El Ghibli - rivista online di letteratura della migrazione

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scritture in movimento " letteratura e testimonianze della migrazione" *

massimiliano fiorucci

Gli immigrati che hanno scelto l’Italia come patria adottiva stanno contribuendo in modo significativo ad arricchire la cultura italiana. Ormai da qualche anno si è cominciato a parlare di “letteratura italiana della migrazione” e con questa espressione ci si riferisce alla produzione in lingua italiana di scrittori immigrati in Italia. Vi è, tuttavia, chi preferisce parlare di “letteratura migrante” e dei suoi esponenti come migrant writers anche per collocare il fenomeno in un quadro non solo italiano, ma quantomeno europeo.
Le migrazioni(1) costituiscono, per i soggetti che ne sono protagonisti, esperienze decisive, a volte traumatiche, e comunque rappresentano eventi che modificano profondamente l’esistenza delle persone. Il viaggio che gli immigrati intraprendono verso il paese di destinazione rappresenta molto spesso anche un viaggio interiore, un viaggio dentro di sé alla continua ricerca dell’appartenenza e dove forte è il senso dello sradicamento. “Nessun emigrato conosce – scrive Marisa Fenoglio – alla partenza la portata del suo passo, il suo sarà un cammino solitario, incontrerà difficoltà che nessuno gli ha predetto, dolori e tristezze che pochi condivideranno. L’emigrazione gli mostrerà sempre la sua vera faccia, il peso immane del destino individuale, il prezzo da pagare in termini di solitudini e di rinunce, nonostante i vantaggi materiali che tanti ci troveranno. E a ogni ritorno in patria scoprirà quanto poco sappiano coloro che restano di ciò che capita a coloro che sono partiti. Soffrirà di invidia e di amarezza, ma non riuscirà mai più a tornare quello che era prima”(2).
L’emigrazione/immigrazione è una realtà “dura”, difficile e drammatica. “Per molto tempo a Niederhausen non andai a un matrimonio, né a un funerale, né a un battesimo. Sembrava che in quel paese nessuno nascesse o morisse o si sposasse, che non capitasse nulla, né di bello né di brutto. Dipendeva da me che ero l’ultima arrivata e non parlavo una parola di tedesco. Andavo per le strade e non c’era nessuno che mi salutasse, che mi sorridesse, che avesse conosciuto mio padre o mia madre, che avesse in comune con me un solo, unico ricordo. Potevo anche inventarmi una nuova identità e nessuno se ne sarebbe accorto”(3). Di questa durezza, di questo disagio – raccontato da Marisa Fenoglio e comune alle migrazioni di ogni tempo – vi sono molte testimonianze significative che non è più possibile trascurare.
Si tratta di testimonianze di varia natura (scrittori, poeti, psicologi, psichiatri, semplici emigranti) che danno conto di questa realtà e che mettono in luce come – per fare un esempio – le difficoltà incontrate dagli italiani emigrati negli Stati Uniti, in Argentina o in Svizzera non siano poi molto differenti da quelle che vivono coloro che oggi hanno scelto l’Italia come paese in cui ri-progettare la propria esistenza.
Lo scrittore marocchino Tahar Ben Jelloun, emigrato in Francia per motivi di studio, è autore di molti lavori (romanzi, racconti, poesie, saggi) sui temi dell’identità, dell’immigrazione e del razzismo. I celebri romanzi Creatura di sabbia e Notte fatale(4) raccontano la storia di una ragazza costretta a crescere come se fosse un uomo. Altri suoi romanzi affrontano il tema dell’emigrazione femminile in Francia attraverso le storie di una ragazza marocchina (A occhi bassi(5)) e di una ragazza algerina (Nadia(6)). Il saggio Ospitalità francese(7) si sofferma sul tema del “razzismo” di questi anni nei confronti degli immigrati mettendo in luce differenze e convergenze tra il razzismo “teorico” e il razzismo quotidiano della porta accanto. Egli, inoltre, è autore di libri divulgativi utili per comprendere questioni molto attuali che vengono spesso strumentalizzate dal dibattito politico e su cui tutti sembrano autorizzati ad esprimersi pur non avendo puntuali conoscenze nel merito (Il razzismo spiegato a mia figlia(8) e L’Islam spiegato ai nostri figli(9)).
Vi è però un suo libro – il cui titolo è illuminante: L’estrema solitudine – che racconta con grande efficacia e con grande durezza le sofferenze vissute da chi è costretto ad emigrare. L’estrema solitudine, infatti, è la condizione normale dell’immigrato. Per svolgere questa sua ricerca egli ha lavorato per un anno presso un centro parigino di consulenza psicologica e sociale per immigrati. Attraverso interviste, incontri, storie e racconti emergono i problemi di integrazione e di identità vissuti dagli immigrati nordafricani che si riflettono sul piano personale e sessuale. Lo scopo del suo lavoro era quello di raccontare non tanto la vita quotidiana e le sofferenze insite nello svolgere lavori duri, nocivi e mal retribuiti: in quei momenti, nonostante tutto, i soggetti si sentono in qualche modo riconosciuti. Il suo intento era quello di capire come vivevano gli immigrati durante il loro ‘tempo libero’ (la sera, la domenica). Come passavano questi momenti, con chi? È proprio in questi momenti che avanza ‘l’estrema solitudine’, l’assoluta assenza di relazioni affettive: tutto ciò si traduce in disagio psichico e in malattia e sofferenza psichica e fisica fino a tradursi in forme più o meno evidenti di