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Questo articolo è stato presentato al Convegno nazionale Interculturalmente, 13 - 14 ottobre 2006, Università di Bolzano/Bozen, Brixen/Bressanone.
1. Letteratura e/o letterature
Quando si parla di “letteratura indiana”, in termini storici, ci si trova di fronte a un duplice problema: definire “letteratura” e definire “indiana”. Chi o che cosa sia “indiano” è oggetto di contenzioso in molte sezioni della società indiana: basti pensare agli scontri comunitaristi di Ayodhya nel 1992, o agli eventi di Godhra del 2002 per cogliere la difficoltà semantica del termine “indiano”. Quanto a ciò che costituisca la “vera” letteratura, a sua volta è materia di un serio dibattito: non si può ignorare la cosiddetta “letteratura dalit”1 o la “letteratura femminile”, un fenomeno in crescita praticamente in tutte le lingue indiane, con la conseguente discussione sul riconoscimento di questa produzione come “letteratura” o anche come “Letteratura”.
È utile cominciare, dunque, dando conto della diversità linguistica dell’India. Il censimento del 1991 registrava 1576 lingue, in seguito raggruppate in categorie più generali, fino a raggiungere il numero di 114, delle quali 24 sono riconosciute dalla Costituzione come lingue nazionali.2 La Sahitya Akademi (l’Accademia nazionale delle Lettere) - la cui rivista in inglese porta il titolo Indian Literature e dal 1954 si presenta con il motto “Indian literature is one though written in many languages” - promuove 22 lingue3 in ragione della loro importanza letteraria, e negli ultimi anni sta cominciando a tenere in considerazione anche lingue di minoranza.4
La letteratura in India, nel senso di produzione letteraria, è antica quanto la scultura o la pittura, ma l’indagine scientifica e la costituzione della letteratura indiana come categoria teoretica risalgono al XIX secolo, quando August Wilhelm von Schlegel utilizzò il termine “letteratura indiana” come sinonimo di letteratura sanscrita.5 L’egemonia del sanscrito negli studi sull’India perdura tutt’oggi, tanto che gli studiosi di lingue e letterature moderne dell’Asia meridionale godono di un prestigio inferiore in un mondo accademico dominato da sanscritisti che mantengono spesso un atteggiamento intellettuale non molto diverso da quello di due secoli fa. Con poche eccezioni,6 la maggior parte degli studiosi del XX secolo ritengono sia possibile parlare di “letteratura indiana” come espressione di una cultura essenzialmente indiana, oppure come l’unità di formazioni letterarie distinte.7 D’altro canto, la ricerca di una forza unificante si ritrova storicamente anche nel movimento letterario progressista, tanto è vero che la rivista fondata nel 1939 a Lucknow si intitolava New Indian Literature.8
Lo slogan nehruviano “unità nella diversità” trova il suo riflesso letterario nell’idea che lo spirito essenziale che animerebbe tutta la produzione letteraria del subcontinente derivi dall’identità nazionale, capace di unificare ogni espressione letteraria. Ma che cosa possiamo farcene oggi di questo discorso, quando una delle caratteristiche della realtà postmoderna è la formazione di solidarietà translocali, la grande mobilità interconfinaria e la formazione di identità post-nazionali?9
Parlare di “letteratura indiana” nel senso di un “comune sentire” è una chimera. Certamente esistono miti e leggende, l’epica del Ramayana e del Mahabharata, le modalità narrative e i topoi che per secoli hanno unito le forme letterarie delle diverse lingue e che hanno avuto costante circolazione in tutto il subcontinente, fungendo da potente fonte di ispirazione per scrittori di ogni parte dell’India. Ma pensiamo a scrittori come Saadat Husain Manto,10 Mahasweta Devi,11 Gopinath Mohanty,12 Vaikom Muhammed Basheer,13 Laxman Gaikwad,14 Bama,15 VKN,16 U.R. Ananthamurthy17 e Shashi Tharoor,18 per menzionare solo alcuni nomi in diverse lingue: dire che condividano una cultura e una sensibilità comune è pura ideologia, poiché ciascuno di essi vive in un’India diversa, e con questo ritorniamo al problema della rappresentatività.
Attualmente la resistenza nei confronti della tesi dell’unicità è dovuta ad una certa apprensione nei confronti del pericolo dell’egemonia di una sola lingua che diventi portavoce della “letteratura indiana”. Ciò è rappresentato da una parte dalla lingua e letteratura più parlata (hindi), che in virtù della sua ufficialità e della legge di maggioranza ha più volte nella storia preteso di parlare per tutti; paradossalmente, d’altro canto, un pericolo maggiore viene da una delle lingue meno parlate, di origine peraltro non indiana, che talora afferma di esprimere l’unica vera letteratura indiana grazie alla sua indipendenza da ogni legame regionale. Infatti, gli studiosi di oggi si trovano ancora di fronte alla lotta fra gli scrittori in lingue “regionali” da una parte e quelli che usano l’una o l’altra forma di Indian English.19 Il fatto è che la visibilità internazionale degli scrittori che usano l’inglese è infinitamente maggiore rispetto a quella degli scrittori di tutte le altre lingue e pertanto la “letteratura indiana” è spesso oggi rappresentata quasi esclusivamente da essi. Basti ricordare lo scandalo che fece in India l’antologia curata da Rushdie in occasione del cinquantenario dell’indipendenza indiana, che selezionava 32 scrittori, dei quali uno solo scriveva in una lingua diversa dall’inglese.20
Se la “letteratura indiana” ha la funzione di rappresentare l’India come una nazione nella mappa mondiale (una nazione che non ha una lingua, non ha una religione, dovrà almeno avere una letteratura!), la questione di chi rappresenta la nazione non è di poco conto. Per tutte queste ragioni, ci pare che l’espressione “letteratura indiana” debba sempre essere fra virgolette proprio perché la molteplicità dei punti di vista, dei riferimenti, delle opinioni richiamate nell’unica espressione “letteratura indiana” contiene (ed è costituita da) categorie di letteratura molto mescolate, non semplicemente diverse, ma plurali. A nostro avviso, nessuna singola voce, per quanto variegata e complessa, può essere in grado di esprimere i numerosi e contraddittori impulsi che si trovano negli svariati scrittori dell’India.
2. Postcoloniale e dislocazione
L’affermazione della critica postcoloniale nel mondo accademico occidentale ha avuto un impatto fortissimo sulla divulgazione della conoscenza della scrittura dell’India. Autori e tematiche indiane sono oggigiorno rappresentati come mai prima in opere enciclopediche come l’Encyclopedia of Post-colonial Literatures in English21 e lo scrittore postcoloniale per eccellenza rimane Salman Rushdie. Gayatri Chakravorty Spivak è la critica postcoloniale, per non menzionare nomi come Homi Bhabha o Amitav Ghosh. Ancora una volta, ci troviamo in un universo di lingua inglese. Ribattendo alla famosa domanda “Can the subaltern speak?”,22 la ricca e antica produzione letteraria nelle diverse lingue indiane dimostra senza dubbio che i “subalterni” dello stato coloniale hanno sempre parlato. La questione dovrebbe essere posta in altri termini: visto che parlano da secoli, perché nessuno li ascolta? E oggi, come ha detto Harish Trivedi, “Can the subaltern spivak?”, ovvero, possono i subalterni esprimersi, elaborare teorie ed essere ascoltati a livello internazionale in lingue diverse dall’inglese?23
In questa sede vogliamo presentare un approccio all’India postcoloniale focalizzandoci sulla letteratura hindi. Come si è chiarito, non si pretende con ciò di rappresentare la voce dell’India, men che meno di esaurire il discorso sulla subalternità (si è già sottolineata la posizione ambigua della lingua hindi a questo proposito). Tuttavia, data la vastità delle problematiche in esame, si è ritenuto opportuno limitare l’indagine a quello che è il nostro specifico campo di ricerca. Se per postcoloniale si intende la condizione dell’India postcoloniale, cioè le trasformazioni sociali e culturali nel passaggio dal raj ai primi anni dell’indipendenza, e se volessimo indicare un paio di romanzi in grado di fare da contraltare all’egemonia dei figli della mezzanotte, senza dubbio indicheremmo Maila anchal [Il lembo sporco] di Phanishvarnath Renu24 e Rag darbari [Musica di corte] di Shrilal Shukla25.
