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un sabato sera da dimenticare

martina d'amore greta casali

Evviva! Finalmente è arrivato il week-end! Non ne potevo proprio più della scuola! Poi stasera vado in discoteca con le mie amiche; mi divertirò un mondo!
Ci voleva veramente una pausa. Studiare tutte le ore del pomeriggio non è mica facile!
Ore undici e trenta, non so ancora cosa mettermi. AIUTO!!
Alle dodici e cinque finalmente scelgo e metto una mini-mini blu con una canotta scollata che s’intona perfettamente ai miei occhi azzurri; non mi sono mai vestita così prima d’ora, ma devo ammettere che questa mise non mi sta tanto male.
Ore dodici e quindici, bussano, in ritardo, le mie amiche.
Era proprio ora che venisse il week-end!
< Finalmente siete qui! Siete veramente carine, sono sicura che farete colpo>.
In realtà non sono un granché. A Giorgia esce il lardo da quel microscopico top giallo che si è messa, e, per quanto spavalda sia, non credo che i tipi faranno la fila per provarci con lei.
L’altra, Tania, ha delle cosce che sembrano dei prosciuttoni, sotto quell’orrenda gonna bianca trasparente. E a lei neanche il carattere aiuta, ha l’abitudine di giudicare credendosi una first lady.
Beh, francamente, io sono quella più…più…più insomma!
Io sono abbronzata, magra, alta, mora, e sono la persona più simpatica e sincera che ci sia!
Comunque al Cocoricò ci porta un amico di Tania, un certo Daniel. Mah!
Mia madre non vede l’ora che mi tolga dalle scatole perché sono disordinata, sozza e non faccio altro che discutere con lei (questo perché comincia lei!). Però la mia vecchia non sa che vado in disco, pensa che io sia a casa di quella santarellina di Agata a studiare algebra. Ceeeeerto! Se soltanto lo scoprisse…rimarrei segregata in casa per almeno venti anni!
Comunque, l’amico di Tania pare voglia diventare qualcosa di più che un amico, dato che è venuto a prenderci con la sua meravigliosa BMW decappottabile.
Penso ai meravigliosi sedili in pelle della BMW e poi alle chiappone di quelle due. Che rabbia!
Stiamo correndo sulla statale ai centotrento all’ora con la musica a tutto volume mentre sfrecciamo tra i campi.
< Attento al semaforo! È rosso da un pezzo! Sei già ubriaco prima di arrivare?>
< Ma no, figurati.> replica lui
< E tutti questi mini Bacardi vuoti? Non li abbiamo mica bevuti noi!>.
Finalmente, dopo interminabili e idioti discorsi da bambini deficienti, tipo :“E’ più buona la pizza o il panino al salame?”, atterriamo nel magnifico mondo della DISCOTECA!
È la mia prima volta, e sono alquanto eccitata!
Comunque è un posto veramente stupendo. È pieno di ragazzi strafichi, sarà la notte più bella della mia vita.
La sala è stupenda, ci sono cubi che riflettono le luci abbaglianti e intermittenti coloratissime, e quante bibite sul bancone, tutti alcolici: birra, vodka, bacardi, gin, kaipirina, mojito, whisky…
Ne conseguono gli effetti: gente ubriaca che barcolla ovunque di qua e di là.
Sono esausta, ma con queste luci abbaglianti, con questa musica, con i miei amici, e con tutti quei “figoni”, come ci si può fermare? Poi io sono la più bella e sono circondata dai più carini della scuola, quindi sarebbe una cosa da sceme smettere di ballare, no?
C’è un tipo che da un bel po’ di tempo mi osserva con occhi spalancati. Non è male, ma non mi metterei mai con uno così, con quella camicetta rosa e quell’eccentrico cravattino di Dolce & Gabbana. Non fa per me. Poi avrà almeno venticinque anni, non è proprio il mio tipo.
Lui mi fissa da un pezzo, strizza l’occhio e beve birra. Ne beve in continuazione, non mi meraviglierei se fosse ubriaco fradicio.
Inizia a girarmi la testa. Sarà l’euforia…Continua a rimbombarmi nelle orecchie la musica, a volume esagerato, e mi si continuano a riflettere negli occhi le abbaglianti luci colorate. Così mi alzo dalla poltroncina pelosa zebrata per andare in bagno.
Mi volto, e lui non è più lì seduto a bere.
Dove è finito?
Sento come dei passi dietro di me, e un’irrespirabile puzza di alcool. Non sarà mica lui?
Sono un po’, anzi, molto spaventata all’idea che lui mi abbia seguita. Ma perché mi dovrebbe seguire?
Cosa gli ho fatto? E poi, cosa può volere da me? Non è che mi ha scambiato per uno spacciatore? E se poi pensa che lo sono e non gli voglio dare la roba e dà in escandescenza?
Non so proprio come fare, e allora proseguo dritta facendo finta di essere serena.
