El Ghibli - rivista online di letteratura della migrazione

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benvenuti in paradiso

hafiza nilofar khan

Dopo molte ore passate a sgobbare sulla dissertazione, Naz si concede una una breve pausa e apre Facebook. Scorre la homepage per controllare gli eventi del giorno. Niente: nessun nuovo messaggio, nessuna richiesta di amicizia, nessun compleanno imminente, nessun commento aggiunto alle foto. Tuttavia, quasi meccanicamente, clicca su “profilo” e fa scorrere subito la pagina fino in fondo per controllare il “wall”, la bacheca pubblica. Niente, anche lì nessun messaggio: l’ultimo è ancora la rosa inviatale due giorni prima. Naz non sa come reagire a quella rosa virtuale accompagnata da un criptico “Buon San Valentino!”. Tutte le volte che la guarda, prova una combinazione di felicità e disagio. Da un lato le fa piacere averla ricevuta, dall’altro non le va che le sia stata inviata come regalo pubblico. A suo modo di vedere, a trarne vantaggio e più il mittente di lei. Dopotutto, Chris è suo marito e vivono sotto lo stesso tetto, che bisogno ha di dimostrare così platealmente il suo amore per lei? Naz ha il sospetto che Chris, indirettamente, voglia far colpo sulle sue amiche in rete, mostrando loro di non essere soltanto un brillante intellettuale, ma anche un marito amorevole e premuroso. Certo non c’è ragione di disprezzare un regalo, per quanto virtuale. Naz, comunque, spera che quel giorno Chris si ricordi di portarle una rosa vera, o almeno un bigliettino con una o due righe scritte con il cuore. Poi le viene in mente il suo regalino per lui, che non ha ancora incartato, e torna subito alla homepage per disconnettersi.
Proprio quando sta per cliccare su “disconnetti”, vede comparire il nome di Chris in diversi punti della pagina. Sembra proprio che Mister Simpatia quel giorno si sia dato un gran daffare. La curiosità ha il sopravvento sulle migliori intenzioni. Invece di uscire dal programma, clicca sul nome di Chris e in un attimo si trova nella sua pagina. Si precipita con il cursore sul lato destro dello schermo, e scende fino in fondo, dove si trova la bacheca dei messaggi. L’ultimo ricevuto è di Mumtaz, la sua assistente alla East West University, e dice: “Buon San Valentino a te… Il mio ‘non so proprio cosa regalarti, caro’ mi ha fruttato un regalo ieri sera”. Questo spinge Naz ad andare nella pagina di Mumtaz per vedere il messaggio iniziale di Chris: “Buon San Valentino…Dì a tuo marito di comprarti qualcosa di carino!!... È a questo che servono i mariti… o almeno così mi dicono”. Che ipocrita! Naz è furibonda. L’uomo che quella mattina è uscito di corsa per andare al lavoro, senza nemmeno augurare alla moglie un buon San Valentino, dà consigli alle altre sulle responsabilità di un bravo marito! “Chiedigli che cosa ha regalato alla sua, di moglie, per questa festa!” digita Naz nella bacheca di Mumtaz, in preda all’agitazione, e torna nella pagina di Chris. Sono stati inseriti altri due messaggi da parte di sue ex-studentesse, le quali lo ringraziano per gli auguri di San Valentino che Chris deve aver inviato poco prima. A leggere quei messaggi, Naz si sente per un attimo come se stesse ficcando il naso nel privato di qualcuno, ma subito dopo tenta di giustificare la sua meschinità pensando ad alta voce: “Al diavolo, è un forum pubblico dopotutto. Quello che si scrive qui può essere letto da chiunque. E poi Chris è mio marito, avrò il diritto di controllare cosa scrive alle altre donne per San Valentino?”. Mentre sta ancora cercando di giustificare la sua curiosità, ha l’impressione che i volti delle ragazze nelle piccole icone assumano un ghigno sinistro. Nel tentativo di scandagliare i pensieri dietro a quei ghigni, Naz è trasportata in altri luoghi, in altri tempi…