Maila anchal fu pubblicato nel 1955 e fu immediatamente acclamato come classico. Ambientato nell’immaginario villaggio di Meriganj, è la narrazione corale di una piccola comunità di un isolato villaggio del Bihar nordorientale, dei problemi dell’apparentemente immutabile vita rurale sullo sfondo del movimento Quit India e dell’indipendenza. Rag barbari fu pubblicato nel 1968 e, nonostante sia considerato uno dei romanzi più divertenti della letteratura hindi moderna per il suo tono picaresco e satirico, è una rappresentazione molto realistica e pessimista dell’India postcoloniale, che mette a nudo con estrema raffinatezza le dinamiche sociali e politiche della vita rurale del paese immediatamente dopo l’indipendenza. Il romanzo racconta la storia di uno studente, Rangnath, che si reca al villaggio dello zio, con l’intento di prepararsi agli esami in un ambiente incontaminato e sereno. La divertita navigazione di questo ricercatore di storia attraverso la venalità della politica rurale e le connessioni di essa con la politica cittadina porta a un rovesciamento della romanticizzazione della campagna che aveva caratterizzato gran parte della letteratura hindi degli anni 1950. Lo zio del protagonista, medico e al contempo Machiavelli locale, strumentalizza tutte le istituzioni sociali, dalla scuola di villaggio, al panchayat [consiglio di villaggio], agli uffici statali e dell’amministrazione locale, per garantirsi l’egemonia e il controllo del mondo in cui vive. Lo sprovveduto studente, imbevuto di insegnamenti morali e di idealizzazioni, è costretto ad ammettere che tutta la sua istruzione è completamente inutile e impraticabile, che il mondo agreste è forse più corrotto del mondo cittadino ed è, sia letteralmente sia metaforicamente, un “mondo di fango”. Premiato dalla Sahitya Akademi nel 1969, questo romanzo sviluppa in forma di commedia un tema di molta scrittura indiana, trasversale per aree geografiche e lingue, ovvero quello di un profondo scollamento dello stato dalla popolazione, e del conseguente senso di alienazione: per fare solo un esempio, uno degli episodi descrive la “guerra santa” di un personaggio, lo Zoppo, che trascorre l’intera vita cercando invano di ottenere una copia di un atto giuridico senza pagare bustarelle. In effetti, il libro si chiude registrando il fallimento della società e delle istituzioni e indicando - sebbene ironicamente - come unica scelta possibile palayan (la fuga).
Ci troviamo di fronte a uno dei temi fondamentali del discorso postcoloniale e postmoderno: quello del migrante e dell’esilio, connesso al conseguente interrogativo rispetto all’identità dell’individuo o della comunità. Non ci occuperemo qui della famosa definizione degli scrittori postcoloniali come “uomini tradotti”, né degli interpreti dei malanni da premio Pulitzer.27 Ci limiteremo a dare solo qualche esempio di come il problema della migrazione e della dislocazione sia stato trattato nella letteratura hindi.
Innanzitutto, è bene sottolineare che l’emigrazione e il contatto con l’Altro e con la modernità non sono esclusivi del periodo postcoloniale. Da sempre il subcontinente indiano ha visto intere comunità spostarsi da un’estremità all’altra alla ricerca di lavoro e di promozione sociale ed economica. Spesso i gruppi non si assimilano con la popolazione locale, ma mantengono usanze endogamiche, costituiscono gruppi separati e conservano tratti distintivi della propria cultura anche dopo molte generazioni. Soprattutto le caste mercantili fin dall’epoca più antica si sono spostate di volta in volta dove vi erano maggiori possibilità di guadagno. Il protagonista del romanzo di Alka Saraogi Kalikatha: vaya baipas [Bypass al cuore di Calcutta],28 Kishore Babu, ripercorre la storia della comunità dei suoi antenati marvari, originari del deserto dal Rajasthan e trasferitisi nella Calcutta del raj britannico, dove ancora due secoli dopo parlano hindi e formano un gruppo a sé.
Con la spartizione del subcontinente e la creazione dell’India e del Pakistan nel 1947 si verificò una delle maggiori emigrazione di massa della storia umana, che comportò lo spostamento di oltre dieci milioni di persone. L’evento storico e il trauma che lo accompagnò spinsero molti artisti del subcontinente a riflettere sull’orrore e sulla sofferenza causati da questo colossale sradicamento collettivo. Rahi Masoom Raza,29 Saadat Hasan Manto, Quratullain Hyder,30 Intizar Husain,31 Yashpal,32 Krishna Sobti,33 Bhisham Sahni,34 Krishna Baldev Vaid, Kamleshwar35 sono alcuni degli scrittori che hanno accompagnato all’esperienza personale la riflessione artistica sulle memorie del 1947.36
Ci soffermeremo brevemente su un romanzo di Krishna Baldev Vaid (n. 1927), che come molti altri emigrò su un treno di rifugiati, lasciando dietro di sé la propria infanzia nella sua città natale in Punjab. Egli stesso ammette che l’esperienza della spartizione gli lasciò “a certain kind of fear and a permanent feeling of dislocation”.37 Guzra hua zamana [Il tempo passato]38 può essere definito un romanzo proustiano, un’indagine sulla propria identità. Il protagonista è un giovane che si trova di fronte alle crescenti tensioni fra le due comunità contrapposte del proprio villaggio. La narrazione mostra l’irrigidimento delle posizioni e il graduale disfacimento del vecchio ordine, nel quale le divisioni fra identità di comunità e di religione nella vita quotidiana si presentavano in una maniera molto più fluida. Il concetto di identità come rigida e separata affiliazione religiosa o culturale è rigettato dall’autore, che ne riconosce invece la natura indefinita, dove gli opposti coesistono in una pluralità di identità. La riduzione alla singolarità è una perdita, la perdita descritta storicamente nel periodo della spartizione. Nelle opere di Krishna Baldev Vaid sono sempre rappresentate le molteplici dimensioni della moderna identità indiana e l’autore unisce un profondo impegno nei confronti della realtà, della società e della cultura dell’India con una tensione quasi mistica a trascendere ogni definizione. Un aspetto interessante delle sue opere è la descrizione di scene di povertà, fame e miseria che sono onnipresenti nella vita pubblica dell’India, ma che sembrano rimanere fuori dall’identità di chi osserva, come se non facessero parte della sua realtà. Infatti, i protagonisti dei suoi scritti sono quasi sempre persone colte, della media borghesia metropolitana.
