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Parte prima: Cathy e Lily
"Rosso... giallo... verde... sì. Cathy dammi la mano, dobbiamo attraversare Street Honour's Avenue prima che chiudano il casinò. Ho già pagato per due giochi, il tuo e il mio". Lui allungò la mano come se stringesse una mano immaginaria. Feci cadere un altro piatto, totalmente trasportato dallo stato di sogno ad occhi aperti di mio zio Muisyo. Da quando era tornato dalla città, zio Muisyo continuava a sognare anche di giorno. Dal soggiorno riuscii a intravedere sua moglie Laviero girarsi verso di me al rumore delle stoviglie. Non le ci volle neanche un minuto per voltarsi ad ascoltare in direzione di suo marito. Insieme ci avvicinammo al letto completamente sconvolti. Lui allungò di nuovo la mano e continuò a parlare alla sua Cathy immaginaria.
"Pensavo che Lily fosse calda ieri notte, ma la tua mano è già un forno. Cathy, cara, non pensi che io abbia la magia di infuocarti e denudarti? Dai, Cathy! Cathy! Cathy! Perchè mi lasci? Perchè chiudi la porta Cathy ...Cathy ..." si risvegliò con un sussulto, il suo volto grottesco ricoperto di sudore.
Ritornò in sé. Noi lo guardammo in silenzio. L'unico rumore era lo scricchiolio del letto e il cuore di Laviero il cui battito si poteva sentire dalla porta della stanza da letto. Lui si agitò e si girò. Sputò senza muoversi e la saliva gli scivolò lungo la mascella pronunciata, in una spessa cascata verde chiaro. Laviero gli sbottonò i primi bottoni della camicia e asciugò la saliva dal suo volto. La aiutai a risistemargli la testa sul cuscino. "Che Dio lo benedica" mormorò Laviero mentre stringeva il rosario e le lacrime le scendevano copiose sulle guance rotonde.
Non potevo sopprtare di vederla piangere di fronte a suo marito, così andai nel soggiorno e portai Katile, mia cugina, fuori di casa. Pensavo a come fare per nasconderle la verità. Le dissi che la nonna la stava chiamando per raccontarle una bella storia. Aveva solo tre anni. Non aveva mai dato l'impressione di aver intuito qualcosa poiché aveva trascorso pochissimo tempo con suo padre. Una cosa, comunque, si capiva con certezza dai suoi occhi: sapeva che suo padre era gravemente ammalato e una volta o l'altra avrebbe chiesto alla nonna chi fossero Cathy e Lily. Era una bambina che affascinava tutti per la sua percezione enigmatica di ciò che la circondava. Perlopiù aveva preso da sua madre. Era una cosa che non aveva mai colpito il nonno Mulonzi.
Sulla via del ritorno pensai al tempo in cui zio Muisyo era giovane ed io ero ancora un bambino. Alle scuole superiori era un giovane forte dalle spalle larghe. Era l'attrazione di tutte le ragazze del villaggio ma lui non mostrava interesse per nessuna di loro. Continuò così finché alla fine sposò Laviero, che apparteneva ad un'altra tribù. Questa scelta non fu accettata dai membri della sua famiglia, soprattutto da suo padre e suo nonno. Avevo camminato tanto che non mi ero neanche accorto di aver già aperto la porta della capanna di Laviero. Ero nel soggiorno. Sulla parete c'era una foto che raccontava una storia. C'era lui, con un ampio sorriso, guancia a guancia con sua moglie Laviero. Anche lei sorrideva; un sorriso talmente assorto nelle gioie del matrimonio da non riuscire a vedere il presente. Ma quei sorrisi erano legati al momento ed io non avevo crucci. Oltre a questo stato di felicità, avevano altre due motivi: creare storie e, ovviamente, sigillare memorie. Questo era il passato. Ma era un passato che Cathy e Lily avevano vissuto, o almeno quel passato che cancellava l'altro rappresentato nella foto.
Sbirciai attraverso la porta della stanza da letto e vidi che zio Muisyo respirava ancora con difficoltà. Il suo petto si sollevava e si abbassava in respiri corti. Ciò che vidi quando entrai mi sconvolse. Stringeva la mano di sua moglie tirandola per farla avvicinare a sé. Sembrava che avesse recuperato un po' le forze sebbene tutto il suo corpo tremasse tanto che chiunque da fuori poteva sentire scricchiolare il letto. Lo guardai dritto negli occhi. Il suo volto ebbe un guizzo di vita, ammesso che potesse servire. Cercò di sorridere, ma quel sorriso scivolò via dai suoi occhi infossati per congelarsi da qualche parte sulla sommità degli zigomi. Non ero neanche entrato nella stanza, che zio Muisyo insistette per prendere anche la mia mano. Ero sconvolto ed esitai. Una lacrima bagnava la guancia sinistra di Laviero. Io la guardai con compassione e lo sguardo che vidi nei suoi occhi mi spinse a darle la mano. Lui avvicinò le nostre mani congiungendole sul suo petto. Sapevo che stava per dire le sue ultime parole ma respinsi quel pensiero in un angolo remoto della mia mente. Laviero stava in piedi come una statua, con le gambe vicino al bordo freddo del letto. Sapevo che aveva in mente i miei stessi pensieri, ma anche lei cercava con ogni sforzo di nasconderli. Muisyo aprì gli occhi, li chiuse e li riaprì, lasciando socchiuso l'occhio destro. Si girò verso di noi e si schiarì la voce.
"E' umiliante e doloroso sapere di morire odiato da altri e morire sapendo cosa ti sta uccidendo. Ma la coscienza di morire con principi sani e inflessibili, senza piegarsi sotto il vento della tradizione e dei tabù è fonte di una sorta di doloroso piacere".