Naz non è brava con le date, ma ricorda bene che anche allora era San Valentino. Quell’anno erano a Memphis. Chris aveva regalato una scatola di cioccolatini a forma di cuore a Maria, la sua professoressa, che era anche una mamma single nota per le numerose relazioni con studenti. Nonostante si frequentassero da poco, Naz si era opposta con tutte le forze a quel gesto amichevole da parte di Chris, arrivando a un’accesa discussione che aveva rovinato loro la giornata. E poi c’era stato quel San Valentino a Dacca, quando Chris le aveva raccontato di aver comprato una rosa rossa a un banchetto di fiori per strada e di averla portata a Nazneen, la futura moglie del sindaco. In un primo momento, l’impulso di Naz era stato di riderci sopra, ma in seguito aveva sollevato un gran polverone. Non che ci tenga molto a festeggiare San Valentino: a suo parere, è solamente una delle tante feste commerciali americane per far spendere soldi. Tuttavia, secondo la sua concezione sud-asiatica di quella festa, è l’amore romantico che si dovrebbe celebrare, e non la semplice amicizia. Non importavano tutte le spiegazioni di Chris sull’interpretazione che lui dava a quel giorno: per Naz il cuore, la rosa rossa e cupido con la freccia erano tutti simboli dell’amore romantico, per questo si sentiva così inquieta, amareggiata …
Mentre Naz fissa lo schermo con sguardo assente, rivivendo con la mente le esperienze negative legate a quel giorno, improvvisamente appare un altro messaggio nella bacheca di Chris. “Grazie x le foto Chris! Buon San Valentino anche a te!!”. E' Asma, un’altra studentessa di Chris originaria del Bangladesh. Asma è una di quelle universitarie nascoste dal burqa, che obbedientemente mostrano una facciata di supermodestia, ma che non esitano a mettersi in posa davanti a un obbiettivo ogni volta se ne presenti l’occasione. Chris deve aver aggiunto negli album di classe alcune delle numerose foto in cui lei appare. Quello che la fa più infuriare, però, è come quelle ragazze diano del tu a Chris. Quelle giovani bangladesi non portano più rispetto per i loro insegnanti! Naz è stupita dalla velocità del loro cosiddetto adeguarsi ai tempi. Per di più, Chris deve averle incoraggiate a liberarsi dalle inibizioni e a unirsi alle “donne emancipate” dell’America. E loro non avevano perso tempo a salire con lui su quel risciò, e si erano persino prese la libertà di chiamarlo nel cuore della notte per parlare dei loro problemi personali! Dopotutto, non era solo un professore e consigliere come tanti altri, era anche il loro amico bianco e liberale, e con lui si sarebbero aspettate di realizzare Dio solo sa quale versione del sogno americano? La rabbia di Naz aumenta man mano che legge e rilegge altri affettuosi scambi di auguri, che dimostrano sempre di più l’intraprendenza di suo marito e l’emozione delle ragazze. Accecata dalla rabbia, Naz invia a Chris un messaggio secco e offensivo, il cui contenuto è meglio non rivelare, nel rispetto della privacy di quei matrimoni che, si spera, dureranno ancora a lungo.
Comunque, poco dopo aver irrimediabilmente premuto “invio”, Naz si pente di quella reazione eccessiva a gesti del marito che – avrebbe voluto crederlo – sono di innocente amicizia. Alla fine decide di lasciar perdere Facebook e di concentrarsi sul suo lavoro. Ma un momento! Il suo messaggio è appena scomparso. Lo ha cancellato lui dalla bacheca! Naz non ci può credere. Quell’azione la riporta al precedente stato di confusione e sconforto, e per ripicca a quello che lei considera insensibilità del marito nei suoi riguardi, elimina l’ormai patetica rosa dalla sua bacheca.