impotenza sessuale. “L’immigrato, effettivamente, - spiega Tahar Ben Jelloun nella Prefazione al volume – è sempre stato percepito come una forza-lavoro, talvolta come un parassita per le società sviluppate. Raramente è stato considerato come un uomo, cioè come un essere con un’anima, con uno spirito, un cuore, delle emozioni, dei desideri e, perché no, anche ricco di fantasia e di senso dell’umorismo”(10). L’immigrazione si configura molto spesso – come ebbe a dire Jean Paul Sartre all’inizio degli anni Settanta – come “schiavitù dell’epoca moderna”. Ma in Francia come in Italia non arrivano solo delle “braccia”, arrivano uomini, soggetti, persone con i loro bisogni materiali, affettivi, culturali e formativi(11). “A questi uomini – continua Tahar Ben Jelloun – che vengono strappati alla loro terra, alla loro famiglia, alla loro cultura, viene richiesta soltanto la forza lavoro. Il resto non lo si vuol sapere. Il resto, è molto. Provate a valutare in un uomo il bisogno d’essere accettato, amato, riconosciuto; il bisogno di vivere nella dignità, il bisogno d’essere con i propri cari, nell’amore della terra, nell’amicizia del sole. [..] Il capitalismo vuole degli uomini anonimi (al limite, astratti), svuotati dei loro desideri, ma pieni della loro forza lavoro”(12).
Il tentativo di Ben Jelloun è quello di dare voce all’umiliazione, al disagio e ai bisogni di tutti quei soggetti che, molto spesso, assistono i “nostri” anziani per i quali non abbiamo più tempo o raccolgono – di nascosto – i “nostri” pomodori lavorando in condizioni di vita e di salute che non riserveremmo nemmeno ai nostri animali da lavoro o da cortile(13).
La negazione del diritto ad esprimere la propria ricchezza umana, la propria affettività si traduce, per conseguenza, in disagio e, spesso, in malattia.
Vi sono, tuttavia, anche nella nostra storia nazionale, molti esempi di questo tipo di disagio. Per attingere direttamente al nostro passato migratorio è utile riferirsi all’opera svolta dagli psichiatri Michele Risso e Wolfgang Böker nel loro lavoro con gli emigrati italiani in Svizzera. I due psichiatri, che operavano nella Clinica Psichiatrica dell’Università di Berna alla fine degli anni Cinquanta, non riuscivano durante le prime fasi della loro attività a fornire risposte coerenti ai pazienti dell’Italia meridionale che chiedevano loro di essere aiutati. Le condizioni di vita e di lavoro di questi nostri connazionali non erano molto diverse da quelle in cui vivono oggi molti immigrati in Italia. Il malessere degli emigrati italiani che si rivolgevano alla clinica psichiatrica di Berna, la loro “malattia” era di natura essenzialmente culturale (il “salto” dalle regioni dell’Italia meridionale alla Svizzera era probabilmente troppo grande). “Il trapianto nella situazione svizzera non significa solo confrontarsi con una cultura completamente diversa, per molti tratti persino contraria rispetto alla propria, ma significa anche la separazione dall’ambiente familiare e la perdita della prima naturale sicurezza. I disagi dell’adattamento da un nuovo lavoro, alla lingua straniera, ad una civiltà più complessa, non pesano tanto gravemente quanto questa perdita, che vive solo come sentimento indeterminato nella loro coscienza”(14). Questi emigrati non riuscivano in nessun modo a relazionarsi in modo ‘normale’ alle donne svizzere. Il diverso ruolo della donna nella società svizzera, una donna assolutamente diversa da quella meridionale di quegli anni che erano abituati a conoscere, li metteva in uno stato di soggezione, in una situazione difficile da gestire in assenza degli adeguati strumenti culturali. “Sotto la pressione del costume locale, questi meridionali a casa non hanno sperimentato un naturale incontro tra i sessi. Hanno passivamente accettato le usanze, che separano i rappresentanti dei due sessi prima del matrimonio; mancano loro completamente esperienze di rapporti con donne, graduali e differenziati, come per es. il ‘flirt’ e l’amicizia non impegnativa. Adesso entrano in un nuovo ambiente, in cui uomini e donne vivono assieme in naturale spontaneità. A differenza che in Meridione, qui la donna occupa un posto più elevato nella gerarchia sociale. Lavora con gli stessi diritti dell’uomo, è spesso finanziariamente indipendente e consapevole di sé stessa. Può presentarsi in pubblico senza essere accompagnata”(15). Gli emigrati italiani credevano di essere vittime di fatture, di malocchio o di sortilegi da parte delle donne svizzere (“delirio da sortilegio”) che assumevano comportamenti inspiegabili ai loro occhi. Non riuscendo a far fronte ai problemi e ai disagi dei lavoratori italiani in Svizzera con gli strumenti della psicopatologia tradizionale, Michele Risso e Wolfgang Böker decisero di occuparsi delle condizioni economiche e sociali del Meridione d’Italia, di studiare le opere di Ernesto De Martino(16) e di Danilo Dolci e di leggere alcuni scrittori italiani (G. Tomasi di Lampedusa, C. Levi, E. Vittorini) nel tentativo di penetrare nell’universo culturale di riferimento dei loro pazienti, nel loro immaginario. Tale impostazione del loro lavoro si rivelò efficace e positiva e consentì loro di ottenere buoni risultati terapeutici. La loro esperienza è riportata nel volume Sortilegio e delirio. Psicopatologia delle migrazioni in prospettiva transculturale che costituisce uno dei primi lavori di etnopsichiatria(17). Si tratta, come è evidente, di un’opera di “mediazione” compiuta dai due psichiatri e che oggi dovrebbe caratterizzare il modo di operare di tutti gli abitanti delle moderne società multiculturali indipendentemente dall’ambito di azione di ciascuno.