Deglutì a fatica e continuò:
"Non ho mai condiviso le tradizioni di mio padre e di mio nonno prima che questi morisse. Sapevo che il mondo stava cambiando e che, se noi volevamo avere successo, dovevamo cambiare con lui. Per esempio questo è il motivo per cui io non ho sposato neanche tua madre quando tuo padre è morto".
Disse ciò girandosi verso di me e poi aggiunse: "Secondo la tradizione avrei dovuto dormire con lei, ma rifiutai. Loro dissero che il mio atteggiamento era inutile e, che mi piacesse o no, dovevo farlo nell'interesse della famiglia. Sapevo che non potevano uccidermi per questo e conoscevo la mia situazione".
Lui sembrava calmo forse perché questo era un addio. Laviero stava ascoltando attentamente, ammutolita. Le lacrime sul suo viso si erano asciugate.
"E tu, Laviero, mia moglie, voglio che tu segua le mie orme. Quando ti ho sposata, loro non erano felici, semplicemente perché dicevano che secondo la tradizione non era possibile il matrimonio con membri di un'altra tribù. Ma io ti amavo tanto. Ne ho abbastanza, ora. Voglio che dimostri loro che appartenere ad un'altra tribù non ti riduce ad un tappetino che possa essere calpestato".
Laviero tremava visibilmente e io la stringevo per le spalle per evitare che svenisse. Un torrente di lacrime bagnava ora la sua camicia. Allo stesso tempo combattevo per trattenere le mie lacrime.
"Per piacere non permettere loro di farti dormire con mio fratello Muli perché questo è ciò che comporta la tradizione. Non sposarti con lui. Non voglio che nessuno ti sposi. Ognuno può fare quello che vuole, ma tu non lo permettere assolutamente. Muthini qui presente può aiutarti ad allevare Katile. Lui è stato davvero buono con noi e io sapevo da quando era bambino che era l'unico che poteva comprendere la mia situazione".
Ora le lacrime brillavano nei miei occhi e io vedevo attraverso i miei occhi annebbiati Laviero che piangeva. Il respiro di zio Muisyo si affievoliva rapidamente mentre sembrava che cercasse di finire ciò che stava dicendo.
"Non sono mai stato dalla parte del torto con voi due, non per davvero, eppure immagino che potreste dire che sono quel tipo di persona che si suppone voi temiate. Ecco perché temo anche per la nostra famiglia. Quando loro comprenderanno da cosa sto cercando di salvarli, potranno dare un sospiro di sollievo. Io non voglio che Cathy e Lily uccidano altri membri della nostra famiglia. Ora credo che tu, Muthini, possa uscire. C'è qualcosa che voglio dire a mia moglie".
Allentò la presa sulla mia mano ed io andai fuori asciugandomi le lacrime. Non andai proprio fuori, rimasi nel soggiorno perché temevo di perdere qualcosa di importante. Sbirciai attraverso la porta. Lui si rischiarò di nuovo la voce. Ora stava guardando Laviero con uno sguardo diverso. L'agitazione era finita ed era stata rimpiazzata dalla tristezza. Il letto scricchiolava forte.
"Laviero, moglie mia, io me ne sto andando, ma non me ne andrò mai per sempre. Guarderò sempre te e nostra figlia dal mondo spirituale. Per favore, prenditi cura di nostra figlia. Educala come abbiamo sempre desiderato. Dille che, anche se non mi ha avuto con sé per molto tempo, come altri bambini hanno i loro padri, io la guarderò sempre". Laviero ascoltava tra i singhiozzi.
"Mi sono reso conto di aver sognato Cathy e Lily. Non ti dirò chi sono perché se ne sono già andate. Non so dove siano andate. Forse hanno lanciato i loro coltelli verso di te, ma tu abbi coraggio. Un giorno le conoscerai e spero che capirai. So che loro sono lì fuori. Vorranno usare un pregiudizio nero per spazzare via la famiglia ma tu non permetterlo perché sei l'unica persona che possono usare. Saluta la nostra bambina. Addio". Disse l'ultima frase quasi senza fiato. Vidi la sua mano cadere improvvisamente e i suoi occhi diventare freddi. Seppi che era morto.
Prima che io aprissi la porta della stanza da letto, ci fu un urlo agghiacciante che quasi scosse le pareti della capanna. Avevo ragione, Laviero mi disse che era morto e si precipitò fuori dalla stanza verso il soggiorno dove si sedette piangendo. Il suo urlo aveva attirato l'attenzione dei vicini, membri della famiglia, che erano venuti ad affollarsi sia fuori che dentro la capanna. Laviero fu portata in un'altra capanna e ai bambini venne impedito di avvicinarsi. La nonna piangeva senza controllo. Il cielo sa perché stesse piangendo, in quanto io pensavo che lei odiasse il figlio allo stesso modo in cui lo odiava il nonno. Ma era un figlio che lei aveva perso. Due ore più tardi arrivò il nonno e, come se la morte fosse un gioco di bambini, non dimostrò il minimo turbamento. Entrò nella capanna e uscì velocemente come se dentro ci fosse semplicemente una bambola con le gambe di stoffa bruciate. Odiavo quell'uomo e non ero stupito del suo comportamento.
I primi tre giorni di lutto erano passati. Mancava solo un giorno al funerale. Questo era il giorno della tradizionale cerimonia verso la morte. Tutte le ragazze dovevano dichiarare se erano nel periodo mestruale perché ci sarebbe stata una cerimonia di purificazione che coinvolgeva uomini e sesso. Negare qualcosa era un tabù perché si credeva che se qualcuna si fosse rifiutata, sarebbe poi stata maledetta dagli antenati. Tutte le ragazze non dovevano essere presenti al funerale ed avrebbero dovuto rimanere chiuse in una capanna che, durante i funerali, veniva chiamata semplicemente 'capanna delle donne '. Dopo il funerale tutte loro dovevano rimanere in casa per qualche tempo. Al culmine di tutto c'era la parte finale durante la quale si supponeva che la vedova dormisse con il fratello più prossimo del marito defunto. Ciò sarebbe dovuto avvenire da qualche parte nella foresta.
