Nota biografica | Versione lettura |
Nella nebbia lattea tra sogno e risveglio le fu chiarissima la differenza tra la procellaria delle tempeste di neve (Pagodroma nivea) e la procellaria artica (Fulmarus glacialoides). La prima aveva addirittura posato il piccolo esemplare di merluzzo che portava nel becco per spiegarle che cosa distingueva nel concreto l’una dall’altra e che cosa le univa.
“Procellaria” è il nome comune di parecchie specie di uccelli procellariformi, appartenenti alle famiglie degli idrobatidi e dei procellaridi, così chiamati per la capacità di resistere ai venti delle tempeste di cui sono anche annunciatori. Sapeva che nidificano sulla terraferma in un rozzo nido che le prime costruiscono su un’altura fuori dal ghiaccio o dalla neve, le seconde in modo meno esposto tra le pietre o in una cavità del suolo.
L’uomo che era sdraiato accanto a lei non era interessato ai dettagli, veramente non era interessato per niente all’argomento, nemmeno a qualche nozione di base.
Quell’ indifferenza una volta l’aveva fatta soffrire, ora ne constatò l’inizio di una certa reciprocità, ma era un sentimento marginale su cui non poteva indagare. Aveva visto un mondo nuovo con contorni nitidi e superfici che facevano riposare gli occhi e conosciuto i primi dei suoi abitanti.
E mentre la mancanza di interesse da parte di lui si estese a larghi cerchi concentrici, la passione di lei per le creature del grande freddo crebbe. Si rimise i pigiami invernali, nonostante mancassero pochi giorni all’inizio ufficiale della stagione estiva. Tirò fuori dalla soffitta le tute imbottite, quelle che usavano per stare in casa durante la settimana bianca.
Cominciò a guardare i binocoli nelle vetrine dei negozi di ottica e si addormentava sugli articoli di birdwatching. Si re-iscrisse al WWF, per qualche anno era stata troppo distratta o forse depressa e non aveva pagato la quota, nonostante i ripetuti inviti e invii di bollettino. Aveva avuto l’e-mail di qualcuno all’interno dell’organizzazione che era un esperto di ornitologia artica. Gli mandava osservazioni, impressioni, domande sempre più specifiche e controllava la posta più volte al giorno. Poi fu il momento del grande acquisto, spese tutto uno stipendio per un binocolo a raggi infrarossi.
Andava a letto presto la sera, e si preparò ogni volta come per una spedizione: un pigiama imbottito su un altro di flanella, manuali di ornitologia delle zone artiche e il binocolo sul comodino. Comprò un piumino, ma prima di decidere, fece in modo di aprire un po’ le fodere - mentre si provava diversi capi - per controllare il tipo di imbottitura. Dormì con la finestra spalancata. Lui era assente, distratto, ma si sforzava a sembrare disponibile. Fece pochi commenti sugli accessori indispensabili a sua moglie per andare a coricarsi, e soltanto perchè pensava che lei se lo aspettasse.
Passarono l’autunno e l’inverno.
In primavera cominciò a scrutare il cielo anche da sveglia, seguiva con lo sguardo il volo dei primi uccelli migratori verso nord. Non erano procellarie, naturalmente, loro non si spostavano dal proprio ambiente, ma lei sentiva comunque un legame di parentela, un coinvolgimento più che vago. Una sera preparò il sacco a pelo e salì sul tetto. Da quella notte non dormì più nel letto coniugale. Non provò a volare, non era impazzita come sospettò qualche vicino. Non pensò affatto di avere le ali al posto delle braccia. Si era soltanto innamorata del freddo, del vento ghiaccio che la faceva rabbrividire e sentire viva. Quei venti delle tempeste le procuravano una sensazione di calore, un senso di benessere come una volta lo aveva fatto soltanto la pelle calda e nuda di un altro essere umano accanto a lei. E poi si era fatta delle amicizie. Amicizie con creature che amavano il vento e le tempeste come lei, da sempre, e li sapevano condividere …
Quando il cielo diventò quasi nero dal passare di stormi d’uccelli, lei preparò le valigie. Non pronunciò la parola “separazione” o addirittura “divorzio”. No, questi erano concetti che facevano parte di un’altra vita, lei voleva soltanto trasferirsi un po’ più a nord.
E forse, nella primavera seguente, un altro po’.