Alcuni soggetti hanno cercato di indagare e di esprimere i loro stati d’animo, le loro emozioni e le loro esperienze attraverso la scrittura. Questi autori, denominati migrant writers, hanno deciso di scrivere in una lingua, almeno in alcuni casi, differente dalla propria perché il loro pubblico principale di riferimento è quello delle società di “accoglienza”. Ed è proprio la scelta di esprimersi attraverso la lingua del “paese ospitante” che permette di far giungere il messaggio anche a chi non ha vissuto direttamente tali esperienze: in questo consiste il carattere di mediazione proprio di questa letteratura. Nasce così in molti paesi la “letteratura della migrazione”, una letteratura in continua evoluzione che sta acquisendo – non senza difficoltà – sempre maggiore considerazione all’interno del panorama letterario.
A tale proposito sembra utile fare riferimento – sia pure brevemente e prima di affrontare la situazione italiana – almeno alle esperienze di due paesi di più antica immigrazione come la Gran Bretagna e la Francia. I primi paesi europei in cui si è sviluppata questa “nuova” letteratura (Gran Bretagna e Francia) sono quelli che hanno avuto in passato una significativa storia coloniale e che quindi si sono confrontati per primi con il fenomeno migratorio.
In Gran Bretagna sì è costituito un vero e proprio movimento, denominato Black Britain, che attraverso la letteratura ha tentato di favorire la conoscenza della popolazione immigrata, di combattere il razzismo e di contribuire al superamento dei pregiudizi e degli stereotipi. I black writers offrono un’analisi critica della società britannica. Nei loro testi vengono affrontati i temi dell’identità e i problemi dell’integrazione anche con riferimento a questioni più urgenti (acquisizione del permesso di soggiorno, acquisizione della cittadinanza, ecc.). I black writers si interessano non solo della situazione e della condizione della comunità nera, ma anche di temi sociali urgenti e scottanti comuni alle classi sociali più disagiate. Tale movimento, pertanto, offre uno sguardo critico e una lettura trasversale della società inglese nel suo complesso. Un importante esponente di tale movimento è lo scrittore Mike Phillips, nato nella Guyana britannica ed emigrato in Gran Bretagna nel 1956 insieme a parte della famiglia. Windrush: the irresistible rise of multi-racial Britain, pubblicato nel 1998 e scritto in collaborazione con il fratello Trevor, è tra i suoi libri più importanti(18). I fratelli Phillips in questo libro affrontano il tema della grande migrazione nera verso l’Inghilterra, avviatasi con lo sbarco della nave Windrush nel 1948 che trasportava dei caraibici. Il volume rappresenta un classico in questo tipo di produzione per la sua capacità di ricostruire la storia e l’identità degli immigrati. Dal punto di vista più strettamente linguistico va registrato l’uso di un inglese non più “classico” ma pieno di influssi linguistici differenti. Nel suo ultimo libro, intitolato London Crossings: a biography of Black Britain, si narra del viaggio e delle vicissitudini di un immigrato nella odierna Londra multiculturale(19). Per questa biografia Phillips si è ispirato alla propria esperienza di vita: dalla Guyana fino all’arrivo e al suo inserimento nella capitale inglese.
Un altro esempio di letteratura della migrazione è quello francese. In questo Paese si è assistito, all’inizio degli anni Ottanta del secolo scorso, alla nascita della cosiddetta littérature beur. Si tratta della produzione letteraria di scrittori immigrati maghrebini di seconda generazione, nati o giunti in Francia in giovane età per raggiungere i familiari già emigrati. Tali autori hanno scelto come lingua quella dei colonizzatori con l’intento di raggiungere potenzialmente tutti i francesi. Un tema ricorrente in questo tipo di movimento letterario, come nella maggior parte delle letterature migranti, è quello del confronto/scontro/incontro fra tradizioni culturali differenti. Per mezzo della la scrittura tali autori cercano di riconciliarsi con la propria cultura d’origine, con le proprie tradizioni, con i propri sistemi valoriali di riferimento avvicinandosi alla cultura del paese “ospitante” e mettendo in moto processi di “integrazione” che facciano convivere le proprie molteplici identità. Come avviene per ogni letteratura della migrazione, anche nel caso della littérature beur, si assiste ad una polemica sulla sua dignità letteraria e sul suo essere o meno parte integrante della letteratura francese. Un esponente di spicco della littérature beur è il già citato scrittore marocchino Tahar Ben Jelloun.
L’Italia rappresenta un caso anomalo nel panorama europeo. Prima di diventare un Paese di immigrazione, con una sua letteratura dell’immigrazione, è stata a lungo un Paese di emigrazione ed ha avuto ed ha una propria letteratura dell’emigrazione(20). In conseguenza delle prime migrazioni italiane negli Stati Uniti e in altre parti del pianeta, nacquero i primi racconti di letteratura migrante. Questi racconti, in un primo momento, erano opere dilettantistiche di carattere autobiografico: è il caso, per fare un esempio, di Pascal D’Angelo(21). Si è assistito, successivamente, alla nascita di veri e propri scrittori: è sufficiente riferirsi ad autori più noti come John Fante, Joe Pagano, Pietro Di Donato, Helen Barolini o Carmine Abate.