Zio Muli sembrava felice di avere finalmente l'occasione di dormire con questa donna. Sembrava che l'avesse desiderato ardentemente ma era perplesso. Laviero rifiutò di fare tutto questo. Lei disse perfino che era pronta a far male a chiunque avesse provato a costringerla a fare qualcosa e così alla fine tutti, sia i familiari che i vicini, seppero che lei era maledetta.
"Io non voglio disobbedire a mio marito. Anche se è morto è ancora mio marito. Non sposerò nessuno", lei asseriva raggiante con forza e coraggio.
"Io non compro niente da una maledetta moglie di un maledetto figlio del mondo. Aspetta e vedrai, tu non resterai qui dopo il funerale". Il nonno fracassò sul terreno il bastone che usava per camminare e se ne andò via furioso.
Mancavano solo alcune ore al funerale.
Parte seconda: Rose color rosso sangue
Bene, sembrava che non fosse un funerale. Piccoli gruppi di persone, per lo più anziani, stavano in piedi al riparo sotto l'esile ombra delle capanne e degli alberi. Poche donne di mezza età punteggiavano il compound(1) oziando. Altre dentro casa ridevano e chiacchieravano. Non c'erano bambini. Secondo la tradizione, ai bambini non era consentito assistere ai funerali. Si credeva che il morto li avrebbe perseguitati nel sonno. C'era il silenzio opprimente che caratterizza ogni funerale durante la vigilia, fatta eccezione per la confusione proveniente dalla capanna delle donne e di alcune urla che, ad intervalli, interrompevano la quiete.
Torniamo alla gente sotto l'ombra. L'organizzatore era un uomo alto e magro sulla quarantina. Ora chiamava la gente per farla avvicinare alla tomba. Notai che, per motivi noti al nonno Mulonzi, questa tomba non era tra le altre tombe bensì fuori dal cimitero familiare. C'era una bara collocata su due sgabelli traballanti. Era una bara semplice fatta di legno dei pini locali dal falegname locale, Kinyoli. Era adornata con un pezzo bianco di rete che sembrava più una zanzariera che una rete adatta a quello scopo. Kinyoli aveva solo diciassette anni e la gente si congratulava con lui per il suo talento giovanile, tutti tranne me, forse. L'inesperienza e la prolungata infanzia da costruttore di giocattoli era iscritta su tutta la bara. Si vedevano i chiodi piegati sul legno e dei piccoli segni circolari erano visibili attraverso la rete. Con la coda dell'occhio, vidi Kinyoli fingere di essere addolorato e sforzarsi prodigiosamente di reprimere un sorriso.
Persino un bambino analfabeta che abitasse nel cuore del villaggio di Kimoo e non avesse mai sentito parlare di un quadrato o di un rombo avrebbe notato che questa tomba era senza forma. Bene, avevo tratto le mie conclusioni. Probabilmente non era una fossa per seppellire Muisyo il figlio di Mulonzi ma per sbarazzarsi del suo maledetto figliol prodigo che gli aveva disobbedito insieme alla moglie e ai nipoti. In questa situazione una cosa era certa; la dicotomia tra il seppellire e lo sbarazzarsi. L'atto che si stava compiendo era quest'ultimo ma, ancora una volta, il motivo era noto soltanto ai tristi occhi di quell'uomo, Mulonzi. Mi piaceva chiamarlo con il suo nome nei miei pensieri. Non ci furono spargimenti di lacrime, per due ragioni forse. Primo, non c'era niente di commovente e, secondo, non c'erano lacrime in fondo a quegli occhi pretenziosi. C'erano alcune lacrime, comunque: quelle invisibili della donna che piangeva nella capanna delle donne e quelle che lentamente inzuppavano le mie ciglia. Almeno due persone, una minoranza, che avevano il coraggio di guardare un uomo maledetto mentre moriva nel proprio letto.
Tuttavia, c'erano alcune cose che caratterizzano qualunque funerale in questo pianeta, sia di un figlio maledetto che di uno benedetto. C'erano canti funebri. Questi non venivano cantati con dolore ma con una punta di vigore e allegria. Le voci salivano e scendevano di tono nel tentativo di placare gli animi. Ci fu una breve omelia del predicatore che mi sembrò ancora peggiore. Il signor Mavunye (uno con una pancia enorme) era un pastore della chiesa locale che celebrava quasi tutti i funerali a Kimoo. Come al solito indossava una camicia nera con un colletto arrotondato, che aveva una parte di colore bianco, esposta sul davanti vicino al primo bottone della camicia. Era nella massima tenuta religiosa. Qualcosa era insolito in lui. Non aveva la Bibbia. Per quanto somigliasse ad un predicatore, non parlava mai come se lo fosse. Non aveva senso portare una Bibbia, in un maledetto funerale di un uomo maledetto perchè il libro sacro non si sarebbe mai aperto. Nel mezzo dell'omelia io guardai in direzione di Kinyoli e vidi che mentre sonnecchiava andava a toccare l'uomo che stava in piedi di fronte a lui. Feci un respiro di sollievo quando il pastore stava per concludere, ma la sua ultima affermazione mi scosse e aumentò l'agitazione della folla. Le grida di Laviero soffocarono ogni rumore della folla. Non era una affermazione biblica. No, il libro era troppo sacro per contenerla, altrimenti non sarebbe stato chiamato libro sacro.
"Sei stato creato dalla polvere benedetta ma ritornerai polvere maledetta. Spero che tu stia bene mentre riposi all'inferno".
