El Ghibli - rivista online di letteratura della migrazione

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le lettere non scritte

sunil deepak

Giggi, oggi è il tuo compleanno. Non so tu cosa farai, ma io ho deciso di festeggiarlo.

Lia, la mia padrona di casa, è l'invitata. È lì in sala davanti alla TV e io sono qui in cucina a preparare le melanzane. Prima le ho fatte arrostire lentamente sul fuoco, ora le ho messe nell'acqua fredda per togliere loro la buccia e poi le preparerò con le cipolle e i pomodori, come le preparava la mamma. Ti ricordi Giggi quando ci mettevamo in cucina accanto alla mamma per preparare le nostre paranthe? Non riuscivo mai a stendere la pasta in forme rotonde o quadrate; le paranthe venivano tutte irregolari, ma la mamma me le cucinava così come erano.

Sai che ora so farle bene? Perfette nelle loro forme, rotonde o quadrate, con una sfoglia sottile che si scioglie in bocca. Lia ama mangiarle. Le ho insegnato come si fanno le paranthe, i roti e i naan. Il mese scorso ha nevicato molto ed era difficile camminare fino al paese per comprare il pane e ho cucinato roti, per me e per lei, per diversi giorni.
Infondo i nostri roti non sono così diversi dalle piadine che fanno qui, basta usare la farina raffinata e aggiungere un po' di lievito all' impasto. Comunque, io preferisco i roti con la farina integrale. Anche Lia. Lei dice che la fa andare di corpo. I miei amici sostengono che so cucinare bene i piatti indiani. Io penso che quando cucino io non devono pagare, mentre se andassero in un ristorante si, quindi è facile che cantino le lodi delle mie capacità culinarie. Ma credo che sia vero: ho imparato a cucinare proprio bene.

Giggi, sai come è strano qui! Tu hai solo un anno più di me, ma non posso chiamarti per nome. Per me sei soltanto Giggi, la sorella maggiore. Invece Lia ha quasi 74 anni e la chiamo per nome, come se fosse mia coetanea. È questo il costume qui: chiamare tutti con i loro nomi. Non c'è nessuno che ti chiami fratello o zio. Oggi hai compiuto 31 anni. Quando ero un bambino pensavo che le persone di 31 anni fossero molto vecchie, ma qui avere 31 anni è come essere ancora bambini. Spesso le ragazze non si sposano prima di avere 35 o 38 anni e tante volte convivono senza sposarsi. Non vogliono i figli. Al massimo uno, ma se non arriva, va bene lo stesso. Tutti vogliono vivere le loro vite e, in fin dei conti, ognuno pensa soprattutto a se stesso.

Quando fa caldo anche Lia si mette in bikini e si stende, su una coperta nel campo, a prendere il sole. All'inizio lo trovavo molto strano. Mi vergognavo a vederla così, la guardavo solo di nascosto. Poi, poco alla volta, mi sono abituato a vedere il suo corpo. Quando lei mi girava intorno senza vestiti, tutta scoperta, come facevo a non vederla? Il suo corpo di donna. Di donna vecchia. Alla fine il corpo è solo un corpo, né più né meno. Ci ho messo tanto per capirlo.

Ma anche quando uno lo capisce, le nostre storie, che vivono dentro di noi, non ci lasciano cambiare così facilmente. Avevo capito che il corpo è soltanto un corpo, ma non riuscivo a mettermi in pantaloncini corti davanti a lei. Lei mi diceva: "Come fai a stare sempre tutto coperto? Nel tuo paese anche gli uomini devono coprire i loro corpi come le donne con il velo?"

Era inutile parlare con Lia delle differenze tra i musulmani e gli indù. Come potevo parlarle del senso di vergogna, nei confronti del proprio corpo, che ti viene insegnato da bambino, se non riesco a spiegarlo nemmeno a me stesso? E come si fa a parlare di questi argomenti con gli altri?

Ci ho messo un po', ma alla fine ci sono riuscito. Ci vuole coraggio la prima volta quando non l'hai mai fatto, ma poi ti rendi conto che queste paure sono ridicole. Ora, in estate, vado in giro anch'io con i pantaloncini corti e senza una maglietta. Le prime volte mi sembrava che tutti guardassero il mio strano corpo e forse ne ridevano. Ora penso che siamo tutti strani e che a nessuno gliene frega niente del mio corpo strano! Poi chi mi guarda qui? C'è soltanto Lia.