La rappresentazione dei poveri, della massa di migranti che si riversarono dalle zone rurali verso le aree urbane, soprattutto a partire dagli anni 1960, è un altro aspetto importante della letteratura postcoloniale hindi. Infatti, essi vengono ora rappresentati come santi, ora resi invisibili, quasi non esistessero. Ma anche nei romanzi che esprimono una maggiore solidarietà e comprensione nei confronti dei poveri39 ciò che colpisce è la netta separazione fra le classi. Evidentemente, l’ideale sognato negli anni 1950 e ‘60 della possibilità che la nazione fosse pluri-classe, pluri-comunitaria, fondata su un progetto idealista di austerità e cooperazione, giustizia e buona fede, aveva lasciato posto a un cinico incubo di sfruttamento egoistico. Dalla narrativa dei decenni successivi all’indipendenza sembra emergere che il progetto di unità nazionale è un sogno: la realtà di una società con grosse sperequazioni riporta al problema della definizione della propria identità nazionale e locale, in un contesto di crescente urbanizzazione e mobilità.
In India la grande maggioranza dei lavoratori migranti rimane all’interno dei confini nazionali e spesso si tratta di spostamenti legati a lavori agricoli stagionali o contratti a breve termine nelle città, che prevedono un ritorno al villaggio di partenza. Circa il 60% dei migranti si trasferisce all’interno dello stesso distretto, poiché la mobilità fra i diversi stati indiani è spesso delimitata dalle differenze linguistiche, o dalle politiche locali che tendono a limitare le possibilità di impiego per i migranti e di dare preferenza ai residenti locali negli impieghi pubblici. Il sistema castale e tribale contribuiscono a rendere complessi questi movimenti di popolazione. Tuttavia, durante il XX secolo si è registrata costantemente un’emigrazione dalle zone rurali verso le aree urbane.40
Fino a pochi anni fa, la migrazione dalle campagne alle città avveniva secondo uno schema per cui gli abitanti dei villaggi mantenevano una profonda lealtà con il villaggio di appartenenza, e le famiglie restavano legate al villaggio ancestrale anche dopo generazioni.41 Data la vastità geografica, tuttavia, spesso per gli emigranti è necessario percorrere distanze molto grandi ed è possibile ricongiungersi alla famiglia solo saltuariamente, il che pone problemi di tipo sociale e psicologico. Nel racconto di Bhagvaticharan Varma42 L’inferno di Khilavan43 il protagonista è un emigrante di ritorno al villaggio dopo aver invano tentato la fortuna in città. La speranza di trovare consolazione nella serenità della vita familiare si scontra però con una realtà di tradimento e di ipocrisia: la moglie per sopravvivere ha dovuto cedere alle avances del possidente locale e i genitori, pur disapprovando questa relazione, fanno finta di niente perché vivere un po’ più comodamente conta alla fin fine più che salvaguardare l’onore. Posto di fronte a questa spietata rivelazione, l’uomo decide di ritornare nell’alienazione e nello sfruttamento della metropoli. Anche il racconto di Usha Priyamvada dal titolo Vapasi [Il ritorno]44 è incentrato sulle difficoltà esistenziali di un uomo che, dopo una vita trascorsa lontano dalla famiglia per lavoro, torna a casa una volta raggiunta l’età della pensione, per scoprire che tutti gli affetti si sono inariditi e che la sua presenza è incompatibile con i ritmi di vita della famiglia. Anche qui il protagonista si scontra con una realtà ben diversa dal sogno di una vita intera e decide di andarsene di nuovo. Alienazione, solitudine e sradicamento sono gli unici compagni del migrante. Ecco come li esprime Rajesh Joshi45 in un suo componimento:
Ricordo di casa46
Seduto su una panchina rotta del dhaba47
Mi sono sprofondato nel tè e mentre mangio sopprimo a fatica
Il ricordo di casa che spunta come una spina nel cuore
Mi grava il volto una vaga malinconia
Sotto l’effetto del liquore locale arriva barcollando
Un maestro di scuola elementare all’improvviso
Rumorosamente si mette a sedere al mio fianco
E borbotta
Qui nella giungla mi hanno spedito
Lontano duecentocinquanta miglia da casa
In dieci anni ho presentato centinaia di domande
Ho fatto migliaia di giri al dipartimento dell’istruzione
Ho dato agli autobus del trasporto nazionale tutti i miei stipendi
Chissà di quanti dhaba ho già bevuto l’acqua
Ho già mangiato il sale
Ho tirato avanti mangiando chili e chili di polvere
Nessuno ascolta
Però, nessuno, maledizione, ascolta le mie parole
Del nostro tempo il dolore più grande è l’emigrazione
Facendo finta di guardare da qualche parte lontano
Distolgo lo sguardo
Lanciando chissà quali insulti verso chissà chi
Improvvisamente si mette a piangere sommessamente il maestro
In piedi lì di fianco la gente guarda come se stesse assistendo a uno spettacolo.
Appena esce fuori, come diventa artificiale
Il nostro dolore!
Lontano nel cielo grida un chiurlo
Tornando
Verso il proprio nido!
Oggigiorno lo scenario è ulteriormente cambiato: la migrazione dalle campagne alle città non è stata completamente assorbita e si sono create grosse sacche di povertà in baraccopoli sovraffollate. Il risultato è la dislocazione di lavoratori e contadini “sradicati” dalla campagna emarginata verso i centri urbani, una caratteristica tipica di una crescita urbana che ha un ritmo superiore all’industrializzazione; è un sistema di sottosviluppo e tende a provocare ulteriore sottosviluppo.48
Naturalmente, esiste anche una massiccia emigrazione verso l’estero. Persone di origine indiana risiedono soprattutto in Sri Lanka, Malesia, Nepal, Myanmar, Sud Africa, Mauritius, Trinidad e Tobago, Guyana, Fiji, Stati Uniti, Canada e Regno Unito. Moltissime sono le opere letterarie hindi che hanno fra i protagonisti personaggi indiani emigrati in Occidente, soprattutto in connessione con l’ondata migratoria degli anni successivi all’indipendenza. Inizialmente, la maggior parte degli immigrati in Inghilterra provenienti dal subcontinente indiano erano persone di bassa cultura originari di regioni rurali; negli anni successivi, tuttavia, si verificò un flusso di persone della media borghesia colta, esponenti della nuova generazione che avevano avuto accesso a un’istruzione superiore e che spesso cercavano in Occidente, soprattutto nel Regno Unito, in Canada e negli Stati Uniti, un’alternativa al fallimento dei sogni di progresso dell’India indipendente.49 Fra i romanzi più importanti ambientati in Europa possiamo ricordare Andhere band kamre [Buie stanze chiuse, 1961] di Mohan Rakesh,50 che almeno in parte si svolge nella Londra dell’inizio degli anni 1950. La protagonista del romanzo è una donna giovane e dalle grandi potenzialità, frustrata da un marito che cerca di ostacolare tutti i suoi tentativi di emancipazione. L’uomo decide di emigrare in Inghilterra, persuadendo anche la moglie a seguirlo, ma la coppia ritornerà delusa al paese natale, dove finirà per condurre un’esistenza mediocre, segnata dalla disoccupazione del marito e dal fallimento degli ideali artistici della moglie. In questo romanzo troviamo rappresentata una borghesia urbana che non è tipicamente indiana, ma che appartiene a un filone letterario che in quegli anni esprimeva un senso di alienazione a livello internazionale.
Ci sembra interessante soffermarci su una peculiarità dell’esilio nel contesto postcoloniale: la maggior parte degli scrittori postcoloniali provenienti dal subcontinente che esprimono un senso di dislocazione e di esilio non sono profughi, o banditi dalla propria terra, ma hanno scelto di lasciare il paese natale. Vi sono sfumature di differenze importanti fra un esiliato da una parte e l’emigrato, l’espropriato, il rifugiato, il profugo, l’immigrante, o il migrante dall’altra. Tuttavia, si può trovare una sovrapposizione di tutte queste categorie: un fattore più o meno comune dell’atteggiamento psichico di molte persone che appartengono a tutte queste categorie è lo stato mentale dell’esiliato, caratterizzato da nostalgia di casa, angoscia, nausea, da una sensazione di sradicamento, da una mancanza di dimora metafisica. Pertanto, possiamo considerare esuli tutti coloro che possiedono questo stato mentale, anche se non sono esiliati in senso tecnico. L’impatto con l’Occidente scatena in ogni caso il problema della locazione e della definizione della propria identità. In questo senso, l’esilio è una condizione provocata dall’alienazione, è uno stato di disunione, incompletezza e disarmonia che provoca nell’individuo uno stato esistenziale di incertezza e di inquietudine.