"O Dio!" restai a bocca aperta e mi asciugai le lacrime con il dorso della mano destra. Ci furono grida ancora più forti dalla capanna delle donne. Per la prima volta vidi lacrime vere scorrere sulle guance di persone veramente addolorate, persino di Kinyoli che fu svegliato dalla confusione. Le donne erano più isteriche degli uomini. Io provai un doloroso sollievo perchè quello che vedevo era una scena funebre e non un melodramma. Alzai la mano per asciugare le lacrime per essere sicuro che tutto ciò stava realmente accadendo. I singhiozzi aumentavano e le lacrime bagnavano tutti i volti ad eccezione di quello di Mulonzi, naturalmente, che era asciutto come la pianta dei suoi piedi screpolati. Il mio corpo fu attraversato da un odio lacerante. Sentii una fitta di odio attraversare il mio corpo. Mi venne voglia di colpirlo ma ebbi la sensazione che in questo modo avrei solo peggiorato le cose. Laviero ora ululava. Anche la nonna piangeva incontrollatamente. Il signor "pancia contenta" amoreggiava ancora con il suo stomaco di fronte alla folla come se avesse semplicemente ordinato dell'ugali(2) dalla cucina della chiesa.
Come se non fosse successo niente, il pastore Mavunye strinse la mano del nonno e ritornò al suo posto. Il nonno diede istruzioni all'organizzatore perché continuasse. La situazione si calmò un po' e anche le grida di Laviero si placarono. L'organizzatore annunciò che era il momento di far ritornare la polvere alla polvere. Mentre i giovani ricoprivano la fossa di terra con le pale, le giovani donne avvicinavano le corone: ce n'erano di ogni tipo, di colori e forme diverse, forse erano l'unica cosa bella con cui dare l'ultimo saluto a zio Muisyo. Non vennero pronunciati discorsi di elogio ed io ne fui contento perché raccontano un sacco di bugie.
Era il momento di deporre le corone ai piedi del piccolo cumulo di terra. Continuai a confortarmi dicendo a me stesso che non erano corone ma rose. Rose per nascondere l'odio e la vera santità che era esistita tra il morto e i vivi, tale che una persona come la nonna potesse sussurrare 'Riposa in pace, figlio' nel deporle. Quando i parenti finirono con le loro corone, fu il momento di deporre quella della Chiesa. Il pastore Mavunye quasi inciampò mentre correva a deporre la corona a forma di croce da parte della Chiesa.
Ah, dimenticavo! Ne era rimasta una rotonda: l'organizzatore annunciò che era quella per il nonno. Il cielo sa perché il suo volto fosse segnato dalla tristezza più che dal dolore mentre tutti i presenti erano prostrati dalla sofferenza. Ma io immaginavo che dietro quegli occhi si nascondesse qualcosa: dietro quegli occhi c'era del veleno che aveva la forza di dissolvere tutte le lacrime e ogni altro liquido contenuto nel volto. Prima di tornare al suo posto disse che aveva qualcosa da dire. Sapevo che era giunto il momento di dare sfogo a tutto quel veleno perché mancava soltanto la preghiera finale. La gente stava già andando via, ad eccezione di Kinyoli che stava immobile dietro il predicatore, aspettando la propria paga. Il nonno incominciò: "Ringrazio tutti per la vostra presenza. Come ha detto il predicatore la polvere maledetta è tornata polvere". Fece una pausa. Sembrò che il veleno gli avesse seccato tutta la saliva perché le sue parole erano aride. Continuò: "Sebbene fosse mio figlio, io non l'ho mai rispettato a partire dal momento in cui lui ha disobbedito a mio padre e credo che mio padre lo abbia maledetto prima di morire. Non è stato più mio figlio da quando ha sposato quella strega che è in casa. Un uomo controllato da una donna non è un uomo ecco perché io credo che anche lei sia maledetta..." ora stava piangendo. Ma prima che potesse continuare venne bloccato da un grido acuto proveniente dalla capanna delle donne.
No, proveniva dalla folla. Dopo neanche un minuto apparve Laviero mentre si faceva strada tra la folla con qualcosa nascosto sotto la camicia. Nessuno cercò di prenderla, tutti avevano paura di toccare una strega. Soprattutto una strega maledetta. Quando raggiunse la tomba, Laviero guardò Mulonzi per un tempo molto più lungo e si girò in direzione delle corone. Mormorò qualche cosa in un leggero sussurro, poi guardò Mulonzi ancora una volta, per un lungo minuto. C'era un silenzio assoluto mentre gli abitanti del villaggio osservavano quel dramma addirittura con ansia. Mavunye cercò di dire qualcosa, ma un'occhiata di Laviero gli ricordò che avrebbe dovuto tornare al suo posto per continuare ad occuparsi della sua pancia. Lei ritornò da Mulonzi, che sembrava aver ripreso coraggio. Io godevo di ogni singolo momento e riuscivo a leggere lo sguardo di Mulonzi. Lui non poteva avere paura di una semplice donna, soprattutto dopo aver sputato il suo veleno, ma ancora non si capiva cosa lei portasse sotto la camicia.
Poi accadde qualcosa di terribile. L'ansia di voler sapere cosa lei nascondesse si trasformò in dolore e panico. Con un ultimo urlo che fece quasi svenire i presenti, lei tolse la mano fuori dalla camicia. Poi la diresse verso il torace di Mulonzi che cadde con un tonfo. E ahimè! Era un pugnale. Era troppo tardi per fermarla. Tutto era avvenuto in un secondo. Lei aveva pugnalato Mulonzi nel petto dritto al cuore. Il sangue fluiva copioso dal torace del nonno mentre il suo respiro si affievoliva rapidamente. Non c'erano lacrime, la gente era troppo sconvolta per piangere. Si vide la nonna giacere sul terreno. L'eco del suo grido era stata soffocata dalle grida della folla. La gente cercava di fare del proprio meglio per fermare l'emorragia e salvargli la vita. Allo stesso tempo gli uomini si erano fatti coraggio al momento sbagliato e stavano legando Laviero ad un albero.