Devo preparare il massala per fare il pollo. Taglierò le cipolle, alcuni spicchi di aglio e qualche pezzo di zenzero, poi li farò frullare. Mentre farò tutti questi lavori, continuerò a parlarti. Le frasi della tua lettera mi ronzano in testa. Avevo perso la mia solita corriera e sono tornato a casa tardi. Non mi sono fermato da Lia per salutarla, ma forse lei mi stava aspettando. Mi sono sentito chiamare da dietro e mi ha consegnato la tua lettera. Non l'ho neanche aperta. So già cosa mi hai scritto. Scrivi sempre le stesse cose ogni volta. Non so cosa risponderti Giggi. Ogni volta che mi siedo per scriverti, non riesco a pensare a niente. Ti ricordi quanto parlavamo da piccoli? Come mai abbiamo alzato questi muri tra di noi adesso? Non riesco a capire quello che tu mi dici e non riesco a dirti niente di tutto quello che vorrei dirti. Soltanto così riesco a parlarti, con le parole che restano chiuse dentro di me.

È venuto Emilio in cucina, il cane di Lia. Forse ha sentito l'odore di pollo. Mi si è messo davanti e mi guarda con due occhi che ti fanno pensare ai bambini malnutriti dell'Etiopia. Sembra che, poveretto, non abbia mangiato da due giorni. Lo so che è tutta una messinscena, ma mi piace dargli da mangiare dal mio piatto. Lia dice che l'ho viziato. Forse è così. In questi giorni, poverino, ha tre punti sulla testa con una medicazione. Sembra uscito da un film. Qualche scemo del paese ha fatto questa bravata.

Emilio è un cane dolce. Non l'ho mai sentito abbaiare. Diciamo che è un po' strano, ma in senso buono. Non è normale che un cane sia così, che sia pronto a seguire chiunque, con la sua coda che si muove come il tergicristalli della macchina durante la pioggia. Chissà se ci sono i cani Down? Comunque, cosa può fare un cane così davanti ai bulli del villaggio?

I ragazzi del villaggio ce l'hanno con Lia. Vengono di notte e scrivono oscenità sul muretto davanti alla nostra casa. A volte buttano sassi contro le finestre. Prima non riuscivo a capire il motivo di questo odio. Capisco che i ragazzi così ce l'abbiano con gli extra comunitari, con le persone come me che ho la pelle più scura. Ma perché ce l'hanno con una vecchietta di 75 anni? Non riuscivo a capirlo. Poi, un giorno ho chiesto a Lia cos'era il tatuaggio sul suo braccio e così ho capito. Lia è ebrea.

Quando aveva 11 anni, l'hanno portata in un posto orribile. Lia lo chiama il campo di concentramento. Detto così sembra un posto per fare le scatole di pomodoro o i tubetti di latte, ma Lia dice che era un posto terribile. Era una prigione dove è morta la sua famiglia. I genitori, il fratello che aveva 16 anni, la sorella che aveva 2 anni meno di lei. Quel tatuaggio è il marchio di quella prigione.

Quando me l'ha raccontato, quel giorno, ho deciso di restare in questa casa. Al mio arrivo, qui, non riuscivo a trovare un posto dove stare. Lia fu l'unica che mi accettò. Ora conosco molte persone e, se voglio, posso trovare un'altra camera più comoda, non così lontana dalla fabbrica. Ma ora non voglio lasciare da sola Lia.
È piena di vita Lia. Mi piacerebbe tanto che tu venissi qui a conoscerla. Così forse anche tu riusciresti a diventare più coraggiosa. Non so perché non siamo stati capaci di parlare del nostro passato, come fa Lia. Lei piange. Lei grida. Soprattutto quando beve un po'. Mi racconta delle cose della sua vita, di prima di andare al campo di concentramento. Tante volte non riesco a controllarmi e piango con lei.

"Sono morti tutti, perché io no?" lei mi chiede. Come si può rispondere ad una domanda del genere Giggi? Tu ci pensi mai alla mamma? Tu ti chiedi perché la mamma è morta e noi no? Perché non siamo morti insieme alla mamma, perché siamo vivi?