Un autore hindi che ha declinato questo tema con un’estrema sensibilità, intensamente indiana e universale allo stesso tempo, è Nirmal Verma.51 Il titolo del presente scritto prende spunto proprio da un’antologia di suoi racconti, tradotti in inglese da Prasenjit Gupta52 che ha selezionato 14 “storie di esilio”, racconti ambientati fuori dell’India che possono essere letti come la narrazione di un’esperienza di esilio in senso esistenziale, dal viaggio verso Occidente al ritorno in India. Per esempio, Ek din ka mehman53 [Ospite per un giorno] ci presenta un uomo, evidentemente indiano, intrappolato fra due case delle quali nessuna è la sua. Arrivato in Occidente dall’India, egli porta con sé nella valigia le testimonianze convenzionali della sua origine (indumenti tradizionali, bigiotteria, miniature indiane e un libro dal titolo emblematico: Benares: la città eterna) che si accumulano sul pavimento a formare una specie di India in miniatura. Egli si reca in visita dalla moglie e dalla figlia, dalle quali è ormai separato, in una casa che contiene mobili e oggetti a lui ben noti, eppure estranei, poiché fanno ormai parte di un’abitazione che non è casa sua. L’indiano errante, in perpetuo viaggio fra la propria casa perduta e i frammenti di India che si spostano continuamente con lui, si riduce alla fine della narrazione a una sagoma indistinta, diretta verso il buio in un denso silenzio.
Il romanzo Ve din [Quei giorni]54 ha come protagonista uno studente indiano, alla deriva in una Praga fredda e distante, in una narrazione priva di eventi in superficie, ma nella quale tuttavia qualcosa avviene a livello sotterraneo: l’azione è quella che si svolge negli strati più profondi della coscienza dei personaggi, attraverso immagini e associazioni simboliche. Ci troviamo qui di fronte a un tipo di scrittura indiana completamente spoglia del comodo esotismo che caratterizza molte opere indiane post-coloniali di lingua inglese, tagliato su misura sulle aspettative stereotipate del lettore occidentale. Ma manca anche il minimo accenno alla romanticizzazione della povertà rurale o all’India come spazio culturale originario: è una scrittura “internazionale”, un adattamento dell’esistenzialismo alle caratteristiche della società indiana. Attraverso la metafora dell’emigrazione si esprime l’esperienza di alienazione in un mondo incomprensibile: i personaggi che soffrono di straniamento culturale sono in realtà malati soprattutto di un’anomia esistenziale. La tematica dell’outsider è portata a una levatura metafisica, diventa l’eterno problema dell’umanità posta di fronte all’ignoto, incessantemente e disperatamente alla ricerca di una risposta ai propri interrogativi, alla propria ansia, all’angoscia di vivere.
3. Postcolonialità e ibridazione
L’esperienza coloniale comportò per molti indiani l’incontro con un sistema di pensiero fondato su categorie nuove, che ebbero un impatto fondamentale sullo sviluppo di una nuova visione del mondo. Una delle più importanti è l’idea della supremazia della ragione, che ebbe un forte riflesso anche sulla produzione letteraria. Nell’arte e nella letteratura in India erano presenti diverse concezioni estetiche, ma l’accettazione di modelli mentali coloniali comportò l’acquisizione anche di una visione totalizzante, razionalizzante, fondata su uno schema binario: primitivo/civilizzato, razionale/irrazionale, sottosviluppato/sviluppato, eccetera. A queste categorie si accompagnava anche una gerarchia di supremazia e inferiorità.
Nella seconda metà del XIX secolo ebbe inizio il processo di standardizzazione della letteratura hindi moderna, legato all’insorgere di un movimento nazionalista, nel quale si ritrova lo stesso pensiero dicotomico: la nazione è contrapposta al raj e i colonizzati elaborano una definizione di sé utilizzando i termini che lo stesso raj ha conferito loro. La parola chiave diventa “identità”, e l’interrogativo “chi sono io?” acquista una rilevanza mai avuta prima. Anche in letteratura si creano nuove forme di espressione, volte a delimitare con precisione la forma dell’identità individuale e collettiva. Per esempio, prima del XIX secolo praticamente non esisteva in India il genere autobiografico. Ciò non significa che in India, o nella letteratura hindi, non esistesse un senso del sé. Tuttavia, questo senso del sé non era legato a limiti precisi dell’individuo o a definizioni rigorose dell’identità collettiva. Ora, invece, diventava necessario definire con precisione una nuova identità: indiani contro inglesi, hindu contro musulmani, eccetera. La letteratura che si produsse in questo contesto fece propria un’idea di progresso lineare e diventò uno strumento per favorirlo, esplorando problemi sociali e politici. In campo letterario ciò si tradusse nella definizione di correnti separate, per esempio progressismo e sperimentalismo, e nella conseguente rigida catalogazione degli artisti: Premchand55 progressista, Sumitranandan Pant “ombrista”,56 e via di seguito.
Con l’indipendenza si registra un cambiamento. Nella letteratura postcoloniale il problema della nazione è risolto, l’“Altro” che è il raj, il nemico esterno, se n’è andato e lo sguardo si rivolge all’interno, dove trova una pletora di identità, ciascuna delle quali si esprime anche in letteratura: si scoprono la letteratura femminile, la letteratura dalit, la letteratura tribale, eccetera. In un certo senso sembra che si produca una nuova serie di dicotomie, dove ogni identità si contrappone al proprio “altro”. Ma, allo stesso tempo, compare il post-modernismo, con la sua negazione di una verità universale e di un progresso lineare, e l’accettazione dei limiti della ragione, la scoperta del frammento. In questo contesto ogni realtà e il suo “altro” non devono essere necessariamente posti in una relazione di superiore/inferiore. È una posizione simile all’antica idea indiana delle molteplici verità, ma arricchita di una nuova consapevolezza in un nuovo contesto. Il mondo, come si usa dire, si è globalizzato e, sebbene la letteratura hindi sia ancora poco nota a livello internazionale, e per molti versi rimanga ancorata a modelli obsoleti, essa partecipa dello scambio e dell’ibridazione di modelli, di idee, di linguaggi che sono tipici del mondo in cui viviamo. Una scrittrice come Geetanjali Shree,57 che vive a metà fra l’Europa e l’India, è un esempio di come non necessariamente si debba ricorrere alla lingua inglese per fare scrittura postcoloniale post-moderna. E non è nemmeno necessario spostarsi fisicamente: un artista come Vinod Kumar Shukla58 ha trascorso quasi tutta la vita in una piccola città dell’India centrale, all’interno di una regione povera e marginale, conducendo una vita assolutamente comune da professore. Eppure, la letteratura che ha prodotto è senza dubbio straordinaria e non ha nulla di provinciale o di limitato, ma esprime un’esperienza ricca e post-moderna nel senso migliore del termine:
Da lontano bisogna vedere la propria casa
dalla lontananza di non poter tornare, costretti, la propria casa
nella totale speranza di poter tornare un giorno
oltre i sette mari bisogna andare.