Anche la letteratura italiana tradizionalmente intesa si è interessata al fenomeno dell’emigrazione italiana. Gli esempi, tratti da autori molto noti, non mancano: Edmondo De Amicis ha affrontato nel romanzo Sull’Oceano(22) (1889) il tema dell’emigrazione italiana in Argentina negli anni Ottanta dell’Ottocento; Carlo Levi, in Cristo si è fermato ad Eboli (1945), descrive in un capitolo l’emigrazione lucana negli Stati Uniti durante il periodo fascista; Leonardo Sciascia in due racconti(23) affronta i temi dell’emigrazione siciliana in Svizzera e in Germania (L’esame) e negli Stati Uniti (Il lungo viaggio).
Oggi l’Italia rappresenta un importante Paese di immigrazione e alcuni immigrati hanno deciso di scrivere in lingua italiana dando vita a quella che è stata inizialmente definita da alcuni studiosi come “letteratura italiana della migrazione”(24).
La letteratura italiana della migrazione nasce a cavallo tra gli anni Ottanta e gli anni Novanta del secolo scorso, ad una distanza temporale relativamente breve dall’inizio dell’ondata migratoria nel nostro paese. L’Italia, da dopo l’Unità e per circa un secolo, è stata una nazione connotata da una forte emigrazione: complessivamente sono emigrati circa 28 milioni di italiani. I demografi hanno rilevato che a metà degli anni Settanta il “saldo migratorio” dell’Italia è diventato per la prima volta positivo. Ciò significa che il numero delle persone che se ne vanno dall’Italia risulta inferiore rispetto a quelle che vi arrivano. I primi ad arrivare furono soprattutto i nordafricani che approdarono in Sicilia, lavorando prevalentemente nel settore della pesca, e in altre regioni dell’Italia meridionale lavorando nelle campagne, raccogliendo frutta, pomodori e via dicendo. A pochi anni di distanza da questa prima fase migratoria si verificò il famoso episodio di Villa Literno quando Jerry Essan Masslo, un giovane operaio sudafricano, in una notte di agosto del 1989 venne ucciso da un gruppo di ragazzi italiani. Tahar Ben Jelloun ha dedicato a questo episodio un racconto, dal titolo Villa Literno, inserito in una raccolta di racconti scritti in collaborazione con Egi Volterrani, che è il suo traduttore italiano, per iniziativa dell’allora direttore de “Il Mattino” di Napoli, Pasquale Nonno. Questa raccolta è stata pubblicata da Einaudi con il titolo Dove lo Stato non c’è. Racconti italiani (Einaudi, Torino 1991), e si proponeva come un’indagine sulla realtà dell’Italia meridionale, con i suoi problemi relativi al lavoro e alla marginalità, problemi che hanno costituito il retroterra per un episodio come quello di Villa Literno.
Dai primi anni Novanta comincia a nascere una letteratura intorno a questa nuova realtà rappresentata dal fenomeno dell’immigrazione. Uno dei primi esempi è quello del senegalese Pap Khouma, autore del libro Io, venditore di elefanti. Una vita per forza fra Dakar, Parigi e Milano (Garzanti, Milano 1990), scritto insieme al giornalista de “l’Unità” Oreste Pivetta(25).
In effetti in una prima fase – anche per motivi concernenti la non totale padronanza della lingua italiana – questi scrittori sono stati spesso affiancati da un giornalista o scrittore italiano. Si è venuta quindi a definire una “co-autorialità” che risulta interessante perché sottolinea ancora di più il senso della duplicità, dello “stare nel mezzo”, del perdere l’identità d’origine senza averne ancora acquisita una nuova. Si tratta di una letteratura di guado, di passaggio, ma è comunque importante sottolineare come gli editori ne siano stati attratti, anche se all’inizio in maniera forse un po’ strumentale. Un altro testo risalente a questi primi anni, ad esempio, è quello del tunisino Salah Methnani, Immigrato (Edizioni Theoria, Roma-Napoli 1990), scritto insieme a Mario Fortunato, scrittore e giornalista italiano ed ex direttore dell’Istituto italiano di cultura a Londra. Si tratta di un libro importante, molto duro, la cui origine si deve ad un’inchiesta sull’immigrazione, successiva all’episodio di Masslo, affidata a Methnani e Fortunato dal settimanale “L’Espresso”.
In una seconda fase l’interesse da parte dei grandi editori verso la letteratura migrante si è affievolito, ma è aumentato il numero delle piccole case editrici, delle associazioni, delle organizzazioni del terzo settore che vi si sono impegnate e il numero dei testi non più imperniati esclusivamente su elementi autobiografici, sulle storie di vita, sulle testimonianze, sui diari. Si è notata anche una maggiore attenzione allo stile e al valore letterario di ciò che viene scritto e pubblicato. Sulla qualità intrinseca di alcuni di questi testi si può discutere, e forse bisognerà attendere ancora qualche anno prima di avere un Ben Jelloun italiano.