Prima di proseguire con la storia, e rivelarvi come questa coppia ha poi affrontato la crisi dello scorso San Valentino, vorrei aggiungere che proprio l’altra notte hanno litigato di brutto per una questione di soldi, in un certo senso i responsabili delle lunghe ombre che oscurano il retroscena di questa vicenda. Già, quel mostro verde, causa della fine di molti matrimoni “normali”, è solo uno tra i tanti problemi che insorgono nei matrimoni misti. In realtà, è proprio a questo che sto cercando di arrivare. L’argomento del mio racconto non è né la mania per Facebook, né l’emancipazione delle ragazze nelle università private di Dacca, bensì i pro e i contro dei matrimoni misti, dal punto di vista di una moglie di origine asiatica. Poiché io stessa vivo l’esperienza di uno di questi matrimoni interculturali e poliglotti, per me è un argomento difficile da trattare. Ma a beneficio dei lettori come voi, cercherò di illustrarvi alcuni degli elementi di contrasto che mettono alla prova le coppie anomale come noi. Ora, non sono necessariamente i triangoli amorosi o l’infedeltà coniugale a far incrinare i matrimoni misti. Sono certe inezie, come il significato che si attribuisce a San Valentino, che potrebbero provocare enormi incomprensioni. D’altro canto, anche le questioni fondamentali, come il cambiamento del contesto culturale e le pressioni politico-economiche del nostro tempo, possono compromettere l’armonia della coppia, causando da entrambe le parti dolore e umiliazione indescrivibili. Ma prima di descrivervi episodi quotidiani, dove dislocazione e differenze di religione fanno spiacevolmente capolino nella vita di coppie davvero innamorate, permettetemi qualche digressione letteraria.
Prendiamo, per esempio, il caso di Shamman e Taylor nel romanzo The Crooked Line di Ismat Chughtai. La loro storia d’amore si svolge sullo sfondo dell’India negli ultimi giorni del dominio colonialista. Taylor è un giornalista irlandese corrispondente da Bankipur. Shamman è un’insegnante sincera e politicamente schierata. Amano entrambi le conversazioni brillanti e il cibo piccante. Dopo un paio di incontri, sono attratti dalle loro diversità, e decidono di sposarsi. Presto, però, gli sguardi torvi degli astanti, indiani da una parte e inglesi dall’altra, mettono i due a disagio. Si sentono come se avessero tradito i rispettivi popoli, alleandosi, in un certo senso, con il nemico. Con l’aumentare delle tensioni tra le due razze in conflitto, cominciano i bisticci e le discussioni anche tra loro. Il caldo indiano snerva Taylor, il quale diventa sempre più intollerante nei confronti della moglie. Alla fine decide di partire per la guerra. Intesta la proprietà a Shamman, ma non fa in tempo a sapere del bambino che lei aspetta. Shamman è sconcertata da quella vile fuga del marito, e rimane da sola ad affrontare la rovente situazione politica del paese.
