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questioni di razza

filippo rossi giacomo rubbini

Era una calda giornata d’estate e Francesco, seduto sul letto alla luce soffusa tipica dei tramonti estivi, guardava fisso nel vuoto ripensando alle parole dei suoi genitori: ”Fatti gli affari tuoi, per diventare qualcuno devi fare come i romani: “ mors tua vita mea!”.
Ricordava ancora quella maledetta partita.
Al Palamalaguti le giovanili Virtus e Fortitudo disputavano la finale di campionato per il primo posto. Le famiglie dei ragazzi erano accalcate sugli spalti del palazzetto.
Con un risultato di 51 a 41 la Virtus sembrava avere già la vittoria in pugno e Shang-Li stava per tirare due liberi.
Era un giocatore esperto della Virtus, originario del Vietnam del Sud. I suoi genitori erano emigrati in Italia dopo la fine della guerra, all’inizio degli anni Ottanta, prima che lui nascesse. Gli altri tre suoi fratelli erano morti durante la guerra. Adesso, la famiglia gestiva un ristorante vietnamita nel centro di Bologna.
Uno dei motivi del loro esodo era che era impossibile trovare lavoro come mondino, operaio o agricoltore. Inoltre, non sopportavano di vedere ogni giorno i segni del conflitto che aveva ucciso i loro figli.
Shang-Li è un ragazzo molto atletico e che riesce bene anche nello studio, però ha pochi amici a causa della sua spacconaggine.
E’ un astro nascente del basket e in futuro diventerà un giocatore professionista.
Mise nel cesto sia il primo sia il secondo tiro.
“Cinese di merda! Non dovevi metterlo!”. Dagli spalti più alti del palazzetto partì una raffica d’insulti da parte delle famiglie della tifoseria fortitudina.
Mojamed, anche lui giocatore delle V nere, non era male.
Era emigrato da Tunisi cinque anni prima, assieme ai suoi genitori, che sognavano per lui un futuro migliore di quello cui era destinato se fossero rimasti a costruire baracche in mezzo al fango. La città era ormai piena di delinquenti, e per un muratore così giovane il crimine sarebbe stato una forte tentazione…
Ora vive alla Bolognina, in una casa piccola ma adatta a loro tre. Non parla molto bene l’italiano, e per questo tutti lo prendono in giro, ma è molto alto e muscoloso, quindi nessuno ci va giù troppo pesante.
I suoi genitori affermano che è un cestista nato.
La partita riprese.
Il marcatore di Mojamed gli stava addosso con foga, senza lasciargli un attimo di tregua, ma non appena abbassò la guardia il suo uomo prese la palla e fece canestro.
“Tunisino del cazzo…”, sibilò il marcatore. Mojamed fece finta di non aver sentito, ma ne restò profondamente turbato.
Perché era disprezzato in questa società? Era troppo bravo? O forse era solo per una cultura difficile da capire in quel nuovo mondo che era l’Italia?
Allo scadere del tempo il risultato finale era di 62 a 42 per la Virtus.
Dopo un breve festeggiamento a bordocampo i giocatori, vincitori e vinti, si strinsero la mano. Come si usa dopo le gare sportive.
“Perché gli spogliatoi erano affiancati?”, si chiese Francesco.
Se solo fossero stati più lontani, nessuno avrebbe mai pensato di litigare con l’altra squadra, e non sarebbe successo nulla.
Per lui quello che era successo era stato un bene o un male?
Non era un razzista come i suoi compagni, e pur essendo uno dei migliori elementi della Fortitudo, non era più tanto fiero di portare quella divisa biancoblu.
Nel dopopartita ci fu un violento litigio tra le due squadre sulla correttezza dell’incontro.
Le aquile erano accusate di compiere troppi falli violenti, mentre sembrava che la Virtus avesse avuto i favori degli arbitri.
Dopo che tutti furono usciti, Mojamed e Shang-Li si trattennero negli spogliatoi un po’ più a lungo per chiacchierare.
All’improvviso due bianchi con dei passamontagna fecero irruzione nello spogliatoio. Avevano in mano delle spranghe e si avventarono sui due.
“Crepa negro!”, urlò uno a Mojamed, colpendolo ai reni e, quando il giocatore si piegò in due, anche alla schiena, gettandolo a terra.
L’altro immobilizzò Shang-Li, e cominciò a tirargli delle ginocchiate nella schiena mentre aspettava che il suo compagno finisse il lavoro.
Un’ora dopo li trovarono, sanguinanti e moribondi, dentro i bagni del palazzetto, con le teste nei gabinetti.
Francesco aveva visto tutto e aveva riconosciuto gli aggressori come suoi compagni.
Sua madre gli aveva ordinato di cucirsi la bocca perché quelli erano affari da “neri”.
Lui, però non credeva che tutto ciò fosse giusto e voleva andare in fondo alla storia.
Cercò di convincere i suoi genitori, ma invano, e scoprì con orrore che anche loro odiavano gli stranieri solo perché avevano la pelle di un colore diverso.
Non sapeva cosa avrebbe dovuto fare.
Il giorno seguente incontrò il suo migliore amico e si confidò con lui.
L’amico rifletté qualche minuto, poi giunse alla conclusione che Francesco avrebbe dovuto sporgere denuncia ai carabinieri attraverso una lettera firmata, senza fare nomi, ma fornendo prove schiaccianti che avrebbero incastrato i colpevoli. I carabinieri , poi, ci avrebbero pensato loro.
L’arresto, una settimana dopo, fece scalpore e finì su tutti i giornali.
Francesco conservò molte copie delle riviste in cui si parlava di lui, e ne era orgoglioso.
Da allora i suoi compagni lo guardarono con sospetto e non parlavano mai in sua presenza.
A poco a poco, da titolare che era, cominciò a giocare sempre più di rado.
La tristezza lo invadeva, e a volte piangeva, travolto da un fiume di malinconia, ripensando ai momenti felici vissuti con i suoi ex compagni di squadra.
Un giorno decise di troncare con il passato.
Smise di giocare.
Poi, un giorno, in modo del tutto inaspettato, fu contattato dalla Virtus. Un giocatore bravo e onesto come lui non capitava certo tutti i giorni…


Scuola media Volta, classe 3°C

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Anno 4, Numero 16
June 2007

 

 

 

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