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la voce dei leoni e delle principesse

itala vivan

Era stato Harold Macmillan, allora Primo Ministro britannico, a dire che “un vento di novità soffiava sull’Africa”. Correva l’anno 1960, e le ex colonie europee del continente stavano per diventare indipendenti, ad eccezione del Sudafrica e delle colonie portoghesi. L’ondata di cambiamento politico generò, da fine anni Cinquanta e sempre di più negli anni Sessanta e Settanta, sino ad oggi, un movimento di rinascita culturale che diede il via a una straordinaria messe letteraria: romanzi, poesia, saggistica emersero in tutta l’Africa, a dire le proprie mille storie diverse e le visioni di un futuro allora colmo di speranze.
L’Italia tardò ad accorgersi di questa importante fioritura artistica che aveva caratteri antichi, ripresi dalle millenarie e sontuose tradizioni orali, ibridati dalle influenze coloniali, frutto di lingue imperiali e di letture europee, e determinati però da una nuova spinta di desiderio di futuro, da uno sguardo che intendeva staccarsi dalle ombre della subalternità coloniale per riprendere in mano la rappresentazione del sé. L’editoria italiana, così come il mondo della critica letteraria e l’ambito accademico, rivelarono una tenace ritrosia ad accogliere quel vento di novità che veniva di lontano vestendosi di forme sorprendenti e complesse che rifiutavano l’antico sguardo eurocentrico, creatore di esotismo, così caro agli europei.
Con il tempo la situazione è cambiata, e l’editoria e la critica italiane si stanno aprendo alla produzione che viene dall’Africa o che parla di Africa. Ed ecco che un importante convegno organizzato dal Premio Grinzane Cavour dal 18 al 20 gennaio ha spalancato le porte dell’attenzione nazionale invitando a Torino ben ventisei scrittori africani a discutere sul tema “Il deserto e dopo. La letteratura africana dall’oralità alla parola scritta”, e, insieme, a celebrare la sudafricana Nadine Gordimer, Nobel nel 1991 e già Premio Grinzane nel 1985, cui è stato conferito uno specialissimo Premio Grinzane Cavour Lettura-Fondazione CRT, mentre alla giornalista e saggista Renata Pisu veniva dato un premio riservato alla traduzione dalla lingua cinese.
Gordimer ha dato il via alla manifestazione con una stimolante Lectio Magistralis nella Sala dei Mappamondi dell’antica Accademia delle Scienze, prendendo le mosse dalla descrizione shakespeariana dell’ebreo Shylock, da lei adattata al razzismo di oggi che vede nel colore della pelle un motivo di discriminazione. L’umanità di ciascun essere vivente prescinde da caratteristiche che vengono assunte per creare subalternità, e tale umanità grida il proprio bisogno di libertà e di affermazione, estendendo dalla parola orale alla parola scritta e alla letteratura la battaglia per l’espressione culturale e politica. Nel celebrare la funzione del libro, Nadine Gordimer ha auspicato che questo meraviglioso scrigno della parola scritta non venga sommerso e travolto dai nuovi media e rimanga alla base della formazione dei giovani e della ricerca. Il suo appello ha trovato una eco significativa in chiusura del convegno, quando il Ministro dei Beni Culturali Rutelli, presente alla premiazione finale, ha annunciato la creazione di un Istituto del Libro destinato appunto a tale scopo.
Nadine Gordimer si è mescolata a tutti gli altri scrittori nella discussione e nella convivialità. Gli scrittori presenti provenivano da vari paesi dell’Africa subsahariana, e ad uno ad uno, in interventi individuali e in dibattito generale, hanno offerto il proprio sguardo e la propria posizione estetica ma anche politica all’interno di un continente che comprende storie diverse e variegate. La prima giornata del convegno, venerdì 19, ha visto una passerella generale presentata prima da Angelo Del Boca e Anna Paola Mossetto, poi da Claudio Gorlier. La seconda giornata, di sabato 20, ha invece riservato uno spazio speciale alle scrittrici, coordinate – un po’ inopinatamente – da Catherine Spaak.
Werewere Liking, camerunese residente in Costa d’Avorio, autrice di teatro, poesia e narrativa (si ricorda il recente romanzo La memoria amputata), ha esemplificato il carattere ibrido della propria espressione materiata di oralità e musica sciogliendo la parola nel canto – e del resto il suo genere narrativo si definisce appunto canto-romanzo. Il suo dialogo con la Spaak è risultato arduo, poiché la Liking rifiutava di entrare nei modelli cui la volevano costringere le domande della Spaak, volte a fare dell’Africa un ‘caso’ speciale di anti-modernità. Germano Almeida, di Capoverde (Il testamento del signor Nepomuceno da Silva, e altri due romanzi), e Ondjaki, angolano (Il fischiatore e Le aurore della notte), hanno portato la voce dell’Africa lusofona così importante e antica nel quadro complessivo del continente. Per Ondjaki lo scrittore è una sorta di camaleonte solitario, che porta sulla pelle il colore del mondo in cui è immerso. Angolano anche José Eduardo Agualusa, che ha evocato un quadro avvincente della Luanda cosmopolita, poliglotta e variopinta da cui proviene.
La cultura della favolosa Zanzibar ha trovato voce grazie a uno scrittore di notevole spessore letterario, Abdulrazak Gurnah (Sulla riva del mare e Il disertore), che ambienta le sue storie raffinate nel mondo ibrido e meticcio della costa orientale africana, dove incroci antichi tra arabi, persiani, africani, indiani ed europei hanno dato origine alla lingua e alla cultura swahili. Gurnah si è soffermato sul ruolo della storia nella costruzione narrativa: una storia che va letta più che scritta, per esplorare le mille pagine ancora bianche che essa presenta. Dall’Africa occidentale venivano invece Koffi Kwahulé, ivoriano ma residente a Parigi, autore essenzialmente teatrale, Patrice Nganang, camerunese, giovane poeta e romanziere che ha recentemente ricevuto in Francia il prestigioso Premio Yourcenar, e Sami Tchak(1) (La festa delle maschere), originario del Togo ma residente a Parigi, come sempre più spesso accade agli scrittori francofoni.
