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I
“Ci sono tante vie nell’amore,”
dice il professore con una voglia
che gli copre mezza faccia.
Quando cammina da una parte
è quasi un bell’uomo,
quando si gira a sinistra
la rossa cicatrice si espone
ed è un mostro che ci fa lezione.
“Nel dopoguerra ho lavorato in un reparto chiuso
per reduci: c’era un ometto –
nevrosi traumatica, agitato, gay – che si era preso una brutta cotta
per un omone catatonico, cercava un modo
per attirarne l’attenzione. Un giorno cominciò
a sedersi accanto a lui durante i pasti e a fargli sgocciolare
il latte sulla coscia. Be’, ci ha provato,
ma il catatonico non ha capito il simbolismo.”
A lezione mi guardo intorno.
Sono l’unica a non ridere.
Il professore cammina avanti e indietro.
II
C’erano giorni in cui lei stava a letto
a immaginarsi qualche grave malattia – qualcosa
per farlo sentire in colpa,
per farlo accorrere al suo capezzale. Allora
avrebbe capito quanto...
Ma a quel punto perfino lei
non riusciva a portare avanti il sogno:
non era un uomo comune,
non avrebbe mai seguito
un copione comune. “O
dolce amore mio, è per questo
che sono alla tua mercè,
perché non hai fatto una piega
neppure davanti alle mie tattiche più estreme.”
III
Certi giorni prima di vedersi
lui si svegliava da un sogno
in cui era stato spalmato di miele
e non riusciva a liberarsi dalle mosche.
Per ore dopo si ritrovava ancora
a scacciare via insetti immaginari.
Ma lui le doveva, diceva lui, almeno l’opportunità
di dirgli ciò che aveva nel cuore.
In fondo, lei aveva architettato
tutto per lui, l’appartamento di lusso,
il lavoro stupendo che aveva sempre sognato,
l’opportunità di realizzarsi.
E l’unica cosa che sembrava chiedere in cambio
ora che lui si mostrava insensibile alle carezze,
era la sua conversazione.
Perché fosse così affamata della sua presenza
rimaneva un mistero – Cara mia – gli veniva da gridare
– è finita. Non puoi darti pace?
IV
Una notte, dico, lo scoprirò da dove
sale questo conflitto. Lo lascerò camminare
fin dove vuole arrivare, vedere il divario
tra i legami accettati e quelli tormentati.
Il mio cuore è preso come un detenuto evaso.
Vengo riportata, a testa bassa, verso il decoro.
V
“Sei sicura,”
mormora lei nell’aria della sera
“Che non ho possibilità?”
E io – in cucina,
bianca di farina e di vita domestica –
mi fermo a contemplare la sua somiglianza
prima di scuotere la testa
VI
Quanti strade
ci sono, chiedi,
tu, la tartaruga che cerca sempre
di avanzare anche quando la strada è bloccata
da sassi pesanti. Ogni donna
che hai amato avrebbe potuto darti gioia
se avessi saputo voltarti da quei sassi.
A volte solo la pressione
della testa contro di loro
le faceva camminare
come animali in gabbia
avanti e indietro.
VII
Tu, monocolo,
mi guardi sempre
in obliquo,
mi rivolti da una parte e dall’altra,
per esaminare tutto.
Siamo nel letto coniugale a disegni,
strillando in unanimità cacofonica.
È una morte e un inizio di vita,
e poi ti sciogli dall’abbraccio,
chiamando il nome
del mio dio.