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una continuità nella rottura: alentejo blue di monica ali

elisabetta marino

Alentejo Blue (2006), l’ultimo, atteso romanzo della scrittrice bangladese britannica Monica Ali, ad un primo sguardo sembra voler disorientare, quasi “tradire” le aspettative dei lettori, desiderosi di continuare a esplorare - sia pure attraverso il filtro protettivo della pagina scritta - la realtà asfittica, dalle tinte a un tempo fosche e sgargianti, di ‘Brick Lane’, la via lungo la quale si snoda la “banglatown” londinese che interpretava il duplice ruolo di sfondo e di protagonista del primo successo editoriale dell’autrice, proprio ad essa intitolato.
Ambientato nel villaggio immaginario di Mamarrosa, nella regione portoghese di Alentejo, il secondo romanzo abbandona infatti la nicchia etnica (della quale, peraltro, l’autrice non ha mai avuto esperienza diretta), per concentrarsi sui destini solo apparentemente incrociati degli abitanti del villaggio, di turisti improvvisati, di immigrati e migranti, le cui vite si sfiorano senza mai incontrarsi veramente, come sembra voler fare intuire anche la scelta di uno stile narrativo frammentario, che procede per flussi interrotti di coscienza, modellando tasselli che a stento si compongono.
Di fatto, Brick Lane e Alentejo Blue possono essere letti senza soluzione di continuità come due tappe successive di un percorso di riflessione sulle difficoltà sottese ai rapporti interculturali, sulla necessità di definire, problematizzare e ridefinire l’immagine di sé mediante quel confronto con l’”altro” dal quale spesso si fugge, un percorso che Monica Ali ha scelto di intraprendere personalmente con la scrittura, assumendosi inoltre una responsabilità gravosa, legata al suo ruolo di guida nei confronti dei lettori.
Attraverso gli occhi degli attori principali di un dramma d’esclusione, Chanu, Nazneen e Karim, Brick Lane ha offerto uno squarcio su quella comunità che il sociologo John Eade ha descritto nel suo isolamento come “incapsulata” nel suolo britannico, su tre vite differentemente sospese, radicate in un territorio fluttuante che si nutre di memoria, di aspirazioni, di sogni, rifiutando il contatto con una realtà dalla quale, a propria volta, si è spesso respinti. Chanu, l’immigrato bangladese che aveva affrontato il viaggio “al di là dei sette mari e dei tredici fiumi” mosso da un amore indotto nei confronti della cultura britannica e dalla speranza di un’esistenza migliore, vive della soddisfazione di poter inviare preziose rimesse in quella che ancora, a distanza di decenni dalla partenza, percepisce come la sua vera casa, il Bangladesh, dove tornerà sconfitto quando le mutate condizioni economiche renderanno la sua permanenza in Inghilterra improponibile. Nazneen, la sua giovane sposa bangladese, sembra aprirsi alla vita solo di notte, quando sogna gli affetti perduti e quella terra familiare che, di giorno, continua ad associare, a sovrapporre mentalmente al grigiore della sconosciuta “banglatown” londinese, nella speranza di ricreare un ambiente che le sia meno ostile, nel quale riesca a orientarsi. Sulle grida acute e inconsuete dei bambini per strada Nazneen proietta quindi il verso stridulo del pavone; il rumore assordante dei clacson le ricorda il canto del muezzin; attraversare la strada senza essere investiti da un macchina è come uscire di casa, nella stagione del monsone, e passeggiare riuscendo ad evitare gli scrosci di pioggia battente. Persino Karim, il figlio di immigrati nato e cresciuto a Londra che, nel dipanarsi della trama, diverrà l’amante di Nazneen, non fa che rappresentare un’ulteriore variazione sul tema dell’isolamento, della difficoltà nel ridefinire i parametri della propria individualità. Il suo abbracciare una improbabile “jihad” in qualche lontano paese di religione musulmana, del quale non condivide le radici, sembra costituire un tentativo estremo di ricomporre i frammenti di una identità dall’equilibrio già precario, identità che gli eventi drammatici dell’11 settembre 2001, abilmente ritratti nel romanzo, hanno definitivamente scosso.
Lo stesso dramma dell’esclusione, dell’isolamento, della paura di prediligere la logica della continuità a quella difensiva della rottura, viene messo in scena da Monica Ali nelle pagine di Alentejo Blue. Questa volta, tuttavia, l’autrice sembra mettere a fuoco le singole vicende con l’ausilio di lenti grandangolari, che le consentano di estendere lo sguardo al di là delle pareti invisibili ma spesse della nicchia etnica fino a coinvolgere tutti i personaggi, senza esclusione, indipendentemente dalle loro origini culturali, ognuno dei quali viene a trovarsi nella stessa posizione sbilanciata, eccentrica, sospesa in cui gli immigrati bangladesi erano stati ritratti in Brick Lane. Monica Ali sembra voler ingaggiare il lettore in un gioco delle parti che conduce al decentramento del proprio punto di vista, e che lo porta a indossare, nello spazio della lettura, gli abiti di quell’”altro” con il quale, nella solida realtà monoculturale di Brick Lane non si era, di fatto, veramente misurato. Ed ecco che l’autrice tratteggia l’immagine di Vasco il barista di Mamarrosa che, come Nazneen, legge la realtà circostante alla sola luce della sua esperienza negli Stati Uniti, senza la quale non riuscirebbe a comprendere quanto gli accade attorno. Simile a lui è la signora Ervanaria - la cui mente è ferma al tempo felice in cui abitava a Parigi – o la giovane Teresa, che immagina Londra, dove si trasferirà a breve per lavorare come ragazza alla pari, nello stesso modo in cui gli immigrati dal Bangladesh favoleggiavano il Regno Unito, come terra di delizie e di infinite possibilità. La mancanza di comunicazione si coglie perfettamente nel personaggio di Henry Stanton, scrittore inglese che, malgrado viva da tempo in Portogallo, non riesce a stabilire alcun rapporto con la comunità che lo circonda, manifesta una difficoltà quasi insormontabile nell’esprimersi, persino attraverso la pagina scritta, e riesce, al contrario, a legarsi in modo controverso e ambiguo solo con la famiglia Potts che, come lui, appare priva di territorio, estranea alla stessa cultura nella quale si era formata. Il gioco delle parti, cui si faceva cenno in precedenza, viene svelato apertamente da Monica Ali in una delle battute più drammatiche e significative del romanzo pronunciata da Mrs Potts che, accusata di omicidio per aver aiutato la figlia Ruby a disfarsi del bambino che stava aspettando in un Portogallo in cui l’aborto è illegale, deve ricorrere per esprimersi al suo secondogenito Jay che fungerà da interprete, ricoprendo così il ruolo che è sempre stato proprio dei figli degli immigrati che, nel loro bilinguismo, tentano di colmare la distanza tra le due culture:

