante, non lo farà contrapponendosi a Barni, ma piuttosto ad Aisha, che invece man mano sta assumendo posizioni di accettazione del territorio ospitante, della cultura dei nativi.
Questo attaccamento alla terra d'origine, al sogno della perpetuazione delle origine che anche zia Barni aveva riposto in lei, si tramuta in un odio nei confronti del paese ospitante, della struttura urbanistica della città che la ospita. In questo si accomuna al sentimento della zia:
La zia ha un atteggiamento del tutto negativo nei confronti di Roma e degli italiani.
Né si sforza di comprendere e capire gli italiani:
La comunanza dei sentimenti che Rhoda prova per Roma e l'Italia come quelli della zia Barni fa sì che si possa pensare quasi ad una funzione edipica mancata e proprio per questo all'impossibilità di Rhoda di ritrovare la sua autonomia, la sua identità strutturata. Anzi sempre più Rhoda scoprirà di mancare di struttura della persona, portata alla dipendenza fisica e morale da altri.
Rhoda comprende che il suo odio per Roma ha radici più profonde che sono legate alla storia della sua migrazione, ma ciò non è sufficiente per esorcizzare i suoi sentimenti e renderli più riflessivi.
Nella dialettica che si esprime in tutto il romanzo fra la posizione di Rhoda e quella di Aisha nei confronti del paese ospitante, certamente va visto anche il ruolo che gioca l'età delle protagoniste al momento della migrazione, perchè un conto è migrare in piccola età, un conto è migrare da adolescente, quando l'attaccamento alla propria terra si è radicata. Un conto è migrare per propria scelta, un conto è migrare per decisione di altri, o per costrizioni superiori.
Questi aspetti della migrazione che fanno parte delle storie personali sono poi anche elementi che condizionano il rapporto che si ha con il paese ospitante.
Come più volte è stato visto la posizione di Aisha è totalmente diversa. Sa opporsi alla zia, sa opporsi alla sorella, avverte che c'è la necessità di sforzarsi per comprendere la posizione degli indigeni. E' sintomatico che acquisti gli stessi sentimenti e comportamenti dei giovani e dei ragazzi che frequenta a scuola.
Illuminante è la pagina che segue che rivela il differente atteggiamento di Rhoda rispetto ad Aisha:
Il modo di essere di Aisha è del tutto simile a quello di tanti giovani italiani che si commuovono per qualcosa che è accaduto a uno di loro anche se lontano dalla propria sfera di affetti. La commozione di Aisha risulterà strana a Rhoda perchè vedrà in quel comportamento il processo assimilativo di Aisha nella cultura e nei comportamenti del paese ospitante.
E' la rottura con Rhoda, è la distanza dalla zia, dal mondo che vuole continuare nostalgicamente a vivere nei propri ricordi.
Negli altri testi di Igiaba Scego, il riferimento alla terra d’origine dei genitori è assente, sono messi a fuoco altri elementi, così avviene nel testo Salsicce o la strana notte di vito renica, leghista meridionale.
La difesa dell’identità, anzi della pluridentità è alla base di questi racconti, ma ciò sta ad indicare un atteggiamento di resistenza alla tentazione e alla pressione di assimilazione e di omologazione che la società ospitante sta svolgendo nei suoi confronti e nei confronti, comunque, degli stranieri.
I personaggi di Igiaba Scego non accettano una integrazione sembrano molto critici nei confronti dell’atteggiamento politico che l’Italia ha nei confronti degli stranieri.
Ghebreigziabiher Alessandro
Scrittore nato a Napoli da madre italiana e padre eritreo, è impegnato in produzione di eventi teatrali ed ha pubblicato Tramonto e in questi ultimi anni Mondo giovane, un libro concepito per la scuola rivolto ad adolescenti e giovani.
Sempre per il mondo giovanile ha pubblicato Il Poeta, il Santo e il Navigatore.
Lo scrittore di origine eritrea scrive per italiani e non si pone l’obiettivo, specialmente nel testo Mondo giovane, di proporre tematiche relative al problema della stranierità.
Certamente non emerge nessuna nostalgia per il territorio d’origine del padre. Il rapporto con la terra del genitore è del tutto inesistente. Sembra che l’Eritrea non abbia alcun fascino, né richiamo per i personaggi che man mano emergono dagli scritti di Ghebreigziabiher Alessandro.
Anche il rapporto con la cultura degli italiani sembra del tutto positiva.
Non si notano particolari differenze, anzi nessuna differenza nella cultura fra i personaggi dei testi di Alessandro e quella degli italiani.
Ma nel romanzo Il Poeta, il Santo e il Navigatore, si evidenziano alcune particolarità significative.
