Nota biografica | Versione lettura |
Noi barbari cristianizzati,
più che mai soli
sotto lo sguardo del mondo,
non abbiamo più
i tolomei né i basilei
per spiegarci agli altri,
né abbiamo altri goti convertiti
per impugnare il gladio
in nome nostro.
Siamo soli,
senza rimedio.
Scrutando il deserto
che preannuncia i leoni
vediamo dappertutto
i miraggi delle belve
inferocite,
martiri nudi
per sempre in mezzo al circo.
Sono cadute Antiochia,
Cartagine e Bisanzio,
il faro di Alessandria,
le torri di Damasco,
le torri gemelle,
sono cadute tutte le torri.
E mentre Vienna resiste,
Lisbona è stremata.
Il sangue risale,
controcorrente,
il Tago e il Guadalquivir.
Ancora balbuzienti
dalla rivelazione
abbiamo tagliato le trecce
per fare il giro dei mari
con Magellano.
Siamo tornati in pochi
e in pochi siamo rimasti
– una manciata stupita
a Vancouver, a Brasília,
a Riga, a La Valletta –
troppo pochi fanti
per troppe porte
incustodite.
Dai passi del Friuli,
dai valichi dei Pirinei,
dalle acque più calde
il mondo ci si avvicina
e ci stringe
in un circolo di fuoco.
Stretti, spremuti,
scoppiamo verso l’alto:
Apollo, Voyager,
Soyuz, Mir,
zampilli nell’etere,
nuovi miraggi
su deserti nuovi.
(Quando cadde
l’impero dei Giustiniani
abbiamo fatto lo stesso:
ci siamo avventurati
nel mare tenebroso.
Ma allora
c’erano le Indie).
I nostri occhi,
a centinaia,
girano intorno al pianeta.
Vedono tutto,
ma capiscono poco.
Vorremmo cancellare
le prediche esagitate
a colpi di atomica
per restarci soli
a parlare
tra le colonne mozzate?
Non sono i chiodi a uccidere
nelle crocifissioni.
È solo il peso
dell’uomo crocifisso
a bloccargli il respiro.
Almeno questo
avremmo dovuto capire
guardando le croci
sul monte.
Ma noi barbari
siamo come i bambini.
Non abbiamo ricordi
dei sacrifici.
Non abbiamo memoria
di niente.
Non sappiamo chi siamo
noi stessi.
Non ci sono stati concessi
i secoli per impararlo.