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intervista a sandra cisneros

giulia gadaleta

Sandra Cisneros è nata a Chicago nel 1954. Attualmente vive a San Antonio, in Texas. È considerata una delle maggiori scrittrici di letteratura chicana e portavoce di spicco degli immigrati messicani negli Stati Uniti. Della sua produzione sono stati tradotti in italiano La casa in Mango Street (Guanda), Fosso della Strillona e Caramelo (entrambi per La Nuova frontiera). Ho incontrato Sandra Cisneros durante il Festivaletteratura di Mantova, nel settembre 2005. Ha risposto con grintosa gentilezza alle mie domande, abbandonando spesso lo spagnolo e passando all’inglese, come in un passaparola linguistico e identitario i cui fili si intrecciano inestricabilmente.

Di cosa racconta Caramelo?
Bene, è un libro di molte storie. Se me lo avessero chiesto mentre scrivevo, non avrei saputo rispondere, proprio perchè anch’io stavo cercando il mio cammino mentre lo scrivevo. Adesso che è finito mi rendo conto che tratta vari temi: la famiglia, un "ménage à trois" messicano, un uomo una donna e sua madre, il rapporto tra Stati Uniti e Messico e tra Usa ed immigrati, il colore della pelle, il valore della bianchezza nella comunità messicana e nordamericana e varie cose. Anche di uno scialle, un rebozo che si chiama caramelo.

Sia in Caramelo che in Fosso della Strillona lei affronta il tema della frontiera, dei messicani di qua e dei messicani di là. Perchè è tanto importante la frontiera e cosa rappresenta? E perchè ha deciso di parlare di immigrazione?
In un mondo ideale non ci sarebbero frontiere, ma esiste una frontiera a sud degli Stati Uniti che separa il primo mondo con il terzo mondo: la frontiera a nord con il Canada è come se non esistesse. Io non ho deciso in partenza di parlare di immigrazione, la verità è che uno scrive ciò che lo confonde, ciò che ama. Ho iniziato prima di tutto con le memorie della mia infanzia, la storia cresceva, mi resi conto che stavo parlando dei tempi di mio padre, la sua vita stava terminando, era vecchio, iniziai a dedicare il libro alle sue memorie, sapevo che sarebbe morto mentre scrivevo, e così accadde. Con gli anni ‘90 abbiamo assitito ad un mutamento drammatico intorno agli immigrati, in particolare dopo l’11 settembre la frontiera è stata militarizzata: una repressione molto forte contro gli immigrati del sud, come se fossero responsabili e dalla frontiera entrassero terroristi: in sostanza sono trattati come criminali e non come persone che cercano semplicemente di dare da mangiare alle loro famiglie.

Ciononostante in Caramelo il centro della identità dei personaggi è sempre Città del Messico, anche quando vivono negli Stati Uniti...
Beh, io direi che il personaggio della figlia non è nè di qua nè di là ma di un luogo nel mezzo: è quello che succede nella comunità messicana, se uno è negli Stati Uniti da sette generazioni, se è di prima generazione, se è illegale o se ha la cittadinanza; abbiamo una grande varietà, e poi ci sono anche i cubani, i salvadoregni... E’ un pò naif chiamarli tutti ispanici, abbiamo più cose differenti che in comune.

Lei è considerata una scrittrice chicana, che cosa significa?
Chicano è un termine politico, nella comunità messicano-americana o ispanica non tutti si identificano come chicani, i chicani sono più radicali, più di sinistra, hanno una coscienza della storia dei messicani, della lotta politica. Non tutti hanno una formazione politica, molti si considerano mestizos. I chicani sono più militanti e appartengono alla classe lavoratrice, le loro facce sono come Don Chisciotte ma i loro cuori sono come Montezuma.