Si tratta di una narrazione – il sottotitolo è il primo romanzo scritto da un extraterrestre – i cui personaggi principali sono tutti di colore, definiti dalla polizia italiana extracomunitari.
Sono tre personaggi che, pur essendo di origine straniera sono stati scelti da
un computer, quindi da uno strumento oggettivo, come i rappresentanti più significativi dell’italianità, perché espressione di quello spirito del popolo che viene denominato popolo di poeti, santi e navigatori. Il colore della loro pelle, però ha impedito che potessero essere riconosciuti dagli italiani nel loro valore e nelle loro qualità e quindi hanno subito vicissitudini che non ne hanno permesso la espressione completa della loro italianità.
I personaggi pur integrati, pur ripieni della cultura italiana che accettano e che sentono propria sono comunque segnati dal proprio colore.
Anche gli insegnanti usano un linguaggio che presuppongono nel colore della pelle una diversità.
Il tono del romanzo propone quindi una velata critica per come vengono visti le persone di colore e lasciano presupporre contrasti con gli italiani d'origine i cui sviluppi non sono prevedibili.
Randa Ghazy
Nata in Italia è figlia di egiziani, trasferitosi parecchi decenni or sono nel Nord dell'Italia.
Ha al suo attivo, pur giovanissima, tre libri, Sognando Palestina-Prova a sanguinare-Oggi forse non ammazzo nessuno, che hanno avuto un discreto successo. La casa editrice che pubblica i suoi testi è la Fabbri editori.
Il primo testo ambientato in Palestina e con personaggi palestinesi non può certo darci una indicazione relativa alle problematiche che ci siamo proposti di indagare per il semplice fatto che l'attaccamento alla terra d'origine è la ragione prima della lotta dei palestinesi, né è possibile indagare sul grado di inserimento della scrittrice di origine egiziana in quella italiana a partire dai personaggi perchè l'ambiente, la tematica è totalmente lontana da quella italiana.
Più significativi al riguardo possono essere gli altri due romanzi.
Prova a sanguinare è l'incontro scontro su un treno di quattro ragazzi di origini etniche diverse. La ricerca che fa ciascuno riguarda la propria vita, la propria relazione con gli altri. Ne emerge uno spaccato del mondo giovanile, ma specialmente di quel mondo di giovani generazioni i cui genitori appartengono a culture diverse.
Hayat ragazza araba (è singolare il fatto che nella presentazione dei personaggi all'inizio del romanzo, la narratrice abbia attribuito ad Hayat il carattere di arabo senza specificarne la nazione ) ad un certo punto riflette su se stessa:
più avanti
Alcune considerazioni sono immediatamente da fare e cioè che per il popolo arabo non c'è un particolarissimo legame con il territorio di appartenenza. E' più importante il legame alla comunità araba e per questo fatto qualsiasi paese del mondo arabo è sentito come proprio territorio. E’ per questa ragione che il legame e l’affetto del popolo arabo (del popolo, non dei governanti) per i palestinesi è così profondo.
In fondo le stesse considerazioni possono essere fatte per il popolo ebraico, che alla fin fine sente Israele un territorio più proprio di quello del paese in cui è nato ed in cui sono nati i suoi antenati anche da diverse generazioni.
Così che un amico di Ruth l’ebrea del gruppo di giovani che sono nel treno
L’attaccamento al proprio territorio non è solo della ragazza araba o ebrea, ma anche del ragazzo americano che in un suo desiderio di comunicare così parla dentro di sé:
C’è uno spostamento dal territorio alla gente che vi abita, ma questo sta a dimostrare come l’appartenenza ad un popolo, ad una etnia è strettamente legata ad un territorio, forse ad eccezione del popolo rom.
In tutto il romanzo Randa Ghazy gioca sul fatto della duplice appartenenza e quindi sull’impossibilità di una chiara definizione identitaria, ciò è comune a tutti i ragazzi del gruppo salvo che a quello di origine indiana d’America. L’integrazione con la cultura del paese in cui si è nati ma che non è della propria famiglia non riesce ad essere totale. Esiste sempre un certo distacco.
All’americano che però ha origini italiane questa condizione di dubbio sulla propria identità è inesistente
Vi è in queste parole un senso di orgoglio e di autosufficienza, privo di quei dubbi che invece sono visibili proprio nel personaggio arabo.
Certamente questi dubbi portano a far restare l’io in bilico, in una situazione di equilibrio instabile. Non è assodata una pluriidentità, così come è spesso presente in persone che provengono da culture diverse da quelle ove poi si stabiliscono. Anche Igiaba Scego nel racconto salsicce si concentra sulla duplice identità, ma scopre la sua personalità sicura nell’aver acquisito i caratteri dell’una e dell’altra cultura.