Dopo l’undici settembre, la mia esperienza a Dacca con un marito bianco era paragonabile, in un certo modo, a quella di Shamman. Quando i mussulmani in America cominciarono a essere continuamente sospettati e tormentati senza motivo, e i soldati americani cominciarono a bombardare sempre di più i luoghi sacri dell’Iraq, anche i bianchi che vivevano in Bangladesh subirono ritorsioni. Camminando per le vie di Dacca, spesso cercavamo di fare orecchi da mercante agli insulti che la gente ci rivolgeva. Persino alcuni amici e parenti lasciavano a intendere che, in quanto mussulmana, avevo già disonorato la mia religione sposando un non-mussulmano, figurarsi un americano. Nonostante mio marito facesse del suo meglio per apparire imperturbabile, potevo avvertire la sua protesta silenziosa, e il desiderio di reagire alle critiche quando passeggiava in pantaloncini per la strada della moschea, soprattutto il venerdì, durante la preghiera dello Jumuah. Lo seguivo in silenzio, appoggiando la sua libertà di vestire come volesse, ma dentro di me pregavo affinché non incontrassimo nessun conoscente. Un’altra volta eravamo in comune per il certificato di nascita di nostra figlia, quando mi trovai a dover riempire lo spazio riguardante la religione del padre. Dato che mio marito indossava un kurta pajama1e aveva la barba lunga, speravo in qualche modo che lo avrebbero scambiato per un mediorientale, lasciandomi compilare il modulo senza problemi. Ma quando si accorsero che era americano, gli chiesero della sua religione. Io volevo sbrigare tutte le formalità al più presto e andarmene da quel posto, invece mio marito scelse proprio quel momento per tirare fuori il suo peggior sarcasmo. Decise di sbalordire la gente con commenti astrusi sulle sue convinzioni religiose. Prima disse di essere ateo, subito dopo cambiò versione e disse di essere pagano. Quando il tipo allo sportello mi guardò con occhi sgranati, come a chiedere dove avessi preso quello svitato, mio marito decise che sarebbe stato un buddista Zen! Ero furiosa con lui. Ma il giorno all’ufficio per il rilascio dei passaporti, quando il funzionario cominciò a chiederci chi portasse a casa la pagnotta – poiché è così che determinano i diritti coniugali – rispettai la calma di mio marito. Mi lasciò affrontare l’uomo sul mio terreno e con i miei argomenti. Dichiarai che ero stata io a sposare lui, e che a casa ero io a portare i pantaloni. Non importava quanto protestassi o giustificassi la mia scelta di sposare uno “straniero”, il motivo per cui dovevo comportarmi così mi logorava. Come un senso di colpa misto a una rabbia indicibile mi assaliva tutte le volte che gli sguardi velenosi negli uffici governativi, in comune o alle feste private ci scrutavano da capo a piedi, come se fossimo dei mostri che avevano commesso qualche crimine, ma stessimo cercando indulgenza in nome del coraggio e della passione. Questo tipo di assurdo esame pubblico irritava anche mio marito, e spargeva zizzania nella nostra vita coniugale, che ne risentiva nei momenti di maggiore debolezza.
E poi c’erano quei poveri bangladesi, che adoravano mio marito come se fosse Dio in persona sceso nella mia terra, e lo seguivano chiamandolo “bondhu” ovvero “capo”. Questa gente, a sua volta, diventava un pomo della discordia tra noi due. Non che io sia una persona insensibile, ma vedere mio marito sganciare loro cinquanta o cento taka, non mi rendeva felice, anzi, mi faceva sentire come Shamman quando Taylor dava mance eccessive ai tassisti indiani. “Questo è il sistema per tenere il Paese in pugno” aveva sottolineato Shamman. Anch’io vedevo nei gesti di ostentata generosità di mio marito nei confronti di domestici e mendicanti il tentativo di comprarsi le loro anime. Apprezzavo la sua premura per queste persone, semplicemente non approvavo i suoi metodi. Sicuramente questo generava una tensione forte e indesiderata in entrambi.
E ancora come Shamman, anch’io odiavo quei nativi di ceto elevato, che si esaltavano alla minima attenzione da parte di un bianco. Questa gente tirava fuori l’istinto da padrone in mio marito, lo stesso che Shamman aveva scoperto in Taylor, e che la fece sbottare: “Ma non lo sanno che l’inglese socializza con loro solo perché, così, può ritornare in patria e sorprendere la gente raccontando di aver osservato e studiato gli indostani da vicino, e che non solo non lo hanno morso, ma la sua pelle candida non è stata insudiciata dal loro colore marrone scuro. Ed ecco a voi le scimmie selvagge che gli inglesi hanno civilizzato”. In effetti, i miei studi in teoria e letteratura postcoloniale spesso viziavano la mia prospettiva, portandomi a sfogare grossolanamente su mio marito la rabbia verso i coloni inglesi e gli imperialisti americani in generale. Comunque, lasciatemelo dire, non è che la sua sindrome da “Fardello dell’Uomo Bianco”2aiutasse molto!