Questi scrittori sono quasi tutti di prima generazione: hanno iniziato a scrivere dopo pochi anni dal loro arrivo in Italia. Un tema ricorrente è proprio quello della duplicità, dello stare nel mezzo. In proposito una poesia significativa è quella di un poeta del Camerun – il cui nome italiano di adozione è Teodoro e il cui nome camerunese è Ndjock Ngana – dal titolo Prigione(26). Dai versi emerge il desiderio di superare la cristallizzazione dell’identità, di aggirare il rischio della stasi in cui l’emigrante può cadere nel tentativo di preservare le sue origini per non farsi assimilare dalla cultura ospitante. Per Teodoro la prigione è data proprio dall’identificazione univoca, dal riconoscersi in un solo modo: una sola logica, una sola famiglia, un solo amore... La stessa copertina del libro presenta una maschera doppia e reca due titoli, uno scritto in italiano e l’altro in lingua basaa. Tutte le poesie hanno poi il testo a fronte, ancora una volta a rappresentare l’identità come qualcosa di dinamico, in progressiva e continua costruzione. Tale duplicità si presenta anche come rifiuto/accettazione della cultura d’appartenenza e/o della società ospitante, della volontà di assimilarsi e insieme di differenziarsi da quest’ultima. È un classico tema dell’immigrazione: dapprima si determina un amore quasi incondizionato per la società ospitante, dove tutto sembra meraviglioso e perfettamente funzionante, poi questa idea cambia con l’arrivo dei problemi e dei primi episodi di non accettazione. Molto dipende dalle politiche di accoglienza che il paese di arrivo mette in campo: generalmente tanto più si viene respinti, tanto più si radicalizza la propria identità e ci si chiude in se stessi. È normale ed avviene in qualsiasi tipo di relazione. “Nella prima fase l’immigrato – spiega Peter N. Pedroni facendo riferimento ad un’intervista allo scrittore togolese Kossi Komla-Ebri – cerca di diventare più europeo possibile. Nella seconda rivaluta la propria cultura; per esempio, i musulmani che non sono mai andati in una moschea cominciano a frequentare le moschee in Italia. Poi, nella terza fase, quella dell’interculturalismo, l’immigrato scopre che ‘l’umanità è la base di tutte le culture’”(27). Il tema dell’identità – molto spesso toccato dagli scrittori immigrati – è molto ben descritto dallo scrittore franco-libanese Amin Maalouf: “ciascuno di noi – egli afferma – dovrebbe essere incoraggiato ad assumere la propria diversità, a concepire la propria identità come la somma delle sue diverse appartenenze, invece di confonderla con una sola, eretta ad appartenenza suprema e a strumento di esclusione, talvolta a strumento di guerra”(28).
Con il contributo di questi nuovi scrittori si è già venuta a creare una sorta di lingua “meticcia”. In proposito esistono degli esperimenti, che però non sono sempre stati portati fino in fondo. Ad esempio, qualche anno fa la poetessa eritrea Ribka Sibhatu ha pubblicato il libro Aulò. Canto poesia dell’Eritrea (Sinnos, Roma 1993). La prima stesura delle poesie contenute nel libro, secondo quanto dice Alessandro Portelli in un suo saggio, era in un italiano non proprio perfetto e ricco di contaminazioni. Alessandro Portelli dopo aver letto il suo lavoro le ha consigliato di lasciare le poesie così com’erano, ma lei ha preferito correggerle perché il suo libro era indirizzato prima di tutto ai bambini, tanto a quelli italiani, quanto a quelli eritrei residenti in Italia. C’era quindi un intento didattico e sarebbe stato un problema lasciare i testi scritti in quella lingua “nuova”. Un altro esperimento interessante è quello di Fernanda Farias de Albuquerque, autrice dell’autobiografia Princesa, la cui prima stesura della biografia fu redatta insieme ad un detenuto sardo, suo compagno di cella quando si trovava in carcere. Il testo originale risulta quindi scritto da un transessuale brasiliano che mischia l’italiano al portoghese e che ha appreso l’italiano in carcere da un sardo parlante il sardo: è un qualcosa di assolutamente originale – quasi incomprensibile – un esperimento straordinario. Il testo ci è stato restituito in modo, per quanto possibile, fedele e autentico dal coautore Maurizio Jannelli, anch’egli detenuto che, tuttavia, ha dovuto almeno in parte tradire la complessa stratificazione linguistica dell’originale. L’opera, dal titolo Princesa(29), è stata pubblicata dalla casa editrice Sensibili alle foglie (Roma 1994), interessante realtà editoriale nata in ambiente penitenziario. Anche in questo caso emerge il tema del doppio: linguistico, culturale, sessuale. L’ambivalenza e la duplicità tornano nel libro di Nassera Chora(30) che prima di approdare in Italia ha vissuto per qualche tempo in Francia. Il titolo del libro allude al fatto che, una volta arrivata nel nostro paese, si è sentita completamente diversa da tutti gli altri e ha inizialmente rifiutato il colore della propria pelle, arrivando perfino a colpevolizzarne i genitori. Nassera Chora scrive nel libro che in seguito la cosa di cui si è vergognata di più è stato proprio l’aver provato vergogna per il fatto di essere nera.
Una tematica simile si ritrova in un testo di Ralph Ellison, scrittore afroamericano che nel suo libro L’Uomo invisibile (Einaudi) sottolinea il rapporto conflittuale con il colore della sua pelle e con le sue origini africane.