Nei racconti di Fosso della Strillona, come in Caramelo, sono riconoscibili le fasi della vita delle donne: infanzia, adolescenza ed età adulta...
Non l’ho scritto nell’ordine che vedi. Io non scrivo mai con un piano, ma con il cuore: volevo esprimere le voci della comunità. Dopo aver pubblicato La casa di Mango street volevo evitare la voce della bambina, ma poi sono venuti fuori questi racconti e mi sono resa conto che corrispondevano a tre tappe della vita. Ma la verità è che volevo includere entrambi i lati della comunità messicana di qua e di là dalla frontiera, senza rendermi conto che il mio punto di vista era quasi esclusivamente di donne.

Nell’ultimo racconto la protagonista Lupe rappresenta una generazione di messicani sradicati che non sono più nè carne nè pesce. Lupe si innamora di un messicano perchè “lui sa chi è, è un messicano!”
Non volevo parlare di me stessa, il racconto su di me è la eccezione non la regola: una ragazzina che crece, va all’università e che finisce a fare la scrittrice è una su un milione! Alla fine però mi sono accorta che mancava una voce molto familiare: quella dei cosiddetti “reborn Chicano”, di una generazione che ha studiato, che ha avuto l’opportunità di cresciere e di studiare, di politicizzarsi. Così ho esplorato questa storia, ho voluto guardarmi alle spalle, mi divertiva ritornare alla mia generazione. Ho voluto parlare di quelli che hanno scoperto le loro radici attraverso i libri, attraverso le lezioni di storia, attraverso insegnanti bianchi, attraverso i dipinti, perchè non avevano radici: le nostre famiglie o adulavano la rivoluzione e si mettevano il rebozo oppure erano così colonizzati da tante generazioni da non sapere più nulla. Così c’è stata una generazione di giovani che ha scoperto la messicanità e sono diventati più messicani dei messicani, una sorta di parodia.

Con che scrittori nordamercani si confronta?
Io mi sento molto vicina agli scrittori della classe operaia, la verità è che ho molto più in comune con loro che con altri latinoamericani, questo perchè i latinoamericani negli Stati Uniti sono della classe operaia. Mi sento sorrella di Dorothy Allison, scrittrice del Sud Carolina, che racconta dei bianchi della classe più bassa e più povera; ho molto in comune con la scrittrice cino-americani Maxine Hong Kingston, con l’ebrea Grace Paley: quello che ci unisce è che parliamo di gente della classe operaia. Lì stanno le mie radici, cerco sempre di rappresentare la comunità più oppressa, che può anche essere quella gay di San Antonio.

Le telenovelas sono presenti sia in Caramelo che in Fosso della Strillona: perchè ha inserito un elemento della cultura popolare televisiva nella trama delle sue storie?
Sono molto affascinata dal modo in cui esprimiamo la nostra storia. Credo che ci definiamo attraverso le storie, collochiamo individui e società all’interno di un costrutto narrativo. Per la comunità messicana il costrutto narrativo è quello delle telenovelas, soprattutto per le donne. Penso che le telenovelas soddisfino il bisogno di alimentare non solo la storia collettiva ma anche la storia individuale. Forse i messicani hanno bisogno di queste storie per avere animo, speranza, perchè per sopravvivere hanno dovuto reinvetare se stessi.

In Caramelo viene espressa una poetica delle “menzogne buone”, bugie che servono per riempire i vuoti della memoria. Cosa significa?
Quella delle “menzogne buone” era un’espressione di mio padre, che diceva “bisogna dire una menzogna sana per non offendere la gente” un modo per regalare agli altri un fiore, un racconto piacevole. Ecco, io invece ho cercato l’opposto, il lato non ufficiale delle storie per scoprire la verità. La menzogna sana per me come scrittrice è la libertà di immaginare.

Perchè scrive in inglese?
E’ il frutto della mia educazione, anche se nella mia casa ho sempre parlato castigliano con mio padre e inglese con mia madre, che è messicano-americana, ho molta più dimestichezza con l’inglese che con lo spagnolo, con il tempo uno perde le proprie lingue dell’infanzia e poi il mio è uno spagnolo di casa, di figlia.

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Anno 3, Numero 14
December 2006

 

 

 

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