"Giggi, ho ricevuto la tua lettera e sono contento che stai bene." Ogni volta che mi metto a scriverti, non riesco ad andare oltre queste poche parole. Quante cose vorrei dirti, ma mi sento circondato da muri altissimi e non so come superarli. Questi muri che mi separano da te. Sono diventato bravo a raccontare bugie. Non sono capace di scrivere quello che sento veramente, e così ogni volta ti scrivo le stesse quattro bugie sulla cartolina. "Sto bene. Scusami se ti scrivo una cartolina, ma sono molto indaffarato. Tuo rispettoso fratello."

Invece vorrei prendere le tue lettere, prendere ogni tua frase e discuterne con te. Le cose che tu scrivi sono come schegge, mi tagliano ogni volta che le penso. Tu mi scrivi: "Caro Munna, chiedo il tuo bene a Dio". Come fai a scrivere così quando sai che non è vero? Se veramente vuoi il mio bene perché ignori quello che ti dico? Fai finta di non capire, ma sono sicuro che tu capisci bene cosa vorrei più di qualunque altra cosa. Hai deciso di sacrificarti, vuoi ucciderti un po' alla volta, lentamente, ogni giorno. Quello che tu chiami "il nostro dovere morale ed etico" è un suicidio. Cos'è questa moralità che si poggia sull'immoralità? Quale società vuole che noi ci comportiamo così? E se lo chiedesse, come oserebbe chiederlo a te o a me? Penso che nessuno te lo abbia chiesto, sei tu che hai deciso quali sono i tuoi peccati e quale è la tua punizione. È questo il muro che sta tra noi due. Questo muro di bugie. Questo muro fatto di cose non dette. Questo muro nato dalla mancanza di coraggio nel non chiamare le cose con i loro nomi. Come faremo a parlare noi due se non riusciamo neanche a chiamare le cose con i loro giusti nomi?

Mi dici bugie Giggi, tu non vuoi il mio bene. Tu vorresti che, come te, io mi chinassi davanti al dovere morale del figlio verso il genitore, senza discussioni, senza recriminazioni. Tu hai definito questo, moralità. Non lo farò mai. Come puoi dire che vuoi il mio bene e poi chiedermi di fare qualcosa che va contro ogni mio istinto? Se veramente vuoi che io stia bene non chiedermelo mai più.

Lia dice che questa è la sua vita, la vita che lei aveva preso a morsi, per non lasciarsela sfuggire. "Ho sacrificato la mia famiglia per questa vita. Piangerò. Griderò. Ma vivrò questa vita come voglio. Non solo per me. Anche per loro che sono morti nelle camere a gas, ammazzati da macellai. Questa mia vita appartiene a tutti loro. Loro vivono nel mio respiro", dice Lia. E la vita della nostra mamma Giggi, quella, non ti chiede il diritto di vivere?

Lo so cosa mi risponderai. "Non ho scritto niente di tutto questo nella mia lettera". È vero, sei capace di dire tutto questo senza usare nessuna parola. Lo dicono i tuoi occhi. Quando ti metti giù a pregare per ore, vestita con il vecchio sari sporco e lacero, cos'altro vuoi dire? Cosa posso pensare quando tu mi sorridi e mi dici: "Mangia. L'ho preparato per te. Io mangerò dopo." Chi ti ha chiesto di negare la vita e portare la maschera della vedova, per ricordare colui che aveva trent'anni più di te e ti aveva preteso per saldare il suo debito?

Di cosa possiamo ragionare quando tu mi parli del dovere del figlio? E' vero, tu non l'hai scritto, ma riesco a capire quello che vuoi dire tra le righe. Queste cose non dette, sono le schegge contenute nelle tue frasi. Sii onesta. Vorresti dire tutte queste cose, ma le nascondi con le banalità.

Ti ricordi, Giggi, come riuscivamo a capirci anche senza dire una parola? Io e te insieme a proteggere la mamma. Ti ricordi quelle nostre discussioni? O le hai dimenticate? Quando ero bambino riuscivo a capirti anche senza che tu parlassi e oggi non riesco a capire le tue parole, forse perché non riesco più a parlarti normalmente. Riesco soltanto a farti delle domande arrabbiate... e soltanto nella mia solitudine.