La letteratura italiana della migrazione ha la funzione di uno specchio per la società italiana: la lettura di testi del genere ci fa capire meglio chi siamo e cos’è la nostra società, ci costringe ad una riflessione sull’identità italiana, su come si rappresenta e su come si rapporta con l’altro. Questa letteratura testimonia anche la durezza della realtà migratoria, ci fa meglio comprendere le difficoltà e la drammaticità del percorso migratorio mettendo in luce le contraddizioni delle nostre società e facendo dialogare il punto di vista dell’immigrato e quello degli autoctoni.. Questi scrittori ci fanno gettare uno sguardo anche su tutti quegli ambiti di marginalità che non conosciamo o che conosciamo poco. Sono dei problemi che non riguardano solamente gli “extracomunitari”, ma che inducono ad una riflessione anche sul nostro stato sociale. Nelle città italiane esistono ambiti degradati, abbandonati, stigmatizzati e nascosti in cui le interazioni tra italiani e stranieri sono molto più forti e all’ordine del giorno. Si tratta però di relazioni difficili e la frequenza con cui torna il tema del razzismo ne è una prova.
L’Italia, però, si trova a vivere una situazione differente da Paesi con una più significativa storia coloniale come la Francia o la Gran Bretagna. La differenza principale tra l’Italia e questi altri paesi sta nel fatto che da loro l’immigrazione è un fenomeno più antico. In certi paesi colonizzati venivano formate delle élite – ad esempio francofone o anglofone – che in Eritrea e in Somalia – le colonie italiane – non sono state create. Ciò ha impedito la nascita di una classe dirigente italofona. Non si è venuto a creare, pertanto, un contesto adatto alla formazione di una letteratura come quella, per fare un esempio, caraibica di Derek Wallcott che utilizza, modificandola, vivificandola e quindi reinventandola, la lingua del colonizzatore oppure come quella di scrittori franco-algerini o franco-marocchini. Gli esempi, in questo senso, sono tantissimi. Uno per tutti il nigeriano Wole Soyinka, premio Nobel per la letteratura nel 1986. In Italia la situazione è del tutto differente, perché gli immigrati che arrivano in Italia non sono già in possesso della lingua italiana, come invece è accaduto per gli algerini in Francia o per i giamaicani in Gran Bretagna. Gli scrittori migranti presenti nel nostro paese devono imparare la lingua direttamente qui, anche se il tempo trascorso tra il loro arrivo in Italia e le prime produzioni letterarie è relativamente breve. Ciò ha a che fare con i livelli di istruzione degli immigrati in Italia. Gli immigrati che arrivano nel nostro paese hanno in media dei livelli di istruzione molto alti, soprattutto se vengono paragonati agli emigranti italiani che approdarono negli Stati Uniti, molti dei quali erano totalmente analfabeti. Tanto per citare l’esempio della letteratura statunitense, un autore di seconda generazione come John Fante costituisce un’eccezione, dato che la maggior parte degli scrittori italoamericani sono stati di terza o addirittura di quarta generazione.
La letteratura rappresenta un modo di comunicare, una modalità per entrare in relazione con la società ospitante, per avviare un confronto, un dialogo tra soggetti portatori di culture diverse. La letteratura è un modo per farsi conoscere in maniera diversa rispetto ai classici ruoli di lavavetri, di venditori ambulanti, di spacciatori e così via. È un modo per demolire gli stereotipi e i pregiudizi con cui gli italiani si rappresentano gli immigrati. Questi scrittori si vogliono affermare come soggetti portatori di cultura e non come contenitori vuoti che devono solo imparare e apprendere le cose che ha da insegnargli una cultura “superiore”. Uno dei maggiori problemi è costituito dal fatto che in Italia non c’è mai stata una particolare attenzione per le politiche di integrazione, a partire, ad esempio, dal riconoscimento dei titoli di studio: ciò ha portato molti immigrati con alti livelli di istruzione a occupare posizioni lavorative sottoqualificate. La letteratura costituisce quindi un luogo di mediazione privilegiato. Il sociologo algerino Abdelmalek Sayad, amico, collega e collaboratore di Pierre Bourdieu, ha posto l’accento sul fatto che tutte le “scienze delle migrazioni”, forgiate dal “pensiero di stato”, continuano ad assumere un punto di vista sostanzialmente etnocentrico, perché si focalizzano sui problemi che le ondate migratorie provocano nel paese di arrivo, senza tenere conto del fatto che l’immigrazione sconvolge anche i paesi di partenza. L’emigrazione costituisce un evento traumatico per le società di partenza perché, per esempio, favorisce lo spopolamento di interi villaggi oppure perché un’intera comunità rischia e investe tutto quello che ha – non solo in senso economico – su coloro che partono e costoro non possono fallire. Le migrazioni – per dirla con Sayad – sono un “fatto sociale totale”(31). Il migrante (emigrato e/o immigrato a seconda dei punti di vista) è sempre “fuori luogo”. Gli scrittori migranti diventano allora figure di mediazione tra immigrati e autoctoni.
“L’ambizione che mi pongo – ha affermato Kossi Komla-Ebri – è quella di fare da ponte, da soggetto di mediazione tra una cultura e l’altra. Penso che l’essenziale della letteratura della migrazione in genere sia di poter aprire una finestra di conoscenza sul mondo per chi non è di quel mondo. […] La scrittura diventa così uno spazio virtuale d’incontro. Se non c’è l’occasione reale di poter dialogare e conoscersi e convivere insieme, esiste lo spazio virtuale della scrittura dove scoprire cose, far sperimentare al lettore esperienze in territori cari al narratore: ti porto dove mi piace!”(32).