[Il poliziotto] iniziò a parlare. Non gli stavo prestando grande attenzione, stavo pensando a quando si vedono i ragazzini asiatici che traducono per le loro mamme. Le mamme indossano un sari o una specie di ampio pigiama colorato, o qualche volta una cappa nera che le copre tutte, fatta eccezione per gli occhi, e non ti aspetti che capiscano molto di ciò che accade intorno. Stavo pensando che anch’io sono così, ora. Io sono il maledetto straniero. (204)

Resta da spiegare la ragione per cui Monica Ali abbia deciso di ambientare il suo secondo romanzo in Portogallo. Oltre alle motivazioni di carattere personale (l’autrice possiede una casa in Alentejo dove ha trascorso lunghi periodi della sua vita), il Portogallo, nel suo essere un antico impero coloniale e, al contempo, una delle regioni più povere dell’Unione Europea, sembra configurarsi come l’unione degli opposti, come il punto di coincidenza tra “centro” e “periferia”, nell’accezione attribuita da V.S. Naipaul ai due termini, come il luogo in cui le vicende drammatiche che la scrittrice aveva già raccontato in Brick Lane possono essere narrate una seconda volta, da un’altra prospettiva, poiché, come si legge nella chiusa del romanzo “c’è più di un modo di guardare una stessa storia” (299).

Monica Ali è nata a Dacca nel 1967 da madre britannica e padre bangladese. Ha lasciato l’allora Pakistan Orientale (ora Bangladesh) per stabilirsi a Manchester quando aveva tre anni, nel 1971, allo scoppio della guerra civile. Ha pubblicato due romanzi, Brick Lane (Black Swan, 2003) e Alentejo Blue (Doubleday, 2006).

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Anno 4, Numero 18
December 2007

 

 

 

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