Nota biografica | Versione lettura |
“Se la rosa sapesse che la sua grazia e la sua bellezza la conducono dritta dentro un vaso, sarebbe la prima a tagliarsi la gola con la sua stessa spina. Ma lo ignora, ed è in quella zona d’ombra che attinge la linfa della sopravvivenza. Anche la mia scusa viene da lì.”
Così scriveva Yasmina Khadra nel libro che seguiva la controversa rivelazione della sua identità, per rispondere a chi lo accusava di mistificazione. La vicenda è ormai nota: nascosto dietro uno pseudonimo femminile – il nome di sua moglie – c’era in realtà un alto ufficiale dell’esercito algerino, Mohammed Moulessehoul. Dopo quella dichiarazione, come la rosa, Khadra sembra attingere linfa vitale da una zona d’ombra, spazio magico di creazione ricavato tra finzione e realtà, e prosegue il suo cammino narrativo con tappe insolite, offrendo ad ogni bivio del percorso, uno sguardo nuovo sulla strada.
Ma non c’è rosa senza spine. Ogni romanzo di Khadra è atteso al varco e, nonostante il suo indiscusso valore letterario, diventa subito pretesto per parlare d’altro, generando discussioni, spesso nemmeno pertinenti, sulla questione islamica, che tanto sembra appassionare i quotidiani di oggi. E Khadra non sceglie mai il percorso più semplice. Anzi. Sembra avere una singolare predilezione per i percorsi tortuosi, fuori dalle strade battute, muovendosi con audacia sull’instabile filo sospeso dell’attualità.
È su quella corda da equilibrista che si svolge il suo ultimo romanzo (L’attentat, Paris, Julliard, 2005) ambientato a Tel Aviv, dove un medico israeliano di origine araba si trova ad operare i feriti di un atto terroristico, prima di scoprire che la responsabile dell’attentato kamikaze è sua moglie. E su quella stessa corda, in bilico, Khadra si presenta al pubblico parigino, dove lo attende un dibattito infuocato all’Istituto del Mondo Arabo, con toni molto meno “soft” di quelli riservati all’autore dal pubblico quebecchese del Salon du Livre di Montréal. I lettori francesi non sembrano infatti troppo convinti dal suo “attentato”, che trovano poco credibile e troppo “politically correct”, come se l’autore, scrivendolo, avesse voluto fare più di una concessione all’Occidente. Poco avvezzo alle critiche, Khadra sembra non gradire e bacchetta “l’auditoire” parigino, ribatte sottolineando quanto sia amato oltreoceano (cosa che del resto nessuno aveva messo in dubbio), non risparmiandosi le battute taglienti: “Per leggere i miei libri, è necessaria un po’ di intelligenza…”
Del resto, Khadra ha ragione quando avvisa di essere stanco delle diatribe sulle scelte tematiche dei suoi romanzi: a qualsiasi autore occidentale è concessa libertà in materia, lo stesso non avviene però quando ci si trova davanti un autore “arabo”, e che per di più è stato per anni un comandante dell’esercito algerino. Evidentemente il pubblico non sembra ancora aver digerito lo pseudonimo – per di più femminile –, non è bastato un romanzo-pamphlet come “L’imposture des mots” a spiegare il perché di una scelta di letteratura e di vita. A Khadra non resta che sospirare. Per una volta, gli piacerebbe essere criticato per le sue espressioni altisonanti, più che per le scelte contenutistiche, dice.