Prendiamo ora in considerazione un’altra storia con un matrimonio misto, guastato da fattori esterni che la coppia non è stata in grado di controllare. Sto pensando al romanzo Manhattan Music di Meena Alexander. Qui i protagonisti sono Sandhya e Stephen, i quali si incontrano in India e s’innamorano. Stephen è un marito dolce e gentile. È convinto che in America riuscirà a rendere Sandhya davvero felice, ma il peso di una vita in diaspora si rivela troppo difficile per lui. Quando lei viene avvicinata da una banda di skinhead di Manhattan, che odia la sua pelle scura e la chiama con il dispregiativo “paki”, Sandhya è a pezzi. Sa che portare un cognome americano non è un talismano contro la vita di alienazione a cui è destinata per via della sua pelle scura. Ma non importa quanto ci provi, sente di non poter confidare a Stephen il dolore per il cambiamento, perché lui è americano. Ha una tale nostalgia di casa che viene attratta da Rasheed, un esule arabo, con il quale può condividere meglio il dolore per il distacco. Si porta dietro anche un senso di colpa per aver abbandonato i genitori malati, il suo Paese e la sua cultura. Come “libagione al dio della colpa”, Sandhya compra ogni sorta di cose tipiche americane da regalare alla sua gente quando torna a casa, ma, in realtà, niente di tutto quello allevia la sua sensazione di essere una paria. Alla fine si toglie la vita, lasciando una figlia di cinque anni e un marito completamente sconcertato.
Ora che sono ritornata in America, l’incongruenza di spiccare come un pollice nero dolente mi colpisce come aveva colpito Sandhya. Nonostante la mia carta verde o l’eventuale cittadinanza futura, nonostante i titoli accademici, il colore della mia pelle determinerà sempre in anticipo il trattamento che dovrò ricevere dalla gente di qui. E nonostante i miei sogni americani, molti dei quali ho già realizzato, mi sentirò sempre alla deriva, avrò sempre nostalgia dei suoni, degli odori e dei sapori del Bengala. Come Sandyha, sopporterò in silenzio gli strappi emozionali provocati dalla scelta del mio compagno di vita. In effetti, porto anche il peso di essermi lasciata alle spalle due figli dal precedente matrimonio. Spesso ho l’impressione di aver barattato una parte preziosa della mia maternità per far sopravvivere la donna che è in me, e che voleva amare con la passione di un milione di Zulaikha, Laila e Heer3Ho pagato il prezzo di una tale audacia, e continuerò a pagarlo ancora a lungo.
A proposito di sacrifici e punizioni destinati a “peccatrici” come noi, mi torna in mente un altro personaggio della letteratura che osò valicare per amore la soglia proibita, e che dovette pagare care quelle trasgressioni. Mi riferisco a Tilo, la protagonista del romanzo La Maga delle Spezie di Chitra Banerjee Divakaruni. Quando Tilo decide di prendere Raven come suo compagno, non solo deve rinunciare ai suoi poteri magici con le spezie, ma perde anche l’amicizia delle sorelle maghe e il benestare della Prima Madre. Tuttavia, quando Tilo si compiange esclamando “Io, che ora posso contare solo su me stessa”, non vedo debolezza nella sua ricerca di protezione tra le braccia di un amante bianco, vedo piuttosto la forza di Jasmine nel romanzo eponimo di Barati Mukherjee, dove la protagonista ebbe il coraggio di ribellarsi al suo destino e di stravolgere le stelle. Sono una combattiva, ma la metamorfosi da dolore e tragedia a rinnovamento e speranza non comprende cambi di nome e identità per adattarmi alla vita e all’ambiente nuovi. Non mi piace, infatti, il modo in cui Tilo si è adattata alla nuova identità da Maya, o come Jasmine sia diventata Jane e poi Jase. Per quanto mi riguarda, ho caparbiamente mantenuto il mio nome da ragazza, e quando firmo aggiungo addirittura il cognome del mio ex-marito. A volte questo mi priva delle