Orribili pensieri e orribili secondi passano prima che io mi giri. È proprio lui!
Beh, di sicuro non vuole farmi niente di male. Cerco di convincermi di questo.
Devo mantenere la calma, così gli chiedo con un certo distacco:
< Hai bisogno di qualcosa?> Lui mi guarda, da cinque passi di distanza, e mi fa segno di avvicinarmi. Cosa devo fare?
Forse da vera imbecille, ma mi avvicino, e lui continua a fissarmi con un’espressione minacciosa e ostile negli occhi, che non avevo mai visto prima.
< Che aspetti?>, mi chiede con tono brusco.
< Come, cosa aspetto?>, mormoro esitante e già un po’ spaventata.
< Dai, una cosa veloce, lo so che anche tu lo vuoi e bona. Non mi fare incazzare!>.
Sì, è proprio ubriaco…
Poi barcollante e debole, sotto l’effetto dell’alcool, si accascia a terra a vomitare, così io me la squaglio.
Le mie amiche sono ancora in pista, mezze fatte di alcool e paste, che ballano e si baciano con tipi che neanche conoscono.
Vado fuori a prendere un po’ d’aria e dimenticare quel “piccolo incidente”.
Me la sono proprio vista brutta, l’ho scampata per un pelo, non posso e non voglio immaginare cosa sarebbe successo se lui non avesse perso tempo a vomitare.
< Tump!>. Qualcuno mi sbatte contro una macchina, e da quell’inconfondibile camicetta rosa di seta capisco. È ancora lui, ma così arrabbiato per prima che non mi dà il tempo di reagire.
< Adesso bimba non rompi e alzi la gonna, chiaro? Se no lo faccio io>.
Oddio lo sapevo, non dovevo venire qui, non oggi, no, no!
Il tempo passa eterno, provo solo dolore, umiliazione, disprezzo, schifo, odio, paura, rabbia, vergogna…
Non vedo l’ora che arrivi qualcuno, e urlo, ma nessuno sembra sentire, nessuno sembra vedere, nessuno arriva.
Abbandonata a me stessa rimango lì, tra le mani e le gambe della bestia che continua ad ansimarmi addosso col suo fiato nauseante; cerco invano di scalciarlo via, lo mordo, affondo denti e unghie nella sua pelle per fargli male, ma lui è più forte di me, è un animale, e continua…
Finalmente, dopo interminabili minuti giunge un’auto e ci illumina con i fari. Il porco corre via ancora con i pantaloni abbassati, si nasconde, mentre io, disgustata e dolorante, disperata, resto lì sola, immobile a fissare il cielo senza stelle, con gli occhi annebbiati dalle lacrime.
L’autista della Porsche scende dall’auto e mi chiede:
< Come va? Vuoi che chiami la polizia?> Non so cosa rispondere, ma vengo sopraffatta dalla paura e gli rispondo:
< No, non importa>. Così eccomi, io e il mio segreto, sul divano sbiadito della mia casa, le lacrime agli occhi, attenta a nascondere ai miei la terribile verità.
Racconto tutto alle mie amiche che, troppo preoccupate, mi convincono a denunciare la violenza alla polizia.
Così mi accompagnano al vicino commissariato.
Mi accoglie un’agente paffuta con un’aria da mamma che subito mi porta in una stanza, dove devo rivivere quell’orribile notte. Gli indizi per trovarlo sono pochi, ma la camicia, il nasone, e quei baffetti alla Hitler…mi assicurano, basteranno.
Non mi sono mai vergognata così tanto in vita mia.
Dopo una settimana gli agenti mi chiamano e mi dicono di aver trovato l’uomo. Devo identificarlo. Adesso ho paura per il processo.
Non voglio rivederlo!
Se al commissariato mi ero vergognata, in tribunale almeno diecimila volte di più, davanti a tutte quelle persone…
All’entrata lo vedo, e lui con un sorrisetto di sfida mi apostrofa sotto i denti, beffardo,
< Io colpevole, ma di cosa? Lo hai voluto anche tu.> L’interrogatorio del suo avvocato è tagliente come una lama affilata che per ogni domanda mi penetra nella carne provocandomi lancinanti fitte di dolore.
< Com’eri vestita? Di certo non in jeans e t-shirt..>, e < Non mi risulta tu fossi contraria…>, e ancora, < Come ha fatto?>… < Perché non hai urlato>…
Non fanno altro che attaccarmi e l’angoscia mi impedisce di difendermi, le parole stentano a farsi largo tra i ricordi dolorosi.
Dopo qualche ora di camera di consiglio tra i giudici, il verdetto è chiaro: ASSOLTO.
Motivazione: la ragazza lo ha provocato con il suo comportamento ed era consenziente all’atto sessuale.
Ma come? E le mie ferite? E i lividi che ancora mi porto addosso? Non sono una prova che la violenza c’è stata?

Già! I giudici, gli avvocati! Tutti uomini.


Scuola Media "Volta", classe 3°C
Bologna

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Anno 4, Numero 16
June 2007

 

 

 

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