Molte altre cose accadevano allo stesso tempo. Il pastore Mavunye stava chiamando la polizia. Contemporaneamente io pensavo a quell'atto di puro coraggio, provocato dall'odio. Ero consapevole di essere l'unico a pensare che quest'uomo meritasse ciò. Cercai a fatica di non dimostrarlo perché sapevo che questi pensieri potevano essere letali nel caso in cui qualcuno sapesse leggere nella mente della gente. Tutte le corone, prive di rose, erano inzuppate di sangue. Non si riuscivano a distinguere i colori originari. Erano tutte di colore rosso sangue.
Quando lei mi vide, scoppiò in lacrime e io con lei. Con un movimento della testa, che era l'unica parte mobile del suo corpo, mi fece cenno di avvicinarmi.
"Per piacere, prenditi cura di Katile. Tu sei l'unico che mi vuole bene, per favore. Spiegale tutto così che quando crescerà potrà capire. Non penso che ritornerò. Nel caso in cui io trascorra del tempo in prigione prima di essere impiccata, ti prego di non portarla lì. Questo aumenterebbe solo il mio dolore; comunque ora mi sento sollevata. Per piacere non provare a venire al mio processo perché in prigione io mi sentirò meglio". Non riuscii a controllarmi e singhiozzai sonoramente. Lei continuò con finto coraggio: "Fai anche in modo che lei non venga a sapere niente di questa scena. Io spero che tu capirai, perché non ho avuto scelta. Per favore dì a Katile che la saluto" concluse e guardò in un'altra direzione. Con grande sforzo provai a trovare la voce e dissi: "Io farò come tu dici Laviero, buona fortuna".
Le mie gambe erano blocchi di pietra ma mi sforzai di muoverle e camminai senza una direzione precisa; più tardi mi resi conto che stavo andando verso la capanna di mia nonna. Non riuscivo più a sopportare la vista di Laviero e non avrei avuto il coraggio di guardare la polizia che la spingeva nel retro della landrover. Dalla finestra della capanna di mia nonna vidi soltanto una nuvola di polvere che scompariva in lontananza.
Il nonno venne trasportato in ospedale dalla polizia e qualche ora più tardi arrivò la notizia che era stato dichiarato morto e che il suo corpo era stato portato all'obitorio del distretto. La nonna, che non aveva ripreso conoscenza, era ancora nel suo letto circondata dai suoi nipoti e dalle mogli dei suoi figli.
Tutto il villaggio ritornò a compiere i riti funebri ancora una volta nella stessa famiglia.
Parte terza: Rivelazioni
Dopo la sepoltura del nonno ci trasferimmo dalla capanna di Laviero a quella di nostra nonna. Dopo un po' di tempo ci fu una cerimonia di purificazione e alla capanna di Laviero venne dato fuoco. Noi tre ora vivevamo nella capanna della nonna. Il tempo scorreva rapidamente. Io avevo diciassette anni e Katile quattro. La nonna era così buona con noi da chiamarci persino suoi figli. La maggior parte del tempo la si poteva trovare nello shamba(3) che insegnava a Katile come raccogliere fagioli e piselli. Io mi resi conto che nostra nonna non era poi così cattiva, solo che prima lei si era comportata così a causa delle pressioni di suo marito. Era una rivelazione talmente piacevole per noi, che potevamo addirittura rivedere i nostri atteggiamenti nei suoi confronti; lei era per noi una "mamma" amorevole. La sua salute non era buona, ma lei continuava a dirci che non eravamo noi quelli che avrebbero dovuto prendersi cura della sua salute.
Tre anni passarono e la salute della nonna si andava deteriorando in una maniera preoccupante. Un giorno, mentre io ero nello shamba, sentii Katile che mi chiamava incessantemente. Arrivai di corsa per vedere cosa stesse accadendo. Quando raggiunsi il compound, feci pochi passi verso la porta e mi fermai ad origliare cosa stesse succedendo nella capanna.
"Muthini ooka muoie nina muathima. Naku athimika. Nawoora Mwenyu ui... uimwi... nina... mua... ninamuekea". Questo è ciò che sentii prima di precipitarmi dentro, che significava "quando Muthini viene dagli la mia benedizione. E la mia benedizione va anche a te. Quando vedrai tua madre dille che io l'ho perdonata."
Entrando vidi che lei teneva la mano di Katile, nello stesso modo in cui zio Muisyo aveva tenuto la mia. Ma prima che io li raggiungessi, vidi la sua mano cadere. Poi vidi la sua testa cadere da un lato: era morta. Katile mi disse quello che lei le aveva detto, ma io lo avevo sentito. Noi non gridammo perché lei ci aveva già preparati a tutto questo, ma non riuscimmo a contenere le nostre lacrime.
Piangemmo per lei per tre giorni col resto dei parenti. Il suo funerale fu caratterizzato da tutti i riti tradizionali. Ci fu il suonare incessante del tamburo accompagnato dalla lenta marcia funebre. Venne macellato un toro e, al culmine di tutto, ci furono gli strani riti della sepoltura notturna. Venne sepolta proprio accanto a suo marito, così come lei stessa aveva richiesto. Spiegai a Katile quello che era accaduto in qualche luogo dietro alla capanna poiché, secondo la tradizione, a lei non era consentito prendere parte al funerale. A tutte le donne della famiglia, in realtà. Tranne che a Laviero, pensai tra me e me: lei aveva avuto il fegato di rompere una porta e partecipare ad un funerale, pensai di nuovo affascinato.