Lia è entrata in cucina, vuole dell'acqua. Ha detto di avermi chiamato, ma non l'ho sentita. Mi asciugo gli occhi e cerco di sorriderle: "Queste cipolle! Come si fa a tagliare queste cipolle senza piangere?" Sento il mio sorriso falso, ma Lia fa finta di niente. Non mi chiede niente. Lei capisce. Sa che la festa di oggi è per il tuo compleanno. Lia conosce le ferite dell'anima che non si rimarginano mai. Non serve che io mi spieghi con lei.

Non è strano che oggi, per il tuo compleanno, noi mangeremo il riso con pollo e tu mangerai il riso e le lenticchie di nascosto in cucina, come una ladra, come una che non ha il diritto di mangiare? Come faccio a spiegarti che se non ci fossi tu, in quella casa, io non manderei neanche un soldo per lui? Potrebbe morire anche di fame, non mi importerebbe.

"Grazie a Dio, stiamo tutti bene", hai scritto. Chi sono questi "tutti" Giggi? E come ha fatto Dio a entrare tra noi due? Quando serviva dove era questo tuo Dio? Perché è venuto adesso, ci vuole prendere in giro? Perché stiamo bene Giggi? Se tutto è finito, tutto è rovinato, come facciamo a stare bene? Sono tutte bugie. Bugie, dall'inizio alla fine. Non va bene niente e non andrà mai bene niente, se tu insisterai ad ammazzarti così.

Ti ricordi la mamma Giggi? Ricordi quando la mamma mi dava la pentola per mangiare il latte coagulato sul fondo e tu mi guardavi? Ricordi quando andavamo a raccogliere la cacca delle mucche? Calda e morbida cacca. Ricordi come si sentiva nelle nostre mani? Ricordi l'odore delle ciabatte, con la cacca secca delle mucche, attaccate al muro? Ento, bento, dove mento, ottanta, novanta, tutte cento. Te lo ricordi il nostro gioco con i semi del tamarindo? Se ti ricordi tutte queste cose, allora sicuramente ti ricordi della mamma, Giggi. Spiegami, quindi, come facciamo a stare bene? Dimenticando la mamma, possiamo mai stare bene?

"Grazie a Dio ...", quando l'hai scritto, ti è tremata la mano? Tu ricordi come tossiva la mamma? L'angolo del suo sari nella sua bocca per non fare rumore, ricordi il suo tossire piano durante la notte? "Bastarda puttana, figlia della cagna, non vali niente, ti faccio vedere cazzo, adesso ti faccio vedere! Non mi lasci dormire di notte, brutta strega" Ti ricordi il suono dei pugni quando colpivano la carne? Non puoi dimenticare quel suono. Quando la punta della scarpa batte contro le costole, fa un rumore come quando si rompe un rametto; te lo ricordi quel suono? Ti picchiava cosi anche il tuo marito?

Quel suo tossire non mi lascia dormire Giggi. Tutta la notte la mamma tossiva. Ti ricordi il sangue sul suo sari? Perché Dio non è venuto a salvarla? Dove era questo tuo Dio quando l'hanno tirata fuori dal pozzo? Ti ricordi la mamma stesa vicino al pozzo? Era così bianca e gonfia. Ti ricordi la nuvola di mosche che le girava intorno? Suicidio, hanno detto. Lo so che tu ricordi tutto, non hai dimenticato niente.

Ma se non l'hai dimenticato, come hai fatto ad andare a vivere con lui? Non riesco a capirlo. E' questo il muro tra noi due. Non ti riesco a capire, Giggi. Come hai fatto a cambiare così?

"Vorrei vederti felicemente sposato con la tua famiglia" hai scritto. Perché Giggi? Dopo quella farsa che era il tuo matrimonio, come fai a pensare ai matrimoni? Ti ricordi quel vecchio con i grandi baffi bianchi che ti aveva comprato? Quanto avevi pianto, per quanti giorni! Ma lui non aveva avuto nessuna pietà di te. Cosa hai ottenuto facendo la figlia obbediente? Hai ottenuto due figli, più vecchi di te, per i quali cucinavi e pulivi la casa. Quei figli che ti hanno riaccompagnato a casa quando il vecchio è morto.