Niyi Osundare, di cui è uscita in Italia una bella raccolta di liriche, L’occhio della terra, è nigeriano e vive tra Ibadan e New Orleans dove insegna all’università e dove è stato travolto dalla tragedia dell’uragano Katrina. Osundare ha ripreso il tema di Gordimer, la quale aveva auspicato, citando Chinua Achebe, che si ascoltasse non la voce del cacciatore, ma quella del leone. Ed ha aggiunto che l’Africa è fatta di persone, di gente, e non di bestie più o meno feroci. Basta dunque con le descrizioni di esotici safari, e avanti invece con la storia e la memoria, i problemi e le urgenze dell’oggi. Assai diverso da Osundare il giovanissimo nigeriano cresciuto negli Stati Uniti Uzodinma Iweala, autore di un primo romanzo, Bestie senza una patria, il quale ha portato la voce di una generazione nuova per temi e linguaggio. Henri Lopes, Repubblica Democratica del Congo (Cercatore d’Afriche, e Sull’altra riva), cresciuto a Brazzaville e figlio di mille incroci culturali, ha sottolineato la propria identità fluida e il proprio destino inevitabilmente francofono, ma in una scrittura che rappresenta un paese interiore. Chris van Wyk, sudafricano, autore di libri per ragazzi e di un romanzo autobiografico, ha riportato gli ascoltatori alla realtà multiculturale della township di Riverlea da cui egli proviene, già riservata ai meticci dall’apartheid razziale, e per lo scrittore fonte infinita di temi e di discorsi nell’intensità di vita comunitaria che la caratterizza.
L’Uganda era rappresentata da Moses Isegawa (Cronache africane e La fossa dei serpenti) e Timothy Wangusa (Inno all’Africa), che hanno evocato la necessità di non dimenticare la storia del loro paese e le vicende di un passato recente tanto terribile. Anche Musaemera Zimunya si è rifatto alle circostanze specifiche della storia dello Zimbabwe da cui proviene e in cui vive, essendovi rientrato dopo una parentesi negli Stati Uniti; ha richiamato all’attenzione degli ascoltatori le responsabilità dell’Europa coloniale anche rispetto all’oggi africano, frutto di un lungo passato di sfruttamento. Il poeta e romanziere della Sierra Leone Syl Cheney-Coker ha attaccato l’abitudine della critica europea di classificare le letterature africane secondo i propri canoni, costringendole entro parametri a loro alieni: nel suo caso, si è visto appioppare la definizione di narratore del realismo magico, che rifiuta perché la sua vena è squisitamente africana e non sudamericana. Dal Congo proviene il romanziere Emmanuel Dongala (Jazz e vino di palma, L’uomo di vento, Johnny Mad Dog) che si è soffermato sullo spartiacque creato fra anglofoni e francofoni dal movimento della Negritudine, nato nell’esilio francese e volto al recupero di una identità africana che si vorrebbe ‘autentica’.
Un trio di scrittrici si è raccontato direttamente in italiano, testimoniando la forza di una nuova letteratura postcoloniale che sta nascendo nel nostro paese e direttamente nella nostra lingua. Martha Nassibou, che vive a Parigi ed è autrice di Memorie di una principessa etiope, ha raccontato in perfetto italiano la lunga vicenda della propria vita tra colonialismo e postcolonialismo. Aminata Fofana (La luna che mi seguiva), nata in Guinea Conakry ma residente a Roma, di professione modella e cantante, ha evocato scenari esotici dell’infanzia citando suggestioni lontane volte a creare un’Africa favolosa e magica assai di maniera. Infine Valentina Acava Mmaka, cresciuta in Sudafrica e poi in Kenya ma ora residente a Roma (L’ottava nota, Cercando Lindiwe, Io..donna..immigrata..volere dire) ha rievocato le fonti africane delle fiabe che racconta ai bambini tra cui opera come mediatrice culturale.
Anche da questa sintetica rassegna si può evincere quanto sia stata ricca e fertile la manifestazione del Grinzane Cavour, il quale grazie al suo Presidente e fondatore Giuliano Soria si è ormai trasformato in una sorta di movimento culturale attivo in varie parti d’Italia e del mondo, ma sempre radicato nel natio Piemonte e in una Torino che ai nostri occhi di visitatori ha offerto un ammirevole spettacolo di vivacità culturale e artistica cui altre città italiane possono guardare come a un eccellente esempio di quanto possa giocare il ruolo della cultura nella vita di una città per altro non esente da problemi sociali ed economici, ma che ha saputo trarre forza dalle proprie radici e risorse interne. L’inziativa di portare a Torino le ricche e sontuose voci d’Africa appare in linea con quanto si fece qualche anno fa con la bellissima mostra d’arte “Africa capolavori di un continente” curata da Ezio Bassani e ospitata dalla GAM con grande successo di pubblico. E oggi, insieme alla letteratura, l’Italia guarda anche l’arte africana, sia classica sia contemporanea, che in tutta Europa ormai attira osservatori in numerose mostre e rassegne che testimoniano un nuovo interesse di critica e anche di mercato.

(1) [ndr] un suo racconto è stato recentemente pubblicato su El-ghibli numero 14 dicembre 2006.

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Anno 3, Numero 15
March 2007

 

 

 

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