La morte della nonna fu un grave colpo per noi. Nessuno dei nostri numerosi zii volle stare con noi. Zio Muli disse che lui aveva già una famiglia numerosa. Zio Mulosi disse che noi non appartenevamo più alla famiglia. Zio Katero disse che lui non poteva farsi carico di una maledizione con la sua famiglia. Gli altri zii aggiunsero molte altre scuse.
Come qualsiasi altro villaggio, Kimoo non era il genere di luogo in cui le dicerie passavano di bocca in bocca per molto tempo. Il pettegolezzo era la norma nel villaggio e una buona fonte di dicerie. Molte di queste riguardanti la nostra famiglia si diffondevano in tutto il villaggio. Si diceva che l'atto di Laviero era stato del tutto devastante e avrebbe perseguitato il resto della famiglia. Si disse addirittura che Laviero avesse rifiutato la tradizione e ucciso il suocero aggravando così la salute già precaria di sua suocera. Questo implicava che Laviero fosse responsabile anche della sua morte. Un giorno Katile tornò a casa piangendo perché le era stato detto che era maledetta e che sua madre era stata impiccata da suo cugino e disse che non sarebbe più tornata a scuola. Lei frequentava la seconda classe e riusciva a capire tutta la situazione.
Questo fu troppo insopportabile per noi. Prendemmo tutti i nostri bagagli e chiudemmo la capanna di nostra nonna per non ritornarvi mai più. Da Kimoo andammo a vivere con mia mamma nel vicino villaggio di Ulaini. Mia madre fu molto contenta di vederci. Quella sera macellò il gallo Kasewe e cucinò Muthokoi per darci il benvenuto. Il padre di mia madre le aveva dato uno shamba molto grande tutto per lei. La sua casa era fatta di tre capanne e un capannone basso e molti polli dormivano in cucina. Da quando lei aveva lasciato mio padre non si era risposata ed era felice che ora la sua casa avesse finalmente dei bambini. Io era il suo unico figlio. Sebbene non lontano da Kimoo, il villaggio di Ulaini era una contraddizione sociale. Le persone erano più aperte e cordiali. Katile mi disse che i bambini a scuola erano molto amichevoli e tutti contentissimi di avere una nuova amica. Io sentivo la mancanza di pochissime persone di Kimoo. E anche Katile. I bambini della scuola elementare di Kimoo avevano addirittura iniziato a darle dei soprannomi. I suoi cugini erano i più offensivi di tutti. Ogni volta che faceva bene qualcosa, erano tutti gelosi di lei.
Una delle persone di cui noi sentivamo la mancanza era nostra nonna. Ci mancavano le storie che lei ci raccontava. Mi rendevo anche conto che mi mancava il mio letto nella capanna di mia nonna. Ma erano solo ricordi. Ricordi che non potevano essere recuperati. Il presente era dove noi eravamo.
Laviero aveva trascorso cinque anni nella prigione King'ole Women's Maximum e nessuno era mai andato a trovarla. Io avevo scritto molte lettere ma nessuna aveva ottenuto risposta. Mi tranquillizzavo pensando 'Lei sta ancora guarendo dal passato, non è stata impiccata'. Katile continuava a chiedermi se sarebbe mai ritornata e, cercando di scegliere bene la risposta, io le dicevo che un giorno sarebbe tornata. Non volli mai che sapesse che io pensavo una cosa diversa da quella. Ma lo pensavo sempre. Era ancora viva? Perché non si era fatta sentire per ben cinque anni? Quelle erano le domande che io cercavo di nasconderle.
Un giorno mi accorsi che era distratta mentre faceva i compiti. Le domandai se stava bene, ma invece di rispondere lei mi fece una domanda.
"Mamma ha detto il giorno in cui tornerà?" Mentre riflettevo e mi sforzavo di non versare neanche una lacrima, mi ricordai di ciò che Laviero mi aveva detto prima di essere mandata in prigione: "Non penso che ritornerò". Quelle parole continuavano a ritornarmi in mente ogni qualvolta mi faceva domande su sua madre. Comunque, dovevo risponderle. Io dovevo farla continuare a sperare per il meglio.
"No, ma un giorno tornerà a casa per stare con noi. Ora, hai finito i compiti?", provai a cambiare argomento. Quando alzai gli occhi mi resi conto che le sue lacrime scorrevano liberamente bagnandole i libri. Andai a sedermi vicino a lei e le asciugai le lacrime. Mia madre si unì a noi e le assicurò che tutto sarebbe andato per il meglio e presto lei si sarebbe abituata.
Il giovedì era il giorno in cui mamma andava al mercato, perciò non c'era alcun motivo perchè lei venisse a casa tanto presto, anche prima che Katile tornasse da scuola. Senza esitazione mia madre mi diede una lettera indirizzata a me. Il mittente aveva usato l'indirizzo di Kimoo. Senza dubbio non aveva idea che mi fossi trasferito ad Ulaini. Mia madre credeva che fosse di Laviero e perciò era tornata prima a casa.
"Deve essere lei, conosco molto bene le sue 'm' e le sue 's'" disse. Le mie dita tremavano ed il cuore mi batteva forte. Aveva ragione, era di Laviero. Strappai la busta e aprii la lettera piegata. Cadde qualcosa: era un bigliettino di carta con una piccola poesia dedicata a Katile. Lo misi da parte e insieme a mamma leggemmo la lettera , che diceva così:
Caro Muthini, figlio mio,
Come stai? Come sta la mia piccola Katile? Si ricorda davvero di me? Spero di sì. Cinque anni sono un tempo breve. Ora lei ha otto anni e scommetto che è una ragazzina alta. Per piacere, ricordale sempre che ha i miei occhi e il mio animo. E tu? Hai venti anni e sei un adulto, scommetto.