Mentre si va bisogna volgersi a guardare
dall'altro paese il proprio paese
dallo spazio la propria terra
allora il ricordo di cosa staranno facendo i bambini a casa
sarà il ricordo di cosa stanno facendo i bambini sulla terra
la preoccupazione se ci sarà oppure no cibo e acqua in casa
sarà la preoccupazione del cibo e acqua sulla terra
sulla terra un affamato
sarà come un affamato nella casa
e tornare verso la terra
come tornare verso casa.
I conti di casa sono tanto in disordine
che a piedi un po' allontanatomi verso casa ritorno
come verso la terra.59
4. In chiusura. O per aprire?
In conclusione, è forse opportuno sollevare una serie di interrogativi a nostro avviso rilevanti perché non riguardano solo la produzione letteraria proveniente dall’Asia meridionale, ma sono validi anche per altre letterature “piccole” come per esempio la letteratura islandese o quella yiddish o portoghese, che hanno prodotto premi Nobel, ma rimangono in secondo piano nel panorama editoriale internazionale. È possibile che opere redatte in una lingua indiana indigena, a prescindere dalla loro maggiore o minore perfezione tecnica o artistica, riescano a conquistarsi un pubblico fra i lettori che non conoscono quella particolare lingua indiana nella quale esse sono state scritte, a venire a far parte di quella che è stata definita la “repubblica mondiale delle lettere”?60 Dal momento che ormai è disponibile una lingua “globale” come l’inglese, bisogna forse arrivare alla conclusione che scrivere in una lingua indigena, come un volgare indiano, sia sintomo di una ristrettezza intellettuale che riduce grandemente la possibilità che un’opera scritta in quella lingua possa raggiungere un certo grado di qualità? Non si dovrebbe forse tenere in maggior conto il valore politico dello scrivere in una lingua “subalterna”? È possibile che un’opera redatta in una lingua “regionale” dell’Asia meridionale, come panjabi o malayalam, ottenga il riconoscimento della dignità di classico solo all’interno di un ambito culturale e geografico ristretto?
Per dare risposta a queste domande è necessario innanzitutto che si sviluppi nell’ambiente critico un dibattito riguardo alla riconoscimento della canonicità di alcuni autori o di opere letterarie particolari. Ben poche opere in lingue indiane “moderne” ricevono attenzione presso il pubblico non specializzato, in lingue europee, anche a causa della scarsità o della bassa qualità delle traduzioni, che spesso sono traduzioni indirette. Fra i molti autori menzionati in questo scritto, per esempio, solo pochi sono disponibili al lettore italiano e talora le traduzioni non sono proprio eccellenti, oppure sono destinate a una cerchia accademica e quindi poco fruibili dal pubblico generale. Ma a ciò si aggiunge spesso l’inadeguatezza degli studi critici. Infatti, in mancanza di una dettagliata analisi testuale e letteraria delle opere indiane in lingue indigene nella loro versione originale, è certamente prematuro escluderle dal canone delle opere contemporanee valide e importanti.
Per tutti questi motivi, auspichiamo l’intensificarsi sia dello studio critico, sia della traduzione diretta in lingue occidentali delle opere letterarie provenienti dall’India, con la certezza che ciò contribuirà a dimostrare ulteriormente quanto sia infondato l’assunto - condiviso da molti che non sono certo esperti di lingue e letterature indiane, a parte forse l’inglese - che la produzione letteraria dell’India nelle lingue indigene sia poco competitiva a livello mondiale non solo perché le sia più difficile raggiungere un pubblico internazionale, ma anche perché la sua qualità sarebbe inferiore rispetto alla corrispondente produzione in lingua inglese.
1Lett. “oppressi”, è il termine oggi comunemente usato per indicare gli “intoccabili”.
2 La lingua hindi è la “lingua ufficiale” [l.u.] dell’Unione Indiana e, a livello statale, in Arunachal Pradesh, isole Andamane e Nicobare, Bihar, Chandigarh, Chhattisgarh, Delhi, Haryana, Himachal Pradesh, Jharkhand, Madhya Pradesh, Rajasthan, Uttar Pradesh e Uttaranchal. L’inglese è la “l.u. associata”. Le “lingue nazionali” sono: assamese (l.u. dell’Assam); bengali (l.u. Tripura e West Bengal); bodo (l.u. Assam); dogri (l.u. Jammu e Kashmir); gondi (lingua dei tribali Gond del Gondwana, a nord dell’altopiano del Deccan che comprende Chattisgarh, Madhya Pradesh, Maharashtra, Orissa, Andhra Pradesh); gujarati (l.u. Dadra e Nagar Haveli, Daman e Diu, Gujarat); kannada (l.u.del Karnataka); kashmiri (l.u. Jammu e Kashmir); konkani (l.u. Goa); malayalam (l.u. Kerala, Lakshadweep, Pondicherry); maithili (l.u. Bihar); manipuri o meithei (l.u. Manipur); marathi (l.u. Maharashtra); nepali (l.u. Sikkim); oriya (l.u. Orissa); panjabi (l.u. Punjab [pron: Pangiàb] e Chandigarh, seconda l.u. di Delhi e Haryana); sanscrito (lingua classica dell’induismo, del jainismo e del buddhismo); santali (lingua dei tribali Santhal dell’altopiano di Chota Nagpur, che si estende tra gli stati di Jharkhand, Bihar, Orissa e Chattisgarh); sindhi (lingua della comunità Sindhi); tamil (l.u. Tamil Nadu e Pondicherry); telugu (l.u. Andhra Pradesh); urdu (l.u. Jammu e Kashmir, Andhra Pradesh, Delhi e Uttar Pradesh). N.B.: per evitare l’uso di diacritici, si è fatto ricorso a una trascrizione approssimativa dei termini in hindi e altre lingue indiane, con l’avvertenza che “j” è da leggersi sempre come l’italiano “gi”, “ch” come l’italiano “ci” e “sh” come l’italiano “sc”. I toponimi seguono la grafia all’inglese usata in India. Per i nomi propri, si è adottata la grafia più diffusa a livello internazionale.
3 Assamese, bengali, dogri, Indian English, gujarati, hindi, kannada, konkani, kashmiri, maithili, malayalam, manipuri, marathi, nepali, oriya, panjabi, rajasthani, sanscrito, sindhi, tamil, telugu e urdu.
4 Per esempio, le due riviste letterarie pubblicate dall’istituzione, la menzionata Indian Literature in inglese e Samkalin bhartiya sahitya [Letteratura indiana contemporanea] in hindi, hanno cominciato a includere traduzioni da bhojpuri, tulu, kodava, khagpuri, kokborok, khasi etc.
5 Per una bibliografia e una storia della letteratura indiana nel periodo coloniale vedi Sujit Mukherjee, Towards a Literary History of India, Indian Institute of Advanced Study, Simla 1975.
6 Sheldon Pollock recentemente ha curato un’antologia di saggi sulla molteplicità delle culture letterarie dell’Asia meridionale, sottolineando il dinamismo e la complessità che hanno sempre caratterizzato lo sviluppo delle letterature dell’India: v. Literary Cultures in History: Reconstructions from South Asia, Oxford University Press, New Delhi 2003; anche Aijaz Ahmad elabora con grande sensibilità questa categoria: v. Aijaz Ahmad, ‘‘Indian Literature’: Notes toward the Definition of a Category’, In Theory: Classes, Nations, Literature, Oxford University Press, Delhi 1992, pp. 243-85.