La “letteratura italiana della migrazione”: per saperne di più

El Ghibli – Rivista online di letteratura della migrazione
(www.el-ghibli.provincia.bologna.it/index.php)
El Ghibli - la rivista del vento - è la prima in cui la redazione è composta da scrittori migranti. Direttore responsabile della Rivista è il senegalese Pap Khouma.

Eks&Tra
(www.eksetra.net)
Sito dell'Associazione interculturale Eks&Tra che organizza annualmente un concorso letterario per scrittori immigrati.

Faraeditore
(www.faraeditore.it)
La casa editrice che per alcuni anni ha assegnato e pubblicato, in collaborazione con l'associazione interculturale Eks&Tra, il premio letterario per migranti.

Kuma
(www.disp.let.uniroma1.it/kuma/kuma.html)
Rivista di arte e letteratura meticcia fondata e diretta dal Prof. Armando Gnisci dell’Università degli Studi di Roma “La Sapienza”.

Banca dati Basili
(www.disp.let.uniroma1.it/basili2001)
Banca Dati Scrittori Immigrati in Lingua Italiana. E’ possibile trovare informazioni su scrittori, critici e tanto altro ancora. Responsabile: Prof. Armando Gnisci.

Voci dal Silenzio
(www.comune.fe.it/vocidalsilenzio)
Voci dal silenzio nasce da alcune esperienze di lavoro sull'immigrazione realizzate nell'ambito della scuola e del volontariato da alcuni collaboratori del CIES di Ferrara. L'obiettivo è quello di dar voce, attraverso la scrittura e la letteratura, a persone, donne e uomini, spesso confinate nell'anonimato.

Il Gioco degli specchi
(www.ilgiocodeglispecchi.org)
Un progetto dei volontari dell'ATAS (Associazione Trentina Accoglienza Stranieri) che promuove e organizza un festival sulla letteratura italianostraniera.

Sagarana
(www.sagarana.net)
Rivista e Scuola di scrittura creativa dirette dal Prof. Julio Monteiro Martins dell'Università degli Studi di Pisa.

PaginaZero - Letterature di frontiera
(www.rivistapaginazero.net)
Letterature di frontiera è un Quadrimestrale di letteratura, arti e culture. La tematica che sottende ogni numero è relativa al concetto di frontiera, di confine e di sconfinamento in regioni di letterature a noi ancora estranee. L’idea è quella che lo scrittore, il poeta, l’uomo di cultura in genere, rifletta attraverso i suoi testi (siano essi saggi, interviste, poesie, racconti) su quello che capita nella realtà, nella cultura, nella società.

La Tenda
(www.latendacentroculturalemultietnico.it)
Sito del Centro Culturale Multietnico La Tenda di Milano: associazione di volontariato che si propone di rivitalizzare la vita sociale del territorio in cui opera a partire dalla presenza degli stranieri di nuova immigrazione. Il centro organizza incontri sulla "narrativa nascente" degli immigrati.

* Il presente saggio è stato recentemente pubblicato nel volume D. Santarone (a cura di), Educare diversamente. Migrazioni, differenze, intercultura, Armando, Roma 2006, pp. 215-229.

(1) Le migrazioni, secondo il sociologo Abdelmalek Sayad, rappresentano un “fatto sociale totale” che modifica e sconvolge tanto le società di origine quanto quelle di accoglienza. Si può, pertanto, parlare di emigrazione (se guardiamo le cose dal punto di vista dei Paesi di partenza) o di immigrazione (se guardiamo le cose dal punto di vista dei Paesi di arrivo). Cfr. A. Sayad, La doppia assenza. Dalle illusioni dell’emigrato alle sofferenze dell’immigrato, Raffaello Cortina, Milano 2002.

(2) M. Fenoglio, Vivere altrove, Sellerio, Palermo 2003, p. 11.

(3) Ivi, p. 9.

(4) Einaudi, Torino 1987 e 1988.

(5) Einaudi, Torino 1993.

(6) Bompiani, Milano 1996.

(7) Theoria, Roma-Napoli 1992.

(8) Bompiani, Milano 1998.

(9) Bompiani, Milano 2001.

(10) T. Ben Jelloun, L’estrema solitudine, Bompiani, Milano 1999, p. 7.

(11) Sui bisogni culturali e formativi cfr. F. Susi, I bisogni formativi e culturali degli immigrati stranieri. La ricerca-azione come metodologia educativa, Franco Angeli, Milano 1991.

(12) Ivi, pp. 14 e 15.

(13) Cfr. Medici Senza Frontiere – Missione Italia, I frutti dell’ipocrisia. Storie di chi l’agricoltura la fa. Di nascosto, Indagine sulle condizioni di vita e di salute dei lavoratori stranieri impiegati nei campi del Sud Italia, Sinnos, Roma 2005.

(14) M. Risso, W. Böker, Sortilegio e delirio. Psicopatologia delle migrazioni in prospettiva transculturale, Liguori, Napoli 1992, p. 89.

(15) Ivi, p. 90.

(16) I due psichiatri nella bibliografia originale citano le seguenti opere:Il mondo magico, Einaudi, Torino 1948; Morte e pianto rituale nel mondo antico, Einaudi, Torino 1958; Sud e magia, Feltrinelli, Milano 1959; La terra del rimorso, Il Saggiatore, Milano 1961 e Magia e civiltà, Garzanti, Milano 1962.

(17) Oggi l’etnopsichiatria costituisce un ambito di indagine riconosciuto e ampiamente indagato. Per saperne di più si vedano in Italia i lavori di R. Beneduce, N. Losi e P. Coppo. Si vedano, più in generale, i lavori di Tobie Nathan che dirige presso l’Università di Parigi VIII il Centre Georges Devereux per l’aiuto psicologico alle famiglie immigrate.

(18) M. Phillips, T. Phillips, Windrush: the irresistible rise of multi-racial Britain, HarperCollins, London 1998.