agevolazioni che riceverei automaticamente scrivendo Signora White, o del legame che proverei verso il cognome di mia figlia, ma questa è la mia idea di spazio vitale nel matrimonio, a cui mio marito tiene molto. Ora non solo ho spazio, ma anche molto tempo per me stessa. Non devo aspettare che mio marito rientri, non devo cucinare o lavare per lui, come dovrebbero fare le brave casalinghe. Con questo, però, non intendo che il mio matrimonio americano sarà sempre rose e fiori. Per esempio, ora non posso pretendere di avere la mia dote o di essere mantenuta, o di tenere separate le mie proprietà, come invece è legalmente permesso alle mogli mussulmane. Tuttavia, la garanzia legale non sempre assicura questi diritti nella realtà, ma in quanto mussulmana so che mi spetterebbero. Come moglie americana, legalmente ho altri diritti, non c’è dubbio, ma, anche qui, per goderne effettivamente, servono soldi e potere. Inoltre, in questo paese, realizzarmi professionalmente non è più una scelta, bensì una necessità assoluta. A volte, quando mia figlia di cinque anni rifiuta i maccheroni al formaggio per cena e mi chiede il birmani, o mi tira per il braccio dicendo “khopa me”, ovvero “pettinami”, per poter avere uno chignon in testa come Karina Kapoor4 proprio mentre mi trovo con centinaia di altri impegni da rispettare, allora sento che per poter vivere in questo sistema dovrei diventare un robot multifunzione. Ma non posso lamentarmi delle agevolazioni che invece riceverei nel mio paese, perché mio marito è lì, pronto a rammentarmi che non posso avere il meglio di entrambi i mondi.
Certo, la mia ricerca della felicità nel matrimonio non era mai stata una bizzarra utopia. Come Tilo, tutto quello che desidero è un paradiso terrestre in mezzo a polvere, rovine e carne bruciata. E ancora come Tilo, voglio chiedere al mio americano: capisci l’importanza dei miei sacrifici? Condividiamo lo stesso sogno? E come lei, vorrei dirgli: “Mi hai amato per il colore della mia pelle, per il mio accento, per le mie usanze pittoresche, perché ti promettevano quella magia che non trovavi più nelle donne della tua terra. Con la tua smania mi hai trasformato in qualcuno che non sono”. Tilo non incolpava il suo amante per quello, perché a sua volta aveva fatto lo stesso con lui. Anch’io mi ero creata un’immagine di mio marito che non gli corrispondeva nella realtà. Ma ora entrambi speriamo di recuperare il tempo perduto, semplicemente essendo noi stessi.
Allora, devo ancora raccontarvi com’è finita la lite di San Valentino tra Naz e Chris? Pensate che Chris abbia comprato un mazzo di rose e una bottiglia di vino, e abbia fatto pace con un bacio e un abbraccio? O pensate invece che si sia infastidito a tal punto da spegnere il telefonino, entrare nel primo bar e bere fino a tardi? E ancora, cosa pensate abbia fatto Naz? Che si sia scusata per il messaggio offensivo e abbia preparato una cenetta a lume di candela per suo marito? Oppure che si sia chiusa a chiave nella camera degli ospiti e abbia pianto fino ad addormentarsi? Forse non hanno fatto nulla di tutto questo. Se volete sapere cos’è veramente successo quel giorno, scrivete ad ameriman@yahoo.com.

1Indumento composto da camicia e pantaloni indossato dalla maggioranza degli uomini indiani mussulmani. Da questo deriva il nostro comodo abbigliamento notturno: il pigiama, appunto. [N.d.T.]
2Riferimento alla celebre poesia The White Man's Burden (il fardello dell’uomo bianco, appunto) di Rudyard Kipling. [N.d.T.]
3Sono le protagoniste di storie d’amore celebri nella cultura islamica e punjabi: Yusuf e Zulaikha, Laila e Majnun, Heer Ranjha.
4Attrice di Bollywood.

traduzione di Elisa Romano

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Anno 4, Numero 18
December 2007

 

 

 

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