Il precario equilibrio che in questo romanzo si avverte appena diventa centrale nell’ultimo romanzo di Randa Ghazy. Intanto l’attaccamento alla terra dei genitori della protagonista del romanzo è sentita in maniera forte:
L’essere nati in Italia non ha creato un affetto tenace con il territorio, che viene sentito repulsivo, in-accogliente.
Ciò che maggiormente emerge dal romanzo Oggi forse non ammazzo nessuno è il fatto che il carattere di equilibrio instabile fra una cultura e un’altra, perché l’accettazione di una parte di essa ti fa sembrare una traditrice e ne senti quasi un senso di colpa, diventa più forte e radicato. Alcuni passaggi sono significativi. Jasmine, la protagonista, continua a combattere e a trovarsi spaesata fra la vita in una cultura occidentale e il richiamo di un’altra cultura, che, nonostante la sua nascita in Italia, ha sempre più prepotentemente.
Poco più avanti nel testo, dopo aver criticato a fondo in una pagina la cultura dell’Egitto conclude:
La critica è stemperata perché viene tutte le incomprensioni del modo di vivere in Egitto vengono stemperate da quest’ultima frase, che sembra quasi una accettazione, comunque sia, della sua cultura.
In alcuni momenti la protagonista non sembra di essere nata in Italia e aver vissuto con ragazzi italiani perché incomincia ad accettare il punto di vista di chi è da poco in Italia.
Così che a proposito del velo così si esprime:
L’ambivalenza, l’indecisione, il dubbioso giudizio su una cultura e l’altra stanno ad indicare un conflitto interno che per una persona nata in Italia è una regressione e non una accettazione della duplice identità. Parlando di Mahfuz la protagonista del romanzo dice:
Il rischio è il rifiuto della cultura ove si è nati e cresciuti e un ritorno ad una cultura dei genitori della che rischia di essere una estremizzazione e l’avvio verso un fondamentalismo.
Le ragioni di questo svilimento è possibile trovarle qualche riga prima.
A partire da questi ancora pochi e semplici dati è possibile fare alcune considerazioni:
1) Qualunque sia il grado di integrazione, nella persona nata da genitore di altra etnia, specie se di altro colore, avviene sempre un senso di disagio e di estraneità, che può essere vissuto in maniera più o meno intensa.
2) Quando a questo disagio si accompagna anche un romantico attaccamento al territorio dei genitori, il disagio per il paese ospitante diventa più accentuato e rischia quasi sempre di produrre una regressione culturale, nel senso che si ritorna alla cultura del paese d'origine, a volte riaccettandola criticamente e interrompendo quel processo dialettico, che è proprio di ogni migrante, mediante il quale si tende a porre in continuo confronto la cultura lasciata e quella che si incontra.
3) Non è scopo di questo piccolo saggio fare analisi sociologiche, ma certamente impostare il rapporto con gli stranieri e i figli degli stranieri secondo uno schema di darwinismo sociale comporta dei rischi notevolissimi.
(1)Viola Chandra, Media chiara e noccioline, DeriveApprodi 2001, pag.76
(2)Ibidem, pag 77
(3) " pag.77
(4) " pag. 78
(5)A.A.V.V., Pecore nere, Laterza 2005, pag. 71
(6)Viola Chandra, Media chiara e noccioline, DeriveApprodi 2001, pag. 79
(7)Ibidem, pag. 78
(8)A.A.V.V., Pecore nere, Laterza 2005, pag. 84
(9)Viola Chandra, Media chiara e noccioline, DeriveApprodi 2001, pag. 82
(10)Igiaba Scego, La nomade che amava Alfred Hichcock, Sinnos 2003, pag.8
(11)Ibidem, pag. 9
(12)A.A.V.V., Pecore nere, Laterza 2005, pag. 10
(13)Ibidem, pag. 11
(14)Igiaba Scego, Rhoda, Sinnos 2004, pag. 72
(15)Ibidem, pag. 79
(16)Ibidem, pag. 74
(17)Ibidem, pag. 149
(18)Ibidem, pag. 72
(19)Ibidem, pag. 76
(20)Ibidem, pag. 66
(21)Randa Ghazy, Prova a sanguinare, Fabbri 2005, pag. 27
(22)Ibidem, pag. 29
(23)Ibidem, pag. 260
(24)Ibidem, pag. 160
(25)Ibidem, pag. 30
(26)Ibidem, pag. 44
(27)Randa Ghazy, Oggi forse non ammazzo nessuno, Fabbri 2007, pag. 78
(28)Ibidem, pag 79
(29)Ibidem, pag. 82
(30)Ibidem, pag 120
(31)Ibidem, pag 137
(32)Ibidem, pag. 161
(33)Ibidem, pag 177
(34)Ibidem, pag. 177