La riflessione sullo stile di Khadra, autentico “orafo della scrittura”, è infatti la Grande Assente alla presentazione del libro, come se si trattasse di un elemento marginale, puramente irrilevante. È proprio lo stile, invece, a rendere unica l’opera dell’autore, che è riuscito a ricavarsi una nicchia personale all’interno di un genere fortemente codificato come il “noir”. Metafore filanti, giochi di parole, descrizioni dettagliate e preziose, disegnate in filigrana, o incastonate come autentici gioielli in una narrazione viva, rapida, all’ultimo respiro, sono solo alcuni degli strumenti di cui si serve Khadra nel suo atelier di orafo. L’uso di un francese iper-classico, ricercato, che arriva fino all’uso del rarissimo congiuntivo imperfetto, si unisce infine all’ironia, elemento fondante dello stile dell’autore. È l’ironia il collante delle indagini del Commissario Llob, dei suoi interrogatori, dei suoi quesiti esistenziali irrisolti, delle sue feroci critiche alla società algerina. È l’ironia – o forse l’ironia della sorte – che fa incontrare lo scrittore con il Comandante dell’Esercito Algerino, in un dialogo sdoppiato e surreale nelle pagine de L’imposture des mots. Come in quel romanzo, anche in questo Khadra si serve dei trucchi del mestiere che, senza raggiungere quegli esiti metafinzionali, sembrano svelare l’essenza umana nella sua verità più nuda. “Una rosa è una rosa è una rosa è una rosa”…scriveva Gertrude Stein, per sottolineare l’evidenza di senso data dalla referenzialità del significante rispetto al significato. Ma le tautologie non sono per Khadra. La sua lingua, poetica senza per questo essere artificiale, è influenzata, come avviene per molti autori francofoni, dalla compenetrazione di due universi linguistici paralleli – nel caso di Khadra quello dell’arabo e del francese – che porta alla creazione di immagini nuove, inventate da un autore che ha raggiunto la “cittadella della francofonia” nutrito di altri riferimenti culturali. Vivere nell’”entre-deux” linguistico porta ad una polivalenza esistenziale, oltre che ad una rara sovra-coscienza linguistica, strumento essenziale della scrittura. In questo spaesante gioco di specchi, una rosa non è per Khadra solo una rosa, ma diviene strumento per vendicare con il brio di un’acuta riflessione psicologica gli anni di costrizione vissuti nel rigore dell’anonimato.
L’Attentat di Khadra ne costituisce una prova lampante. Riflessione audace su temi scottanti, che pochi autori sarebbero in grado di affrontare senza cadere nella provocazione o nel cliché, il romanzo è guidato da una rara immaginazione e da un’arte del narrare propria solo ai grandi autori. L’incipit racconta il delirio dell’esplosione della bomba con un’attenzione lucida e spietata, dal punto di vista di chi vi si trova coinvolto, e lo vive in ogni minimo dettaglio – suono, odore, visione, percezione – in una scena quasi al rallentatore. La narrazione procede, guidata dalla voce di Khadra, che, attraverso il protagonista chirurgo, invita a riflettere sulla complessità del momento storico, osservandone tutte le sfaccettature, anche quelle più nascoste, servendosi del bisturi per dissezionare la realtà. Preziosa tessera nel mosaico multiforme dell’opera dell’autore, L’Attentat non porta solo a considerare il conflitto israelo-palestinese da un'altra prospettiva, ma riverbera la riflessione sulla letteratura e sulla lingua, e soprattutto su quella zona d’ombra che si cela tra finzione e realtà, in cui lo scrittore, come la rosa, attinge la linfa della sopravvivenza.
Bibliografia
Yasmina Khadra in francese:
Le dingue au bistouri, Alger, Laphomic, 1990.
La foire aux enfoirés, Alger, Laphomic, 1993.
Morituri, , Paris, Baleine, 1997.
Double Blanc, , Paris, Baleine, 1998.
L’automne des chimères, , Paris, Baleine, 1998.
Les agneaux du Seigneur, , Paris, Julliard, 1998.
A quoi rêvent les loups, Paris, , Julliard, 1999.
L’écrivain, , Paris, Julliard, 2001.
L’imposture des mots, , Paris, Julliard, 2002.
Les hirondelles de Kaboul, , Paris, Julliard, 2002.
Cousine K., , Paris, Julliard, 2003.
La part du mort, , Paris, Julliard, 2004.
L’attentat, , Paris, Julliard, 2005.
Traduzioni in italiano:
Morituri, Roma, E/O, 1998.
Doppio bianco, Roma, E/O, 1999.
Cosa sognano i lupi, Milano, Feltrinelli, 2001.
Le rondini di Kabul, Milano, Mondadori, 2003.
La parte del morto, Milano, Mondadori, 2005.