Per quanto mi riguarda, non sono cambiata molto. Sto bene qui. La vita non è tanto bella ma è meglio della capanna delle donne. La nonna è ancora arrabbiata con me? Porgile i miei saluti; non è stata molto buona nei miei confronti, ma comunque è stata una persona che riuscivo a capire quasi all'istante.
Mi hanno condannato a 15 anni per omicidio. Ringrazio Dio per l'abolizione della pena di morte. Io non ho molto da dirti perché con dieci anni di prigione davanti a me penso di avere molto tempo per dirti molte cose.
Per piacere, non ti preoccupare di venire a trovarmi perché sto abbastanza bene da sola. Qui si prendono cura di noi. Spero che mi capirai. Di' a Katile che io la penso ancora. Dalle la poesia e dille che un giorno sarò lì per lei. Ciao, per ora.
La tua affezionata mamma,
P. Laviero
"Per favore, fai in modo che la bambina non veda la lettera" mi disse mia madre, sospirando forte. Almeno Laviero era viva e noi eravamo sollevati.
Quando Katile arrivò da scuola io le dissi la buona notizia, che sua madre aveva scritto dicendo che un giorno sarebbe stata lì per vederla. Sorrideva con eccitazione quando io le diedi la poesia e la leggemmo insieme.
Per Katile, mio amore.
Riesco a sentire la tua voce dal deserto.
La voce che canta di affetto
Non riesco più ad allungare la mia vista ferita
Per vedere i tuoi occhi bisognosi di amore.
Un giorno verrà.
Un semplice giorno con l'alba e il tramonto
E le mie orecchie saranno lì perché tu possa ascoltare
E i miei occhi saranno lì perché tu possa vedere.
Non ce la facevo ad aspettare e quella sera stessa le scrissi una lettera di risposta.
Cara mamma Laviero,
Sono stato molto contento di avere finalmente ricevuto la tua lettera e di sapere che sei viva. Io sto bene. Katile ha otto anni, frequenta la terza classe e anche lei sta bene. Ho capito dall'indirizzo che hai scritto che tu pensi ancora che viviamo a Kimoo. Ci siamo trasferiti da Kimoo a Ulaini dove viviamo con mia madre. Lei è molto felice con noi e ti saluta. Katile sostiene che si ricorda ancora di te e io le ho detto che ha ragione.
Mi dispiace di informarti che un anno fa la nonna è morta. Da quando sei andata via noi siamo stati con lei. Si è presa cura di noi molto bene. Prima di morire, ha detto a Katile di riferirti che ti aveva perdonata. Dopo la sua morte, nessun altro è stato disposto a vivere con noi perciò adesso stiamo con mamma e siamo felici. Katile è l'unica sorella che ho.
Sappi, infine, che noi preghiamo per te e ti vogliamo bene. Baci da Katile e mamma. Per favore, continua a mandarci tue notizie. Ti saluto.
Il tuo affezionato figlio,
Muthini
Eravamo talmente preoccupati per il nostro destino che non ci rendemmo conto che anche nel mondo esterno stava accadendo qualcosa. Cinque anni erano passati e un nuovo governo era al potere. Ci furono molte riforme e cambiamenti. Ci furono anche delle riforme del sistema carcerario e noi speravamo in una riduzione della pena di Laviero. Eravamo ancora sotto l'euforia di un nuovo governo e la scommessa era alta. La giustizia tanto attesa era arrivata e molti prigionieri facevano ricorso in appello. Ero sicuro che Katile, che aveva quasi nove anni, si aspettava che noi facessimo qualcosa.
Primo, sapevo che noi non avevamo casi a cui appellarci. Laviero era colpevole della sua azione, anche se non aveva avuto scelta. Era giusto che venisse dichiarata colpevole, ma non era giusto non avere la possibilità di scegliere un'alternativa al crimine. Secondo, sapevo che non potevamo permetterci di pagare un avvocato. Ma non mi mancarono mai la forza e il coraggio per dire a Katile che un giorno sua madre sarebbe tornata. Quel giorno si stava avvicinando, ma noi non ne avevamo la più pallida idea. Così continuavamo ad aspettare e sperare, ammesso che potesse servire a qualcosa.
Quel giorno arrivò.
Nessuno di noi tre sapeva che durante il giorno di Jamhuri alcuni prigionieri venivano rilasciati, così, come sempre, Katile andò al mercato con mia madre. Io rimasi a casa a tagliare il recinto. Ulaini era uno di quei villaggi in cui le feste nazionali non venivano mai prese sul serio e quindi i doveri quotidiani continuavano normalmente. Le vacanze erano semplicemente il periodo in cui si supponeva che i figli aiutassero i propri genitori nel loro lavoro. L'unico segno del fatto che fosse festa nazionale erano i brandelli scoloriti delle bandiere che pendevano dalle verande dei negozi. Nient'altro. Per l'ora di pranzo venivano già ritirate. Ci eravamo appena sistemati per il pranzo, quando sentimmo bussare alla porta. Scherzando, litigammo per decidere chi doveva aprire la porta perché sapevamo che era uno dei nostri vicini che veniva a chiederci un pizzico di sale. Dopo aver litigato e riso per un po', alla fine mi alzai e mi diressi verso la porta.
Non era un vicino di casa. Era Laviero.