Non voglio una famiglia. Ho visto il tuo matrimonio e mi basta. Parlo con te dentro la mia testa e sento la mia mente che gira come una trottola. Le stesse domande continuano a tormentarmi dentro. Non riesco a pensare a niente di nuovo. Continuo a pensare al passato. Tu hai deciso di sfuggire al mondo, nascondendoti dietro la maschera del dovere filiale. Perché hai deciso così? Non lo riesco a capire. Ma io non ho deciso così e non lo accetterò mai. Puoi stare lì a servirlo, chiusa dentro la prigione della tua vedovanza. Farò la festa del tuo compleanno. Non mi frega niente di questi costumi vecchi e datati, non mi frega niente di quello che dicono i tuoi sacri libri. Ho scelto la vita.

Lia chiama Emilio. Quando la sento chiamare Emilio, mi sento un po' strano. Emilio era il nome del suo marito che lei amava molto. Dice che è per questo che ha deciso di chiamare il suo cane Emilio. Dice che sentire il corpo caldo del suo cane la fa sentire meno sola.

"Quanto ci vuole ancora per mangiare?", mi chiede. Sono così preso da questa discussione con te, che mi ci vuole un po' di tempo per riuscire a risponderle. "Ancora un'ora circa". Lei non protesta, sta lì paziente. Lei sa che oggi sono particolarmente tormentato dai ricordi. Ma non mi farà nessuna domanda. Aspetta che un giorno io le parli di questi demoni che vivono dentro di me. Invece io so che non riuscirò mai a parlarne. Questi demoni non riuscirò a condividerli con nessuno.

Giro il pollo nella pentola con il mestolo e penso alla mamma. Lei non ha mai mangiato il pollo. Tu l'hai mai assaggiato? Quando lui portava carne a casa, ne dava un pezzo soltanto a me. Ti ricordi Giggi come lo mangiavo davanti a te, lentamente, per farti sentire gelosa? Eri soltanto una ragazza, lui diceva.

"Quando arriva la tua lettera, il babbo mi guarda con occhi così pietosi. Non mi servono parole per capire quello che vuole. So che vuole sapere cosa hai scritto nella lettera. Povero, non riesce a parlare e la saliva gli cola dall'angolo della bocca. Ha uno sguardo che mi fa piangere. Come fai ad essere così crudele fratellino?"

Almeno una cosa giusta ha fatto questo tuo Dio, lo devo ammettere, quando ha paralizzato metà del suo corpo. Se dipendesse da me, lo avrei fatto morire poco alla volta. Si, sono crudele, ma lui cosa ha fatto a te, alla mamma e a me? Merita la sua punizione lui. Ma tu perché hai deciso di condividere la sua punizione con lui? Come hai fatto a perdonarlo? Esiste soltanto il dovere del figlio? Non esiste un dovere del genitore? Quale dovere ha rispettato lui per meritare il tuo servizio? Meritava la prigione lui.

Continuo a pensare che non sono stato capace di fare niente per te e per la mamma. Volevo le pentole di latte e i pezzi di pollo. Come ho fatto a non pensare che anche tu eri una persona, che potevi avere qualche desiderio? Quando ti ha venduto, perché non sono stato capace di lottare contro lui? Quando lui picchiava la mamma, perché non sono stato capace di fermalo? Tu l'hai perdonato, ma io non ne sono capace.
Quando ti vendeva, mi preoccupavo soltanto dell'università. Tu non conosci tutte le squallide storie. Non sai dove sono andato con lui prima del tuo matrimonio. Sentivo la giovinezza che si svegliava dentro di me. Ero contento di andare con lui. "Vorrei una ragazza giovane per mio figlio. E' la sua prima volta perciò ci vuole una ragazza speciale."

Tale padre, tale figlio. Uguali. Stesso sporco sangue. Mille rupie aveva pagato. Non ho chiesto neanche da dove erano arrivati quei soldi. Era l'anticipo della tua vendita. Come faccio a perdonarlo? Spero che muoia come un dannato. Tu l'hai perdonato. Io non riesco a perdonare né lui né me stesso.

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Anno 4, Numero 16
June 2007

 

 

 

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