(19) M. Phillips, London Crossings: a biography of Black Britain, Continuum, London and New York 2000.

(20) Si vedano a tale proposito i lavori di Francesco Durante che ha curato i poderosi volumi Italoamericana – Volume primo, Mondadori, Milano 2001 e Italoamericana – Volume secondo, Mondadori, Milano 2005. Francesco Durante, oltre ad aver tradotto numerosi libri di John Fante, è anche curatore dell’antologia Figli di due mondi. Fante, Di Donato & C. Narratori italoamericani degli anni ’30 e ’40, Avagliano Editore, Cava de’ Tirreni 2002. Quest’ultimo volume fa parte di una collana diretta dallo stesso Durante dal titolo “Transatlantica” dedicata ad autori italoamericani. Si veda anche C. Romeo, Nella letteratura italo americana, in P. Bevilacqua, A. De Clementi, E. Franzina (a cura di), Storia dell’emigrazione italiana. Arrivi, Donzelli, Roma 2002, pp. 631-640.

(21) P. D’Angelo, Son of Italy, Edizioni “Il Grappolo”, S. Eustachio di Mercato S. Severino 1999. Il libro è stato pubblicato negli Stati Uniti nel 1924.

(22) Garzanti, Milano 1996 o Diabasis, Reggio Emilia 2005.

(23)L’esame e Il lungo viaggio pubblicati nella raccolta Il mare colore del vino, Einaudi, Torino 1973.

(24) Si veda A. Gnisci, G. De Martino, L. Menna, G. Perrozzi, La letteratura italiana della migrazione: aspetti teorici e percorsi di lettura, Università degli Studi Roma Tre, Roma 1998. Cfr. anche A. Portelli, Le origini della letteratura afroitaliana e l’esempio afroamericano, in AA.VV., Globalizzazione e identità, “L’ospite ingrato”, Annuario del Centro Studi Franco Fortini, III, 2000, Quodlibet, Macerata 2001, pp. 69-86. Armando Gnisci è stato tra i primi in Italia ad occuparsi di questo ambito ed ha pubblicato su questi temi numerosi volumi tra cui: Creoli meticci migranti clandestini e ribelli, Meltemi, Roma 1998; Creolizzare l’Europa. Letteratura e migrazione, Meltemi, Roma 2003; Via della Decolonizzazione europea, Cosmo Iannone, Isernia 2004. La letteratura critica sulla “letteratura migrante” in Italia, tuttavia, non è molto densa. Si vedano, comunque, D. Bregola, Da qui verso casa, Edizioni Interculturali, Roma 2002; D. Bregola, Il catalogo delle voci. Colloqui con poeti migranti, Cosmo Iannone, Isernia 2005. Per un uso didattico della letteratura migrante si vedano: R. Alunni, P. De Andrea, P.P. Eramo, Scritture e linguaggi del mondo. Narrativa per l’educazione interculturale, La Nuova Italia, Firenze 2001 e D. Rigallo, D. Sasso, Parole di Babele. Percorsi didattici sulla letteratura dell’immigrazione, Loescher, Torino 2002.

La produzione letteraria, al contrario, in questi ultimi è stata molto intensa e non è possibile in questa sede darne conto in modo completo. Si segnala, tuttavia, un’antologia di racconti di recentissima pubblicazione curata dalla scrittrice italo-somala Igiaba Scego dal titolo Italiani per vocazione, Cadmo, Fiesole 2005, che comprende scritti di Masturah Alatas, Ubax Cristina Ali Farah, Jorgi Caniga Alves, Sabatino Annecchiarico, Juan Carlos Calderòn, Bambolo Hirst, Irgy Mublay Kakese, Kossi Komla-Ebri, Jadelin Maiala Gangbo, Barbara Serdakowski, Yousef Wakkas.

(25) Si veda di Pap Khouma il recentissimo, Uomini in transito, Baldini Castoldi Dalai, Milano 2005.

(26) «Vivere una sola vita/in una sola città,/in un solo paese,/in un solo universo,/vivere in un solo mondo/è prigione. Amare un solo amico,/un solo padre,/una sola madre,/una sola famiglia/amare una sola persona/è prigione. Conoscere una sola lingua,/un solo lavoro,/un solo costume,/una sola civiltà/conoscere una sola logica/è prigione. Avere un solo corpo,/un solo pensiero,/una sola conoscenza,/una sola essenza,/avere un solo essere/è prigione». La poesia è pubblicata nella raccoltaNhindô Nero, Anterem, Roma 1994.

(27) P.N. Pedroni, L’immigrato come outsider – Immagini di Africani in Italia, pubblicato sul sito http://digilander.libero.it/vocidalsilenzio/pedroni.htm.

(28)A. Maalouf, L’identità, Bompiani, Milano 1999.

(29) Ispirandosi a questo testo Fabrizio De André nel suo ultimo lavoro ha scritto, in collaborazione con Ivano Fossati, una canzone dal titolo Princesa, in Anime salve, BMG Ricordi 1996.

(30) N. Chora, Volevo diventare bianca, Edizioni e/o, Roma 1993. Il volume è stato scritto insieme alla giornalista Alessandra Atti di Sarro.

(31) A. Sayad, La doppia assenza, già cit.

(32) K. Komla-Ebri, All’incrocio dei sentieri. I racconti dell’incontro, Presentazione e apparato didattico di G. Stanganello, EMI, Bologna 2003, pp. 164-165.

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Anno 3, Numero 13
September 2006

 

 

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