Pensai di star sognando ma la bocca mi si aprì di colpo lasciando sfuggire un urlo e seppi che non stavo sognando. Katile aveva dimenticato che stava mangiando e il cibo che stava portando alla bocca le era caduto sporcandole la camicetta. Corse verso la porta, anche lei gridando. Quando raggiunse Laviero, saltò e le si aggrappò al collo oscillando, mentre lacrime di gioia le scorrevano sulle guance. Mia madre si alzò dalla sedia barcollando, con le mani che tremavano, e abbracciò sua cognata con Katile tra loro. Anche lei piangeva, tutte piangevano eccetto me. Io stavo in piedi accanto a loro scosso da vera e propria eccitazione. La cosa che continuava ad affascinarmi era che, anche dopo tutti quegli anni, Katile riusciva ancora a riconoscere sua madre. Aveva ragione quando diceva che si ricordava ancora di lei. L'altra cosa di cui mi resi subito conto era che Laviero non era cambiata per niente: conservava il suo stesso aspetto e i suoi occhi erano ancora piccole sfere di energia. Le sue gambe erano ancora atletiche e in effetti ci disse che aveva il ruolo di attaccante nella squadra di calcio femminile del carcere. Ci parlò della vita in prigione e noi ascoltammo tutti con il fiato sospeso. Ora ci eravamo riuniti di nuovo intorno al tavolo dove il cibo si era già freddato. Ci raccontò del pane secco, dei rimproveri delle guardie carcerarie, dell'appello mattutino e di molte altre cose.
"Grazie per aver accettato la responsabilità di vivere con mia figlia. Non penso che andrò a stare con lei" ci disse mentre cenavamo. Eravamo rimasti noi tre, perché Katile era già andata a dormire. Era soddisfatta di tutti gli abbracci ricevuti da sua madre e se ne era andata a letto presto. Rimanemmo scioccati quando ci disse che se ne sarebbe andata, ma prima che io dicessi qualcosa lei continuò:
"Partirò fra due settimane. Ritornerò a casa di mio marito, voglio essere vicino alla sua tomba. Ne ho passate tante e tutto ciò che è successo ha rinvigorito il mio coraggio". Fece una pausa e continuò: "Comunque, non cambierà niente. Katile continuerà ad andare a scuola qui e io verrò a trovarvi. Non so come ringraziarvi, ma da ora in poi sarò una di voi". Facemmo un brindisi con le nostre tazze di metallo. 'Ha molto coraggio, è diventata davvero coraggiosa' pensai tra me. Alzai lo sguardo dal mio piatto e osservai le due donne di fronte a me: una smorfia di soddisfazione e ansia allo stesso tempo mi percorse il volto.
"C'è qualcosa che voglio dirvi. Ho imparato molto in questi cinque anni. Ho scoperto molte cose della mia vita, ma in particolare, la condizione in cui sono stata rilasciata mi ha fatto capire molte cose. È stato un boccone amaro da mandar giù, ma ho dovuto farmi coraggio e inghiottirlo". Mia madre la guardava attentamente per non perdere neanche una parola. Io mi sistemai sulla sedia ammutolito.
"In occasione dell'analisi annuale per l'Aids, abbiamo dovuto fare tutte un test in carcere. È successo un mese fa. Ho scoperto di essere positiva all'Hiv e molte cose mi si sono chiarite. Mi sono fatta un'idea, seppur approssimativa, di chi fossero Cathy e Lily. Loro devono aver trasmesso il virus a mio marito che, a sua volta, lo ha trasmesso a me. Mi sono anche resa conto del motivo per cui lui non ha mai voluto che io mi risposassi. Era un uomo compassionevole che si preoccupava della vita di quelli che sarebbero rimasti dopo la sua morte. Io ho coraggio ed è per questo che voglio andare lì e diffondere un raggio di luce sul pregiudizio nero che c'è tra la gente" fece una pausa. "Non rimpiango di aver ucciso mio suocero, perché lui avrebbe potuto causare la morte di molte persone. Spero che voi due mi capiate quando vi parlo di questo. Quelle tra noi che erano sieropositive sono state rilasciate: alcune sono uscite tremanti, ma altre risplendenti di coraggio per illuminare altre donne e incoraggiare quelle sieropositive come noi, per dir loro come trovare un modo per farcela".
Mia madre ora stava piangendo. Io cercai di trattenere le lacrime, ma mi ritrovai anch'io a piangere. Non riuscivo a credere a ciò che avevo sentito. 'Non posso lasciare che Cathy e Lily uccidano altri membri della nostra famiglia quelle parole ora mi erano chiare, quindi dovevo credere alle mie orecchie. Laviero sedeva tranquilla sulla sedia, respirando normalmente, e non c'era traccia di lacrime sulle sue guance. Mia madre si asciugò le lacrime e capii che stava per dire qualcosa. Si schiarì la voce:
"Per la prima volta ora capisco perché tuo marito mi implorò di andare via subito. Pensai di non essere bella e di non poter essere scelta come seconda moglie, perché per me lui era ancora attraente. Ora, però, mi è tutto chiaro. Capisco quando dici che si preoccupava per gli altri".
Per la seconda volta non riuscivo a credere 'mi implorò di andare via...'; era una novità per me. Sicuramente zio Muisyo era un buon uomo che commise un errore ma non volle mai che qualcun altro ne soffrisse le conseguenze. 'Grazie, zio' mormorai tra me. Era già mezzanotte e andammo a letto con molte novità a cui pensare.
Due settimane dopo Laviero ci lasciò per dirigersi verso Kimoo. Katile era serena. Due mesi più tardi Laviero diventò la rappresentante distrettuale dell'associazione delle donne ammalate di Aids.
(1) Il compoundche si traduce come recinto o area cintata, indica solitamente un complesso di capanne, casupole o anche case in muratura, che si affacciano su uno stesso cortile (ad es. il compound delle Nazioni Unite) non per forza effettivamente racchiuse da un recinto.
(2) Parola ki-swahili che indica la polenta di farina di mais, principale componente dell'alimentazione di tutta l'Africa orientale.
(3) Lo shamba è un pezzo di terreno, solitamente coltivato, che circonda una casa fuori città. Corrisponde, in qualche modo, all'aia o all'orto delle fattorie italiane.