7 V., per es., Sri Aurobindo, Foundations of Indian Culture, Sri Aurobindo Birth Centenary Library, Vol 14, Sri Aurobindo Ashram - Auromere, Pondicherry, 1979; K R Srinivasa Iyengar, Literature and Authorship in India, G. Allen & Unwin Ltd., London 1943; Krishna Kripalani, Modern Indian Literature: A Panoramic Glimpse, Nirmala Sadanand, Bombay 1968; Umashankar Joshi, The idea of Indian literature, Samvatsar lectures 3, Sahitya Akademi, New Delhi 1990; Vinayak Krishna Gokak, The concept of Indian literature, Munshiram Manoharlal, New Delhi 1979; Suniti Kumar Chatterji, The Languages and Literatures of Modern India, Bengal Publishers, Calcutta 1963; Sujit Mukherjee, a cura di, The Idea of an Indian literature: a book of readings, Central Institute of Indian Languages, Mysore 1981; Sisir Kumar Das, a cura di, A History of Indian Literature, Sahitya Akademi, New Delhi 1991 (pubblicati: Volume 8: 1800-1910 Western Impact, Indian Response, 1991; Volume 9, 1911-1956 Struggle for Freedom: Triumph and Tragedy, 1995); G.N. Devy, After Amnesia: Tradition and Change in Indian Literary Tradition, Orient Longman, Bombay 1992.
8 La Indian Progressive Writers Association fu fondata a Londra nel 1935 da Mulk Raj Anand (inglese) e Sajjad Zahir (urdu).
9 V. Arjun Appadurai, Modernity at Large: Cultural Dimensions of Globalization, University of Minnesota Press, Minneapolis-London 1996 (trad it. di Piero Vereni, Modernità in polvere, Meltemi, Roma 2001).
10 Scrittore urdu (1912-55) considerato uno dei migliori narratori del XX sec, la cui pungente satira unita a un forte umorismo nero scatenò aspre controversie. Alcune traduzioni in lingue europee: Saadat Hasan Manto, Selected stories, trad. ingl. di Madan Gupta, Cosmo, New Delhi 1997; Saadat Hassan Manto, Schwarze Notizen : Geschichten der Teilung, trad. ted. di Christina Oesterheld, con una postfazione di Tariq Ali, Suhrkamp, Frankfurt a.M. 2006.
11 Scrittrice bengali (n. 1926), ricevette il premio Jnanpith, la maggiore onorificenza letteraria indiana, nel 1996 e il premio della Sahitya Akademi nel 1979. Tra le sue opere tradotte in italiano ricordiamo La preda (a cura di Anna Nadotti, traduzione dalla lingua bengali di Babli Moitra Saraf e Federica Oddera, Einaudi, Torino 2004) e La trilogia del seno (Trad. dall’inglese e cura di Ambra Pirri, Filema, Napoli 2005).
12 Scrittore oriya (1914-93), autore di oltre 20 romanzi, premio Jnanpith 1973 e premio Sahitya Akademi 1955. V. Gopinath Mahanty, Paraja, trad. ingl. di Bikram K. Das, Faber and Faber, London 1987.
13 Scrittore malayalam (1908-1994), premio Padma Shri nel 1982, fu un innovatore di stile e linguaggio. Ispirato da Gandhi, partecipò alla lotta per l’indipendenza. V. Vaikom Muhammad Basheer, Me grandad ’ad an elephant!, trad. ingl. di R. E. Asher e Achamma Coilparampil Chandersekaran, Penguin Books, New Delhi 1992; Grand-pere avait un elephant, trad. fran. di Dominique Vitalyos, Zulma, Paris 2005; Mio nonno aveva un elefante, trad. it. dal francese di Clelia Di Pasquale, Baldini Castoldi Dalai, Milano 2006.
14 Scrittore marathi (n. 1956), è presidente della Denotified and Nomadic Tribes Organization dal 1990. Ha ricevuto il premio della Sahitya Akademi nel 1988 per il romanzo autobiografico Uchalya, che per la prima volta ha dato voce letteraria a una comunità dalit tradizionalmente considerata di criminali; v. Laxman Gaikwad , The branded, trad. ingl. di P.A. Kolharkar, Sahitya Akademi, New Delhi 1998.
15 Pseudonimo di Faustina Mary Fatima Rani, nata nel 1958. È una scrittrice tamil i cui genitori, braccianti senza terra, si convertirono al cristianesimo per sfuggire allo stigma di appartenere a una comunità dalit. La sua autobiografia (v. Bama, Karukku, trad. ingl di Lakshmi Holmström, a cura di Mini Krishnan, Macmillan India, Chennai 2000) nel 2001 ricevette il premio Crossword e la mise in luce come scrittrice di rilievo. V. anche Bama, Sangati (l'assemblée), trad. fran. di Josiane Racine, Ed. de L'aube, La Tour d'Aigues 2003.
16 Velanthoda Koottala Narayanankutty Nair (1932-2004), meglio noto con l’acronimo VKN, scrittore malayalam dallo stile sarcastico molto originale, premio Sahitya Akademi 1982. V. V.K.N., Bovine bugles, trad. ingl. dell’autore, Kerala Sahitya Akad., Trichur 1978.
17 Udipi Rajagopalachar Anantha Murthy, scrittore kannada (n. 1932), premio Jnanpith 1994, è autore di molti romanzi e racconti, alcuni dei quali hanno avuto una felice trasposizione cinematografica. V. U.R. Anantha Murthy, Samskara: a rite for a dead man, trad. ingl di A. K. Ramanujan, Oxford University Press, Delhi 1979; Samskara oder Was tun mit der Leiche des Ketzers, die uns im Weg liegt und das Leben blockiert, trad. ted. di Gernot Schneider, Frauenfeld, Waldgut 1994; Samskara: rites pour un mort, trad. fran. dall'inglese di Anne-Cécile Padoux, l'Harmattan, Paris 1985.
18 Scrittore di famiglia originaria del Kerala, nato nel 1956 a Londra e cresciuto in India, ex Sotto-segretario Generale presso l’ONU. Scrive in inglese. In italiano Il grande romanzo dell’India, trad. it. di Gaspare Bona, Frassinelli, Milano 1993; Luci su Bombay, trad. it. di Delfina Vezzoli, Frassinelli, Milano 1996; Tumulto, trad. it. di Vincenzo Vergiani, Edizioni E/O, Roma 2004.
19 Compresi quasi tutti gli scrittori indiani della diaspora, i NRI (Non Resident Indians), i POI (Persons of Indian Origin, non cittadini indiani).
20 V. Salman Rushdie e Elizabeth West, a cura di, Mirrorwork: 50 Years of Indian Writing 1947-1997, OWL Books, New York 1997. Gli scrittori inclusi sono: Jawaharlal Nehru, Nayantara Sahgal, G.V. Desani, Nirad C. Chaudhuri, Kamala Markandaya, Mulk Raj Anand, R.K. Narayan, Ved Mehta, Anita Desai, Ruth Prawer Jhabvala, Satyajit Ray, Salman Rushdie, Padma Perera (Hejmadi), Upamanyu Chatterjee, Rohinton Mistry, Bapsi Sidhwa, I. Allan Sealy, Shashi Tharoor, Sara Suleri, Firdaus Kanga, Anjana Appachana, Amit Chaudhuri, Amitav Ghosh, Githa Hariharan, Gita Mehta, Vikram Seth, Vikram Chandra, Ardashir Vakil, Mukul Kesavan, Arundhati Roy, Kiran Desai (tutti scrittori in inglese) e Saadat Hasan Manto (urdu). Solo per menzionare alcuni dei possibili grandi esclusi, si pensi a scrittori del calibro di O.V. Vijayan (malayalam), Nirmal Verma (hindi), Gopinath Mohanty (oriya), Qurratulain Haider (urdu), Ananthamurthy (kannada), Mahasweta Devi (bengali), Umashankar Joshi (gujarati) o Amrita Pritam (panjabi).
