El Ghibli - rivista online di letteratura della migrazione

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barney clark

arben dedja

Quando decisi di disfarmi del mio rottame
le infermiere mi rinfrescavano,
puntavano la mia stilografica al bersaglio
e sette ditte produttrici di cuori
erano pronte a pesarmi in oro
purché scegliessi la loro.

Sapevo come sarebbe stata grande e pesante la valigia
                               [con dentro il mio cuore.
Impossibile contenere dolori, sogni, beffe?
Non avevo forze per sollevarla: mi muovevo in carrozzina
da un lato il motore, dall’altro il mio cuore.

Non lo tengono forse così appresso in campagna elettorale
il loro cuore i Senatori?
Non lo trascinano forse così nei concerti
il loro cuore i Rockettari?
E i Prigionieri su-e-giù per gli ascensori
con la loro pesante valigia
come la palla tra i piedi?

Così tutti finalmente possono vedere un cuore.
Così tutti finalmente possono baciare un cuore.
Così tutti finalmente possono imparare un cuore.

E poi, non è che ho fatto della morte ancora uno
                            [spettacolo, da tifo?
Per una volta ha superato la morte africana
superato la sedia elettrica
questa mia morte in apparenza semplice
la morte dimenticata numerica routinaria di ospedali
                              [geometrici
verdi calcolati al centesimo…
perché anche i cuori meccanici sanno morire,
miei cari.

*Il 61-enne dentista americano che visse per 112 giorni con un cuore artificiale.

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la sepoltura del maestro

arben dedja

E noi che volevamo fare
al Maestro maestosa la sua ultima
cerimonia ma ecco che iniziò
un piovasco che
decimò i nostri ranghi da discepolo
mentre saltavamo tombe oblique
rinculando verso le macchine sbattendo
le brache sporche di fango –
appiccicoso di morti servili
grattando le suole alle lapidi
per pulire le caccole delle pecore
liberate a pascere quell’erba
nutriente di chiappe marcite
mentre un hodja improvvisato
stava in caccia di cerimonie mistiche.

Non si seppe mai come fecero
i becchini a calare la bara
così folte erano le corde di pioggia
ma dicono la pioggia d’estate sia come
il correre dell’asino e così dimenticammo
già tutto infilati nei nostri
contemporanei pigiami.

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twin towers

arben dedja

Mia nonna Neshirè
figlia di Ibrahim Abdullah
che da vent’anni vive con la pensione
del marito morto
e con pezzi di proprietà d’inizio secolo
svendute per due lire,
ché lei è stata tutta la vita casalinga,
a quel punto, di certo, ha imparato
come si chiamava l’ombelico commerciale del mondo
mentre guardava in TV il finimondo
tra spirali di fumo della trentanovesima o
quarantesima strada (pardon, sigaretta), Allah diceva,
aiuta quegli sventurati… .

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Anno 3, Numero 13
September 2006

 

 

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