21 Eugene Benson e L.W. Conolly, a cura di, Encyclopedia of post-colonial literatures in English, Routledge, London - New York 1994
22 Cary Nelson e Lawrence Grossberg, Marxism and the Interpretation of Culture, University of Illinois Press, Urbana, IL 1988, pp. 271-313.
23 V. Harish Trivedi, India and Post-colonial Discourse, in Harish Trivedi e Meenakshi Mukherjee, Post-colonialism: Theory, Text and Context, IIAS, Shimla 1996, p. 240.
24 (1921-77) Uno degli scrittori più interessanti dell’epoca successiva a Premchand. Partecipò alla lotta anticoloniale e cominciò a scrivere solo negli anni ‘50, dando inizio a una corrente letteraria detta “regionalista” o “marginalista” che introdusse nella letteratura hindi temi e ambienti della periferia sia geografica che culturale. V. Phanishvarnath “Renu”, Il lembo sporco, trad. it. a cura di Cecilia Cossio, Cesviet, Milano 1989; trad. ingl. di Indira Junghare, The soiled border, Chanakya Publications, Delhi 1991.
25 Nato nel 1925, vinse il premio letterario Vyas Samman nel 1999. Rag Barbari divenne anche uno sceneggiato televisivo negli anni 1980. La pur pregevole traduzione inglese di Gillian Wright, purtroppo, non può trasmettere la complessità linguistica dell’originale, che gioca con registri linguistici e dialetti (specialmente l’avadhi) in modo molto creativo. V. Shrilal Shukla, Raag darbari: a novel, Penguin Books India, New Delhi 1992.
26 Shrilal Shukla, Raag Barbari, Rajkamal Prakashan Delhi, pp. 327-328 (trad. it. di chi scrive).
27 Salman Rushdie, Shame, Vintage, New York 1984; trad. it. di Ettore Capriolo: La vergogna, Garzanti, Milano 1999. Jhumpa Lahiri, Interpreter of Maladies, Mariner Books, Boston 1999; trad. it. di Claudia Tarolo: L’interprete dei malanni, Marcos y Marcos, Milano 2000.
28 Tradotto in italiano da Mariola Offredi (Neri Pozza, Vicenza 2002).
29 (1927-1992) Nel suo romanzo Topi Shukla (Rahi Masum Raza, Topi Shukla, a cura di C. Cossio, Cesviet, Milano, 1992), ambientato ad Aligarh negli anni 1960, descrive la condizione post-coloniale attraverso l’amicizia di un hindu e un musulmano in una società che spinge a conformarsi a identità predefinite.
30 (1927-2007) Vincitrice del premio Jnanpith 1989. Il suo capolavoro è Ag ka dariya [Fiume di fuoco]. In inglese: Qurratulain Hyder, River of fire, transcreated from the original Urdu by the author, Kali for Women, New Delhi 1998, la cui traduzione in italiano a cura di Vincenzo Mingiardi è in preparazione per Neri Pozza, Vicenza
31 Nato nel 1925, è uno dei più noti scrittori urdu pachistani. Vive a Lahore, dove si trasferì dall’India durante la spartizione. V. Intizar Husain, A chronicle of the peacocks : stories of partition, exile and lost memories, trad. ingl. di Alok Bhalla, Oxford University Press, New Delhi 2004; Basti, trad. ingl. di Frances W. Pritchett, Oxford University Press, New Delhi 2007.
32 (1903-1976) Marxista impegnato nella lotta armata, si dedicò in seguito alla letteratura, diventando uno scrittore prolifico. Il suo romanzo Jhutha sach è considerato un classico della narrativa hindi sulla spartizione. In preparazione la traduzione inglese: The Colour of Truth, Sahitya Akademi, New Delhi. Altre traduzioni: Yashpal, Amita, trad. ingl. di Corinne Friend, Heinemann, New Delhi 1977; Phulos Hemdchen. Erzählungen von Yashpal, a cura di Konrad Meisig, trad. ted. di Hannelore Bauhaus-Lötzke et al i>., Harrassowitz, Wiesbaden 2001.
33 (n. 1925) Insignita del premio della Sahitya Akademi nel 1980 per il suo romanzo Zindaginama [Cronaca di una vita] (v. Krishna Sobti, Zindaginama, trad. ingl. di Neer Kanwal Mani, Katha, New Delhi 2002) ambientato nel Punjab prima della spartizione, che è uno dei capolavori della letteratura hindi contemporanea. Altre traduzioni: Krishna Sobti, The heart has its reasons, trad. ingl. di Reema Anand e Meenakshi Swami, Katha, New Delhi 2005; Listen girl!, trad. ingl. di Shivanath, Katha, New Delhi 2002; Blossoms in darkness, trad. ingl. di Kavita Nagpal, Vikas, New Delhi 1979.
34 (1915-2003) Per un’introduzione sull’autore e per la traduzione di due racconti in italiano a opera di Stefano Piano v. Pinuccia Caracchi, a cura di, Racconti hindi del Novecento, Ed. dell’Orso, Alessandria 2004, pp. 209-227. Il suo romanzo più noto è Tamas: v. Bhisham Sahni, Tamas, trad. ingl. dell'autore, Penguin, New Delhi 2001; Tamas oder Der Muslim, der Hindu, der Sikh und die Herren, trad. ted. di Margot Gatzlaff, Frauenfeld, Verlag Im Waldgut 1994.
35 (n. 1932) Per un’introduzione sull’autore e per la traduzione di un racconto in italiano a opera di Stefano Piano v. Racconti hindi del Novecento, cit., pp. 229-240. V. anche Kamleshwar, A street with fifty-seven lanes : novel and three stories, Star Publications, Delhi 2005; Summer days : a collection of short stories, Himalaya Books, New Delhi 1977.
36 Per una serie di interviste ad alcuni di questi autori v. Partition Dialogues, a cura di Alok Bhalla, Oxford University Press 2006.
37 K.B. Vaid : Partition, exil, fragmentation in Purushartha 24 : Littératures et poétiques pluriculturelles en Asie du Sud a cura di Annie Montaut, EHESS 2004, pp. 285-315, consultabile online su http://anniemontaut.free.fr/cultures.htm (visitato il 4/10/2006).
38 The broken mirror, trad. ingl. di Charles Sparrows in collaborazione con l’autore, Penguin Books India, New Delhi 1994. Altre opere tradotte: Krishna Baldev Vaid, Lila, trad. fran. di Anne Castaing e Annie Montaut, Éd. Caractères, Paris 2004; La splendeur de Maya, trad. fran. di Annie Montaut, Éd. Caractères, Paris 2002; Histoire de renaissances, trad. fran. di Annie Montaut, Langues & Mondes-L'Asiathèque, Paris 2002; Dying alone: a novella and ten short stories, Penguin Books, New Delhi1992.
38 Si pensi a Basanti [Bhisham Sahni, Basanti, trad. ingl. di Jaidev, Indian Institute of Advanced Study, Simla 1997; v. anche Basanti, trad. ted. di Margot Gatzlaff, Frauenfeld, Verlag Im Waldgut 1989] di Bhism Sahni, che ha come protagonista un’adolescente dei sobborghi di Delhi, o a Jhini jhini bini cadariya di Abdul Bismillah (The song of the loom, trad. ingl. di Rashmi Govind, Macmillan India), ambientato fra i tessitori musulmani di Benares.
40 Attualmente circa 307 milioni di indiani, pari a circa 30.5% della popolazione totale, vivono in circa 3700 città e insediamenti urbani. Nel 1947 solo 60 milioni di persone (15%) abitavano in aree urbane. Durante gli ultimi cinquant’anni la popolazione dell’India è cresciuta di due volte e mezza, ma l’India urbana è quasi quintuplicata. La seguente tabella mostra la popolazione urbana in India nel periodo dal 1901 al 2001.
Popolazione urbana Percentuale di Tasso di crescita
(milioni) popolazione urbana su decennale
popolazione totale (percentuale)
1901 29.9 10,8 -
1911 25.9 10.3 0.4
1921 28.1 11.2 18.3
1931 33.5 12.0 19.1
1941 44.2 13.9 32.0
1951 62.4 17.3 41.4
1961 78.9 18.0 26.4
1971 109.1 19.9 38.2
1981 159.5 23.3 46.1
1991 217.6 25.7 36.4
2001 306.9 30.5 41.0
Fonte: Ministry of Urban Affairs
41 V. per es. Ravi Srivastava e S.K. Sasikumar, An overview of migration in India, its impacts and key issues, relazione presentata alla Regional Conference on Migration, Development and Pro-Poor Policy Choices in Asia, organizzata dalla Refugee and Migratory Movements Research Unit, Bangladesh e dal Department for International Development,UK, 22–24 giugno 2003, Dhaka, Bangladesh. Consultabile su www.livelihoods.org (visitato 3/10/2006).
42 (1903-1981) Autore di prosa e poesia, fu insignito del premio nazionale Padmabhushan nel 1971 e ricevette il premio della Sahitya Akademi nel 1961. Il suo romanzo più famoso è Chitralekha, che ebbe due versioni cinematografiche di grande successo: v. Bhagwati Charan Verma, Chitralekha, trad. ingl. di Chandra B. Karki, Jaico Publ. House, Bombay 1959.
43 Tradotto in italiano in Bhagvaticaran Varma, Racconti, a cura di Alessandra Consolaro, La Babele del Levante, Milano 2001, pp. 97-101.
44 V. Hindi kahani samgrah, a cura di Bhism Sahni, Sahitya Akademi, Nai Dilli 1994, pp. 276-284.
45 Nato nel 1946, nel 2002 ha ricevuto il premio Jnanpith. Alcune sue poesie sono tradotte in italiano: v. Alessandra Consolaro, Poesia contro la paura, poesia contro la morte/Kavita: bhaya ke viruddh, maut ke viruddh, in A Oriente! Rivista Italiana di lingue e culture orientali. n.10, La Babele del Levante, Milano 2003, pp. 28-37, v. www.bab-levante.net ; Alessandra Consolaro, Sarasvati e la Madre India. Il discorso sull’identità nazionale indiana nella poesia hindi tra nazionalismo e postcolonialità, in Humanitas 61(3/2006), pp. 531-570, Morcelliana, Brescia 2006.
46 Ghar ki yad: Do panktiyõ ke bich, Rajkamal Prakasan, Nai Dilli-Patna 2000, p. 62-63; traduzione di chi scrive.
47 Il termine indica letteralmente un porticato sotto il quale ci si può sedere, ma nell’uso comune denota i ristorantini dove si servono pasti a poco prezzo e spuntini, che si trovano lungo tutte le vie principali di traffico, specialmente in concomitanza di stazioni di servizio e fermate di autobus. La cucina è generalmente molto piccante, speziata e costituita di fritti. L’espressione “cibo da dhaba” ha una connotazione simile all’italiano “cibo da camionisti”.
48 S. Mukherji, Urbanization and migration in India: a different scene, in International Handbook of Urban Systems a cura di H.S. Geyer, Edward Elgar Publishing Ltd., Cheltenham, UK 2002. Non è qui la sede di trattare dei movimenti migratori dagli stati confinanti verso l’India e dei problemi a essi connessi; storicamente, i maggiori movimenti migratori si sono verificati verso e da Sri Lanka, Malesia, Myanmar e Bangladesh.
49 V. Danuta Stasik, Out of India. Images of the West in Hindi Literature, Manohar, New Delhi 1994.
50 (1925-1972) Fu uno dei maggiori esponenti della corrente della Nuova Narrativa. V. Mohan Rakesh, Il signore delle rovine e altre novelle, a cura di C. Cossio, Cesviet, Milano, 1990. Altre opere tradotte: Mohan Rakesh, Les bienheureuses, trad. fran. di Nicole Balbir, L'Harmattan, Paris 1989 ; Mohan Rakesh, Großstadtgeschichten, trad. ted. di Konrad Meisig, Harrassowitz, Wiesbaden 1990.
51 Da pronunciarsi Nirmàl Varmà (1929-2005). Premio Sahitya Akademi 1985, premio Jnanpith 1999. Fu uno degli iniziatori della Nuova Narrativa hindi ed è lo scrittore hindi contemporaneo più noto e tradotto a livello internazionale.
52 Prasenjit Gupta, a cura di, Indian Errant. Stories by Nirmal Verma, Indialog, New Delhi 2002.
53 Trad. ingl. di Prasenjit R. Gupta: Guest for a day, in Indian Errant, cit., pp. 214- 235, consultabile anche su http://www.littlemag.com/vox/nirmal.html .
54 La traduzione italiana è di Alessandro Rupil: Quei giorni. Esperienze e valori nell’opera narrativa e saggistica di Nirmal Varma, Cafoscarina 1995. La traduzione inglese di questo romanzo è stata realizzata da Krishna Baldev Vaid: v. Nirmal Verma, Days of longing, Hind Pocket Books, Delhi 1972. Dello stesso autore è in preparazione anche la traduzione italiana del romanzo Lal tin ki chat (Il tetto di lamiera rossa)
55 (1880-1936) È il maggiore scrittore di narrativa hindi dell’inizio del XX secolo. Il romanzo Godan (trad. it.: Il dono della vacca, a cura di Mariola Offredi, CESVIET, Milano 1994), nel quale rappresenta la vita rurale, è considerato il suo capolavoro. Altre traduzioni: Premchand, Godan : le don d'une vache, trad fran. di Fernand Ouellet, l'Harmattan, Paris 2006; Godan: a novel of peasant India, trad. ingl. di Jai Ratan e P. Lal, Jaico Pub. House, Bombay 1987; Godan oder Das Opfer, trad. ted. di Irene Zahra, Manesse-Verl, Zürich 1979.
56 Per un’introduzione sull’autore e sui movimenti della poesia hindi del Novecento v. M. Offredi, Poeti hindi, Casta Diva, Roma 2000; due poesie tradotte in italiano da Giulietta Salemi Barberis e Donatella Dolcini in A Oriente! n. 10, cit., pp. 21 e 26-27.
57 (n. 1957) Mai [Madre] (Mai: A novel, trad. ingl. di Nita Kumar, Kali for Women, Delhi 1994) è il romanzo che ha fatto conoscere questa scrittrice sulla scena mondiale e le ha procurato fama internazionale.
58(n. 1937) In italiano: M. Offredi, La poesia di Vinod Kumar Shukl, Cesviet, Milano 1998. Altre opere tradotte: Vinod Kumar Shukla, The servant’s shirt, trad. ingl. di Satti Khanna, Penguin Books, New Delhi 1999; La chemise du domestique, trad. fran. di Nicole Balbir-de-Tugny, L’éclose éditions, Paris 2002.
59 Dalla raccolta Sab kuch hona bacha rahega, 1992: trad. it. di M Offredi in Poeti hindi, Casta Diva, Roma 2000, p. 104.
60 V. Pascale Casanova, La Republique mondiale des lettres, Editions du Seuil, Paris 1999.